"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Pippo Caruso


Ricchezza di strumenti e di voci nella musica del Maestro Pippo Caruso

Signori e signore, il Maestro Pippo Caruso!

Lo abbiamo spesso sentito presentare così, con quell’enfasi tipica di Pippo Baudo, capace di far diventare protagonista chiunque facesse parte di un suo spettacolo. In effetti Pippo Caruso non era accomunato al re dei presentatori solo dal nome di battesimo, reso ancor più familiare dal suo diminutivo. Il Maestro fu una figura di riferimento di quasi tutte le trasmissioni baudiane, che accompagnò sotto la sua direzione musicale per circa quarant’anni. Così, come tanti Direttori d’orchestra strettamente legati annomate sigle televisive, ha sempre pagato lo scotto di un pubblico che lo ha amato ma talvolta ha dimenticato la sua formazione.

La puntata di oggi di Musica Maestro la dedichiamo quindi a Pippo Caruso.

Appassionato di musica sin dagli anni del Ginnasio a Catania, dove già conobbe per la prima volta il coetaneo Giuseppe Baudo, Pippo Caruso suonava il basso in una band. Dopo pochi anni si dedicò allo studio del pianoforte e della chitarra. Riuscì a ottenere visibilità in qualche serata in giro per la Sicilia, fino a quando a notarlo fu la pianista jazz fu Dora Musumeci. Per Pippo Caruso iniziò così la svolta nella carriera.

Suonando in diversi locali, il Maestro poté esprimere completamente il suo talento e, presto, si dedicò egli stesso alla direzione orchestrale.

 

 

Impettito, elegante nel dirigere con entrambe le mani facendo uso di ampi gesti, Pippo Caruso spaziava tra vari generi musicali. Merito anche di una sua invenzione che divenne una peculiarità richiesta anche all’estero. Ogni musicista dell’orchestra, infatti, suonava due o tre strumenti. In questa maniera si dava una varietà di suoni e registri che non si era soliti ascoltare.

E fu proprio il re del varietà Pippo Baudo a incontrarlo di nuovo in America e a convincerlo ad abbandonare le navi da crociera per tornare in Italia.

Così nel 1973 avvenne il debutto di Pippo Caruso a Canzonissima.

Appassionato e curioso, il Maestro alternava il suo grande amore per la musica a quello per la natura, dedicandosi a tante varietà di piante e animali. Nel suo lavoro non si lasciava distrarre dall’idea di un egocentrismo televisivo, accettando al contrario ogni tipo di suggerimento che potesse arrivare proprio dall’amico Baudo.

La timidezza che lo ha sempre contraddistinto avrebbe fatto a pugni per chiunque con la visibilità sul piccolo schermo. Non per Pippo Caruso, che sapeva di essere presente unicamente per dirigere l’orchestra, sebbene facesse inevitabilmente da spalla al conduttore.

Soprattutto perché era proprio lui a inventare le più grandi sigle dei programmi.

Tutto matto, Io ballerò, Festival, Perché Sanremo è Sanremo, L’amore è, Johnny Bassotto, Isotta, La tartaruga, Numero Uno, Ne abbiamo fatta di strada.
È solo un assaggio dei tantissimi successi, nati come sigle tv e diventati pietre miliari della musica italiana.

Grazie a importanti collaborazioni con Bruno Lauzi, Ornella Vanoni, Domenico Modugno, Orietta Berti e tantissimi altri, Pippo Caruso ha sempre arrangiato numerosi album. Lo ha sempre fatto creando quell’atmosfera orchestrale ricca di strumenti, che ha caratterizzato tutta la sua produzione.

Con il suo look da D’Artagnan, con tanto  di baffetti e pizzetto tagliati ad hoc, non si sottrasse all’eleganza nella sua necessità di essere anche personaggio televisivo. Si, perché anche se non lo avrebbe voluto, Pippo Caruso divenne anche quello. Un nome legato alla tv del varietà che abbiamo sempre amato. Del resto, nessuno più di lui sapeva cosa volesse dire quella parola, identificatrice di tanti contenuti, allegria e divertissment. E, perché no, di tanti tormentoni. Proprio come quel famoso “Perché Sanremo è Sanremo…”.

Vittoria annunciata di Mahmood e Blanco. Seconda Elisa, Terzo Morandi 1
Italian television host Amadeus and actress Sabrina Ferilli at 72 Sanremo Music Festival. Foto di Marco Piraccini


Il successo del Festival 2022 va oltre tutto quello che non è riuscito nelle edizioni passate


Diciamoci la verità: un Festival di Sanremo così popolare era da anni che non si vedeva. Abbiamo cercato tante volte classifiche e statistiche pronte a confermare un successo, che invece si rivelava sempre illusorio. Accadeva da tempo immemore, per cui ormai ci avevamo fatto il callo e non ci rendevamo nemmeno conto. Poche settimane dopo il Festival, tutto scemava e si pensava all’estate. Le radio smettevano di trasmettere le canzoni e così molti pezzi sanremesi degli ultimi anni si perdevano nella memoria di chi aveva saputo apprezzarli negli ascolti delle serate di febbraio.

Questa volta, numeri alla mano, il Festival di Sanremo è tornato a brillare e a dominare le classifiche a distanza di ormai due mesi.

Chi avrebbe potuto immaginare di vedere Brividi prima nella classifica dei singoli più venduti il 25 marzo? Chi, durante il Festival in pieno inverno, avrebbe scommesso che quel “Fai entrare il sole” di Gianni Morandi sarebbe diventato un ritornello che si ascoltava anche in primavera? Probabilmente in pochi avrebbero creduto di arrivare a cambiare le lancette dell’orologio cantando il “Duecentomila ore” di Ana Mena. Per non parlare di chi, poco prima del Festival, aveva insinuato una diatriba tra Rettore e Ditonellapiaga, pensando sarebbe stata una coppia di cui parlare solo in quei giorni. Al contrario, il duo continua ad avere tanta “Chimica” a distanza di tempo.

Ci avevano abituati male le edizioni precedenti. Al punto da creare ormai un tripudio di frasi fatte: “Non ci sono più i Festival di una volta” si alternava a “Le canzoni del Festival non le trasmette più nessuno”.

Invece eccoci qui, a parlare di una hit parade ancora letteralmente dominata dai brani sanremesi.

Sanremo 2022, la prima serata. L'emozione di Amadeus, ritmi veloci 2
L’attrice italiana Ornella Muti e il presentatore televisivo Amadeus al 72 Festival di Sanremo. Prima Serata. Abito Francesco Scognamiglio. Sanremo (Italia) 1 febbraio 2022 Foto di Marco Piraccini

Quelli che non occupano le prime posizioni della classifica, sono comunque più che mai vivi nelle radio e sui social.

Non a caso è mancata quest’anno la smania di lanciare nuove canzoni a distanza di poco dalla fine del Festival.

Anzi, casomai è emersa più voglia di competizioni musicali: Battiti Live a fine marzo lo dimostra. Come a riconoscerne l’essenzialità, la centralità nella nostra musica. 

Merito anche dell’organizzazione italiana per l’Eurovision song contest, che ci ha resi più consapevoli di essere un Paese di artisti nati. Di continuare a esserlo, senza più bisogno di guardare solo al passato per rinfrancarci.

Le canzoni del Festival stanno facendo da colonna sonora a tantissime situazioni. Anche scomode se vogliamo. Perché in effetti avremmo sempre creduto che il calcio superasse qualunque tipo di popolarità, tanto da scalzare tutti gli altri settori.

Invece l’eliminazione mondiale della Nazionale Italiana contro la Macedonia del Nord ha portato a una serie di meme piuttosto divertenti.

Tra questi non è mancato il “Con le mani e con le gambe Ciao Ciao”, con cui La Rappresentante di Lista ci ha regalato un modo più colorato e divertente di salutare usando tanta ironia.

A questo punto, di fronte a fatti compiuti che ci regalano venticinque canzoni ancora ben impresse nella memoria grazie ai numerosi e ripetuti ascolti che i media ci consentono, dobbiamo chiederci il perché di tutto questo.

Cosa è accaduto quest’anno? Cosa è stato fatto che è mancato in tante edizioni precedenti?

Sicuramente Amadeus ha puntato su un cast di grandissimo impatto. Lo aveva già fatto nel 2020, quando si imputava la continuità delle canzoni sanremesi alla pandemia e alla poca produzione musicale post Festival. Quest’anno il Direttore Artistico si è superato ulteriormente e nel successo non ci sono altre motivazioni se non la qualità dei brani. Anzi, non essendo la prima volta con lui è chiaro che questo successo non sia casuale.

Amadeus, proprio come Baudo negli anni Novanta, ha saputo diventare padrone di casa del Festival facendolo amare anche a chi lo snobbava. Anche a chi riteneva che durasse solo cinque giorni. Ha saputo mescolare le carte portando veterani come la Zanicchi, Ranieri e Morandi, ma anche giovani di assoluto prestigio come Blanco, Mahmood e Irama. Cocktail perfetto per un successo che con il senno di poi possiamo definire “sicuro”. Invece alla vigilia solo Amadeus credeva che le canzoni di quest’anno sarebbero andate davvero oltre il tempo del Festival. D’altronde lo dicevamo da sempre che la musica sarebbe stata al centro, ma poi non andava davvero così. La mossa definitivamente giusta di Amadeus è stata certamente quella di fare ascoltare tutti i brani entro la mezzanotte di ogni serata. Così ciascuno ha avuto il suo spazio durante il Festival e lo ha ottenuto anche dopo.

Sei brani nella top ten dei più venduti. Radio impazzite. L’effetto Festival non è ancora finito.

Se si pensa che tre anni fa, di questi tempi, si iniziava a mormorare come sarebbe stata organizzata l’edizione successiva, si capisce che deve essere accaduto qualcosa di importante.

Per esempio, la conferma di Amadeus già sin d’ora per le prossime due edizioni è una notizia che regala tranquillità a tutti. Alla concorrenza di aspiranti conduttori e direttori artistici che non devono passare mesi a rumoreggiare per farsi notare. Alla Rai, che può continuare a promuovere questo ultimo Festival senza l’ansia di creare un terreno fertile per chi arriverà l’anno prossimo. A noi, che sappiamo di essere in buone mani con un direttore onesto, simpatico, umile e competente. L’unico nella storia che ha presentato cinque Festivalbar e arriverà a cinque Festival di Sanremo. L’unico vero artefice di questo inarrestabile successo, che ora potrà lavorare con estrema tranquillità (e le dovute responsabilità) alla prossima edizione.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Franco Ferrara

Franco Ferrara fu fermato più volte da vari problemi di salute. Eppure la sua carriera iniziò a soli 5 anni

Direttori d’orchestra promettenti in giovane età, nella nostra rubrica, ne abbiamo incontrati tanti. Un Maestro nato come Franco Ferrara, però, non esiste da nessuna altra parte.

Il compositore di celebri colonne sonore e direttore d’orchestra di fama internazionale iniziò infatti la sua carriera a soli 5 anni. E non solo come passione, al pari di molti altri colleghi. Franco Ferrara, ancor prima di andare a scuola, cominciava un percorso che l’avrebbe portato a essere direttore d’orchestra. Tutto questo quando ancora, all’epoca tra le due Guerre, non esistevano corsi specifici per diventare Maestro.

Vediamo come in questa puntata di Musica Maestro, dedicata appunto a Franco Ferrara.

Nato a Palermo nel 1911, fu proprio nella sua città natale che iniziò gli studi al Conservatorio in età precoce. Studi che sarebbero stati completati appena dieci anni dopo, quando si trasferì a Bologna diplomandosi in violino, pianoforte, organo e composizione. In realtà la prima direzione d’orchestra avvenne ad appena nove anni. A Bologna, infatti, un’orchestra di allievi consentiva ai diplomandi di eseguire i lavori preparati durante il corso. Il ragazzo mostrava talento sin da subito.

Cominciò così un tirocinio presso i teatri e le istituzioni sinfoniche. In qualità di assistente, strumentista o anche di sostituto in caso di necessità, Franco Ferrara potè così accelerare il suo apprendistato, di fatto già cominciato da bambino. Poco dopo il diploma in violino entrò anche nell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Lì ebbe il privilegio di suonare insieme ad Arturo Toscanini.

La prima grande occasione, però, arriva quando a soli 20 anni entrò a far parte dell’Orchestra dell’Augusteo e, due anni dopo, nell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino.

Franco Ferrara stava facendo una grande gavetta da musicista, ma voleva prima di tutto diventare Direttore.

Dopo un lungo soggiorno a Firenze, fu il Maestro Antonio Guarnieri, di cui fu sostituto nel Parsifal nel 1931, a spingerlo definitivamente verso la professione che lo avrebbe segnato per tutta la carriera. Gli venne infatti affidata la preparazione dell’Orchestra del maggio musicale a Montecatini e, successivamente, diresse un concerto al Teatro Comunale di Firenze.

Tra le opere che potè dirigere anche la Quinta Sinfonia di Beethoven, la Traviata e la Cavalacata delle Valchirie.

Iniziò così una grande carriera internazionale che lo portò a dirigere e comporre per numerose tournèe all’estero, fino a diventare il Maestro della Berliner Philharmoniker. Nel 1939 il grande concerto a Roma, dove diresse l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Da quel momento Franco Ferrara lavorò per sei anni, fino al 1945, al Teatro Adriano della Capitale, non senza problemi. Nel 1940, infatti, mentre dirigeva la Sinfonia del Nuovo Mondo di Dvorak, ebbe un mancamento svenendo sul palco. Le difficoltà di salute lo costrinsero ad abbandonare anzitempo la professione di direttore d’orchestra nel 1948, proprio quando l’Italia era appena uscita dalla guerra e stava consegnandosi a una nuova era repubblicana.

Da quel momento il Maestro si dedicò alla direzione di musiche di film, senza più lo stress dei concerti.

Il nome di Franco Ferrara si legò così alle grandi pellicole di Fellini, Antonioni e Visconti e alla tv. Fu lui infatti a inaugurare musicalmente il secondo Canale nel 1961 quando ormai, oltre alla professione di Direttore, era diventato anche docente delle esercitazioni orchestrali e della lettura di partitura del Conservatorio di Roma. Franco Ferrara iniziò anche a tenere corsi di direzione paralleli al Teatro La Fenice di Venezia, a Siena, ma anche nei Paesi Bassi, in Svizzera, a Parigi e persino in Giappone e America. Tutto straordinariamente alla grande.

Anche l’attività di docente fu, però, interrotta da problemi di salute. Nel 1977 a fermarlo fu un ictus cerebrale, da cui incredibilmente si riprese pur se limitato nelle capacità percettive. In tanti hanno la sensazione che, senza tutti quelle difficoltà, Franco Ferrara avrebbe oscurato tutti gli altri giovani direttori con il suo talento. Ad ammetterlo, tra questi, anche Herbert Von Karajan.

Nel settembre 1985 gli venne assegnato il Premio Una Vita per la Musica a Venezia. Dopo appena sei giorni se ne andò, colto da un infarto.

 

 

 

 

Quest'anno i superospiti gareggiano. A partire da Elisa 1
Fabrizio Moro, terzo classificato al Festival nel 2008 con Eppure mi hai cambiato la vita


Prosegue il successo discografico di Sanremo 2022. E quello social di Gianni Morandi…


Gianni Morandi, quest’anno in gara a Sanremo con Apri tutte le porte, è arrivato in riviera lontano dai favori dei pronostici, per poi trasformarsi in outsider. Un ruolo che è cresciuto giorno dopo giorno. Dopo l’esibizione della terza serata in tanti avevano capito che quel “Stai andando forte” del ritornello fosse anche profetico. Con la vittoria nella serata dei duetti insieme a Jovanotti, Gianni Morandi era accreditato come possibile sorpresa finale. Comunque non vi erano più grandi dubbi circa il suo podio. Insomma, Apri tutte le porte rispondeva a ogni qualità che caratterizza da sempre le terze classificate. Outsider di grande impatto radiofonico, spesso disinteressati  alla hit parade. Brani di qualità, destinati a entrare nella storia a prescindere dalle classifiche.

Gianni Morandi sembra confermare questo trend.

Infatti la sua canzone continua a essere postata su numerosi social e in radio, nonostante per le Classifiche Fimi sia al quarantaduesimo posto dei singoli più venduti. Ma, nell’epoca di Facebook, Instagram, Tik Tok e via dicendo, forse conta ancora di più essere presenti sulle piattaforme web. Gianni Morandi, già precursore da tempo del fenomeno social, è così cresciuto ancora di più aumentando i suoi followers. Quelli che, numeri alla mano, qualche “brivido” forse lo hanno dato proprio ai due vincitori finali con la loro Brividi. La loro canzone è sempre la più venduta nei singoli, ma anche la vittoria all’Ariston, ovviamente, interessava e non poco. Lo sapeva lo stesso Morandi che, poco prima della proclamazione, ricordava a Mahmood e Blanco: “Non siamo qui per giocare, ma per vincere”. Vero. In ogni caso, ora che il secondo posto non viene più annunciato da qualche anno, a favore della proclamazione del vincitore, il terzo classificato, che invece è annunciato, ha sempre uno spazio al sole in più rispetto agli altri.

La terza posizione al Festival di Sanremo non è mai stata indifferente. Vediamo come è andata in passato.

A cominciare dall’anno scorso, quando il super favorito della vigilia arrivò sul terzo gradino del podio. Per Ermal Meta una delusione solo di classifica, perché Un milione di cose da dirti resta uno dei pochi brani rimasti della passata edizione.

Era andata così anche nel 2000, quando sempre Gianni Morandi arrivò terzo con Innamorato.

La canzone, scritta per lui da Cogliati e Ramazzotti, era da tutti accreditata come trionfatrice. Fu superata da Sentimento e La tua ragazza sempre, ma quel terzo posto profumava di qualità. Almeno quanto quello ottenuto da Gino Paoli due anni dopo con Un altro amore.

Ci sono poi quelle medaglie di bronzo ottenute dalle speranze della musica. La regola quando Dalla arrivava terzo con 4/3/43 nel 1971, diventava ancor più valida negli anni Novanta. Era quasi tradizione che sul terzo gradino arrivasse il vincitore dei Giovani dell’anno prima. Ne sono una prova Masini nel ‘91 (Perché lo fai), Vallesi nel ‘92 (La forza della vita), Pausini nel ‘94 (Strani amori), Syria nel ‘97 (Sei tu) fino a Moro nel 2008 (Eppure mi hai cambiato la vita). O addirittura la giovane vincitrice tra i Big del ‘95, che si classificò terza l’anno dopo con Strano il mio destino.

Canzoni senza tempo, eppure senza la responsabilità di essere considerata la prima degli ultimi. Senza il peso di aspettative eccessivamente elevate.

Tanto che, qualunque risultato arrivi, per chi si classifica terzo si tratta sempre di un grande Festival. Perché anzitutto rappresenta un nuovo percorso, un nuovo inizio che non era stato pronosticato.

Così andò nel 2020 con i Pinguini Tattici Nucleari, terzi all’Ariston con Ringo Starr e primi assoluti nelle vendite per diversi mesi. Così andò nel 2003, quando dietro ad Alexia e Britti si classificò Sergio Cammariere. Ed era andata così anche nel 1990 con Minghi e Mietta che avevano lanciato il tormentone più significativo del Festival: Vattene amore.

Ci sono poi quei terzi posti che non potrebbero essere diversi, perché è già un peccato non poterli vedere trionfare in edizioni ricche di successi. Il podio diventa un riconoscimento a metà tra un premio e una consolazione. Forse anche in questa categoria si inserisce quest’anno Gianni Morandi.

Sanremo 2021, la prima serata. Annalisa davanti a tutti
Annalisa, terza classificata a Sanremo nel 2018

Di sicuro ricordiamo sotto questo punto di vista Pupo e la sua Su di noi (1980), Albano e Romina con Nostalgia Canaglia (1987), Malika Ayane nel 2015, Caccamo e Iurato nel 2016 (Via da qui), Annalisa nel 2018 (Il mondo prima di te), Il Volo nel 2019 (Musica che resta).

Chi arriva terzo a Sanremo è destinato a entrare nel storia. Gianni Morandi può essere tranquillo: la sua è una posizione che “apre tutte le porte”.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Gil Cuppini

 

Gil Cuppini, figlio d’arte e Direttore che fece diventare il jazz un genere musicale italiano, da esportare all’estero 

 

Gil Cuppini è una delle figure di riferimento del jazz italiano, troppo spesso dimenticato. D’altra parte tendiamo sempre a considerare il jazz come un genere musicale importato dall’America e, dunque, poco appartenente alla nostra cultura. Invece nel secondo dopoguerra, anche in Italia il jazz contribuì non poco alla formazione di una nuova società. Il ritmo improvvisato e l’uso unitario di diversi strumenti, lasciava spazio alla creatività di grandi compositori e Maestri. Tra questi, Gil Cuppini rappresenta una eccellenza assoluta. Al punto da far conoscere il jazz italiano in tutto il mondo. Altroché appartenere solo agli americani…

La puntata di oggi di Musica Maestro la dedichiamo quindi a Gil Cuppini.

Figlio di un Direttore d’orchestra, Gil Cuppini nasce a Milano nel 1924. Appena terminata la seconda guerra mondiale, abbandona gli studi in medicina e nel 1945 diventa batterista di alcune importanti orchestre. Tra queste, quelle di Trovajoli e Pippo Barzizza. I Maestri erano insomma di grande prestigio. Le prime esibizioni sono all’Hot club di Milano.

Nel 1947 incide già i primi dischi col suo gruppo, il cui nome indica immediatamente come sia composta la band: Sestetto Jazz Gil Cuppini. È lui dunque l’elemento fondamentale del gruppo, insieme a Giorgio Gaslini che compone alcuni brani. Il successo è determinato anche dalla scelta di una delle etichette più importanti, La voce del padrone.

L’anno dopo arriva la svolta, abbandonando progressivamente lo swing per seguire la strada del BePop. Una scelta coraggiosa per l’epoca, che tuttavia lo premia in quanto trasforma la sua figura in un punto fermo per uno stile decisamente nuovo in Italia.

Dopo aver partecipato alla prima edizione del Festival del Jazz di Parigi nel 1949, nonché a Lugano e Bruxelles, Gil Cuppini prosegue la sua attività con numerose collaborazioni discografiche. Tra queste ricordiamo quella con lo svedese Lara Gullin nel 1959.

Ogni giorno si esibisce sulla radio nazionale con il suo complesso.

L’anno dopo vince la Coppa del Jazz, indetta dalla Rai con un quintetto formato da lui. Gli altri componenti sono Sergio Fanni, Ettore Righello, Eraldo Volontè, Giorgio Buratti.

Dopo ormai circa vent’anni di esperienza, Gil Cuppini forma la sua prima vera orchestra nel 1964.

Si chiama Concert Jazz Band e guarda a Woody Herman come modello di riferimento. Pochi anni dopo forma una sezione ritmica stabile che accompagna vari musicisti di passaggio a Milano, nel locale Capolinea.

Nel frattempo la televisione prende il sopravvento, ma Gil Cuppini preferisce rimanere fedele alla sua chiave interpretativa che non prevede tanto la visibilità quanto piuttosto la qualità.

Rimane così per scelta piuttosto nell’ombra rispetto ai grandi media, dedicandosi esclusivamente alla direzione d’orchestra.

Sul finire della carriera riceve il prestigioso riconoscimento Una vita per il jazz, mentre incide i suoi ultimi dischi con il gruppo Jazz Stars of Italy, insieme a Lino Patruno e Romano Mussolini.

In effetti la sua è davvero una vita per il jazz. A discapito di tanta popolarità televisiva, lui scelse sempre e solo la musica.

Probabilmente anche questo suo atteggiamento conferma l’idea popolare per cui il jazz non sia un genere che ci appartenga. Siamo da sempre abituati ad ascoltarlo e apprezzarlo in locali di nicchia o in radio, senza preoccupazioni di sentirlo rimbalzare in televisione.

Gil Cuppini seppe dirigere sempre con la massima discrezione, diventando un vero Maestro di riferimento. Inimitabile nel suo genere.

Fiorella Mannoia, seconda nel 2017, come Elisa era partita tra i super favoriti. Il suo nome una garanzia a prescindere da qualunque brano. La canzone emozionò tutti diventando una vincitrice morale


Elisa è solo l’ultima dei secondi classificati a Sanremo. Nell’epoca dei social ha sempre significato una vittoria morale.

Elisa, con O forse sei tu, continua a essere una delle artiste più ascoltate dell’ultima edizione del Festival di Sanremo. Le classifiche Fimi la vedono saldamente nella top Ten, nonostante le New entry di lusso (Paradiso, Cremonini, Marracash) delle ultime settimane. Elisa è sempre lì, nella graduatoria degli album e dei singoli più venduti. La sua O forse sei tu è piaciuta sin da subito per la sua atmosfera fiabesca, l’inciso sognante e quella dedica di un amore irrinunciabile e inimitabile.

È piaciuta al punto che è l’unica che si è contesa dalla prima all’ultima serata il primato con Brividi.

Certo, tutto merito di Elisa.

Una delle cantanti più internazionali che possiamo vantare e che tutti ci invidiano. Merito suo, ma non solo. Come la scorsa settimana parlavamo della fortuna degli ultimi posti di Sanremo, questa settimana vogliamo parlare dei secondi posti. Facciamo un excursus nella storia degli ultimi anni e ci renderemo conto che, con il televoto, anche il secondo posto ha sempre avuto una rilevanza nelle classifiche dei più venduti.

L’artista che ha raggiunto più volte la seconda posizione sul palcoscenico dell’Ariston è Toto Cutugno. In ben sei occasioni l’italiano vero ha sfiorato la vittoria. Come ebbe giustamente a dire in un Dopofestival passato alla storia anche per una sua lite leggendaria con i giornalisti, Sanremo gli ha dato molto ma qualcosa gli ha tolto pure.

In effetti il secondo posto molto spesso brucia, perché acuisce i rimpianti. Perché per qualcuno il secondo è solo il primo degli ultimi. Eppure non è proprio così. Arrivare secondi non porta a essere letti sull’albo d’oro dei vincitori assoluti, ma è garanzia di successo.

A testimoniarlo non ci sono solo la storia di Toto e il meraviglioso Sanremo 2022 di Elisa.

Proviamo a dimenticare per un attimo persino secondi posti storici come quelli di Irene Grandi nel 2000 (La tua ragazza sempre) o di Alex Britti (7000 caffè) tre anni dopo. Concentriamoci solo sull’epoca dei social e dell’esplosione di interesse per il televoto.

Eccoci al 2011. Roberto Vecchioni trionfa con Chiamami ancora amore, ma il successo non è scontato. Fino all’ultimo si gioca la vittoria con i Modà e Emma, dietro di lui con Arriverà.

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Emma, seconda nel 2011 con Arriverà, vinse nel 2012 con Non è l’inferno

Emma si rifà l’anno dopo vincendo, mentre al secondo posto arriva Arisa con La notte, altra canzone ancora oggi gettonatissima nei karaoke. È uno dei primi brani che meglio esprime la voce melodiosa di Arisa, fino ad allora conosciuta solo con canzoni allegre e ballabili a Sanremo. Anche in quel caso il secondo posto diventò un buon auspicio al tentativo successivo. Dopo il secondo posto di Elio e le Storie Tese nel 2013, nel 2014 toccò proprio ad Arisa la vittoria finale con Controvento. Subito dietro di lei Raphael Gualazzi, con Liberi o no. Il brano diventa in poco tempo una sorta di grande classico del jazz e dei pianobar.

Nel 2015 gli applausi sono tutti per la vittoria de Il Volo, ma la canzone più ascoltata in radio è del secondo classificato: Nek, con Fatti avanti amore.

La storia si ripete l’anno dopo, quando Francesca Michielin è in un certo modo considerata la vincitrice morale per il suo secondo posto con Nessun grado di separazione. Nel 2017, proprio come quest’anno Elisa, ad arrivare sul secondo gradino del podio è una interprete che fino alla vigilia era data tra i favoriti. A dire il vero era proprio la super favorita. Anche se la vittoria non arriva, Che sia benedetta fa conoscere Fiorella Mannoia anche alle generazioni più giovani, rilanciando ulteriormente la sua già formidabile carriera mai in declino. Porta bene anche la seconda piazza ben più sorprendente de Lo Stato Sociale nel 2018. Una vita in vacanza la ballano tutti come un tormentone e dopo quattro anni è ormai nella storia del Festival.

Brucia ancora il secondo posto di Ultimo che, nel 2019, era convinto di doversi giocare la vittoria con Irama e invece fu superato da Mahmood.

I tuoi particolari, però, è una melodica poesia che, come quella di Elisa, fa vibrare per la sua intensità.

E risulta una delle più vendute di quell’anno. Il duello Diodato-Gabbani non si limita solo alla gara dell’Ariston nel 2020. Anche in piena pandemia, agevolati probabilmente da una discografia ferma, i due si giocarono il primato nell’hit parade. Viceversa diventa uno dei pezzi più importanti del repertorio di Gabbani, ma anche la conferma che arrivare secondi non è poi tanto male. Forse anche per questo non brucia molto a Fedez e Francesca Michielin la mancata vittoria del 2021. Arrivano secondi con Chiamami per nome, canzone che raggiunge presto il primo posto della classifica Fimi. Le atmosfere del brano emozionano tutti.

Insomma, Elisa probabilmente non si sarà dannata l’anima quando è stata proclamata la classifica finale quest’anno. L’hit parade la premia, come da tradizione ormai. Nell’epoca dei social e del televoto, arrivare sul podio è già una vittoria quasi certa. Forse ancor più di un tempo. Le canzoni che abbiamo citato, il lettore più disattento circa l’albo d’oro del Festival potrebbe anche confonderle per quelle vincitrici. Senza, ovviamente, alcuna offesa per chi quella Palma se l’è portata a casa veramente…

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Gianfranco Lombardi


Nato a Napoli, Gianfranco Lombardi concluse la carriera dedicandosi sempre alla musica partenopea.

Gianfranco Lombardi è uno di quei nomi che per tanti anni abbiamo sentito pronunciare al Festival di Sanremo. Tanto da considerarlo parte integrante del palcoscenico dell’Ariston. Uno di quei nomi che non poteva mancare nella kermesse. Se chiudiamo gli occhi e ripensiamo a lui, ci viene subito in mente quel signore che dirigeva con discrezione ed eleganza. Il gesto con cui muoveva la bacchetta sembrava quasi disegnare un cerchio: un movimento rotondo che rendeva qualunque canzone un’espressione profondamente poetica.

Un gesto che descriveva lo stesso Maestro. Persona discreta, delicata, che raccontava la gentilezza del suo animo proprio dirigendo l’orchestra. Vale la pena ricordare, però, chi fosse e cosa abbia fatto in tutta la sua carriera.

La puntata di oggi di Musica Maestro è quindi dedicata a Gianfranco Lombardi.

Nato a Napoli durante la seconda guerra mondiale, si trasferisce non ancora ventenne a Milano, dove inizia subito la carriera musicale suonando il basso ne I Ribelli di Adriano Celentano.

Ben presto viene notato dalla casa discografica Ariston, che gli affida arrangiamenti per i brani di Mino Reitano. Giovanna e Rosanna Fratello.

Nel 1968 viene chiamato a dirigere l’orchestra di Ornella Vanoni. A soli 27 anni, dunque, Gianfranco Lombardi è già un Maestro affermato.

Il primo grande successo arriva subito l’anno dopo, quando Ornella Vanoni vince al Festival di Venezia con L’appuntamento.

Il sodalizio di Gianfranco Lombardi con la cantante della mala prosegue a lungo, realizzando gli arrangiamenti di gran parte dell’album del 1972, Un gioco senza età. Tra gli altri, è sua la produzione musicale di Domani è un altro giorno, scritta da Calabrese e Chesnut.

È Gianfranco Lombardi, per ammissione della stessa Vanoni, l’unico filo conduttore tra i suoi lp fino al 1979 (Oggi le canto così, in cui il Maestro dà nuova linfa pop ai successi anni ‘60 della cantante). Tutti dischi molto diversi ed eterogenei, con differenti etichette. Eppure tutti accomunati dall’orchestra del Maestro, sempre presente. Ne nascono così perle preziose come il disco La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria, che vede l’incontro di Ornella con Toquinho e Vinicius de Moraes.

La carriera di Gianfranco Lombardi, però, non si lega solo a quegli album.

Anzi, è proprio in virtù delle numerose collaborazioni artistiche che sviluppa negli anni Settanta una grande credibilità come Maestro di riferimento.

Lavora infatti con Mina, Califano, Patty Pravo, Mia Martini, Sergio Endrigo: tutti i più grandi artisti italiani sono diretti da lui. Un uomo in grado di guardare anche oltre e spingersi verso mondi e artisti fino ad allora inesplorati. Lo confermano l’arrangiamento della colonna sonora del film State buoni se potete, per Angelo Branduardi, per il film di Squitieri L’ambizioso. In effetti si rivela sempre più ambiziosa anche la stessa carriera del Direttore che, ancora con Branduardi, arriva anche in Francia dirigendo l’orchestra Sinfonica di Lussemburgo.

L’amore per la musica pop però non finisce, così dopo aver lavorato anche per Franco Simone, Drupi (suoi gli arrangiamenti di Piccola e fragile e Vado via) e Riccardo Fogli, ecco che nel 1987 torna alla ribalta con una produzione internazionale.

Gianfranco Lombardi dirige infatti Umberto Tozzi e Raf nella celebre Gente di mare, che partecipa all’Eurovision Song Contest di Bruxelles classificandosi terza.

Sono anni in cui il Maestro elegante diventa, nei limiti della sua infinita discrezione, un personaggio conosciuto dalla tv.

Partecipa infatti a Fantastico, Stasera Ljno, Il caso Sanremo, Serata d’onore. Ma, soprattutto, è lui a trasformare il ballo del qua qua nella famosa sigla di Paperissima, fatta di rallentamenti ed accelerazioni ad hoc per creare quell’effetto straniante e storpiante che riecheggiasse le gaffes del programma.

Negli anni ‘90 Lombardi cura le musiche di A me gli occhi bis, con Gigi Proietti. È sempre lui a dirigere per la prima volta l’Orchestra Italiana di Renzo Arbore, collaborando attivamente alla sua formazione.

Attento alle nuove proposte musicali, il Maestro dirige tutti i cantanti  dell’edizione 1996 di Sanremo Giovani e, pochi mesi dopo, viene chiamato come direttore musicale del Festival di Sanremo. Il ruolo gli apparterrà per cinque anni consecutivi. Le introduzioni dall’atmosfera magica, senza grandi trionfalismi ma con un approccio sereno, saranno il suo marchio di fabbrica.

Sempre sorridente, silenzioso e mai presenzialista, Gianfranco Lombardi è già a inizio secolo un Maestro d’altri tempi, che riallaccia il pubblico televisivo con un tipo di spettacolo destinato a diventare solo un ricordo.

Per questo viene chiamato, dopo Bongiorno, Vianello, Fazio e Carrà, da altri Signori. Nel 2003 dirige infatti Iva Zanicchi in Fossi un tango e, nel 2005, Nicola Arigliano in Colpevole. Con questa vince così il Premio della Critica Mia Martini e si lascia coinvolgere in un divertente siparietto finale con il cantante.

Gli ultimi anni della sua carriera, Gianfranco Lombardi li dedica alla musica classica.

Scrive arrangiamenti per brani di Chopin, Beethoven, Debussy e Schubert e, con lo stesso atteggiamento, trasforma i pezzi della storica canzone napoletana in qualcosa di estremamente orchestrale.

Continua la sua attività al fianco di interpreti come Baglioni, Albano e Bocelli e, nel 2012, regala l’ultima perla. Arrangia infatti i brani della fiction Rai, Caruso.

In qualche modo, quel gesto rotondo che gli appartiene, va a chiudere il cerchio con le sue origini partenopee. Perché le proprie radici non si lasciano mai e chi, come Lombardi, ha dei valori lo sa bene. Anche per questo i Maestri d’orchestra spesso sono Maestri nella vita: i titoli non sono mai dati a caso. 

Silenziosamente, con la sua consueta discrezione, se ne va nel 2020, lasciando la sensazione che quel modo di dirigere rimarrà ineguagliabile.

 

Elio e Le Storie Tese arrivarono ultimi a Sanremo nel 2018, come Tananai quest’anno. Eppure io destino non è mai stato avverso agli artisti dopo quel piazzamento


La parabola di Tananai: ultimo a Sanremo, fenomeno sui social


Tananai, anche l’ultimo in classifica a Sanremo quest’anno riscuote successo e popolarità. È anche così che si spiega la conferma di Amadeus (giunta ieri) al timone del Festival per altri due anni.

Non è certo la prima volta che l’ultimo in graduatoria ottiene un riscontro nelle vendite e negli ascolti radiofonici, ma Tananai rappresenta un caso quasi raro nell’epoca postmoderna del Festival. Da quando vige il televoto, infatti, non esiste più il binomio vincitore-delusione. Di conseguenza, chi si è classificato nei bassi fondi poi non ha praticamente mai sfondato. La gara decisa dal pubblico suona già come una sentenza, non sempre presa sportivamente dai Big della musica messi da parte dal televoto.  Tananai invece ha sfruttato l’onda. Con grande autoironia ha inanellato una serie di post divertenti, facendosi parte nel mercato musicale. Ha prima di tutto ammesso di sperare in 24 rinunce per approdare all’Eurovision Song Contest. Poi ha dichiarato ufficialmente di voler prendere parte a Una voce per San Marino, ma mancavano le condizioni per farlo essendo in ritardo. Dunque ha annunciato l’intenzione di gareggiare alla kermesse di Torino difendendo i colori della Svizzera. Comunica molto Tananai e, così, è riuscito a scherzare accendendo la curiosità del pubblico che non l’aveva votato. Il brano, Sesso occasionale, racconta la storia di un amore iniziato per gioco e scopertosi, tra mille gelosie, un sentimento vero.

Accusato di esecuzioni vocalmente non perfette, Tananai ha saputo scherzarci sopra e ora non si ferma più.

Le ultime pubblicità affisse sui muri recitano così: “Tananai? Chiamare 3884707114”. Se si telefona a questo numero, non risponderà lui ovviamente ma una segreteria telefonica attiva 24 ore su 24 per due settimane. Il cantante milanese racconta, ai curiosi che chiamano, aneddoti della sua quotidianità e sulle sue attività in quell’orario. Tutto condito da un “Ti voglio bene” sulla fiducia al chiamante che, qualora volesse, può anche lasciare un messaggio nella speranza che Tananai gli risponda.

Criticabile e opinabile, ma in ogni caso geniale questa strategia del primo ultimo classificato di successo dell’era postmoderna. Negli ultimi anni il televoto aveva affossato nomi eccellenti, mietendo vittime di lusso. Nel 2018 Mario Biondi fu davanti solo a Elio e le Storie Tese, l’anno dopo la maglia nera toccò a Nino D’Angelo. Per non parlare delle eliminazioni di Albano, Ron e D’Alessio, che nel 2017 indussero qualcuno ad affrettati giudizi di un’era ormai conclusa. L’ultimo posto a Sanremo non ha ovviamente messo in discussione la carriera di nessuno di loro. In compenso, quei brani passarono prestissimo nel dimenticatoio.

Tananai con il suo ritornello “Baby ritorna da me e metti via quella pistola”, invece, è ancora nella top 10 dei brani più venduti.

In un mese ha superato i 400 mila ascolti su Spotify e ha saputo conquistare tutti con la sua simpatia. Nell’era dei social serve anche tutto questo per fare ascoltare la propria musica.

Umberto Tozzi, ultimo classificato a Sanremo nel 2000 con “Un’altra vita”

 

Probabilmente il ragazzo avrà anche toccato qualche amuleto, sentendosi subito paragonato agli ultimi posti eccellenti della storia sanremese. D’altronde i numeri dicono che lui sia in grado di poter reggere quei confronti, almeno limitandoci agli inizi della carriera di certi artisti. Pensiamo al penultimo posto di Vasco Rossi (Vita spericolata) nel 1983,  a quello di Ruggeri (Nuovo swing) nel 1984 quando arrivarono ultimi gli Stadio, quindi al penultimo piazzamento di Zucchero l’anno dopo con Donne e nel 1986 con Canzone triste (ultimi sempre gli Stadio con Canzoni alla radio). Nel 1994, nel 2000 e nel 2003 non furono capiti brani di artisti come Califano, Tozzi e Iva Zanicchi. Si potrebbe proseguire con l’eliminazione nel ‘95 di Gio Di Tonno, il cantautore che prima di farsi capire a Sanremo dovette fare la fortunata gavetta a teatro con il musical. Per non parlare dell’ultimo posto dei Bluvertigo nel 2001 con L’assenzio e di quello dei Timoria (Pedrini e Renga) l’anno dopo. Proseguiamo con il penultimo posto di un certo Pacifico nel 2004.

C’è chi ancora non vuole credere che i Negramaro nel 2005 furono eliminati con Mentre tutto scorre, proprio come i Modà (Riesci a innamorarmi).

Destino che era già capitato a Celentano con Il ragazzo della via Gluck nel 1966. Insomma per tanti anni ci siamo detti che fosse meglio arrivare in fondo alla classifica di Sanremo. Da quando c’è il televoto ce lo eravamo dimenticati. Tananai ha risvegliato questo sentimento, che lui ha saputo far diventare uno status symbol a colpi di twit esaltanti.

Il ragazzo, che all’anagrafe sembra un conte dal doppio cognome (Alberto Cotta Ramusino), tre mesi fa era sconosciuto ai più. Ha passato le selezioni di Sanremo Giovani a dicembre, diventando subito un Big. In un altro anno avrebbe vinto nella sua categoria per diventare Big l’anno dopo. Ha dovuto bruciare le tappe Tananai, ma è riuscito a farlo benissimo entrando subito nei cuori della gente. Uno dei vincitori di Sanremo è lui, quel romantico tamarro di Milano.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata ad Armando Trovajoli

Il 28 febbraio di otto anni fa se ne andava Armando Trovajoli, inventore di un nuovo modo di fare musica

Armando Trovajoli è uno di quei nomi che, quando lo si legge tra gli autori di una produzione artistica, dà sempre la sicurezza di riaffacciarsi a qualcosa di qualità. Si ha la sensazione di tornare ad antichi sapori, di un’epoca irripetibile eppure viva nella memoria proprio grazie a musiche come le sue. Armando Trovajoli è legato infatti a numerose colonne sonore di spettacoli tra gli anni ‘50 e gli anni ‘70. Oggi, 28 febbraio, nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa avvenuta nel 2013, vogliamo ricordarlo nella nostra rubrica Musica Maestro.

Già, perché Armando Trovajoli era prima di tutto uno dei più grandi Direttori d’orchestra.

Nato ancora durante il primo conflitto mondiale (1917), bambino prodigio, molto presto iniziò a suonare il violino.

A soli 20 anni, diplomatosi in pianoforte, entrò prima nell’Orchestra di Rocco Grasso e poi, due anni dopo, in quella di Sesto Carlini. Per Trovajoli quello fu lo sbocco verso il jazz, in una delle formazioni più importanti dell’epoca.

A 27 anni fondò il Club del ritmo, un gruppo di sei elementi, compresa la voce di Anna Maria Dionisi, che iniziò a esibirsi in vari teatri romani.

Terminata la Seconda Guerra Mondiale, poté finalmente completare gli studi al Conservatorio. Nel 1949, suonando insieme a Gorni Kramer e Gil Cuppini, rappresentò l’Italia al Paris Jazz Festival.

Da quel momento arrivarono una serie di incisioni discografiche, passate alla memoria per il titolo Musica per i vostri sogni. La raccolta porterà particolare fortuna a Trovajoli che, così, si affacciò presto anche al mondo della radio. Fu infatti uno dei primi a proporre in alcune trasmissioni dei contenuti jazzistici che unissero pianoforte e violino.

Questo lo portò a collaborare alla composizione delle musiche di Riso amaro, nel 1949.

La svolta di Armando Trovajoli arrivò così proprio a inizio anni ‘50.

Riconosciuto come un istrione capace di creare novità in un Paese che necessitava di ripartire con convinzione, fu chiamato dalla Rai per dirigere un’orchestra di musica leggera. Il Maestro impostò così un organico di trenta elementi, uno dei quali (al pianoforte) era lui stesso. Il Direttore d’orchestra, per Armando Trovajoli, doveva essere infatti mettersi in discussione quanto gli altri, vivendo in prima persona l’orchestra. Solo così avrebbe potuto tenere in pugno l’intero gruppo.

Fu infatti Maestro senza mai smettere di essere diretto da altri Direttori: nel 1951 suonò musiche di Gershwin al San Carlo di Napoli sotto la direzione di Rodzinsky e a Roma sotto la guida di Willie Ferreri.

Competenza e umiltà al tempo stesso.

Qualità notate immediatamente anche da Dino De Laurentiis, che nel 1951 lo ingaggiò per comporre la colonna sonora di Anna. Nel film di Lattuada, Silvana Mangano (con la voce di Flo Sandon’s) interpretava e ballava la celebre El Negro Zumbón, che si caratterizzava per i suoi ritmi tropicali.

Fu così che iniziò la carriera nel mondo del cinema per Trovajoli.

Nel frattempo, alternandosi con il Maestro Piero Piccioni, per due anni fu protagonista del programma musicale Eclipse. Lì si capì una volta di più la sua voglia di cambiare i canoni orchestrali della radio, andando sempre a ricercare un tipo di musica più sofisticata.

Nel 1953 diresse Flo Sandon’s esordendo al Festival di Sanremo con Viale d’autunno e fu subito vittoria.

Nel 1958 fu proprio Armando Trovajoli a fondare la prima Orchestra Stabile di Musica Leggera della Rai. A lui dobbiamo quindi l’organizzazione di uno degli ensemble più importanti d’Italia, per come lo conosciamo oggi.

Tanti i successi canori composti dal Maestro, ma niente fece letteralmente la storia quanto Roma nun fa la stupida stasera. Il brano, con le parole di Garinei e Giovannini, diventò un must della nostra musica grazie al suo fascino avvolgente e romantico.

Era il 1961, si trattava della colonna sonora di Rugantino, a teatro. In realtà la commedia doveva essere da subito un film (che sarebbe arrivato poi nel ’73 con Celentano protagonista), ma il cinema non mancò affatto nella sua carriera.

Prendete un film importante di quegli anni, uno qualunque: la colonna sonora nel 50% dei casi sarà di Armando Trovajoli.

La ciociara, I Mostri, Ieri, oggi e domani, Operazione San Gennaro, tante pellicole di Totò e Peppino: le musiche del cinema italiano anni ‘60 videro molto spesso la firma del Maestro. Tanti registi si affezionarono a lui, da De Sica a Risi, Scola, Magni e Vicario.

Parliamo di un compositore che sapeva unire il jazz al lato più romantico e altresì malinconico. Come fece poi, nel 1975, con la colonna sonora di Amici miei.

Sempre in quel periodo, nel ‘74, iniziò un’altra avventura di successo, sebbene complicata per Trovajoli: quella di Aggiungi un posto a tavola.

La commedia di Garinei e Giovannini non era il suo debutto teatrale, come abbiamo visto. 

Nel 1974, dunque, fu chiamato ancora da Garinei e Giovannini per la commedia con Johnny Dorelli. Armando Trovajoli, ateo, trovò particolari difficoltà nel comporre canzoni adatte a quella storia. Eppure lo fece benissimo, con brani che ancora oggi sono nella storia per la loro straordinaria e allegra coralità.

Già, la coralità. Parola misteriosa per molti, ma non per Trovajoli: uno che sapeva dirigere solo se tra i musicisti c’era lui stesso, insieme agli altri. Perché la musica unisce e viene vissuta insieme.

Sanremo 2021, il trionfo dei Maneskin 4
La Rappresentante di Lista alla serale finale del 71 Festival di Sanremo. Sanremo (Italia), 6 marzo 2021. Foto di Marco Piraccini

Dove si balla e Ciao Ciao testimoniano la voglia di danzare, uscendo da una profonda crisi durata due anni. E infatti sono subito inni popolari. Ossia tormentoni.

Dove si balla. “Non ha ambizioni di podio, almeno sulla carta, ma il suo è uno dei brani più attesi dalle radio. Senz’altro sarà un alternativo che lascerà il segno”. Così avevamo annunciato il 15 gennaio scorso. Poco più di un mese dopo siamo qui ad ammettere che non solo la profezia si era rivelata vera, ma anche che Dove si balla è riuscita a fare qualcosa di più.

L’anno scorso, infatti, avevamo parlato, qualche settimana dopo il Festival, delle hit sanremesi in grado di diventare tormentoni. Un successo che non tutti si possono permettere. Una cosa è arrivare in radio e acquisire una popolarità unanime, altra cosa è diventare tormentone al punto da creare uno slogan ripetuto da tutti.

Dove si balla, la canzone di Dargen D’Amico classificata al nono posto a Sanremo 2022, ci è riuscita. 

La dinamica che porta il brano a essere considerato un tormentone è praticamente la stessa già vista in passato. Dove si balla, in effetti, è un po’ una versione aggiornata di Una vita in vacanza (Stato Sociale, 2018), per atmosfere, passione, confusione. Non è una canzone che richiede di saper cantare: in fondo, basta avere la foga utile anche per i cori da stadio ed ecco che anche questa entra subito nella testa per non stacccarsi più.

Come un anno fa il tormentone di Colapesce e Di Martino, anche Dove si balla incita a quella sana voglia di danzare, di dedicarsi alla musica e alla sua leggerezza. Lo fa con un tono scanzonato e ironico, che non ha avuto alcuna soggezione del palcoscenico dell’Ariston e tantomeno ora del giudizio popolare.

“Fottitene e balla” titolano alcuni cartelloni pubblicitari nelle strade (proprio come l’anno scorso Musica leggerissima, il cui testo ricorreva nelle affissioni sui muri).

Niente di nuovo, in pratica. Eppure la voglia di ballare anche questa volta fa centro.

Dove si balla è un tormentone di Sanremo 2022, confermato anche dalle classifiche Fimi che vedono la canzone saldamente al quinto posto delle vendite da ormai tre settimane.

Lo fa con la semplicità di parole che si vanno a ripetere insistentemente su un ritmo che induce a una danza di gruppo.

Non è però l’unico tormentone dell’ultimo Festival.

Per tutti, Sanremo 2022 sarà sempre identificato con Ciao Ciao de La Rappresentante di Lista. Settimi all’Ariston, terzi in classifica, i due ragazzi alternativi sono piaciuti sin dalla prima sera (quando erano addirittura secondi nella graduatoria generale dietro a Mahmood e Blanco) anche alle giurie festivaliere.

La loro è una canzone costruita proprio per essere un tormentone. Non sono solo le parole del titolo a ripetersi infatti per due volte consecutivamente, ma praticamente tutto il ritornello. Con una logica vicina al Gioca jouer di Cecchetto, anche Ciao Ciao si serve di un ballo che coinvolge le varie parti del corpo, nominandole.

Sono riusciti a realizzare qualcosa di semplice e altresì originale proprio per la sua facilità di memorizzazione. In realtà è molto più impegnativa da cantare, richiedendo una certa interpretatività, che i due protagonisti sanno mettere grazie a tutta la loro esperienza teatrale.

Quel che sorprende, però, è che in questo Festival vi siano ben due veri tormentoni.

Entrambi tendono a farci ballare. A memoria, un record così non si era mai visto a Sanremo, dove specie negli ultimi 30 anni c’era da leccarsi le dita ad ascoltare più di una canzone in radio per tre settimane. Questa volta sui network continuano a passare quasi tutte le canzoni (in deciso recupero anche Sei tu di Fabrizio Moro questa settimana), ma soprattutto vi sono ben due tormentoni. Entrambi, peraltro, classificati ben lontani dal podio finale il 5 febbraio scorso.

Che succederà in questi casi? Resteranno due successi nella memoria o sono destinati ad annullarsi l’uno con l’altro perché il tormentone deve essere uno?

La storia dei brani estivi dimostra che possono convivere anche due (non di più) tormentoni contemporaneamente. Ecco così spiegato perché, a quasi un mese di distanza, Sanremo 2022 continua a far ballare anche le classifiche: i suoi due brani più ricordati e martellanti spingono proprio a queste danze.

Per la cronaca, tra gli album più venduti da ieri Elisa ha superato Mahmood e Blanco. Nei singoli, quasi tutta la top 10 è ad appannaggio del Festival.

 

 

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