Amate qualche brano dei Pink Floyd ma vorreste sapere di più di Gilmour e soci? Conoscete bene la band di Cambridge ma ancora non sapete perché l’album “Atom Earth Mother” è intitolato così? Ecco il libro per voi: “Il Fiume Infinito”.

Pink Floyd: il libro che risale fino alla fonte di quell’ “Endless River” 1
I Pink Floyd nel 1972

Giorno memorabile oggi per i collezionisti dei Pink Floyd: in occasione del 25° anniversario di The Division Bell (1994), viene pubblicata un’edizione limitata in vinile blu. Proprio quell’album che per 20 anni sembrò rappresentare l’ultimo capitolo di un’avventura discografica. Molti però sapevano delle lunghe sedute di cui  era frutto. Lunghe al punto da far sperare la possibilità di un seguito, come poi accadde nel 2014: e così The Endless River, appendice di The Division Bell, divenne il vero canto del cigno. Già ma come nacquero quelli che sono diventati gli ultimi brani dei Pink Floyd? E cosa accadde in quelle finali sessioni?

Pink Floyd: il libro che risale fino alla fonte di quell’ “Endless River” 2
Pink Floyd. Il Fiume Infinito (The Lunatics, Ed. Giunti)

Se avete questo genere di curiosità su registrazioni e altri capitoli della biografia della band troverete una certa soddisfazione tra le pagine de Il Fiume Infinito, testo che ripercorre 50 anni di carriera “risalendo fino alla fonte”. Dietro a The Lunatics (gli autori) si celano cinque titolari della più vasta collezione al mondo sulla band di Cambridge. Il criterio col quale hanno raccolto questo patrimonio di informazioni, in un libro quasi unico al mondo, è cronologico: dai primi provini con Syd Barrett a The Endless River, sono state passate in rassegna e analizzate traccia per traccia tutte le canzoni ufficiali e inedite e perfino progetti abbozzati.

Un fiume di retroscena, dettaglicontenuti e dichiarazioni sulla genesi di titoli, brani o le modalità con cui sono stati incisi tra registrazioni al contrario e rumori effettati. Niente sfoggi di nozionismo o marketing pro Pink Floyd in queste oltre 300 pagine, piuttosto un’analisi storica e minuziosa. Una lettura scorrevole, a tratti coinvolgente con episodi gustosi della vita di gruppo. E non fondamentale solo per un fan accanitoche potrebbe anche scoprire di conoscere meno di quello che credema vademecum anche per chiunque sia interessato ad approfondire alcuni aspetti di una delle band più anomale della storia del rock. A impreziosire il volume un inserto a colori con rare edizioni discografiche, poster inediti e altri preziosi memorabilia.

 

La musica può davvero tutto? Luca Dondoni, storico dj, giornalista e critico musicale, confidando nel suo potere terapeutico, consiglia brani capaci di curare le piccole ferite della vita quotidiana. In ogni situazione.

La “Music Therapy” di Luca Dondoni, per ogni mood
Luca Dondoni

«La vita senza Musica sarebbe un errore», scriveva Nietzsche. Al di là di tanta filosofia  spesso le note di questa arte si sono genuinamente rivelate per noi un vero balsamo per la nostra anima. A partire da questo comune sentire Luca Dondoni ha scritto Music TherapyLa musica può tutto, libro composto da una serie di playlist suddivise sulla base di personali esperienze: ogni volta che la Musica è stata amica per contrastare malinconie, alleata per lenire dolori, compagna nei momenti di svago, sottofondo per circostanze amorose, perfino coach per l’attività sportiva. Quante volte è capitato anche a noi di immaginare certi brani come colonna sonora del “film” della nostra vita? Perché allora non sfruttare più consapevolmente questo potere su suggerimento di chi ha fatto di questa arte l’occupazione della propria vita?

La “Music Therapy” di Luca Dondoni, per ogni mood 1

Dondoni ci svela i poteri delle canzoni di Lucio Dalla, Bruce Springsteen e altri con la scommessa che possano diventare utili e insostituibili anche per noi. 11 capitoli musicali per rilassarsi, viaggiare, meditare, amare, risollevarsi, ballare, ricordare, mangiare, leggere o fare workout. E allora provate ad ascoltarvi Sympathy For The Devil dei Rolling Stone durante un viaggio, Quicksilver di Fourplay per meditare o Passionfruit di Drake in momenti di erotismo fisico e sentimentale. In queste pagine troverete un vero jukebox di carta, da John Coltrane ai Kiss, tra classici jazz, rock, pop, elettronici, tutti ricercati e motivati per ogni situazione di vita.

 Niente nostalgia dunque, solo l’istinto di farsi sedurre dal potere terapeutico della Musica. E oggi che è sempre più reperibile praticamente ovunque e gratuitamente diventa ancora più prezioso un libro come quello di Dondoni. La sua competenza e passione rendono Music Therapy scorrevole e piacevole da leggere e ascoltare. Godibile al punto di ambire a diventare, perché no, un audiolibro. E comunque un’ottima occasione per conoscere nuova musica e capire se quelle canzoni possano diventare la ricetta migliore anche per molti dei nostri prossimi momenti…Ascoltate la terapia.

Perché a Bob Dylan, che oggi spegne 78 candeline, è stato assegnato il Premio Nobel? Il libro di Alessandro Portelli, dedicato ad uno dei capolavori della poetica del menestrello del rock, aiuta a capire perché.

Bob Dylan: quella “Hard rain” che gli valse il Nobel
Bob Dylan

Quale cantautore sa rappresentare l’anima americana meglio di ogni altro? Probabilmente oltre a Springsteen solo Bob Dylan. Non è allora un caso che lo storico e studioso Alessandro Portelli, già autore di Badlands, abbia pubblicato Hard Rain (2018) dedicato a Dylan. Il riferimento è ad A Hard Rain’s A-Gonna Fall (1962), una delle prime ballate composte dal folk-singer. Quelle stesse liriche che Patti Smith cantò trovatasi a ritirare il premio Nobel per il collega assente. Una canzone simbolo di Dylan di cui però è meno nota l’origine e su cui Portelli getta luce: un’antichissima ballata di tradizione orale, il Testamento dell’avvelenato e che si diffuse in tutto il mondo anglosassone col titolo di Lord Randal. Non un caso dato che la creatività dylaniana è da sempre legata al rimaneggiamento di suggestioni già esperite.

Bob Dylan: quella “Hard rain” che gli valse il Nobel 1Oltre a svelare la parentela tra i tre testi Portelli fa capire quanto il menestrello del rock rappresenti un anello tra tradizione orale e avanguardia poetica, oralità e scrittura, testo e performance. Un anello capace di legare tradizioni e linguaggi, rinnovarli e trasformarli facendoli vivere: una vera rivoluzione con l’approccio delle fonti orali. E cos’è la musica se non una fonte orale? Una memoria stratificata che intreccia voce e improvvisazione, oggi probabilmente la più formidabile eredità della cultura americana.

Un Nobel meritato dunque per aver rinnovato la tradizione della canzone popolare americana? In realtà per aver fatto molto di più. Hard Rain non solo illustra la storia di uno dei testi più rappresentativi del cantautore americano ma, in un dialogo virtuale con altri artisti e autori, porta a capire perché Dylan è Dylan. E perchè le successive canzoni del menestrello di Duluth abbiano così segnato le vite di tanti. Dato che «le grandi canzoni hanno una vita propria, che prescinde dalle intenzioni dell’autore», come spiega Portelli.

 

Chi erano questi Joy Division? E perché sono diventati una band di culto? Una valida occasione per scoprirlo può essere la recente “Autobiografia” sulla band di Ian Curtis scritta da Jon Savage.

“Autobiografia di una band”: i Joy Division dalla penna di Jon Savage

Ricorrenze importanti per i fan dei Joy Division di questi tempi: oltre al 2 maggio 1980, data del loro ultimo concerto, a giorni cadrà il quarantennale di Unknown Pleasure (1979), album di debutto.
Un disco che non scalò le classifiche ma contribuì ad accrescere il culto di quella storica band di Manchester che dall’era punk svoltava verso sonorità avanguardistiche più cupe e liriche esistenziali.

«Troppo  normale, facciamola più estrema!» esortava Ian Curtis a proposito della genesi di quelle canzoni.
In un’intervista pochi mesi prima del suicidio dichiarò: «Vogliamo suonare quel che ci piace suonare. E quando smetterà di piacerci, sarà la fine». Poi, prima ancora di poter perdere il gusto di fare musica, entrarono nella leggenda. Così come ci ricorda ogni volta quell’iconica copertina di Peter Saville, non a caso utilizzata anche per la recente Autobiografia della band edita da Mondadori.

“Autobiografia di una band”: i Joy Division dalla penna di Jon Savage 1
Jon Savage “Joy Division – Autobiografia di una band”, Rizzoli Lizard 2019

Più che altro una oral-history firmata dal giornalista Jon Savage, fondata su oltre 30 testimonianze: dai membri dei Joy Division ai gruppi con i quali condivisero il palco, dal produttore Tony Wilson al fotografo Anton Corbijn che monterà il film Control, a giornalisti e tecnici del suono. Il concerto dei Sex Pistols quando Hook e Sumner ebbero la folgorazione e l’incontro con l’introverso Curtis, amante del punk ma raffinato autore di testi letterari. E poi l’humus dal quale sono nati brani oscuri, Camus e l’esistenzialismo, il nome Warsaw in omaggio a Bowie cambiato poi in Joy Division e contestato per il riferimento ambiguo ai tuguri dove le prigioniere intrattenevano sessualmente i nazisti.

Una storia fatta di chiaroscuri, proprio come quel periodo a confine tra le ombre dei ‘70 e l’alba dei luccicanti ’80.
In quel contesto il libro vi accompagnerà attraverso tutte le tappe della carriera dei Joy Division fino al tragico successo di Love Will Tear Us Apart. Sembra quasi di sentirne le vibrazioni mentre si sfogliano le pagine della commovente cronaca di una (annunciata) morte rock, datata 18 maggio 1980. Arrivati alla fine scoprirete tutto quello che c’è da sapere sui Joy Division ma il pregio di questo libro resta forse instillare la voglia di saperne ancora di più.

 

In occasione del docu-film “Asbury Park” al cinema il prossimo 22 maggio, Musica361 vi segnala una delle ultime e accurate pubblicazioni per conoscere uno dei figli illustri della città newyorkese: Bruce Springsteen.”

Springsteen, uno dei protagonisti di “Asbury Park”
Bruce Springesteen

Pronti per il docu-film Asbury Park: Lotta, Redenzione, Rock and Roll? Sarà l’occasione per rivivere la tormentata ed emozionante storia di Asbury Park.

Non solo fucina di talenti rock e soul ma anche testimonianza di come la musica abbia il potere di unire anche una comunità divisa.

Un tempo rinomata stazione balneare, nell’estate del 1970 Asbury Park fu travolta dalle rivolte razziali che paralizzarono la città per i successivi 45 anni.

Ridotta ad uno stato di totale degrado urbano quella rivolta distrusse la scena jazz e blues del westside di Asbury. Da quelle ceneri però emerse poi l’iconico suono del Jersey.

Springsteen, uno dei protagonisti di “Asbury Park” 1

Uno dei protagonisti di questa rinascita è l’Upstage, club psichedelico nel quale iniziarono a suonare Steven Van Zandt, Southside Johnny Lyon, David Sancious e naturalmente Bruce Springsteen.

Volete prepararvi a conoscere meglio l’apporto di una delle icone di Asbury Park nel mondo?

Allora non perdete Come un killer sotto il sole (Mondadori, 2017).

In questo libro, con rigore da critico letterario, Leonardo Colombati ha raccolto in ordine tematico, tradotto e analizzato cento delle canzoni più significative di Springsteen.

Dalla ricostruzione delle composizioni e dei rimandi alla cultura americana ne è nato un vero e proprio romanzo sul Boss.

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Dalla giovinezza nel New Jersey e la fuga alla ricerca dell’American Dream alla nuova Grande Depressione fino alla maturità e la riflessione sul successo.

In una narrazione di ampio respiro, attraverso spunti autobiografici, viene disegnata una vera epopea.

In essa scoprirete quanto la forza narrativa ed espressiva delle canzoni di Springsteen lo abbiano letteralmente collocato a pieno titolo nella tradizione letteraria americana, insieme a Whitman, Steinbeck, O’Connor e Carver.

Un’indagine appassionata tra curiosità e aneddoti rivelati dallo stesso Springsteen per presentare l’opera di uno dei più grandi storyteller contemporanei.

Insieme a Born to Run, un libro imperdibile per tutti gli amanti del Boss.

La storia della canzone italiana dalla svolta di Modugno a Sanremo 1958 fino al 2000: le fasi fondamentali della nostra tradizione musicale raccontate da Gino Castaldo come l’appassionante trama di un irripetibile romanzo sentimentale.

La canzone italiana come un romanzo, dalla penna di Castaldo
Gino Castaldo

«Gli italiani coltivano le canzoni come pianticelle nei loro giardini sentimentali», scrive Gino Castaldo. Vero, anche se poi spesso non conosciamo abbastanza questo patrimonio culturale. Ad esempio, quanti anni ha la canzone italiana? Il noto giornalista musicale sostiene 60, compiuti lo scorso anno. Tutto ebbe inizio il 1° febbraio 1958 quando Modugno spalancò le braccia al pubblico di Sanremo per portarlo Nel blu dipinto di blu. Da allora altre canzoni sono andate a poco a poco a comporre con i loro semplici accordi un vero romanzo sentimentale d’Italia.

La canzone italiana come un romanzo, dalla penna di Castaldo 1
“Il romanzo della canzone italiana” (Einaudi, 2018)

Per lo meno la canzone italiana è sicuramente uno strumento attraverso il quale poter raccontare «l’educazione sentimentale del Novecento». È quello che ha intuito Castaldo ne Il romanzo della canzone italiana: evitando accademismi e nostalgie, anzi in maniera piacevolmente confidenziale, sciorina gioie e contraddizioni della nostra storia musicale tra aneddoti, retroscena e pettegolezzi. Dai primi cantautori genovesi alla rivolta dei gruppi beat, dalla rivoluzione di De André e Battisti alla rinascita degli anni Settanta e Ottanta. 53 capitoli legati ad un genere, un’area geografica, un autore-interprete o una moda e cinque capitali della musica italiana. Fino ad un epilogo basato sulla tesi del riciclo di vecchi elementi per nuove combinazioni musicali, tipico della contemporaneità.

Mai come in questa società liquida, nella quale anche i fenomeni musicali sono sempre più decontestualizzati, è più che mai necessaria una storicizzazione. Partendo dal presupposto che quelle canzoni che ci emozionano oggi hanno origini ben precise. E questa lettura lineare, fruibile per capitoli-racconti indipendenti o come la lunga trama di un romanzo, è capace di illuminare ogni musicofilo, sia coetaneo dell’autore o adolescente. Un testo utile, già fondamentale per chiunque voglia colmare lacune attraverso un’analisi impegnata. Considerando che alla fine di ogni capitolo vengono citate le canzoni più importanti proprio per stimolare un futuro e più attento ascolto di ciò che si legge.

Sigla”, l’originalissimo e multimediale esordio letterario di Splash, giovane comunicatore del mondo radiofonico e televisivo tra esperienze di vita, social e QR code. E naturalmente musica.

“Sigla”, ovvero i 21 capitoli musicali di Luca “Splash” Guarnieri
Luca “Splash” Guarnieri

Luca Guarneri, noto come Splash, lega dai 15 anni il suo nome al mondo radiofonico. Sempre connesso ai social, attento a nuove storie da raccontare, lo scorso gennaio ha pubblicato il suo esordio letterario su proposta della casa editrice Gilgamesh, incuriosita dal suo blog.

«Il titolo Sigla è una metafora televisiva dell’attualità: ogni sigla in tv incornicia l’inizio e la fine di un bel momento, ho pensato potesse funzionare anche per legare racconti di vita in un ideale viaggio in pullman, alla scoperta degli altri e di se stessi», ha spiegato Guarnieri.

“Sigla”, ovvero i 21 capitoli musicali di Luca “Splash” Guarneri 1
“Sigla” di Luca “Splash” Guarneri, (Gilgamesh, 2019)

Pullman appunto raffigurato in copertina come schermo televisivo con tanto di autista/regista «a dettare i tempi pubblicitari, mentre i protagonisti ventunenni Luca e Splash guidano il lettore attraverso 22 fermate/capitoli».

Ad ogni fermata saliranno a bordo figuranti e comparse della vita dei protagonisti, i quali scopriranno così realtà viste dal finestrino, «dal cyberbullismo alla violenza di genere, dall’Alzheimer all’immigrazione.

E ogni capitolo si chiude con una riflessione dell’estroso Splash, mentre il più mite narratore Luca è seduto in fondo ad ascoltare il suo I-Pod.

Fermata dopo fermata inoltre i due ragazzi scopriranno sempre più di avere qualcosa in comune…»

In una lettura tra hastag e Qr code il libro, con riferimento all’età di Guarnieri, si sospende al 21° capitolo: «Inquadrando l’ultimo QR code si aprirà una mail precompilata così ciascun lettore potrà inviarmi la propria versione».

Non solo, i QR code disseminati danno al libro anche un’anima musicale, permettendo di accedere a contenuti musicali esclusivi legati all tematica ogni fermata: «Sono i brani dell’I-Pod di Luca, dalla Pausini a Mengoni, dagli U2 ai Coldplay».

Cos’altro ci si potrebbe aspettare ancora da questo libro, un musical? «Ebbene sì, sto ricevendo delle proposte, forse se ne parlerà a settembre».

Una domenica sera di 47 anni fa il primo e unico duetto tra la tigre di Cremona e il cantautore di Poggio Bustone. Un evento epocale ma non solo per la musica. Perché? Scopritelo nel libro di Enrico Casarini.

Mina e Battisti: quegli 8 minuti “Insieme” che segnarono la storia
Lucio Battisti e Mina dal vivo a Teatro 10, 23 aprile 1972

Lo scorso novembre Mina ha nuovamente omaggiato il collega Lucio Battisti pubblicando Paradiso, songbook dedicato al cantautore reatino. La stima tra i due è di lunga data. Anzi in particolare c’è proprio una data che li lega. E da dieci anni anche il libro del giornalista Enrico Casarini, ancora validissimo per fotografare un momento incredibile non solo della canzone italiana ma anche del nostro costume: Insieme. Mina, Battisti. 1972: il duetto a «Teatro 10» e la fine del sogno italiano.

Come ormai noto il 23 aprile del 1972 Mina ospitò Lucio Battisti a Teatro 10 per un celebre duetto
che rappresentò la loro prima e unica esibizione. 7 brani “insieme” per un evento che, in qualche modo, ha segnato  molte svolte.
Quella di Mina e Battisti che abbandoneranno presto lo showbusiness diventando letteralmente due voci invisibili. Quella di una televisione che vedeva gli ultimi grandi momenti di una Rai ancora educativa ed educata. E quella di un’Italia che da lì a breve assisterà al tramonto definitivo della spensierata era del Boom lasciando spazio a crisi, terrorismo, scandali e drammatici gialli politici.

Mina e Battisti: quegli 8 minuti “Insieme” che segnarono la storia 1
Enrico Casarini, “Insieme. Mina, Battisti. 1972: il duetto a Teatro 10 e la fine di un sogno italiano (Coniglio editore, 2009)

Cosa ha significato quell’irripetibile duetto televisivo per il nostro Paese?
A partire dalle testimonianze di quei “cinque amici da Milano” che Battisti volle al suo fianco, Casarini ricostruisce quell’episodio basandosi su documenti d’epoca, commenti e interviste inedite di protagonisti più e meno noti. E, se è vero che la televisione è lo specchio del Paese, da quel quadretto Casarini si allarga a tracciare uno spaccato della società e del costume, contestualizzando ogni minimo avvenimento con interi capitoli dedicati alla realtà politica, economica e sociale del 1972.

Risultato? Non un semplice ‘Amarcord’ ma un godibilissimo e scorrevole saggio capace di svelare, tra errori clamorosi e memorie imprecise, tante verità. E soprattutto per scoprire quanto un semplice duetto televisivo abbia rappresentato un evento di contaminazione storica diventando l’autentica colonna sonora della fine di un sogno italiano.

 

 

Cos’è la psichedelia? Sfogliate il libro di Guarnaccia per scoprire quanto questa arte abbia segnato e segni ancora oggi la nostra quotidianità. E non solo nel rock.

Fate un viaggio nel grande libro della psichedelia di Matteo Guarnaccia
Immagine psichedelica

Cosa significa psichedelico? L’aggettivo fu usato per la prima volta nel 1956 da Humphry Osmond in una lettera ad Aldous Huxley, autore de Le porte della percezione. Con esso definiva una sostanza che altera lo stato di coscienza e “libera il pensiero dalle sovrastrutture delle convenzioni sociali”.

Da fine Ottocento l’uso di sostanze psichedeliche, prodotte a scopo farmaceutico, si diffuse imprevedibilmente nei salotti occidentali allo scopo di espandere la propria coscienza in senso contemplativo-creativo. Con l’incontro di poesia e arti visive diventa un vero movimento, l’ultima sovversiva avanguardia del ‘900. Da allora molti hanno continuato a sostenere che il mondo si potesse “colorare”, dando vita a varie forme di psichedelia, fino alla rivoluzione digitale di Steve Jobs.

Fate un viaggio nel grande libro della psichedelia di Matteo Guarnaccia 1
“Il Grande libro della psichedelia” di Matteo Guarnaccia, Hoepli, 2017

Il libro di Guarnaccia segue le tappe dell’ingresso della psichedelia in società, dalla psicanalisi junghiana ai circoli intellettuali europei e le controculture beat e hippies caratterizzate dal sound di Beatles, Pink Floyd, Doors e Hendrix.

E ancora i poster visionari della Summer of Love di San Francisco e lo stile allucinogeno di Alice in Wonderland, i film di Disney, Kubrick e Fellini ma anche le stampe di Pucci, gli stabilimenti Sandoz, il design di Ettore Sottsass, le architetture di Archigram, gli store Fiorucci, i fumetti di Robert Crumb, le riviste underground e il packaging delle scatole di cereali americane.

Un’estetica che attraversa tante arti in un libro che desta l’attenzione del lettore già dalla sgargiante copertina ideata dall’autore.

E in sei capitoli oltre 500 immagini tra copertine di album e riviste, collage, locandine, memorabilia, abiti, fotografie, citazioni, canzoni e poesie. Colori e forme visionarie ricostruiscono l’immaginario collettivo di quelle manifestazioni della psiche che, attraverso l’espressione artistica, hanno tracciato il profilo del fenomeno culturale più immaginifico dell’era moderna. E che a dispetto delle apparenze richiede una significativa preparazione per coglierne l’essenza. Perché non cominciare da questo volume?

 

Filastrocche per insegnare ad apprezzare figure leggendarie e valori che hanno scritto la storia della musica rock? Sì e non solo per i più piccoli.

Le “Filastrocche per sentirsi grandi” di Reno Brandoni
Reno Brandoni fotografato da Giancarlo Polacchini

L’esperienza di Brandoni come autore di libri per ragazzi ha inizio con Il Re del Blues (2017)
sulla vita di Robert Johnson, poi La notte in cui inventarono il rock (2018) su Jimi Hendrix e Una classica serata jazz, confronto tra generi in un dialogo immaginario tra Chopin e Petrucciani. Dopo quei primi libri illustrati che sembravano raccontare storie fantastiche riferendosi invece a vite vere «ho sentito la necessità di comunicare ai ragazzi un messaggio più completo. Ho scritto una storia composta da filastrocche e in essa ho analizzato tanti aspetti, anche contemporanei, legati alla musica».

Le “Filastrocche per sentirsi grandi” di Reno Brandoni 1
“Filastrocche per sentirsi grandi” (Curci, 2019)

Un’opera fruibile tanto come “romanzo di formazione” quanto come profonda riflessione sull’odierno e “distratto” ascolto dettato dalla musica liquida. «Quando Maria Elena Rosati mi propose di musicare alcune sue filastrocche ho subito pensato che potessero diventare un utile strumento per trattare questo argomento», spiega Brandoni. «La filastrocca è simbolo di un linguaggio comune sia all’infanzia che all’età adulta. E quando è musicata da un artista maturo cambia completamente contenuto. Così insieme a Stefano Nosei ho scritto un disco, le cui canzoni sono diventate il filo conduttore che porta una ragazzina alla maturità».

Brandoni considera un futuro nel quale venga bloccato l’uso di smartphone e device nel caso in cui non si ascoltino le tracce proposte dalle playlist. E la protagonista Sara scongiurerà questa eventualità: «Riscoprirà con ogni filastrocca un vinile legato ad un bel ricordo di vita vissuta col proprio nonno. Fino a decidere di organizzare un flashmob che manderà in tilt il sistema di controllo, liberando la musica».  Leggere “Filastrocche per sentirsi grandi”: un motivo per gli adulti e uno per i più piccoli? «Gli adulti ritroveranno tanti spunti per incoraggiare i più giovani a mantenere una tradizione culturale che pian piano si sta perdendo. I ragazzi invece scopriranno bellezza e criticità attuali di un modo musicale che in qualche modo va salvato».

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