Ascesa e ritorno alle origini dell’ex leader dei Police raccontato attraverso testimonianze, vicende personali e professionali analizzate dal conterraneo scrittore inglese Paul Carr.
Figlio del profondo e depresso nordest proletario inglese, Gordon Sumner alias Sting, ha sempre avuto rapporti difficili con la terra d’origine: da giovane la rinnega e oggi, più che famoso, vi torna periodicamente per cogliere ispirazione. Origine di questa folgorante parabola è Wallsend, cittadina natale a otto chilometri da Newcastle alla quale nel 2013 ha dedicato il musical The last ship ispirato all’omonimo album centrato sulla piccola epopea di una squadra di operai che nell’Inghilterra thatcheriana, votata alla competizione globale, costruiscono appunto “l’ultima nave”: protagonisti, in bilico tra fantasia e memoria, luoghi e personaggi del suo passato.
In questo lungo intervallo tra la nascita di Sting e questo crepuscolare omaggio, Paul Carr, autore di Sting. Ritorno ai cieli del nord pone nelle sue pagine una serie di tappe umane e professionali che aiutano a comporre la fisionomia del cantautore inglese, dalle prime scorribande con i jazzisti fino alla fama di proprietario terriero e produttore di vini in Toscana…ma andiamo con ordine.
Tutto ha inizio il 2 ottobre del 1951 nell’umida casa vittoriana di una modesta famiglia proletaria nel citato sobborgo costiero, proseguendo con l’infanzia e il diploma ottenuto con buoni voti in una scuola cattolica maschile, poi l’esperienza alla Warwick University, che però ha termine dopo un solo trimestre: è allora che il giovane Gordon si iscrive ad un college per la formazione di insegnanti.
In questo periodo, nonostante le luci della swingin’ London fossero ancora lontane, Gordon prende confidenza con il basso ascoltando come molti coetanei musica statunitense ma, incredibilmente da quello che si potrebbe pensare, non il blues o il rock dell’epoca. Esordisce a 21 anni in una tradizionale jazz band locale, passando poi per altre formazioni fino all’ingresso nei Last Exit, band jazz-rock che lo porta a conoscere la fusion, la musica brasiliana e la classica.
L’autore segue tutta l’ascesa di Sting dai primi show blues, funk, prog, soul e naturalmente jazz con i Last Exit: lo stesso Carr, testimone d’eccezione, racconta la prima volta che vide a metà anni settanta l’allora maestro elementare Sting in concerto e ricorda quanto avesse stile nel suonare una musica tecnicamente complessa ma esaltante, dalla quale colse soprattutto una linea di basso che gli rimase indelebile per anni.
Talento e attitudine da frontman già emergevano – secondo quanto dichiarato dai suoi compagni pare che già fosse solito presentare ai musicisti composizioni definitive, abitudine confermata anche dai Police – ma è quasi inaspettato leggere che in quel periodo, nonostante amasse i Beatles o Hendrix, sognasse di diventare Stanley Clarke. Almeno fino al gennaio del 1977 quando si trasferisce a Londra scoprendo l’energia dell’era punk: sarà allora che esibendosi in grezzi pub e club con Stewart Copeland e Andy Summers ma lavorando in realtà ad una vocalità e uno stile capace di fondere sonorità new wave, jazz, punk-rock e ritmi reggae, darà vita ai leggendari Police.
Da allora bramoso di emergere e sempre più coinvolto in trasferte internazionali, Sting rinnega sempre più la sua terra arrivando camuffare ostinatamente l’accento e le radici nordinglesi. Una metamorfosi riscontrabile anche nelle variegate e contaminanti sonorità provenienti dai luoghi in cui si relaziona e compone la sua musica. Il testo di Carr esamina spazi creativi come l’Impulse Sound Recording studio di Wallsend o palchi come lo Shea Stadium di New York dove si esibisce con i Police nel 1983 e l’Estadio Nacional di Santiago del Cile, teatro di un evento di Amnesty International nel 1990: ogni evento della produzione creativa di Sting viene analizzato considerando l’interazione tra il suo background proletario con quegli ambienti di vita che gli hanno dato ispirazione seguendo sempre questo ideale parametro geografico nella sua evoluzione.
Paul Carr, docente di musica popolare all’Università del Galles meridionale in quest’opera egregiamente documentata – edita in Italia da Galaad edizioni nella traduzione di Michele Piumini – esplora trionfi, crisi profonde e processi creativi al confine tra immaginazione, resoconti dello stesso Sting e di chi lo ha conosciuto o ha fornito informazioni interessanti, facendo luce sui nodi salienti della carriera artistica e della vita privata del suo celebre conterraneo. Anche Carr come Sting è un geordie – parola che designa gli abitanti del Tyneside e la loro parlata – e questa sentita appartenenza si sente in ogni pagina.
In particolare si percepisce la voglia di “smascherare Sting” per mostrare Gordon, un uomo fedele a se stesso, tanto riservato quanto osannato, ma dalla personalità sfaccetata: un artista colto, raffinato e insieme popolare, socialista multimiliardario, generoso ecologista e alfiere dei diritti umani bersagliato dai critici che intravedono nel suo impegno pubblico clamorose operazioni mediatiche. È evidente quanto sentito, secondo uno schema che si presta ad essere romanzato a partire da un’infanzia difficile che genera la brama di riscatto e di successo fino al limite dell’autodistruzione per poi fare, anche simbolicamente, ritorno a casa, la volontà di riconciliare con la propria terra prima di tutto un uomo.