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Venditti è l’autore di Roma non si discute, si ama. Tutti la conoscono come “Roma, Roma, Roma”


La Roma per molti ha tre inni: due di questi sono di Antonello Venditti. Ripercorriamo la storia 

Quando si pensa alla Roma calcistica, l’associazione va presto ad Antonello Venditti. Non solo, ovviamente, in quanto  tifosissimo dei colori giallorossi, ma perché ne canta da tantissimi anni le glorie, con insostituibile senso di appartenenza. Anzi, insostituibile ce lo possiamo dire oggi, nel 2022, dopo il ritorno della vittoria della Roma in Europa con il successo in Conference League. Negli anni, però, non sempre è stato tutto a favore di Antonello Venditti.

Vediamo allora, in questa seconda puntata del nostro MusiCalcio, la storia dell’inno della Roma, la squadra gagliarda, de core tifata (tra gli altri cantanti) anche da Claudio Villa e Marco Conidi.

Partiamo da quello che esisteva prima della poesia scritta da Venditti.

Il primo inno fu composto nel lontano 1931, quattro anni dopo la fondazione della società che univa così le tre squadre cittadine. Il brano si intitolava Canzona di testaccio e, a dirla tutta, il suo andamento melodico non è nuovo. Le parole (di Toto Castellucci) sono infatti posate sulla musica di Guittarita, un tango argentino. Nel film Cinque a zero, ispirato a una vittoria romanista sulla Juventus, riecheggia per la prima volta questo inno. In realtà verrà inciso per la prima volta solo nel 1977. L’idea sarà nientemeno che di un giornalista laziale: Sandro Ciotti. È lui, mentre è impegnato in una rubrica sui 50 anni di storia della società giallorossa, a usare il suo registratore per prendere la voce del cantante Vittorio Lombardi quando canta Canzona di testaccio.

Nel frattempo, però, la Magica ha già trovato il suo nuovo inno. Nel 1974, infatti, per la prima volta viene suonato Roma non si discute, si ama. La scrivono in quattro: Sergio Bardotti, Franco Latini, Gepy e Antonello Venditti. È proprio quest’ultimo a interpretarla con la sua voce avvolgente. È la risposta a un brano laziale cantato anche dal calciatore Giorgio Chinaglia.

Così, dopo la vittoria nel derby del 1 dicembre 1974, tutto l’Olimpico può cantare al grido di Roma, Roma, Roma. Due domeniche dopo, subendo una multa (perché la musica non veniva ancora  diffusa dagli altoparlanti), la società decise di farla risuonare direttamente dalle casse dello stadio.

Si tratta della classica melodia vendittiana, che non rinuncia mai al tocco poetico (“gialla come er sole, rossa come er core mio”) andando a salire di intensità.

La Magica viene definita come l’unico possibile grande amore di un intero popolo, quantificato in centomila tifosi (quelli dello stadio).

Non manca la censura: il verso “T’ha dipinta Dio” deve presto diventare “T’ho dipinta io”.

Non sono ancora gli anni della diffusione di massa tramite il web, quindi la canzone del giovane cantautore rimane quasi confinata per i soli tifosi giallorossi. Anche per motivi societari.

Sono tempi in cui persino il Festival di Sanremo, pur essendo in crisi, rinuncia alla presenza di cantautori come Bertoli, Vecchioni e Venditti ritenuti troppo politicizzati. Così anche il presidente della Roma, Dino Viola, preferisce cambiare l’inno e, soprattutto, il suo interprete.

Per circa vent’anni l’inno romanista ufficiale diventa quindi Forza Roma, una canzone commissionata a Lando Fiorini. “Core mezzo giallo e mezzo rosso” è il ritornello che non segue tanto la moda stilistica degli anni Settanta, quanto il sapore dei classici stornelli di cui Fiorini è testimonianza da sempre.

Accade così che, dopo pochi anni, nella stagione ‘82-‘83, la Roma vince lo scudetto.

Inno oppure no, ma soprattutto vittoria oppure no, Antonello Venditti è un tifoso che si fa trascinare dalla passione.

Qualche mese prima del successo, il cantautore torna a vivere nella capitale e decide di comporre un pezzo che descriva il suo sentimento mentre era distante da Roma. Così l’8 marzo 1983 incide una nuova canzone: Grazie Roma. Sul lato B, invece, una nuova versione di Roma Capoccia.

È una nuova stupenda poesia, che diventa incredibilmente profetica. I giallorossi infatti vincono il campionato, così il brano viene subito utilizzato per la festa tricolore.

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Grazie Roma è una delle canzoni più famose in tutta Italia capace di vendere oltre 500 mila copie

La Magica di Bruno Conti, Falcao, Ancelotti e Pruzzo, allenata da Nils Liedholm, stavolta è molto più della forza di unione di una città. È la misteriosa realtà che ci fa sentire importanti anche se non si conta niente; che ci fa godere la vita nonostante i suoi problemi. Insomma, la Roma è la possibilità di sentirsi rinnovati.

Il brano è avvolgente e coinvolgente. Questa volta, complice la festa scudetto, lo conoscono subito tutti, tanto che mezza Italia crede sia il nuovo inno della squadra. La confusione deriva dal fatto che al termine di ogni vittoria la canzone viene diffusa nello stadio Olimpico.

L’inno, però, è ancora quello di Lando Fiorini. Di fatto si sente solo Grazie Roma.

A metà anni Novanta i tifosi richiedono a gran voce il ritorno dell’inno del ‘74. Così il presidente Sensi non si fa attendere e accetta di riportare Roma non si discute, si ama quale inno ufficiale della Magica.

Il pubblico non dimentica comunque le parole di Fiorini e, durante le partite, la tifoseria intona anche quel brano.

Lo scudetto del 2001, con Totti, Batistuta, Montella, Delvecchio (e Capello in panchina) è l’apoteosi per una nuova festa al Circo Massimo con Antonello Venditti. Si canta tutto. Dall’inno censurato e poi recuperato a Grazie Roma fino al brano di Fiorini.

La Magica, quasi quasi, ha tre inni, tra ufficiali e non. Certo, facile quando si hanno grandi cantautori a scrivere canzoni.

Nel 2017 la rivista France Football posiziona Roma non si discute si ama al secondo posto degli inni calcistici più belli di tutto il mondo, secondo solo a You’ll never walk alone, del Liverpool. Già, proprio gli inglesi che avevano sconfitto in finale di Coppa Campioni anni prima la Roma.

Però, se persino i francesi ci premiano, qualcosa vorrà dire. E quel brano di Antonello Venditti è ancora oggi un’autentica perla della musica italiana.

 

Anni Ottanta, il tormentone estivo: L'estate sta finendo
Fedez con Tananai e Sattei, Ana Mena, Blanco e Capeccia. L’estate musicale è iniziata e ce n’è già per tutti i gusti


“L’estate può ufficialmente iniziare”: così Fedez aveva annunciato una settimana fa il lancio del nuovo singolo che lo vede protagonista con Tananai e Mara Sattei.

Bene, da ieri, primo venerdì di giugno, l’estate è davvero iniziata. Fedez aveva ragione.

Scattata la mezzanotte del 3 giugno, su tutte le piattaforme ha iniziato a risuonare La dolce vita e anche in chi non ci stava ancora pensando si è accesa immediatamente una voglia di vacanza irrefrenabile. Con buona pace dei nostri vicini di casa che magari, a mezzanotte, non avevano proprio l’idea di ascoltare il nuovo tormentone estivo.

Il nuovo brano di Fedez, Tananai e Mara Sattei è un concentrato di freschezza e ritmo.

Fa venir voglia di ballare a qualunque ora la si ascolti.

Bermuda a vita alta e lunghi fino al ginocchio per Tananai; gilet elegante beige su una camicia verde e rossa per Fedez; abito elegante fiorato per la Sattei. Tutti rigorosamente pettinati come ormai non si usa fare da tempo.  Già dalla cover, ambientata sulla spiaggia con un immancabile mangiadischi e le classiche sedie colorate a righe, si capiva che ci stavamo tuffando negli anni Sessanta. Del resto, a Fedez quelle atmosfere avevano già portato fortuna l’anno scorso con Mille, la canzone con Orietta Berti e Achille Lauro che non abbiamo ancora smesso di cantare.

Con La dolce vita gli anni Sessanta tornano protagonisti ancor più prepotentemente. Non solo per il titolo, che ci riporta ovviamente al famoso film di Fellini. Ma anzitutto per la melodia, che sembra riecheggiare tanti brani già noti. Nessun plagio, sia chiaro, solo tante citazioni che tutte insieme formano un brano assolutamente nuovo, originale e convincente. Si possono catturare, infatti, sfumature di Oh Diana di Paul Anka, Ma che freddo fa di Nada, 24 mila baci di Celentano e Little Tony. E potremmo continuare all’infinito. Anzi, a dirla tutta la canzone sembra essere proprio un gioco per gli ascoltatori, che potranno indovinare i brani citati in ogni strofa.

Facile fare una canzone così, si dirà.

Può darsi che di nuovo non ci sia praticamente nulla ne La dolce vita, ma fino ad oggi non ci aveva pensato nessuno. Fedez, con le sorprese Tananai e Sattei, sforna così un piacevolissimo viaggio nel decennio più allegro e spensierato per eccellenza. Quello che più di ogni altro ci fa venire in mente le estati tanto rievocate anche nei film dei Vanzina.

Anche il testo non è da sottovalutare. La canzone è infatti un inno all’amore a cui non si può rinunciare. Bello stare con gli amici, ma se questo tempo diventa un modo per colmare propria solitudine senza trasporto emotivo, serve a poco. Quel che conta nella vita sono i sentimenti autentici, altrimenti non è vita.

Un messaggio chiaro, semplice, che non richiede chissà quali congetture filosofiche. Basta a regalare positività con una canzone allegra tutta da ballare.

Insomma, lo avevano già fatto Arisa e Lorenzo Fragola qualche anno fa e da quel momento lo hanno ribadito tutti: il retrò nell’estate funziona. Un bell’omaggio (dichiarato) alla nostra musica. C’è da giurare che quello di Fedez sarà un tormentone assicurato, perlomeno in questa prima parte di stagione, ma non solo.

Quello di Fedez non è l’unico singolo uscito venerdì, per anticipare l’estate.

È arrivato anche Mezzanotte, il nuovo brano di Ana Mena. Anche qui un amore da riprendere e non lasciare più scappare. Anche qui tanta voglia di ballare. La versione è però decisamente dance, come nello stile di Ana Mena che con il suo accento latino sa dare tutta la sensualità necessaria al brano.

In questo panorama musicale tutto sanremese non poteva mancare il vincitore. Blanco ha infatti lanciato il nuovo singolo, Nostalgia, che però più che come tormentone vero e proprio si propone come una bella ballata romantica da alternare ai brani più divertenti. Anche questa sicuramente la sentiremo spesso.

D’altra parte non si può solo respirare musica da spiaggia durante l’estate. C’è chi avrà voglia di rilassarsi davanti a un bel paesaggio e a un buon aperitivo. Per questo ci piace segnalare anche l’uscita di My My Generation, la versione al pianoforte con cui Silvio Capeccia ha voluto dare un nuovo vestito al brano che cinque anni fa aveva segnato il ritorno dei Decibel. Lo fa con una classe e una poesia a cui, purtroppo, non siamo abituati. Senza autotune o parolacce si può fare musica, che notizia! Le atmosfere sembrano quelle della musica tipica di Clayderman. Invece no, sono dei Decibel. Rock italiano che sa diventare romantica melodia, sempre italiana. Dobbiamo essere orgogliosi della nostra arte.

Nelle prossime settimane c’è da starne certi, avremo tanti altri brani estivi di cui raccontare. Per ora, la medaglia d’oro del tormentone va già a Fedez e soci.

Da oggi la storia degli inni calcistici, che raccontano la tradizione delle squadre e delle loro città. Cominciamo dal Milan neocampione d’Italia

 

Si è chiuso appena una settimana fa il campionato di calcio che ha riportato lo scudetto al Milan dopo undici anni. Come sempre, le strade si sono riempite di tifosi che, per festeggiare, non hanno rinunciato all’espressione più bella della gioia: cantare.

Il calcio e la musica si incontrano spesso. Non solo perché moltissimi concerti estivi trovano luogo negli stadi dove, durante il resto dell’anno, le squadre si giocano ogni settimana il loro destino. Calcio e musica sono realtà capaci di unire, facendo dimenticare tante distanze. Almeno quando parliamo di calcio giocato, che nulla ha a che vedere con le violenze che spesso offuscano il bello di questo sport. Ossia quei cori dei tifosi che, talvolta anche con sani sfottò nei confronti degli avversari, riecheggiano canzoni di successo.

Siccome a noi piace raccontare la parte positiva, ecco che allora da oggi ogni lunedì faremo un viaggio nella storia degli inni calcistici. Partiamo allora proprio dal Milan.

Nell’ultima settimana è probabile che qualcuno abbia pensato che Pioli is on fire sia diventato il nuovo inno. In realtà la canzone, mutuata dall’originale degli anni Novanta Freed From Desire, è solo un coro dei tifosi, rossoneri che hanno voluto così omaggiare il loro allenatore. Altroché perdente, come sosteneva qualcuno: Stefano Pioli è la guida al comando dei Campioni d’Italia.

Eppure è vero: l’inno del Milan da alcuni anno è cambiato. Qualche distratto potrebbe anche non essersene accorto, ma è andata proprio così. Facciamo però qualche passo indietro e proviamo a ripercorrere la storia degli inni del Milan.

Il primo a cui possiamo risalre è quello del 1951. L’ inno si intitola Forza Milan, gli autori sono Galimberti e Paolucci e a cantarlo è Enzo Amadori. Il ritornello, su una marcetta tipica di quegli anni, recita così: Forza Milan, sei la squadra più bella, sei la squadra del cuor. Noi per sempre coi tifosi più fedeli ti saremo vicino e allo stadio tutti uniti lotteremo con te.

Entusiasmo del cantante nell’interpretazione, grandi cori in sottofondo. Certo, si può fare qualcosa in più per l’originalità del testo, al di là di un’incertezza sui plurali dei sostantivi usati. D’altra parte una canzone che inneggia a una squadra di calcio non può pretendere la complessità di un’opera proustiana. La musica, invece, ha sempre raccontato le mode melodiche del momento.

A fine anni ’60, infatti, i tifosi rossoneri possono ballare dividendosi tra un ritmo di Milan twist dal sapore quasi morandiano, e quello di un Rivera cha-cha dedicato al suo grande capitano.

Negli anni ’70 l’inno ufficiale divenne Undici uomini d’oro. Il cantante Luciano Secchi, inneggia al Milan allenato da Liedholm con due coristi che replicano ogni sua intonazione.

Milan Milan perché (Milan Milan perché), Siamo tutti con te (Siamo tutti con te).

Il ritmo sembra quello dei successi di Celentano ai tempi de I mali del secolo. Manca un vero cambiamento di passo tra strofa e inciso, ma è tutto molto orecchiabile.

MusicCalcio: la storia degli inni del Milan

Gli anni ’80 sono incredibilmente quelli che iniziano nella peggiore delle maniere per i rossoneri, in serie B per i guai del calcio scommesse, e iniziano nel migliore dei modi (sul tetto del mondo allenati da Arrigo Sacchi). È qui che avviene la svolta. Il Milan, infatti, vive infatti ben tre inni in questi anni. Il primo è composto ed eseguito da Enzo Jannacci, si intitola Mi-Mi-La-Lan. Un altro è composto da Umberto Smaila, storico tifoso del Diavolo e amico di Silvio Berlusconi, nel frattempo divenuto presidente della squadra. Smaila compone Canto rossonero. Si tratta di una romantica ballata in cui i tifosi riconoscono subito lo spessore ben diverso da tutte le canzoni precedenti, in fondo non molto diverse da ogni brano che si trova nella musicassetta dedicata ai campioni.

Canto rossonero mette in gioco una strumentazione completa, cori avvolgenti, parole che riecheggiano l’amore per la città e una melodia da pelle d’oca interpretata dai ragazzi della curva. È il 1987.

La canzone rimarrà sempre nel cuore dei tifosi, anche se l’anno dopo arriva un altro inno, composto da Tony Renis con Massimo Guantini. “Ora il Milan è planetario, ho bisogno di un inno planetario”, è la frase con cui Berlusconi commissiona all’autore di Quando quando quando l’ambizioso compito.

Renis lo prende in parola e, dopo qualche giorno, consegna al presidente un inno planetario.

Rullo di tamburi potente. Trombe in apertura. Tutto proprio con un’atmosfera degna dell’inno alla gioia o della sigla dell’Eurovisione; cori che ripetono “Milan Milan, solo con te, Milan Milan sempre con te” con toni già leggendari. Su qualche parte del testo (non è dato sapere quale) interviene anche lo stesso Berlusconi. A cantarlo è la band I Fans.

Non si tratta solo di un inno rossonero ma, come lo presenta a TeleMike Giacomo Carlucci, frontman del gruppo, una canzone per un tifo sano, contro ogni forma di violenza. Recita proprio così il brano: “Con la violenza non rispondi mai!”.

Remixato, con l’aggiunta di un’introduzione trionfale da musica eroica, l’inno rimane sempre lo stesso quasi per tutti gli anni di presidenza di Berlusconi. Tutto questo anche grazie alla strenua difesa di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, che non vuole assolutamente cambiare l’opera di Renis. Nel 2015, quando la cessione della società sembra già essere poco più che una formalità da concludere, ecco che arriva un nuovo inno.

Emis Killa e Saturnino compongono Rossoneri, un rap che si appoggia sulla strofa “Tifo alla squadra più bella del mondo e non la cambio nemmeno per sogno” per poi legarsi a un corale “Oh oh oh” dalle atmosfere più che mai suggestive.

Non mancano le polemiche, con l’ex giocatore rossonero Boban che definisce il nuovo inno una caduta di stile. In realtà ciascuno rimarrà legato alla canzone che riterrà più opportuno, ma è inevitabile che sia necessario abituarsi a un nuovo prodotto. E le vittorie, più di ogni altro fattore, aiutano a trovare quell’abitudine che fa sentire sulla pelle un inno.

Il Milan ora è tornato a vincere.

Purtroppo nel capoluogo lombardo non si è dato spazio ad alcun concerto con cantanti tifosi rossoneri, eppure di canzoni in cui viene citato il Diavolo ce ne sono tante. A cominciare da quelle di Jannacci (“Se me lo dicevi prima”, “Quando un musicista ride”), Lucio Dalla (“Milano”). Tra i tifosi cantanti non possiamo non citare Laura Pausini, Ornella Vanoni, Malika Ayane, Toto Cutugno, Jake La Furia, Ghali, Rkomi. Gli inni calcistici raccontano sempre le squadre e le loro città. Milano in questi ultimi due anni è più che mai vincente: avrebbe meritato una festa come quelle che si creano in tante altre città al momento dei trionfi.

In ogni caso, il celebre inno di Tony Renis, potrebbe diventare attuale ancora tra qualche tempo. In quella canzone, infatti, si citava già trentacinque anni fa la frase “Conquistate voi una stella in più a brillar per noi”. Manca uno scudetto, dopodiché la nuova stella arriverà sulle maglie.

Eurovision, tutto pronto. Ucraina favorita, ma Svezia da brividi 1
Kiev pensa alla prossima edizione. Quella appena terminata è stata positiva sotto il profilo sociale, morale, economico e musicale. Scopriamo perché


Kiev pensa all’edizione 2023, l’Italia può fare i bilanci della sua kermesse, positiva su almeno quattro livelli


Per la prossima edizione dell’Eurovision Song Contest si è già candidata Kiev. La capitale ucraina aveva già ospitato la kermesse musicale nel 2005 e nel 2017, dimostrando attenzione e rispetto per la tradizione della manifestazione.

Certo parlarne ora è molto presto, specie per la situazione attuale dell’Ucraina che tutti conosciamo. Tuttavia va detto che questa candidatura di Kiev è un buon segnale di speranza. L’Ucraina non solo non si abbatte, ma guarda già oltre tutte le questioni politiche pensando all’Eurovision 2023.

Kiev ci vuole essere e vuole farlo da subito, proprio cinque anni fa.

La Rai si è già detta disponibile ad aiutare l’Ucraina per l’organizzazione. Nel frattempo si possono tirare le somme di quello che ha significato l’Eurovision 2022.

Partiamo dalla questione sociale. La pandemia sembra già appartenere alla preistoria, eppure le mascherine obbligatorie in certi ambienti ci ricordano il recente passato rendendolo ancora attuale. Non era scontato insomma ipotizzare una kermesse di così largo successo dopo due anni di fermo. Non eravamo più abituati a vedere allestiti palcoscenici del genere. Diciamolo pure, ora che è tutto finito: il rischio di farsi trovare impreparati era alto e la paura di ripetere la figura internazionale del 1991 era alta. Siamo rimasti stupiti tutti. Il senso sociale di questa edizione torinese è stato altissimo.

Finalmente abbiamo rivisto tanto pubblico tutto insieme nel palasport come nelle strade.

Ricordiamoci che persino a Sanremo, quest’anno, c’erano ancora molte limitazioni. I cantanti rilasciavano interviste solo chiusi negli alberghi. I tamponi erano il necessario test di ingresso per partecipare alle conferenze stampa. Insomma fino a pochi mesi fa abbiamo vissuto un clima che oggi sembra inverosimile. Ecco perché Torino 2022 ha dato una svolta, ricordandoci quanto fosse bello vivere certi eventi.

Parliamo quindi della questione morale. In un periodo come questo, in cui il mondo ha gli occhi rivolti a quanto sta accadendo in Ucraina, una partecipazione così ampia è stata una boccata d’ossigeno. Kiev ha ragione a candidarsi per il prossimo anno dimostrando di non avere paura. Sentimento d’altronde inevitabile ma che si sconfigge guardando oltre, senza impedire di sognare. Ecco, a Torino il pubblico ha sognato dimenticando per qualche giorno quanto stesse accadendo a Kiev e dintorni. E quel voto popolare che ha dato la vittoria alla Kalush Orchestra, pur non c’entrando nulla con la musica (la canzone non era indimenticabile), ha un’importanza morale di grande impatto.

Non possiamo sottovalutare la questione economica.

A Torino sono arrivati oltre 220 mila turisti. La città per l’occasione ha potuto rinnovare la sua immagine, uscendo dal luogo comune che la vuole quale metropoli di sole industrie. Torino ha potuto così incrementare il suo turismo, già forte con numerose fiere ma ora popolare anche televisivamente.

Si è stimato un ricavo pari a sei/sette volte l’investimento.

E anche questo è uno dei motivi principali per cui è fondamentale portare l’Eurovision a Kiev il prossimo anno.

Un Paese intero deve poter ripartire con una ricostruzione forte. Certo, fingere che non stia accadendo nulla è sbagliato, ma la speranza non può morire a un anno dall’evento.

Infine la questione musicale. Non accadeva da otto anni, quando aveva vinto Conchita Wurst, che una canzone non italiana entrasse nelle graduatorie delle classifiche Fimi. La Kalush Orchestra, con Stefania, si è portata al trentatreesimo posto dopo la prima settimana. Non male, considerando che storicamente noi italiani tendiamo a disinteressarci dei successi europei della kermesse. In tutto questo, Brividi è la canzone più scaricata dell’edizione nella maggior parte dei Paesi partecipanti. Un motivo di orgoglio azzurro.

Torino 2022 ha dato importanti segnali almeno sotto quattro aspetti. Ora non resta che attendere Kiev.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Termina qui il nostro percorso nella storia dei grandi direttori d’orchestra con Musica Maestro

I direttori d’orchestra raccontati in prima persona e attraverso le loro biografie

 

Direttori d’orchestra, musica per le nostre orecchie, ma anche per i nostri occhi. Ve li abbiamo raccontati uno ad uno in un percorso iniziato proprio un anno fa, con un’intervista al giovane, ma già pieno di esperienza, Gabriele Ciampi. Abbiamo concluso settimana scorsa con Antonia Brico, la prima donna a dirigere un’orchestra.

Lo abbiamo fatto con una duplice strada: nella prima parte abbiamo intervistato alcuni tra i più grandi direttori d’orchestra viventi, quindi ci siamo incuriositi della biografia dei grandi Maestri del passato. E abbiamo scoperto una qualità essenziale. Non tutti i direttori d’orchestra sono uguali; anzi, ciascuno ha il suo stile.

Non si tratta solo di farsi seguire da un gruppo di musicisti tenendo una bacchetta in mano. L’orchestra deve anzitutto scoprire un’empatia con il suo Maestro, che può imporre così la sua personalità regalando sfumature diverse allo stesso brano. Il direttore è il primo musicista in assoluto, quello che prima di chiunque altro deve sentire la musica e viverla per trasmetterla agli altri. Il modo con cui gesticola e si muove sul podio rappresenta la sua figura, tuttavia quella è solo la parte visibile di un lavoro molto più ampio e complesso.

Gli stessi direttori ci hanno raccontato che l’orchestra deve trovare la giusta dimensione durante le prove: l’esecuzione è il prodotto ormai giunto a lavoro finito.

Ciascuno, però, ci tiene a presentarsi in un certo modo davanti al pubblico. Innegabile che una certa importanza continui ad averla anche la parte estetica in un ruolo che punta inevitabilmente molto sulla forma. Il Maestro plasma la musica, facendola diventare sua anche quando è composta da qualcun altro. Di conseguenza, tutto lo spettacolo sarà influenzato dall’atteggiamento che il direttore propone.

Musica Maestro è stata quindi una grande occasione per raccontare una realtà del nostro panorama artistico. Abbiamo potuto scoprire curiosità, segreti, circa arrangiamenti di canzoni nate in un certo modo e poi finite in tutt’altra maniera. Ci siamo imbattuti nelle vite dei grandi direttori d’orchestra per renderci conto che, in effetti, prima ancora di essere quei signori o quelle signore (ancora troppo poche, ahinoi) che con dei gesti comandano un ensemble, si tratta di persone. La loro voglia di vivere attraverso la musica li rende immortali: degno riconoscimento di una vita dedita alla grande passione con cui hanno veicolato intramontabili capolavori.

E in fondo ci siamo scoperti tutti un po’ Maestri in queste puntate del lunedì. Chi di noi non ha un obiettivo che da sempre ha voluto raggiungere nella propria vita e per il quale si è speso in tempo e denaro pur di ottenerlo e sentirsi appagato con se stesso? Ecco, essere direttori d’orchestra vuol dire avere la stoffa dei Maestri, dei saggi.

La musica è saggezza e cultura.

Occorre non dimenticarlo mai se vogliamo ricordare la nostra storia anche attraverso i pentagrammi e chi sa trasportarci quella meravigliosa passione. L’orchestra è il simbolo di un gruppo coeso per raggiungere lo stesso obiettivo, a partire da scopi individuali. Uno strumento solista può emozionare molto, ma la completezza di insieme che regala un’orchestra è inimitabile. Ci vorrebbe allora un po’ di quella filosofia anche nella politica, spesso funestata dalla mancata voglia di lavorare tutti nella stessa direzione. Chissà, forse un Direttore d’Orchestra potrebbe risolvere anche tanti problemi internazionali.

E’ stato affascinante scoprire la convinzione di questi musicisti; la loro determinazione. E soprattutto, vedere che ciascuno ha da sempre un obiettivo ben preciso, una filosofia di vita che riecheggia nel lavoro.

Musica Maestro, dunque, per ora ci saluta: ma è un arrivederci, che vi regalerà presto una grande sorpresa. Da lunedì prossimo troverete su Musica361 una nuova rubrica: statene certi, sarà qualcosa di speciale!

Eurovision, non solo Kalush Orchestra. La vittoria è anche italiana
La Kalush Orchestra non è la sola vincitrice di questa edizione dell’Eurovision Song Contest


Nella serata del trionfo della Kalush Orchestra c’è anche la vittoria di una grande organizzazione italiana


Tutto come previsto: la Kalush Orchestra ha trionfato all’Eurovision Song Contest 2022 con la canzone Sabrina, trovando ampi consensi nel voto popolare.

Il televoto, da sempre e in ogni circostanza, è espressione di un sentimento popolare, in questo caso della solidarietà unanime di chi chiede che venga interrotto ogni conflitto. Così, con una canzone che non ha convinto molti, la Kalush Orchestra si aggiudica questa edizione italiana di grande successo.

Le giurie avevano premiato il Regno Unito, alla fine classificatosi secondo.

Ma, con ogni probabilità, anche le giurie sapevano perfettamente che il televoto avrebbe lanciato la vittoria della Kalush Orchestra.

In realtà sarebbe più corretto parlare dei Kalush, al plurale. Il termine Orchestra è stato adottato appositamente per questa kermesse in cui hanno presentato un brano fortemente balcanico, con qualche sfumatura rap.


Certo, forse non era ipotizzabile un divario dei voti popolari così grande tra la canzone ucraina e le altre.

Un’edizione italiana dicevamo. Sotto tantissimi punti di vista. Si, perché Brividi, classificata al sesto posto (comunque un risultato di tutto rispetto) risulta la canzone più scaricata sul web da ben 28 Paesi su 40 che hanno partecipato all’Eurovision.

Non solo, ma l’organizzazione è stata impeccabile. La Rai questa volta ci ha creduto fortemente, investendo su uno show che ha un format ben preciso (dunque diverso dal nostro Festival) ma anche un potenziale enorme di crescita. La sensazione è stata che la Rai abbia saputo italianizzare l’evento regalando quella professionalità delle kermesse che conosciamo con Sanremo. I colori de palcoscenico di Torino non sembravano assomigliare a nulla di trash. Si è trattato di uno spettacolo di grande impatto, che ha trovato riscontro infatti anche nello share televisivo.

La Kalush Orchestra era vincitrice annunciata e a qualcuno, noi per primi, non piaceva l’idea di avere una classifica slegata dai gusti musicali.

Tuttavia, bisogna riconoscerlo, la presenza della Kalush Orchestra e il clima di profondo rispetto per un popolo che sta combattendo, è stata resa ancor più bella proprio dall’atmosfera che la stessa organizzazione ha creato.

A Torino si respirava una voglia di vivere: dopo i due anni di pandemia si volevano mettere in un cassetto per qualche giorno i problemi internazionali. Un’edizione quasi magica per certi aspetti, capace di unire tanti popoli abbracciati dalla passione musicale per superare ogni difficoltà.

La Rai è stata eccellente, tanto che la prossima edizione potrebbe essere organizzata ancora in Italia se, come si teme, l’Ucraina non dovesse essere in grado di allestire la manifestazione. Troppo presto per capire cosa succederà di questo conflitto sovietico che non piace a nessuno.

Nella serata della Kalush Orchestra, però, c’è stata tanta Italia e non solo per la location dell’Alpitour di Torino. I Maneskin, vincitori nel 2021, hanno fatto un grande numero musicale che ha ricordato cosa sia il vero rock di oggi. Dimostrando, così, che l’Italia ha scoperto di essere ora fortissima in un genere che non le è mai appartenuto storicamente.

Che dire poi della splendida Gigliola Cinquetti?

Emozionante, da brividi con il suo sorriso e la sua voce che hanno incantato riportandoci a ciò che siamo stati. A quella melodia di cui siamo pur sempre i maestri. Non ho l’età è stato un vero motivo di orgoglio della nostra storia in quella serata della Kalush Orchestra.

Insomma una grandissima edizione che ci fa fare definitivamente pace con un Eurovision fino a qualche tempo fa troppo distante dalle nostre tradizioni. Lo avevamo snobbato per tanti anni, proprio come qualcuno mormorava fosse finito il tempo del Festival di Sanremo. Nel giro di dieci anni abbiamo recuperato tutto: siamo tornati con entusiasmo all’organizzazione dell’Eurovision Song Contest e abbiamo ritrovato un grandissimo Festival di Sanremo, cresciuto edizione dopo edizione.

Qualche merito ai vari Morandi, Fazio, Baglioni, Conti e Amadeus senz’altro lo dobbiamo riconoscere.

La musica è tornata a essere un’arte centrale per un’Italia che, silenziosamente, sembra già allontanarsi piano piano dalla smania di voler imitare gli americani della trap…

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Antonia Brico

Antonia Brico fu la prima donna direttrice d’0rchestra

Antonia Brico, oggi parleremo di lei. Prima di chiudere i battenti con la nostra rubrica Musica Maestro, ricordiamo come all’inizio di questo nostro percorso intervistammo la bravissima Andrea Mirò. Fu l’occasione per un racconto tutto al femminile di una apprezzata direttrice d’orchestra, che tuttavia deve spesso fare i conti con un maschilismo nemmeno troppo celato nell’ambiente musicale. Fare la direttrice d’orchestra, ancora oggi, non è facile. Eppure non è impossibile. La storia è infatti ricca di nomi illustri, che nulla hanno da invidiare agli uomini. Da Marin Alsop, la prima ad avere diretto una grande orchestra americana, passando per Nadia Boulanger, Anna Wilhelm, Susanna Malkki, fino alle nostre Speranza Scappucci, Isabella Ambrosini, Gianna Fratta, Beatrice Venezi. E l’elenco non sarebbe finito.

Dirigere l’orchestra, però, viene ancora visto come un ruolo soprattutto da uomini. Difficile farsi comandare dal cosiddetto sesso debole. Pertanto, coraggioso proporsi in quel ruolo. Ma chi fu la prima?

Eccoci allora ad Antonia Brico, a cui dedichiamo la nuova puntata di Musica Maestro.

Nata a Rotterdam il 26 giugno di 120 anni fa, Antonia Brico si trasferì con la famiglia a soli 6 anni negli USA. In California, alla Technical High School di Oakland, impara a suonare pianoforte e inizia a fare pratica per dirigere qualche piccola orchestra.

La prima occasione arriva nel 1919 all’Università di Berkeley, dove diventa assistente del direttore del San Francisco opera. Dieci anni dopo, a Berlino, ottiene il master class in direzione d’orchestra. E’ la prima in assoluto tra gli americani a guadagnarsi questo riconoscimento.

Nel frattempo Antonia Brico diventa allieva di Karl Much, direttore della Filarmonica di Amburgo. Dal 1930 diventa direttrice professionale della Filarmonica di Berlino.

Tante le apparizioni in quel ruolo, a Detroit, Washinghton e in numerose città. Una figura, la sua, che rivendica l’immagine femminile in anni non certo di grande libertà. Nel 1934, viene nominata direttrice dellaWomen Symphony Orchestra, appena formata. Cinque anni dopo, con l’ammissione anche di uomini, l’ensemble cambia il nome nel significativo Brico Symphony Orchestra.

E’ sempre Antonia Brico la prima donna a dirigere, nel 1939, la New York Philarmonic.

La sua carriera continua a ottenere grandi apprezzamenti in tutto il mondo, da Helsinki fino a Denver, dove si stabilisce nel 1942.

Un’altra orchestra al femminile le viene affidata in Giappone. Insomma, la sua carriera è un motivo di orgoglio per tutte le donne. Dirigere da donna si può. Per questo le vengono dedicati due film. Uno diretto da Godmillow, nel 1974, quando lei è ancora in vita. L’altro, nel 2018, a 30 anni dalla sua morte, diretto da Maria Peters.

Tra i suoi allievi ricordiamo anche Judy Collins e Donald Loach.

Vittoria annunciata di Mahmood e Blanco. Seconda Elisa, Terzo Morandi
Mahmood e Blanco premiati alla finale di Sanremo 2022. Bisseranno stasera all’Eurovision? Foto di Marco Piraccini


Non succede dal ‘94 che il Paese ospitante trionfi in finale


Ci siamo, oggi è il grande giorno della finale. L’Eurovision Song Contest 2022 è partito martedì; da cinque giorni ormai Torino è una città in festa, scoprendo un entusiasmo oltre ogni immaginazione. Mika, Pausini e Cattelan si sono già resi protagonisti di un grande show, organizzato alla perfezione in ogni suo dettaglio. E i picchi di ascolto sono stati davvero alti e sorprendenti. La serata più attesa, però, è da sempre quella della finale. Quella che decreterà il vincitore. Quella in cui assisteremo a grandissimi momenti di spettacolo fino all’una di notte. Quella in cui a gareggiare ci sono finalmente anche i cinque Paesi più importanti, tra cui l’Italia.

Prima della finale, però, qualche verdetto impietoso c’è già stato.

Sanremo 2021, la terza serata. Ancora Ermal, emozione Orietta 2
Achille Lauro, da cinque edizioni presenza fissa a Sanremo, non ha superato le fasi Achille Lauro, Emma Marrone alla terza serata del 71 Festival di Sanremo. eliminatorie e stasera non sarà alla finale. Qui nella foto di Marco Piraccini con Emma a Sanremo 2022

Su tutti ovviamente parliamo dell’eliminazione di Achille Lauro. Il cantante italiano, che gareggiava con San Marino, piuttosto a sorpresa non è entrato nella top 10 di giovedì sera. Aveva puntato molto sul suo brano orecchiabile e su una coreografia da cowboy, ma non è bastato. C’è da ammettere che il grande show dell’Eurovision sembra essere cambiato molto negli ultimi anni. Molte sono le canzoni melodiche e romantiche che non cercano approvazioni extramusicali. Parliamo di una gara che si è, per certi versi, persino imborghesita. Il gusto musicale diventa via via più raffinato e la vittoria interessa sempre più a tutti, non solo a noi italiani che ne abbiamo riscoperto il piacere e bisseremmo volentieri stasera con Mahmood e Blanco.

Tra le vittime delle due semifinali, anche la Danimarca, che aveva un brano molto interessante. Svezia e Ucraina, invece, spedite verso la finale dove si giocheranno il titolo proprio con l’Italia. Insomma, per i favoriti nessuna sorpresa: tutto come previsto.

Stasera dunque la finale, che verrà seguita in tutte le città, ciascuna con il suo rito e le sue tradizioni.

Tra queste merita una citazione la curiosa iniziativa di Meetic.

La piattaforma di incontri per single stasera organizza, come nel passato, un vero e proprio gruppo di ascolti presso il Pils Pub di via Bertani a Milano. Un modo interessante per riscoprire la musica anche come strumento di condivisione e di conoscenza.

Come ogni sabato, eccoci quindi con le nostre pagelle sulle canzoni dell’Eurovision Song Contest 2022.

Analizziamo quindi le canzoni dei cinque Paesi di diritto già qualificati per la finale.

Alvan e Ahez sono i cantanti in gara per la Francia, con il brano Fulenn. Il ritmo non cambia mai, ma soprattutto sembra quasi una marcia dell’Est. Dov’è finita la dolce melodia francese che anche lo scorso anno rischiava di farci saltare la vittoria? Passo indietro quest’anno per i cugini europei, che snaturano la loro traduzione musicale. Voto 6,5

Malik Harris, con Rockstars, difende i colori della Germania. Emerge un bell’arrangiamento pop molto fresco, caricato dalla voce energica e coinvolgente di Harris. Voto 7,5

Il Regno Unito porta la canzone Space Man. La voce in falsetto di San Ryder, che anche nel look ricorda il Ted Nesley di Jesus Christ Superstar, emoziona. L’arrangiamento pop funziona, la melodia forse è un po’ debole. Questo è il motivo per cui gli inglesi non vengono mai considerati favoriti in una kermesse che sembrano snobbare. Voto 7

Davvero la Spagna pensava bastasse la sensualità di Chanel con altre due ragazze per convincere le giurie? Il pezzo, Momo, regala solo un breve momento di melodia dai ritmi freschi dell’estate. Per il resto è una lagna anonima. Voto 6

Ed eccoci all’Italia. Ormai Brividi l’abbiamo sentita ripetutamente in questi mesi, la conosciamo a memoria e probabilmente qualcuno sarà anche stanco. Tuttavia, la canzone di Mahmood e Blanco ha un impatto emotivo decisivo, per il quale confermiamo il voto 9 che le avevamo attribuito a Sanremo.

Il giudizio finale sarà in mano agli stranieri stasera.

Solo loro potranno votare la nostra Brividi. Bissare il successo non è mai stato facile. Ma si può tentare il colpaccio. Finora solo Lussemburgo (nel ‘73), Israele (nel ‘79) e Irlanda (nel ‘93 e nel ‘94) hanno vinto in casa. Non succede da ventotto anni. Che sia arrivato il momento di interrompere il tabù? Non resta che goderci la finale di stasera. Intanto, l’Ucraina rimane davanti a tutti nei pronostici, ma chiunque ha commentato negativamente il brano in gara. Si può sperare che stasera vinca la musica.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Francois-Antoine Habeneck

Francois-Antoine Habeneck, fu lui a istituire la professione di Direttore d’Orchestra. Vediamo come

Francois -Antoine Habeneck è uno di quei musicisti che in questa rubrica non può mancare. Stiamo ormai giungendo alla fine del nostro percorso di Musica Maestro, con cui da un anno a questa parte vi raccontiamo ogni settimana la storia dei più grandi direttori d’orchestra. Abbiamo diviso la nostra rubrica in due grandi blocchi: il primo, dedicato alle interviste e alle narrazioni dirette degli stessi grandi Maestri italiani contemporanei. Il secondo, ad appannaggio del ricordo dei più storici Maestri.

Mancano, dunque, poche puntate per completare il nostro ciclo, che non potrebbe mai esaurire l’infinita schiera di direttori che hanno fatto la storia della musica. Dopo la puntata scorsa, in cui abbiamo parlato del primo Maestro che vinse all’Eurovision Song Contest, ci sono arrivate diverse mail che chiedevano di ricordare il primo direttore d’orchestra della storia. Eccoci qui, perché in effetti in questa rubrica non si può non omaggiare colui al quale si deve la professione che da un anno celebriamo ogni lunedì.

Francois- Antoine Habeneck è quindi il protagonista di questo nuovo appuntamento con Musica Maestro.

Figlio di un violinista tedesco, Francois-Antoine Habeneck nasce in Francia nel 1781 proprio perché il padre ha dovuto trasferirsi lì per suonare presso il Reggimento dei Dragoni del Duca di Penthievre. A soli 10 anni, con l’esperienza più che mai viva in famiglia, il piccolo impara quindi subito a suonare il violino. Lo fa da autodidatta, proponendosi anche in alcune esibizioni dal vivo, che gli infondono il giusto coraggio per trasformare la sua passione in arte professionistica.

Nel 1800, Habeneck si trasferisce a Parigi, dove entra al Conservatorio e diventa allievo del violinista Pierre Baillot. Quattro anni più tardi, dopo aver vinto un primo premio in un concorso di violino, entra a far parte dell’Orchestra dell’Opera Comique della capitale francese. Pochi mesi dopo arriva addirittura al più ambito Opera National de Paris, dove diventa terzo violino.

La carriera di Habeneck, a questo punto, è ormai avviata. Anche l’imperatrice Josephine si accorge di lui e decide di assegnargli una pensione di ben 1200 franchi.

Sposatosi con Anne Charlotte Gardel, figlia del maestro di danza dell’Opera, nel 1817 Habeneck diventa primo violino del teatro dove lavora. Soprattutto, assume l’incarico di direttore d’orchestra aggiunto. La figura di riferimento, a dire la verità, è Rodolphe Kreutzer ma il ruolo di direttore non è altro che quello di un compositore principale. Nessuno lo distingue insomma come un vero mestiere.

E’ proprio Habeneck il primo direttore d’orchestra professionista della storia. Accade tutto nel 1824.

Dopo le dimissioni di Kreutzer, infatti, Habeneck, ormai anche direttore amministrativo del teatro parigino, diventa Ispettore generale del Conservatorio e si impone con la sua personalità. Dirige con l’archetto del suo violino, che non abbandona mai. Il suo strumento gli serve nei primi tempi, per l’appunto, a evidenziare ai musicisti il tipo di esecuzione che vuole ottenere. Successivamente, sul leggio  abbandona la sola partitura del violino per ritrovarsi ad avere quelle di tutti gli strumenti dell’orchestra. E’ qui che trasforma la professione, superando di fatto quel ruolo di musicista aggiunto, da cui si comprende comunque il motivo per cui il primo violino sia da sempre il braccio destro del Direttore.

Nel 1828 Habeneck fonda l’Ocrhcestre de la Societé des Concerts du Conservatoire, di cui diventa direttore fino alla sua morte. Qui istituisce una nuova disposizione degli strumentisti sul palcosenico.

Quindici primi violini a sinistra, quattordici secondi a destra, otto viole nella parte intermedia, otto contrabbassi insieme a dodici violoncelli dietro ai secondi violini, quattro flauti, quattro clarinetti e tre oboi dietro ai primi violini. Ultima fila per gli ottoni.

Così Francois-Antoine Habeneck rivoluziona la musica affidando all’orchestra un modo nuovo e più completo di interpretare la musica. Talvolta deve accontentarsi di sviluppare alcune esecuzioni con dei tagli, proiettati a fare conoscere le grandi opere al pubblico di Parigi. Tuttavia, il grande lavoro di attenzione ai dettagli è riconosciuto da ogni artista, primo su tutti Richard Wagner che ne apprezza la rifinitura per la Nona Sinfonia di Beethoven, provata per due anni con l’orchestra.

Niente deve essere lasciato al caso. L’orchestra deve racccontare ciò che il pubblico ha inconsciamente dentro di sé ma non saprebbe altrimenti come esprimere. A questo fine ci vuole un vero Direttore. Ci vuole una guida che possa aiutare i musicisti a trovare la giusta strada.

Tra le altre celebri opere da lui dirette, ricordiamo Sinfonia fantastica di Berlioz, Roberto il diavolo e Gli ugonotti di Meyerbeer.

Morto nel 1849, Habeneck riposa nel cimitero di Montmatre a Parigi.

 

Eurovision, tutto pronto. Ucraina favorita, ma Svezia da brividi
Tutto pronto per l’edizione 2022 dell’Eurovision Song Contest, organizzata nella nostra Torino. L’Ucraina sembra poter vincere, ma il brano non convince

Ai blocchi di partenza Ucraina in prima fila con l’Italia. Ma potrebbero esserci sorprese scandinave

 

Ucraina davanti a tutti. Poi, più staccate, Italia e Svezia. Si partirà con questi pronostici dei bookmakers martedì 10 maggio, quando si alzerà il sipario sulla nuova edizione dell’Eurovision Song Contest. Pausini, Cattelan e Mika condurranno l’evento musicale europeo più atteso dell’anno che, a onor del vero, crea anche qualche agitazione. L’ultima volta che l’Italia organizzò la kermesse, infatti, fu nel 1991. Non fu una bella edizione probabilmente, sebbbene oggi eccessivamente sbeffeggiata sui social. Quel che c’è di vero è che dopo quell’anno l’Italia scoprì un bilancio più oneroso che di guadagno e, poche edizioni dopo, decise di non prendere più parte a una gara giudicata lontana dalla nostra cultura.

Inevitabile, dunque, che qualche timore di fantasmi del passato ci sia ancora. Questa volta, tuttavia, sembriamo decisamente più pronti. La lezione di Roma 1991 pare sia servita per organizzare una Torino 2022 coi fiocchi. Dunque tutto è pronto.

La gara che vede l’Ucraina favorita comincerà martedì, proseguirà giovedì con la seconda semifinale, per terminare sabato, quando in finale vedremo anche Mahmood e Blanco.

Le ultime polemiche dei giorni scorsi, relative all’illuminazione del retropalco con la luce led o quella aggiuntiva, ormai le conosciamo.  Avendo incontrato dei problemi tecnici,  i Paesi in gara saranno costretti a usare il lato nero per lo sfondo. Il sole della scenografia si muoverà solo lievemente. Ogni commento, però, sembra solo superfluo. Meglio attendere direttamente la kermesse e goderci quanto accadrà sul palcoscenico del PalaAlpitour.

Da un mese a questa parte vi raccontiamo l‘Eurovision Song Contest 2022 attraverso le notizie e le nostre pagelle delle canzoni. Fino a qui abbiamo lodato soprattutto Danimarca e Islanda. Ma c’è un altro Paese del Nord Europa che merita più di tutti gli altri. Scopritelo insieme a noi con le ultime pagelle relative ai Paesi che parteciperanno alle semifinali.

Vincerà davvero l’Ucraina con la Kalush Orchestra?

Eurovision, tutto pronto. Ucraina favorita, ma Svezia da brividi 1
Eurovision 2022: le nostre pagelle

Va ascoltata fino in fondo la canzone di Maro. Non tanto per la melodia, senza grandi slanci, quanto per ciò che si crea intorno ad essa. La cantante portoghese infatti porta in gara Saudade saudade, una ballata lenta, che si carica di malinconica energia con il passare dei secondi. La voce di Maro, i cori, i suoni di sottofondo creano una atmosfera per cui tutti a fine brano proveranno quel velo di positiva malinconia. Voto 7

Una pop dance molto apprezzata quella proposta dalla Repubblica Ceca. I We are Domi, con Lights off, lanciano un brano orecchiabile, supportato dalla voce decisa della cantante del gruppo. Gli arrangiamenti e i passaggi di chitarra elettrica però sono la parte che più rimane in testa. Voto 7,5

Ha saputo fare di meglio in passato la Romania, questa volta in gara con WRS. La canzone Llamame ha ritmo, specie nel ritornello. Tuttavia manca di originale peculiarità la melodia. Testo che si divide tra inglese e spagnolo, per una canzone prova di personalità. Voto 5,5

Non si può essere obiettivi a parlare di Achille Lauro, in gara per San Marino con Stripper.

Ogni commento sarebbe influenzato dalla conoscenza di un artista che in Italia fa sempre parlare di sè. Difficile dire che la canzone non vada bene; del resto la struttura del brano e persino la melodia sono molto simili alle precedenti di Achille. Ergo, se piaceva prima, ora continua a non stancare. Voto 7

Non manca certo il ritmo a Konstrakta, la cantante serba che canta in lingua originale per convincere le giurie con la sua In corpore sano. Eppure, per tutti, non è tra i favoriti. Konstrakta porta un pop che parte a schiaffo, senza lasciare il tempo al ritornello di evolversi. Voto 5

Disko è la canzone con cui la Slovenia prova a conquistare le platee. La voce del gruppo LPS non è calda come quella di Michae Bublé, ma nonostante questo l’atmosfera è molto natalizia. Ritmo incalzante anni ‘80 e canzone che si presenta bene nel videoclip. Voto 7

Atmosfere suggestive ricche di sensazioni, voce che sale fino a toccare note e corde emotive inimmaginabili. Così la Svezia si candida a essere un’altra volta la vera favorita per la vittoria finale. Hold me Closer di Cornelia Jakobs è un capolavoro da brividi che vale la pena riascoltare più volte. Voto 10

C’è molta malinconia nel brano Boys do cry con cui Marius Bear difende la bandiera della Svizzera. L’arrangiamento al pianoforte è però l’unica vera nota di colore di questo brano che non sembra mai arrivare al culmine che avrebbe meritato. Incompleta, voto 6

E arriviamo finalmente alla canzone favorita della kermesse. Stefania è il brano con cui la Kalush Orchestra porta l’Ucraina a essere la più quotata dagli scommettitori. Un po’ di rap, un po’ di melodie orientali reiterati su poche note, tanto ritmo. Certo, se si mettono insieme molti stili si è sicuri di piacere a tutti, ma c’è il rischio di produrre più che altro gran confusione. Se non stesse vivendo il drammatico momento che il mondo conosce, l’Ucraina sarebbe davvero la favorita? Deludente, voto 5

Settimana prossima, giorno della finale, analizzeremo ovviamente le 5 canzoni dei Paesi già finalisti. Tra questi, come ben sappiamo, anche l’Italia.

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