Intervista a Valentina Gullace, artista determinata e forte, estremamente seria e preparata che sa bene che per avere un certo tipo di risultati il lavoro e lo studio devono essere continui.

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Valentina Gullace.

Non bisogna farsi ingannare da una certa aria diafana e l’aspetto etereo da ballerina: Valentina Gullace è una artista determinata e forte, estremamente seria e preparata che sa bene che per avere un certo tipo di risultati il lavoro e lo studio devono essere continui.

E i risultati ci sono e si vedono: critici che ne apprezzano da anni il talento e tanti ruoli che l’hanno fatta diventare volto noto ed amato dei palcoscenici italiani, culminati nel Premio come Migliore Attrice Non Protagonista degli OIM – gli Oscar Italiani del Musical 2015 per il ruolo di Inga in Frankenstein Junior, prodotto dalla Compagnia della Rancia e diretto da Saverio Marconi (con la regia associata di Marco Iacomelli). Ed insieme alla carriera da performer e da musicista Valentina tra poco calcherà anche un altro tipo di palcoscenico: quello della sede torinese dell’Accademia Internazionale del Musical dove, dalla prossima stagione, sarà titolare della Cattedra di Insegnante di Canto.

Prima la danza, poi il canto, poi il musical e adesso, in parallelo a queste carriere, anche l’insegnamento. Conflitti d’interesse?
Non credo ci possano essere conflitti d’interesse. Come ben sai, per fare un mestiere come il mio, è necessario tenersi in allenamento e studiare incessantemente tutte e tre le discipline (e non solo). Il mio avventurarmi nel mondo del musical theatre è stato la naturale evoluzione di quello che mano a mano imparavo dalla singola disciplina, ogni cosa era la conseguenza delle altre… Vivo l’insegnamento del canto come l’occasione per crescere artisticamente insieme gli allievi, non solo per trasmettere loro ciò che ho imparato fino ad ora. Soprattutto mi attrae l’idea di poter aiutare dei giovani artisti a diventare consapevoli delle loro qualità. È uno scambio reciproco preziosissimo.

Che differenza c’è nelle interpretazioni delle canzoni “in personaggio” quando reciti in un musical rispetto a quelle da cantante?
Quando ho deciso di fare la performer, per molto tempo ho messo da parte le serate da cantante e la musica che scrivevo io, dedicandomi quasi del tutto al teatro. Da alcuni anni però ho ripreso a fare dei lavori in cui mi è richiesto di essere semplicemente Valentina la cantante. Sono onesta, le prime volte ho dovuto riassestarmi perché i personaggi dei musical in qualche maniera ti proteggono, ti permettono di essere mille cose diverse… quando sali sul palco e sei soltanto te stessa invece, non puoi “nasconderti”… sei più esposta e fragile. Figuriamoci quando canti una canzone tua. Eppure alla fine, se è vero che ogni canzone racconta una storia, in fondo non c’è tutta questa differenza di approccio rispetto a quando canto un brano di un musical. Quando canta Valentina mi sento libera di esprimere le mie emozioni e di usare la voce come sento davvero; quando invece la mia voce serve a far parlare un personaggio, le emozioni sono le sue… ma poi diventano anche mie!

Che differenza c’è per tra un suono “pop” (o comunque discografico) e uno adatto al repertorio musical?
Un suono “pop” è solo uno dei suoni e degli stili in cui è possibile cantare, per questo bisogna fare una premessa: come è noto, il repertorio musical comprende molteplici stili musicali e dunque vocali e di stile appunto dovremmo parlare, non solo di tecnica. Molti confondono la tecnica con lo stile ma è importante ricordare che la tecnica è la conoscenza e il controllo del proprio strumento vocale al fine di produrre tutte le qualità di suono necessarie alla performance, che cambieranno a seconda dello stile musicale richiesto. Ci sono musical in cui il suono “pop” è richiesto proprio dal genere di spettacolo, penso ad esempio a “Mamma mia!”. Detto ciò, la differenza fra chi fa il “cantante” (pop o di qualsiasi altro stile musicale ma non a fini teatrali) e chi fa il “cantante di musical”, risiede nel fatto che il primo tende ad utilizzare la propria voce sempre e solo in un modo, spesso enfatizzando un certo suono caratterizzante o un fraseggio tipico che rende l’artista “riconoscibile” e quindi discograficamente appetibile. Al contrario, un cantante “da musical”, per avere maggiori chances di lavorare, deve saper passare da uno stile all’altro, adattando la propria voce al personaggio che deve interpretare di volta in volta. Certo, non tutti possono fare tutto, è naturale che certi stili vengano meglio a certe vocalità piuttosto che ad altre, ma credo che se si desidera fare il musical performer, è necessario studiare per essere in grado di cantare di tutto. Parliamo quindi di due percorsi ben diversi perché mentre il cantante che punta alla discografia lavora sulla sua unicità, il cantante da musical deve mettere la propria voce al servizio del personaggio. Questo è uno dei motivi per cui quando sento dei cantanti “da classifica” che fanno musical rimango perplessa… perché alla fine il rischio è che la loro personalità “invada” quella del personaggio che sono chiamati ad interpretare… a mio avviso funziona maggiormente un attore che canta anche male, rispetto ad un cantante che fa i dischi perché il primo mette se stesso al servizio del personaggio, il secondo tende ad esprimere la propria personalità vocale sempre e comunque. Vorrei anche dire un’ultima cosa… peccato che spesso ci sia una sorta di pregiudizio da parte della discografia italiana verso i cantanti di musical. Proprio per questa loro versatilità, si pensa che non abbiano sufficiente personalità o che non sappiano fare altro. Ovviamente non sono d’accordo, ma è pur vero che esistono casi e casi.

E nel repertorio musical, tu che hai interpretato ruoli molto diversi (in generi di spettacolo molto diversi) spaziando da Lloyd Webber di Jesus Christ Superstar a Cabaret, da un progetto delizioso come Fantasmi a Roma a Frankenstein Junior (…dove passavi dallo yodel a Irving Berlin), come ti prepari quando devi cambiare completamente stile?
Come dicevo prima, la tecnica che uso non cambia: cambia lo stile e quindi parto proprio dalla musica per individuare il modo più adatto per cantarci sopra. Mi documento sul periodo storico in cui è ambientato lo spettacolo e dunque ascolto brani della stessa epoca per capire gli elementi caratterizzanti di quel determinato stile. La maggior parte delle volte però parto dal personaggio e dal suo carattere, come nel caso di Inga in Frankenstein Junior. Lo yodel era forse la cosa più complicata tecnicamente, poi il resto del lavoro l’ho fatto considerando il modo di essere di Inga, mi sono servita della sua allegra follia per usare un colore di voce che fosse coerente col personaggio. Con Frau Kost in Cabaret per esempio ho dovuto usare la mia voce in un modo totalmente diverso da come mi verrebbe naturale. Ho dovuto usare un suono molto più profondo e “sgraziato” e anche qui sono partita dal recitato per portare poi quella qualità di suono anche nel cantato. In Jesus Christ Superstar invece ho usato il famoso stile “pop” di cui sopra perché nella versione in italiano di questo spettacolo l’ambientazione era attuale.

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© Cortesia Compagnia della Rancia, ph. Alessandro Pinna.

L’insegnamento, come e quando è nata questa “vocazione”?
Mia madre è insegnante alle scuole elementari, quindi sono cresciuta con l’esempio in casa di una docente appassionata di didattica e di metodi di apprendimento. Lei sperava seguissi le sue orme, infatti mi mancano pochi esami alla laurea in lettere moderne. Purtroppo le lunghe tournée e il costante studio delle discipline per il mio lavoro mi hanno impedito ad oggi di completare la mia carriera universitaria. Ho scelto di diventare un’insegnante di canto perché è il linguaggio che mi appassiona maggiormente fra le tre discipline del musical theatre. Durante il mio percorso di formazione ho conosciuto insegnanti di grande valore, come Susanna Stivali, Raffaella Misiti e Jana Mrazova, a cui devo moltissimo. Ho deciso di studiare per diventare una docente di tecnica vocale in seguito all’incontro con Loretta Martinez, didatta di altissimo livello creatrice del Metodo VMS, Vocal Music System. Così ho deciso di trasmettere quello che ho imparato, e per formarmi come docente di questo metodo, ho frequentato il Corso Professionale di Licenza Didattica VMS a Milano.

Valentina-GullaceParafrasando il Nick di  Jersey Boys “forse è ora di farti uno spettacolo tutto tuo”. Che in effetti ti sei davvero fatta. Racconta un po’…
In occasione del premio vinto agli Oscar Italiani del Musical, sono stata invitata dal Sindaco della mia città, Polistena (in provincia di Reggio Calabria) a tenere un concerto per i miei concittadini. E’ nata così “Una serata a Broadway”, una sorta di recital in cui cantavo e recitavo brani da celebri musical e anche da spettacoli che io stessa ho fatto in questi anni. Ho voluto accanto a me un altro artista calabrese che è ormai parigino, il pianista Nicola Sergio. Quella prima serata fu un esperimento… ma mi ha lasciato addosso il desiderio di metterci mano e replicare. Mi piaceva l’idea di unire i nostri due mondi musicali che seppur apparentemente distanti hanno un comune denominatore,  il jazz. Innanzi tutto perché io sono cresciuta ascoltando le grandi cantanti jazz, da Ella Fitzgerald a Billie Holiday passando per Sarah Vaughan, Dionne Warwick e Rachelle Ferrell; poi perché molti brani divenuti negli anni grandi classici del repertorio jazz furono originariamente scritti per i musical di Broadway. Così per il nostro secondo concerto a Torino, io e Nicola abbiamo scelto un repertorio che appunto partisse da brani da musical che travalicando i confini teatrali sono diventati poi standard jazz. “Una serata a Broadway” è ancora uno spettacolo “work in progress”, è la prima volta che faccio qualcosa di mio e dunque ci sto ancora lavorando per farlo crescere…

Due performer che, dimenticati per un attimo i palcoscenici teatrali, investono tempo e talento in un ambito diverso con il dichiarato intento di far sentire al grande pubblico la propria musica: ecco il progetto di Samuele Cavallo e Loredana Fadda così come loro stessi lo hanno raccontato a Musica361

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Samuele Cavallo e Loredana Fadda.

Samuele Cavallo e Loredana Fadda (in questo caso in rigoroso ordine alfabetico, nell’intervista allegata invece con una presentazione più cavalleresca e “ladies first” l’ordine è inverso) sono due tra le più interessanti voci del nostro panorama musical-teatrale.

Hanno preso parte, insieme o ognuno per proprio conto, sia a molte grandi produzioni (per titoli come The Blues Legend, Priscilla, Ghost, We Will Rock You, Newsies) che a spettacoli che si definiscono off (Gli sposi promessi o la Divina Commedia). Evidentemente non paghi delle soddisfazioni che può dare il palco hanno però da qualche tempo dato vita anche a un progetto solo musicale che è condiviso in maniera intelligente e mirata su Youtube e via social network. L’intento? Colpire l’attenzione del pubblico facendo quello che amano fare, e cioè… “Musica”.

In quest’ottica rientrano sia la cover di I’m Not The Only One di Sam Smith in cui i due duettano con la chitarra di Giovanni Risitano, che Smile, in cui l’arrangiamento e l’accompagnamento al pianoforte sono a cura di Angelo Racz.

Entrambi i brani possono essere ascoltati nei video allegati oppure come commento all’intervista “doppia” che hanno concesso a Musica361, e che è possibile ascoltare dal player in calce.

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Ecco l’intervista in player:



Non sarà sfuggito alle persone interessate al settore del teatro musicale in Italia che parecchi titoli allestiti (o programmati) nelle ultime stagioni hanno un denominatore comune: si tratta di musical ispirati, più o meno liberamente, a film di cassetta di qualche decennio fa.

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La locandina del film del 1977 diretto da John Badhamcon.

Si tratta di spettacoli che, già quando sono stati scritti, nascevano proprio per cavalcare l’onda della nostalgia e si rivolgono essenzialmente a platee più televisive che teatrali, il che di per sé non sarebbe poi necessariamente un male: strappare dal divano e dal telecomando persone in genere poco abituate alla magia del palcoscenico è uno dei modi con cui si può ricostruire un pubblico che è andato lentamente assottigliandosi. Dirty Dancing, Fame, Blues Legend (che intendeva “omaggiare” i Blues Brothers), Footloose, Sister Act, The Bodyguard, La Febbre del Sabato Sera… di nuovo Footloose (verranno proposte non una ma due distinte versioni dello stesso titolo a distanza di pochi mesi l’una dall’altra: una a Bologna dalla BSMT nell’ambito del A Summer Musical Festival e l’altra come produzione Stage Entertainment Italia a Milano) l’elenco è ad un pelo dall’effetto inflazione.

Ne ho parlato con il produttore Lorenzo Vitali che, dopo il successo di Jersey Boys che ha appena concluso le repliche al Teatro Nuovo di Milano ed è in attesa di ripartire in tournée in autunno, ha anche messo in allestimento una nuova edizione de La Febbre del Sabato Sera che debutterà il prossimo dicembre.

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Perché proprio la Febbre?
Jersey Boys è andato fin oltre le nostre aspettative grazie all’apprezzamento della critica e al passaparola del pubblico che lo ha molto gradito ma sapevamo che era un titolo rischioso che non potevamo considerare di cassetta, mentre invece la scelta de La Febbre del Sabato Sera è diretta conseguenza del fatto che essendo passati più o meno cinque anni da quando è stato rappresentato a Milano e pressappoco il doppio dal suo ultimo tour nazionale, ho ritenuto che fosse il momento giusto per riproporlo in scena. E sembra sia così, tanto che con la prevendita già attiva, solo in pochi giorni siamo già a circa 3.500 biglietti venduti malgrado si vada in scena dal 9 dicembre.

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Lorenzo Vitali.

Ma non si rischia di concentrarvi tutti solo su un’unica tipologia, di esaurire il genere facendo pensare al pubblico che il musical sia solo questo?
Ora ti parlo a titolo personale: sai che c’è un progetto, e vedremo se andrà in porto, di portare Memphis in Italia. E comunque io di spettacoli negli anni ne ho fatti molti e molto diversi tra loro, alcuni sono andati molto bene e altri invece no. Il primo in assoluto che ho prodotto, pensa, è stato Il Violinista sul tetto con Moni Ovadia con canzoni in yiddish, che penso ancora sia stato un vero piccolo gioiello di cui vado molto fiero. Poi c’è stato un Fame nei primi anni Duemila, e poi via via fino all’ultimo in ordine di tempo, Jersey Boys con la regia di Claudio Insegno, che del resto dirigerà anche La Febbre.

Squadra che vince non si cambia, che è un po’ come dire che è giusto che ci siano alternanza e varietà nell’offerta ma che in definitiva la vera discriminante deve essere solo tra teatro fatto bene e teatro fatto male.
Quando si sceglie un titolo devi comunque pensare che produrrà un utile, non siamo filantropi. Come va uno spettacolo lo puoi sapere solo il giorno dopo la Prima. Però ovviamente anche i musical di cassetta hanno una precisa ragione d’essere e devono avere una loro dignità che devi rispettare quando li metti in scena.

Concludendo, possiamo dire che il produttore è ovviamente un imprenditore, ma che ha delle specifiche responsabilità?
Il produttore è sicuramente un imprenditore non sano. Se fosse sano investirebbe i soldi di uno spettacolo in un appartamento, che poi potrebbe affittare per produrre utile. E invece sceglie di proporre un prodotto che non ha mai una reale garanzia di riuscita. Però sì: è comunque un imprenditore che ha delle responsabilità verso il suo ipotetico futuro cliente, che in questo caso è il pubblico. Ed essendo Musica361 una rivista dedicata alla musica posso dirti fin da adesso che anche La Febbre come Jersey verrà fatta con orchestra e musica dal vivo, e non perché mi piaccia spendere di più, ma perché il tipo di risultato che si ottiene con questo investimento garantisce una qualità migliore allo spettacolo. Perché è vero che la gente trainata da un titolo forte viene a vedere lo spettacolo, ma se poi scegli di fare una media o lunga tenitura, se non hai offerto un spettacolo buono, il pubblico non lo consiglia agli amici e di certo non torna a teatro ad applaudirlo di nuovo.

Jersey Boys: un musical davvero ben fatto, che ha ottenuto critiche entusiastiche e un lusinghiero successo di pubblico nelle repliche milanesi appena concluse. In attesa della tournée annunciata per la prossima stagione (e della colonna sonora) l’intervista al regista, al direttore musicale e a uno dei protagonisti.

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Ha da poco terminato le repliche al Teatro Nuovo di Milano per questa stagione Jersey Boys, il musical diretto da Claudio Insegno che racconta la vita di Frankie Valli e dei 4 Seasons. Un progetto ambizioso, quello del produttore Lorenzo Vitali, che ha fortemente voluto un titolo non conosciutissimo in Italia, che al massimo si poteva far forte del film di Clint Eastwood uscito qualche anno fa e dell’eco del successo ottenuto a Broadway, Londra e in altre parti del mondo.

Jersey-BoysLa scommessa è stata, però, vinta per diversi motivi. Innanzi tutto per l’aver messo in scena uno spettacolo davvero ben fatto, molto vicino allo standard qualitativo di produzioni estere (una rarità nel nostro panorama teatrale). Poi per il pressoché unanime consenso della critica specializzata e per l’aver dimostrato che il vecchio “passaparola” sul valore di uno spettacolo ha ancora modo di funzionare (e molte persone non si sono limitate a consigliarlo: sono proprio tornate a vederlo). Ed infine per la notizia che Jersey Boys tornerà in scena la prossima stagione, a Milano, Roma e altre piazze (a breve verrà annunciata la tournée relativa, con anche una sorpresa… prestigiosa).

Come inevitabilmente accade in questi casi le ragioni di un successo vanno ricercate in tanti fattori: la regia “teatrale” che non si è limitata a montare i numeri ma ha dato intenzioni e profondità ai quattro protagonisti; l’ottimo livello del cast capitanato da Alex Mastromarino, Flavio Gismondi, Claudio Zanelli e Marco Stabile; ed inevitabilmente la colonna sonora composta da pezzi celebri come Sherry, Big Girls Don’t CryCan’t Take My Eyes Off You che è stata oggetto di un lavoro certosino da parte del Direttore Musicale Angelo Racz che ha saputo ritrovare il sound degli anni ’60 adattandolo in maniera molto intelligente a suoni e tecnica moderni.

L’intervista allegata nel player è per l’appunto con Claudio Insegno, Angelo Racz e Alex Mastromarino che, ognuno dal proprio punto di vista, mi hanno aiutato a “tirare le somme” su questa prima stagione in attesa che i quattro ragazzi del New Jersey riprendano a far sognare il pubblico italiano e che venga pubblicata una sospirata, direi inevitabile, assolutamente attesissima colonna sonora.

Si ringraziano Alex Mastromarino, Flavio Gismondi, Marco Stabile e Claudio Zanelli per il piccolo “regalo musicale” in esclusiva per Musica361 che chiude l’intervista.

Jersey Boys

Il cast: Alex Mastromarino, Flavio Gismondi, Marco Stabile, Claudio Zanelli, Alice Mistroni, Felice Casciano, Giulio Pangi, Brian Boccuni, Massimo Francese, Giada D’Auria, Elena Nieri, Gloria Miele, Pasquale Girone Malafonte, Roberto Lai, Giuseppe Orsillo.

Regia: Claudio Insegno
Direzione musicale: Angelo Racz
Coreografie: Valeriano Longoni
Scene: Roberto e Andrea Comotti
Costumi: Graziella Pera.


70 volte 7 è il musical che Marisa Della Pasqua e Maurizio Desinan stanno allestendo insieme ad un eccellente team creativo e che debutterà il 21 maggio a Milano. Intervista multipla per raccontare come sia necessario un lavoro di squadra per legare storia, musica e parole

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Il cast del musical “70 volte 7”.

È nato prima l’uovo o la gallina? O, declinato secondo necessità: in un musical nasce prima il libretto o la partitura? Annose questioni di lana caprina, ma per capire meglio, per capirne di più cosa potrebbe essere maggiormente indicato che chiedere direttamente non a uno, non a due ma a ben tre artisti diversi, impegnati proprio in questo periodo a far nascere uno spettacolo inedito, qual è il momento preciso in cui la musica incontra e si sposa con le parole creando la magia del teatro? E quanto una finisce per influenzare le altre (vale anche il viceversa, ovviamente)?

70-volte-7Marisa Della Pasqua (autrice e regista), Maurizio Desinan (compositore) e Gianluca Sambataro (direttore musicale e arrangiatore insieme a Filippo Bentivoglio) sono parte del team creativo di 70 volte 7, che andrà in scena in prima nazionale al Teatro Delfino di Milano il prossimo 21 maggio 2016 con un cast di 16 performer e una band dal vivo.

Parole, musica, ispirazione, talento, tecnica, professionalità: in un musical gli ingredienti per dare vita ad una storia sono tanti, questa intervista multipla cerca di raccontare il “dietro le quinte” della nascita di uno spettacolo originale.

 

70 volte 7 – The drama musical

16 attori e una band raccontano la storia di un uomo e di una donna che si ritrovano dopo vent’anni a fare i conti con il proprio passato

Nel corso dell’intervista sono stati inserite clip tratte dai brani “Carcere a vita” e Creatura stupenda”, per cortese concessione di Vivavoce Produzioni.


Intervista a Simona Patitucci, attrice, cantante, interprete e vanto del teatro musicale italiano, sulla musica, sulle dinamiche interprete-brano, sui suoi fortunatissimi incontri e collaborazioni professionali nell’arco di una splendida carriera.

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Per Musica361 ho intervistato Simona Patitucci, una delle più belle voci del teatro musicale italiano. L’occasione giusta per ricordare i successi e gli incontri fortunati di una lunga carriera (ha iniziato a recitare giovanissima, il che era inevitabile essendo nata in una famiglia dove l’arte era di casa) cominciando dalle collaborazioni con tutti i compositori italiani vincitori del premio Oscar: Morricone, Piovani, Bacalov. E siccome le mancherebbe solo Nino Rota per fare poker, la sorte lo ha rimpiazzato con Alan Menken, il compositore de La Sirenetta, film nel quale ha doppiato Ariel, cantando anche quella che è probabilmente una delle canzoni più famose tratte da un cartone animato della Disney.

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Pinocchio dei Pooh (ha originato il ruolo della Volpe), I 7 Re di Roma con Proietti, Fantasmi a Roma, Gli uomini son tutti bambini, Aggiungi un posto a tavola, Newsies sono solo alcuni degli spettacoli teatrali di cui è stata protagonista, abbinando però al teatro anche molte partecipazioni televisive e cinematografiche (ha lavorato con Dino Risi, Marcello Aliprandi, Lina Wertmüller), e malgrado la tentazione da buon giornalista di approfondire a 360 gradi il discorso sullo spettacolo in generale è sul rapporto interprete-musica che si è conclusa l’intervista (con una digressione sul Festival di Sanremo tra ieri e oggi).

Ascoltate l’intera intervista a Simona Patitucci:

Una piccola, del tutto dichiaratamente incompleta, guida per avvicinarsi al genere dei JukeBox Musical, gli spettacoli teatrali che utilizzano canzoni famose come colonna sonora.

Pur essendo molto spesso produzioni di paesi anglofoni cominciano anche da noi ad essere una realtà conosciuta i Jukebox Musical, gli spettacoli cioè che non hanno una colonna sonora originale scritta appositamente per loro, ma che utilizzano brani tratti dal repertorio di un artista, un periodo, un genere.

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Peter Pan – Il Musical (diretto da Maurizio Colombi con Giorgio Camandona e Marta Belloni).

Ma, ancora una volta, è importante sottolineare la professionalità degli interpreti, dei musicisti e dei Direttori Musicali che si dedicano a confezionare questi spettacoli, a cui spesso è richiesto uno sforzo doppio perché non si tratta di fare semplicemente buona musica, ma anche di adattare melodie famose (con sonorità pop o rock) ad esigenze diverse, che sono quelle del teatro.

Paradossalmente, malgrado molti Jukebox Musical, sia teatrali che cinematografici, abbiano avuto un buon successo e malgrado l’Italia non abbia certo un potenziale serbatoio di materiale sonoro utile di piccole dimensioni, la proporzione tra quelli che utilizzano canzoni italiane e altri con brani stranieri è assolutamente a nostro sfavore. Cinematograficamente infatti i “musicarelli”, film musicali in voga negli anni ’60 in cui le star discografiche del periodo reinterpretavano le proprie canzoni di successo, non si sono evoluti in un genere nuovo una volta esaurito il filone e, del resto, anche teatralmente gli esempi sono pochi.

Sia come sia, alcuni di questi Jukebox Musical teatrali che hanno trovato spazio sui nostri palcoscenici sono già stato oggetto di approfondimento, altri lo saranno. Ho pensato quindi di fare un piccolo vademecum che metta insieme gli adattamenti di titoli stranieri con nostri artisti e gli spettacoli originali con un repertorio italiano. Un vademecum che aiuti ad orientarsi nel genere (con un elenco del tutto non esaustivo, ma con semplice finalità esplicativa) augurandomi che anche a qualche lettore non particolarmente ferrato in argomento e magari “digiuno di musical” venga voglia di andare a teatro e toccare con mano… pardon orecchie, questi piccoli assaggi. Bon appétit.

Jukebox Musical Monoautore

Sono appunto i Jukebox Musical la cui colonna sonora è costituita dal repertorio -edito- di un unico autore. Esempi ne sono Mamma Mia! degli Abba (la versione italiana della Stage Entertainment vedeva Chiara Noschese nei panni di Donna), We Will Rock You dei Queen (diretto da Maurizio Colombi), Solo Tu con musiche dei Matia Bazar, Sarà Perché Ti Amo dei Ricchi e Poveri e il più recente, almeno nel nuovo allestimento, Peter Pan – Il Musical (diretto da Maurizio Colombi con Giorgio Camandona e Marta Belloni) che è anche oggetto dello showreel esemplificativo:

Jukebox Musical Compilation

Si va da Priscilla la Regina del Deserto (ispirato a un film australiano non musicale) con canzoni della scena internazionale pop anni ’70, ’80 e ’90, alla Voce del Silenzio (con coreografie di Anna Rita Larghi), che “racconta” una storia solo ballata attraverso le canzoni scritte da Paolo Limiti interpretate – in originale – da alcune delle più belle e importanti voci della musica leggera italiana. Per arrivare agli ultimi, in ordine di tempo, La Via del Successo – Dreamsisters (con Amii Stewart) e The Blues Legend (l'”assaggio” della categoria è appunto questo), entrambi con una colonna sonora che ripropone grandi successi R&B, soul e blues.

Biopic JukeBox Musical

Se il Jersey Boys di Claudio Insegno, con musiche di Frankie Valli e dei Four Seasons sta attualmente riscuotendo un grande successo a Milano, esempio di Jukebox Musical ispirato ad una persona reale è stato nei primi anni del 2000 anche Lady Day (prodotto e diretto da Massimo Romeo Piparo), ovvero la storia di Billie Holiday adattata per i palcoscenici italiani. Questo ne era il trailer:

JukeBox Musical Celebrativi

Esiste infine un filone specifico di Jukebox Musical che sono una sorta di Gran Galà del settore, pensati come un insieme di numeri tratti da altri spettacoli famosi (come ad esempio il The Best of Musical o il Tributo a George Gershwin con Christian De Sica e Manuel Frattini) oppure che celebrano qualcosa di assolutamente specifico, come ad esempio Sistina Story, a cui è dedicata la pillola in video. E come si può notare l’argomento del JukeBox Musical Celebrativo, praticamente sempre, è fin da subito dichiarato nel titolo.

Artista poliedrica Amii Stewart ha saputo affermarsi con eleganza e successo indifferentemente nel mondo del teatro musicale e nelle hit-parade mondiali, dimostrando ancora una volta come l’unico limite che impedisce di spaziare in ambiti e discipline di spettacolo diversi sia dato solo da un pregiudizio.

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Amii Stewart torna al musical con “La via del successo” (Ph. © della Produzione).

Amii Stewart torna al suo primo amore, il teatro musicale, con La Via Del Successo: un musical liberamente ispirato alla storia di Diana Ross e delle Supremes scritto da Tiziana D’Anella e Lena Sarsen e diretto da Enzo Sanny.

Con l’interprete di moltissime grandi canzoni (da “Knock On Wood” a “Grazie Perché” in coppia con Morandi, da “Friends” e “Together” con Mike Francis a “Saharan Dream” del Maestro Ennio Morricone) in scena Lucy Campeti, Francesca Haicha Tourè, Sergio Muniz, Will Weldon Roberson, Jean Michel Danquin e un’orchestra dal vivo di 12 elementi che esegue i 26 brani della colonna sonora. Una colonna sonora che comprende molti grandi successi degli anni ’60 riarrangiati per l’occasione da Marco Tiso che cura anche la direzione musicale.

Ho intervistato per Musica361 Amii Stewart e ho potuto chiacchierare con lei non solo dello spettacolo (uno spettacolo che, focalizzandosi su quattro momenti specifici della storia di un gruppo vocale “al femminile”, pur dando molto spazio all’intrattenimento, affronta comunque grazie alla musica grandi temi del decennio in cui è ambientato, come il razzismo e l’integrazione) ma anche del rapporto che lega musica e teatro attraverso l’ottica di un’Artista che è stata capace, nell’ambito della sua lunga e fortunata carriera, di muoversi agevolmente in entrambi i settori.

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Il cast del musical “La via del successo” (Ph © della Produzione).

Intervista a Alfonso Lambo, il regista e autore di Sarà Perché Ti Amo, un jukebox musical con le canzoni di un gruppo-leggenda italiano: i Ricchi e Poveri.

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Il cast di “Sarà Perchè Ti Amo” (© Foto: Giovanna Marino).

Come (quasi) sempre accade per i musical che ripropongono nella propria colonna sonora dei grandi successi del passato, basti pensare a Mamma Mia! Across The Universe o a We Will Rock You, anche in questo caso la storia funge da collante per canzoni i cui testi acquistano un senso nuovo e in parte diverso rispetto all’originale, ma a differenza di quanto accade normalmente e cioè che la storia viene inventata a tavolino per “cucire” insieme i vari numeri musicali, in questo caso l’operazione è stata inversa.

La storia esisteva ed è stata una paziente opera di ricerca – quasi di archeologia musicale – che ha permesso a Lambo di “saccheggiare” il grande repertorio dei Ricchi e Poveri (48 anni di carriera, 22 milioni di dischi venduti, 29 album, 102 tra singoli ed EP, 59 compilation*) individuando le canzoni più adatte alla sua drammaturgia. Tutto questo, insieme ad anticipazioni su una prossima ripresa del musical e a nuovi progetti teatrali e discografici, è l’oggetto dell’intervista che Alfonso Lambo ha concesso a noi di Musica361, intervista che è possibile ascoltare con il player in calce ed in cui sono anche comprese alcune clip della colonna sonora (Sarà perché ti amo, Baciamoci, Come vorrei e Che sarà).

L’album, mixato da Francesco Sparacello, arrangiato da Davide Marchi e Paola Bertassi e prodotto da Mario e Davide Allione per la Abramo Allione Edizioni – gli storici produttori dei Ricchi e Poveri – vede la partecipazione di Giada D’Auria, Andrea Verzicco e Bruno De Bortoli come voci (in scena il cast comprendeva anche Marta Belloni, Lucia Blanco, Giorgio Camandona, Paola Ciccarelli, Fabrizio Corucci, Tiziana Lambo, Andrea Rossi e Altea Russo). Distribuito nel foyer durante le repliche dello spettacolo in duplice formato, colonna sonora ed edizione deluxe con libro, l’album è in vendita nei principali store digitali.
(* Fonte Discogs).

L’intervista con Alfondo Lambo.


Il Principe Ranocchio: una partitura complessa e articolata, assolutamente degna di uno spettacolo “maturo” in cui non c’è stato spazio alcuno per la banalizzazione di cliché o per un facile prodotto “usa e getta”. Nella migliore tradizione del musical ogni personaggio, ogni situazione ha un suo ben preciso sound che è frutto di una raffinata ricerca musicale e di un efficace approfondimento psicologico.

Il Principe Ranocchio: l'importanza di un circolo virtuoso
Il Princuipe Ranocchio, il Musical (© Foto a cura della Compagnia BIT di Torino).

Il mantra del teatro musicale italiano è “Oh, ma quanto è difficile far riavvicinare il pubblico televisivo agli spettacoli dal vivo”. Del resto non che la cosa sia di esclusivo appannaggio nostrano: il buon Jonathan Larson, per portare una nuova generazione di spettatori a vedere il suo RENT che di fatto avrebbe ringiovanito non solo le platee ma -grazie al successo ottenuto- proprio la drammaturgia del settore per gli anni a seguire, fece in modo che la produzione offrisse i biglietti per universitari a prezzo stracciato.

Sia come sia, la necessità di inventare sistemi, linguaggi, escamotage che rimpinguino l’endemica carenza di pubblico pagante viene affrontata singolarmente dai diversi produttori con modalità differenti, ma una vera soluzione definitiva ci sarà solo attraverso una lungimirante e paziente opera che coniughi qualità e programmazione. Iniziando però, magari da subito, a guardare con occhio diverso (e con rispetto) le nicchie.

Tra queste è senza dubbio importante quella che si riferisce ai “family show“. Sono molte ormai le compagnie che in Italia si sono rese conto dell’esistenza del “mercato” delle pomeridiane e dei matinée nei weekend, fasce orarie nelle quali il “tutto esaurito” è relativamente facile da ottenere essenzialmente grazie alla scelta di un titolo “furbo”. Del resto intere generazioni di bambini sono stati cresciuti con dvd della Disney e relativi musical (non lo si pensa spesso, ma è fondamentalmente sbagliato limitarsi a chiamarli “cartoni animati”: sono musical a tutti gli effetti, con il lavoro – spesso – di eccellenti musicisti più volte insigniti di premi che vanno dall’Oscar al Tony. Pensate a Elton John, Alan Menken, Phil Collins eccetera: tutti hanno composto musiche per questi… “cartoni”).

Da qui il proliferare di vari spettacoli in forma di jukebox musical che rimasticano il patrimonio musicale (e drammaturgico) di favole note in cui non è raro riconoscere in scena alcuni tra i più bravi performer italiani chiamati ad interpretarle. E visto che il settore si è dimostrato ricettivo (senza dimenticare che, come ha insegnato Larson pensando in termini di media-lunga portata, i giovani spettatori di oggi sono adulti spettatori di domani), inevitabilmente l’offerta si è differenziata ed evoluta, arrivando finalmente a proporre anche prodotti del tutto originali, come nel caso de Il Principe Ranocchio. Messo in scena dalla Compagnia BIT di Torino, il punto di partenza in questo caso non è stato un film ma la favola dei fratelli Grimm, adattata per l’occasione.

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Il Principe ranocchio (© Foto Compagnia BIT di Torino).

A fronte di un curatissimo allestimento portato in tournée in molte piazze d’Italia nel corso delle ultime due stagioni (e malgrado questo sia una testata dedicata alla musica mi si permetta una velocissima ma doverosa menzione ai costumi di Marco Biesta e agli effetti speciali di Alessandro Marrazzo) quello che mi preme sottolineare è che per questo spettacolo è stata composta una colonna sonora ad hoc, scritta per l’occasione da un valente team di autori: Marco Caselle (autore anche delle liriche), Stefano Lori e Gianluca Savia.

La formazione da cantante jazz e performer di Caselle si è incontrata con il background da musicista e arrangiatore di Lori (ha suonato a eventi come Pavarotti & Friends o al Festival di Sanremo, oltre ad aver fatto parte dell’Orchestra della Compagnia della Rancia per undici diversi musical) e Savia (diplomato al Conservatorio G. Verdi, ha all’attivo oltre 2000 concerti dal vivo), per creare una partitura complessa e articolata, assolutamente degna di uno spettacolo “maturo”.

Ho particolarmente apprezzato appunto il fatto che malgrado il pubblico di riferimento sia ovviamente in massima parte fatto da bambini, non c’è stato spazio alcuno per la banalizzazione di cliché o per un facile prodotto “usa e getta”. Nella migliore tradizione del musical ogni personaggio, ogni situazione ha un suo ben preciso sound che è frutto di una raffinata ricerca musicale e di un efficace approfondimento psicologico: la strega cattiva (a cui presta la propria potente voce Lucrezia Bianco) ha un tema con chitarre distorte e sonorità rock. Il maggiordomo “bacherozzo” (un ottimo Umberto Scida) invece si immerge in brani che ripescano dalla grande tradizione dell’operetta, il principe-ranocchio (Marco Caselle, in questo caso nella veste di performer) ha il suo “I am number” con una tipica ballad pop-rock attraverso la quale veicola il messaggio morale della favola -il valore della diversità- e così via, fino ad arrivare alle easter eggs delle citazioni di Rossini nascoste negli arrangiamenti e soprattutto ai numeri corali che ripropongono l’esempio del grande musical in stile Broadway.

Il risultato è una colonna sonora di indiscusso pregio offerta in vendita online o nei foyer durante le repliche che, esattamente come lo spettacolo per la quale è stata composta, può essere apprezzata dall’intera famiglia.

Dispiace solo notare come, parlando di nicchie, il mercato discografico (e relativa distribuzione) valutando un prodotto di qualità come questo non si sia ancora reso conto delle grandi potenzialità del settore delle colonne sonore teatrali, incentrato com’è su una affannosa ricerca di progetti con appeal radiofonico, ma a prescindere dall’ovvia valenza culturale che avrebbe un’operazione di questo tipo, anche il ritorno economico dovrebbe a rigor di logica diventare ben presto parte dell’equazione.


Più gente si avvicina al teatro musicale infatti, più gente diventa potenziale acquirente del relativo prodotto discografico. Più prodotti discografici relativi al mondo del teatro musicale vengono proposti al pubblico, più gente si avvicina al teatro. E via dicendo, fino alla creazione di un inevitabile circolo virtuoso.


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