Area Sanremo, al via la call per accedere al Festival 3


Tutto è pronto, i direttori d’orchestra scaldano i motori. Vediamo chi sono

Direttori d’orchestra in prima linea. L’attesa cresce inesorabilmente con il passare delle ore, adesso che manca sempre meno all’inizio della 72esima edizione del Festival di Sanremo. Domani sera saranno sul palcoscenico dell’Ariston i primi Big, ma gli occhi come sempre sono puntati anche su di loro: i direttori.

Sono il sinonimo della liturgia festivaliera, anche nella loro presentazione.


Il conduttore annuncia i cognomi degli autori, quindi il titolo della canzone. E, appena prima del nome dell’interprete, pronuncia la fatidica frase: “Dirige l’orchestra…”.


Già questo basta a ricordarci quanto sia importante il ruolo dei direttori a Sanremo. E lo sappiamo bene noi che, da quasi un anno, li raccontiamo ogni settimana nella rubrica Musica Maestro.

Anzi, a proposito di alcune polemiche sorte negli ultimi giorni, i nostri lettori avranno avuto modo di comprendere meglio i temi di discussione.

Tutto ruota intorno alla partecipazione di Francesca Michielin tra i direttori d’orchestra, nel suo caso a supporto di Emma Marrone.

In molti, a cominciare da Vince Tempera, hanno criticato la presenza della giovane veneta in quanto ancora non diplomata come Maestro.

Lo diventerà comunque presto. Ma il punto che è emerso è indiscutibilmente un altro. Oggi come oggi in tanti possono fare i Direttori d’orchestra a Sanremo. Perché? Per gli stessi motivi che ci sono stati raccontati nelle nostre interviste che hanno caratterizzato la prima parte di Musica Maestro. Alcuni sono reali, altri un po’ meno.

Anzitutto ormai molte sequenze sono preregistrate. Ecco perché a dirigere spesso c’è chi ha arrangiato la parte finale del brano.

E poi c’è il click.

Quel famoso meccanismo di cui tutti ci hanno parlato, per cui i direttori sarebbero aiutati nel loro lavoro. Questo è un mito, almeno in parte, da sfatare su cui molti stanno generando confusione. Il click ha sostanzialmente la stessa validità di un metronomo. Fa parte delle evoluzioni che la tecnologia concede, per cui oggi i direttori d’orchestra sono muniti di cuffie dentro a cui potranno sentire tutti gli strumenti, con un aiuto a dare gli attacchi. Si badi bene, però, che non c’è un automatismo nella direzione. Insomma, non si può fare tutta la colpa al click. Piuttosto bisognerebbe ripristinare in primo piano il ruolo dell’orchestratore. Ossia di chi ha composto la partitura per l’orchestra, rendendola eseguibile su quel palcoscenico.

In ogni caso, le polemiche su spegneranno presto proprio perché Francesca Michielin sta per diplomarsi. E allora festeggiamo, piuttosto che lamentarci: una donna dirigerà a Sanremo. È sempre un evento raro. Lo è ancora troppo nel 2022.

Ma vediamo chi sono gli altri direttori di questa edizione.

Vedremo Claudio Junior Belli per dirigere Fabrizio Moro. Enzo Campagnoli per Michele Bravi. Valeriano Chiaravalle per Matteo Romano. Luca Faraone per Rkomi. Fabio Gurian per Ditonellapiaga con Rettore. Will Medini per Elisa. Enrico Melozzi per Ana Mena, Giusy Ferreri, Highsnob e Hu. Danilo Minotti per Iva Zanicchi. Mousse T. per Gianni Morandi. Stefano Nanni per Giovanni Truppi. Carmelo Patti per AKA 7even, Mahmood e Blanco. Adriano Pennino per Massimo Ranieri (il direttore tecnico sarà Massimo Morini, ecco qui la sua intervista per scoprire cosa significhi il suo ruolo). Andrea Rodini per Noemi. Giuseppe Vessicchio per Le Vibrazioni. Sì, dopo la notizia circolata nei giorni scorsi circa la sua positività al Covid, Vessicchio è guarito ed è pronto a dirigere, mantenendo saldo il suo record di partecipazioni. Sale infatti a 27 presenze, seguito dalla 21esima partecipazione di Adriano Pennino.

A questo punto attendiamo domani sera. Musica361 vi racconterà ogni serata del Festival in diretta. Sarà una grande occasione per vivere insieme questo Festival!
Sanremo può cominciare. E allora è proprio il caso di dirlo, Musica Maestro!

Appello Sanremo 2020: Musica361 presente!
Da Sangiovanni a Rkomi. Ecco chi sono gli esordi sorprendenti e perché saranno tra k Big


Verso Sanremo 2022: tutti quegli esordi sorprendenti nel Festival con il cast più ricco


Esordi a Sanremo ne abbiamo? Decisamente sì. Sebbene quella del 2022 sia l’edizione che conta più vincitori del passato in assoluto (7), nonché grandi veterani, non mancherà lo spazio per i debuttanti. Giovani già affermati (più o meno) che faranno i loro esordi all’Ariston proprio nella 72esima edizione. Parliamo di quei cantanti che molti hanno dovuto cercare su Internet chi fossero. Quelli per cui, senza troppi giri di parole, si sente dire “Ma questo sarebbe un Big?”. I criteri di scelta sono molteplici, a partire dalle vendite, i featuring giusti. Insomma si può essere Big a Sanremo senza essere ancora eccessivamente noti. Ma basta un Festival per essere consacrati, la storia insegna.

Vediamo allora nel dettaglio quali sono gli esordi che vedremo nei prossimi giorni.

Partiamo dal più conosciuto. Quello che le ragazzine sperano arrivi sul podio. Quello che nessuno si augura sesto, almeno per evitare indecorosi meme che ricorderebbero la città lombarda. Parliamo naturalmente di Sangiovanni. Diciannove anni appena compiuti. Ha lasciato il liceo per dedicarsi alla musica. Non è certo nuovo a esordi importanti.

Lo scorso anno ci ha leggermente massacrato il cervello con il tormentone per cui le lancette vanno strette. Cosa intendesse esattamente non lo si è ancora capito, ma Malibù la cantano davvero tutti. E se non la cantano, perlomeno la sanno. Dunque dopo il debutto ad Amici, ha lanciato prima Lady, quindi appunto Malibu fino ad arrivare a Perso nel buio, con Madame. A Sanremo canterà Farfalle. E c’è da giurare che balleremo tutti la sua canzone.

Al Festival vedremo anche Aka 7Even.

Anche per lui ci sono già stati esordi importanti, tutti ai talent. Ha infatti partecipato a X-Factor nel 2017 prima di fare amicizia con la Maria Nazionale. Bisognerebbe capire perché li chiamino tutti Amici se poi si fanno la guerra continuamente in quella trasmissione, in ogni caso stavolta non ci sarà spazio per polemiche che vadano oltre la musica. Dopo i successi delle ballate Mi manchi e Loca, il cantante promette bene di appassionare con un altro brano a suon di dance: Perfetta così è la sua canzone. Se lo dice lui, possiamo sperare sia vero…

A proposito di esordi sorprendenti di cui molti si sono informati solo recentemente sul web, a Sanremo 2022 ci sarà Hu.

Si tratta di una cantante italiana. Il suo nome è Federica Ferracuti, classe 1994. Il nome d’arte deriva da quello degli dei dell’Antico Egitto. In ogni caso questo è davvero l’esordio degli esordi, perché di lei non si conosce quasi nulla. Evidentemente aver interpretato le colonne sonore degli spot per Lamborghini e Chiara Ferragni basta a farla essere nei Big a Sanremo. La musica è anche questa. Canterà con Highsnob (Michele Matera), un altro al debutto. Il loro brano si intitola Abbi cura di te. 

Sarà la prima volta anche per Ana Mena. La cantante spagnola arriva da due estati di fuoco in cui ha lanciato con Rocco Hunt importanti successi. A un passo dalla luna e Un bacio all’improvviso l’hanno lanciata definitivamente nell’Olimpo delle grandi. Lo scorso anno ha lanciato in spagnolo il tormentone festivaliero di Colapesce e Di Martino, Musica leggerissima. Senz’altro ci farà ballare e tanto. Più di quanto fece due anni fa. In effetti il suo è un debutto in gara, ma sul palcoscenico dell’Ariston ci già stata nel 2020 quando fu ospite di Riky nella serata delle cover. Quella volta cantavano L’edera di Nilla Pizzi. Quest’anno canterà Duecentomila ore.

E infine non possiamo non chiudere questa attesa verso Sanremo 2022 con l’esordiente che molti danno come possibile outsider.

Parliamo di Rkomi.

Rapper milanese dalla cifra filosofica ( un suo brano celebre si ispirava al Dasein Sollen di Heidegger) vanta grandi collaborazioni. Marracash, Sfera Ebbasta, Elodie sono solo alcune tra queste.

Canterà Insuperabile, che parla di un parallelismo tra un amore conflittuale e le auto sportive.

Insomma tutto è pronto, Sanremo 2022 ha i suoi 25 Big che abbiamo conosciuto in queste settimane.

Sanremo è Sanremo. Tra veterani, esordi e grandi ospiti ci appassionerà, alla faccia di chi lo critica ogni anno per poi guardarlo costantemente.

Non ci resta che viverlo insieme, già a partire da lunedì con una puntata speciale della nostra rubrica Musica Maestro. Dunque, come direbbe Vessicchio dirigendo Elio e le Storie Tese, pronti, partenza, via!

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Giampiero Boneschi


Con la musica si deve sempre sorprendere: questa era la filosofia di Giampiero Boneschi


Giampiero Boneschi è un genio, disse un giorno Ennio Morricone. E se lo asseriva il grande Maestro, c’è da crederci. D’altra parte anche tra Direttori d’orchestra c’è spesso una rivalità che impedisce di riconoscere i meriti dei colleghi. La definizione di “genio” non è mai banale per un musicista, che fa dell’arte e della voglia di sorprendere la propria vita. Già, sorprendere facendo giocare il pubblico con la fantasia a suon di note. Quante volte lo abbiamo visto, fin qui, a proposito dei Direttori d’Orchestra.

Ma chi era Giampiero Boneschi? La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata proprio a lui.

Giampiero Boneschi proprio tra pochi giorni festeggerebbe il suo compleanno. Nacque infatti il 31 gennaio 1927 a Milano. Sì diplomó al Conservatorio in Cultura generale musicale e in pianoforte, dopo aver studiato ingegneria al Politecnico.

A fine anni ‘40 entró, giovanissimo, nell’Eiar suonando in trio con Gambarelli e Mojoli. Entrò così nell’Orchestra di Gorni Kramer. Nel frattempo venne ingaggiato da un locale, l’American Red Cross, con l’obiettivo di intrattenere e sorprendere i soldati americani in procinto di rimpatriare dalla guerra.

Dopo aver fatto parte di vari gruppi ed aver lavorato per diverse etichette discografiche, a metà anni ‘50 firmó un contratto di esclusiva con la Columbia. Realizzò quindi riviste musicali prodotte da Remigio Paone.

La sua voglia di sorprendere si espresse così al Festival di Sanremo, dove in qualità di orchestratore e direttore fu il primo a portare il Moog nell’ensemble della kermesse. Grazie agli studi in ingegneria, il Maestro poté realizzare anche molto materiale musicale.

La svolta, però, avvenne nel 1954 con la nascita della televisione.

Di lì iniziò la nuova carriera di Giampiero Boneschi che, nel giro di un decennio, creò le colonne sonore dei più importanti programmi dell’epoca. Sue le composizioni per Un, due, tre, Lascia o raddoppia, Campanile Sera, Cantagiro ma, soprattutto, di Canzonissima.

Direttore al Festival delle Rose, Giampiero Boneschi rappresentò l’Italia al Festival di Rio de Janeiro nel 1960 e nel 1968.

Iniziarono così anche le collaborazioni con molte case produttrici di film pubblicitari. Contemporaneamente, Boneschi si dedicò alla specializzazione del sistema di sincronismo per la realizzazione di disegni animati.

La musica, per lui, doveva potersi esprimere in diversi ambiti. Solo così poteva stupire.

Divenuto condirettore artistico della Ricordi, entrò sotto l’ala protettiva dei maggiori interpreti facendo loro da consulente. Suo il merito di aver saputo valorizzare e ottimizzare i lavori di Gaber, Vanoni, Paoli, Tenco, Endrigo e molti altri.

Giampiero Boneschi era un vero pittore della musica.

Spesso dimenticato, eppure tra i primi a fare tanti lavori con impareggiabile fantasia. Tra questi un LP per sola orchestra, ristampato in tutto il mondo. In quella orchestra suonò anche, tra gli altri, il grande Franco Cerri.

Riscrisse produzioni discografiche del folclore italiano, divenne direttore d’orchestra per il film West and soda.

Negli anni ‘80 e ‘90 incrementò la sua attività di musicista per la televisione, realizzando vari jingles per Rai e Mediaset.

Alcuni tra i più famosi hanno proprio la firma di Giampiero Boneschi. Tra questi ricordiamo Ok il prezzo è giusto, Tra moglie e marito, Il gioco dei nove, Stranamore e soprattutto Scherzi a parteQuella ricca di jazz che ricorda, per capirci, La Stangata.

Insomma per il Maestro ingegnere ogni occasione era buona per stravolgere le regole della musica canonica. Ogni melodia deve anzitutto entrare in testa a chi ascolta. Con strumenti innovativi e giochi musicali mai provati prima, Boneschi riuscì quindi a realizzare tutto ciò che poteva sorprendere il pubblico.

Si, era un genio. Perché dirigeva ma, soprattutto, creava.

Da Sanremo giovani alla vittoria del Coca Cola Summer Festival, Irama è il talento fresco di chi non ha paura di esporre i propri sentimenti. 1
Irama: sarà l’anno giusto per un piazzamento importante a Sanremo?


Verso Sanremo 2022. Non c’è solo Irama: anche Giusy Ferreri e Michele Bravi cercano un riscatto nella classifica del Festival


Irama, Giusy Ferreri e Michele Bravi hanno tanti punti in comune. Non solo sono tutti e tre provenienti da talent show. Non solo sono effettivamente (sorpresa!) dei talenti. Eppure, a Sanremo, mai nelle prime posizioni finora. Irama, Ferreri e Bravi sono considerati da molti anche quest’anno, specie dopo gli ascolti riservati alla stampa, sempre solo dei possibili outsider. Sono delle vere garanzie. In effetti, a prescindere dalla classifica finale, già si può ipotizzare per le loro canzoni un futuro dopo il Festival. Questo perché sono decisamente pop, orecchiabili ma altresì delicati e mai banali nei testi.

In poche parole, Irama, Giusy e Michele sono tra i più amati dal pubblico e sanno come farsi apprezzare dalle radio.

In un’epoca che vede le canzoni sanremesi sparire dalla circolazione in poche settimane, non è poco.

Analizziamo allora brevemente il loro percorso prima di questo Sanremo 2022.

Cominciamo da Irama, l’uomo invisibile della passata edizione.

Sì, perché in effetti il cantautore è alla terza partecipazione in quattro anni tra i Big, ma è solo la seconda volta che sale sul palcoscenico per la gara. L’anno scorso, infatti, Irama partecipò ma senza mai potere salire sul palco, a causa della positività al Covid-19 di uno dei suoi collaboratori. Così, andò in onda sempre la sua prova generale. A onor del vero cambiava poco per le immagini, non essendoci comunque il pubblico. Vero è che mancava l’adrenalina giusta in quel brano ricco di intensità. La genesi del tuo colore si classificò comunque quinta. Meglio di come era andata, per le giurie, a La ragazza con il cuore di latta nel 2019. In quell’occasione sembrava dovesse giocarsi la vittoria contro Ultimo. Alla fine arrivò solo settimo, ma ugualmente fu apprezzatissimo da tutti. Fu di fatto la sua consacrazione, con cui potè sganciarsi dall’etichetta di “cantante da talent”. Questo sebbene fosse in realtà diventato un concorrente di Amici solo dopo un’altra partecipazione sanremese. Nel 2016, infatti, fu eliminato tra le Nuove Proposte di Sanremo solo in uno scontro diretto contro Ermal Meta. Quest’anno canterà Ovunque sarai e, nella serata dei duetti, interpreterà La mia storia tra le dita con Gianluca Grignani. Il pop è assicurato.

Giusy Ferreri torna a Sanremo dopo la bruciante eliminazione del 2017.

Cantava Fa talmente male e non fu capita dalle giurie che, quell’anno, non si fecero scrupoli a far fuori anche Albano, Ron e D’Alessio. La Ferreri torna a Sanremo per la quarta volta. La prima fu nel 2011 con Il mare immenso, arrivata decima. Nel 2014 guadagnò solo una posizione con Ti porto a cena con me. Insomma le classifiche sanremesi non hanno sorriso molto, fin qui, alla regina dei tormentoni estivi. È sempre apparsa, proprio per questa etichetta, un po’ fuori dal contesto. D’altra parte lo stesso destino lo vissero anche i Righeira: si funziona in estate, è troppo presto in inverno. Di certo Giusy non ha intenzione di ritirarsi in letargo e, per fortuna, partecipa nuovamente al Festival con l’intenzione di farci ballare. Canterà Miele e, nella serata delle cover, riprenderà Io vivrò (senza te) di Battisti.

È solo la seconda partecipazione quella di Michele Bravi, attesissimo dal pubblico e forse troppo sottovalutato dai bookmakers al momento.

Il diario degli errori, nel 2017, emozionò tutti. La sua partecipazione a X-Factor era già lontana di qualche anno e, così, Michele poté farsi conoscere dalla platea per il suo stile di cantautore delicato, emozionante e sorprendente. Nel 2018 ha commosso tutti con la colonna sonora di Coco e ora, dopo tanta attesa, è pronto a tornare al Festival. Canterà anche lui Battisti: Io vorrei, non vorrei ma se vuoi. La sua canzone in gara è Inverno dei fiori.

Irama, Ferreri e Bravi dunque sono pronti  a emozionare, farci ballare e farsi ascoltare dalle radio. Sono proprio questi i cantanti che fanno diventare importante Sanremo, permettendogli di vivere nel corso dei mesi. E chissà che, per una volta, la classifica non sia anche positiva per loro…

A otto anni dalla sua scomparsa ricordiamo il Maestro Claudio Abbado 

 

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Claudio Abbado

Claudio Abbado, uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, se ne andava il 20 gennaio di otto anni fa. In questa settimana di anniversario, la nostra rubrica Musica Maestro non può che essere dedicata a lui. Quando si parla di Claudio Abbado, d’altra parte, si cita l’unico italiano divenuto direttore stabile dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. Per non parlare dei numerosi direttori cresciuti sotto la sua ala protettiva.

Insomma, Claudio Abbado rappresenta un vero Maestro dei Maestri.

Uno che amava ripetere “la musica è una delle migliori terapie che esistono”. Non aveva torto: la musica è terapia dell’anima, specie se fatta con passione e impegno come ci ha insegnato lui.

Figlio d’arte, Claudio Abbado nasce da un insegnante di violino, nonché vicedirettore del Conservatorio di Milano. Anche la madre e il fratello sono pianisti: la sua vita dunque sembra essere proiettata verso la musica, sin dalle origini familiari. Claudio Abbado si dedica anche lui alla composizione, dunque, diplomandosi a soli 22 anni al Conservatorio. Si trasferisce a Vienna per perfezionare la sua direzione d’orchestra. Lì può spiare le modalità di lavoro di grandi Maestri quali Bruno Walter ed Herbert von Karajan. In questi periodi di perfezionamento continuo, Claudio Abbado vince (nel 1958) il primo premio importante. Si tratta del concorso Koussevitzky, che gli permette di esordire negli USA.

Il debutto sinfonico di Claudio Abbado avviene nel 1959, a Trieste, con un’opera di Giorgio Ghedini.

Nello stesso anno esordisce anche alla Scala di Milano. Nel capoluogo meneghino, nel ‘66, riporterà dopo tanti anni la Aida di Verdi.

La carriera si impreziosisce così con presenze importanti a Venezia, Londra, New York.

La prima opera che dirige in tournée per due anni tra il ‘66 e il ‘67 vede sul palcoscenico nientemeno che Luciano Pavarotti.

Coadiuvato da Paolo Grassi, diventa direttore musicale della Scala ripristinando grandi autori fino a quel momento ignorati, come Stravinskij e Schonberg. L’obiettivo di Claudio Abbado si rivela dunque la ricerca, che lo impegna gioco forza in uno studio continuo senza pensare di avere mai raggiunto l’apice.

Tutto questo deve portare alla conoscenza operistica anche per le classi meno abbienti, che faticano a frequentare il teatro.

Anche per questo fonda, nel 1972, i Concerti per studenti e lavoratori.

Sarà accusato, per questa iniziativa, anche di eccessivo populismo. Vero è che, con agevolazioni ad hoc, la sinfonia orchestrale diventa di dominio pubblico senza più appartenere solo a una nicchia. E, soprattutto, è un modo in più per dare fiducia ai giovani, a cui deve appartenere il vero futuro e a cui la musica può dare tanto. Non a caso più volte ha sostenuto di aver visto tanti ragazzi salvarsi da droga e prostituzione grazie alla musica, ritrovando se stessi.

Giappone, Cuba, Venezuela: sono tantissimi i Paesi Esteri dove Claudio  Abbado può fare tappa nella sua lunga carriera, distinguendosi ovunque per professionalità ed eleganza. Quel largo gesto di apertura delle braccia che lo caratterizza, diventa di fatto iconico e imitato da qualunque direttore d’orchestra. Restio a ogni tipo di divismo, ma piuttosto sempre incuriosito verso nuovi modi di fare musica, il Maestro non cessa di intraprendere ulteriori avventure. Come quando, nel 2004, viene nominato Direttore musicale del Mozart di Bologna.

Orgoglio italiano, convinto sostenitore di un rapporto tra cultura e società, Claudio Abbado viene ricordato anche per le sue battaglie politiche.

 

O meglio, contro la politica e i suoi tagli alla cultura. Tutte realtà di cui ci siamo resi conto, più che mai, negli ultimi due anni. Abbado dunque è un esempio di lungimiranza tutta italiana. Pochi mesi prima di morire viene nominato anche Senatore a Vita da Giorgio Napolitano. La motivazione è espressa in quanto “personalità da considerarsi portatrici di curricula e di doti davvero eccezionali, come attesta il prestigio mondiale di cui è circondato”.

Ci piace quindi, nella settimana dell’anniversario della sua morte, ricordare Claudio Abbado con una sua dichiarazione degli ultimi tempi.

La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche, i cinema sono come tanti acquedotti.

Abbado, uno che è sempre arrivato primo ma non si è mai comportato da numero uno. Benché lo fosse, in assoluto.

 

Sanremo, Donatella Rettore guida l'armata degli "alternativi"
Donatella Rettore, qui fotografata da Marco Piraccini, torna a Sanremo dopo 28 anni

Molto più di outsider: Donatella Rettore con Ditonellapiaga, ma anche La Rappresentante di Lista, Truppi e D’Amico: sono tante le proposte alternative del Festival 2022.

Donatella Rettore: basterebbe il suo nome per accorgersi che alla prossima edizione del Festival di Sanremo ci sarà qualcosa di veramente alternativo. D’altra parte la cantante di Splendido Splendente fa da sempre dell’originalità la sua cifra stilistica. Imprevedibile, sorprendente e provocatrice: Donatella Rettore è un modello da imitare per tanti artisti. Un punto di riferimento per chiunque voglia ripercorrere le sue orme, sebbene sia impossibile ripetere ciò che ha fatto lei, con la medesima forza. Una diva vera che torna a Sanremo.

Non sarà solo Donatella Rettore l’alternativa del 72esimo Festival di Sanremo. La kermesse ci ha ormai abituati a figure in grado di divertirci e persino sovvertire le classifiche piazzandosi spesso sul podio. Non ci sono comici quest’anno (e tutto sommato si presume non mancheranno), nè gruppi che uniscano goliardia e prove orchestrali (di loro una certa nostalgia ci sarà). Vi saranno però cantanti della nuova generazione che, come Donatella Rettore all’epoca della sua esplosione, sanno appassionare con testi innovativi e soprattutto un sound diverso dal solito. Qualcosa che va oltre persino il genere indie. Gli alternativi uniscono vari generi insieme, inducendo così a una maggiore attenzione di ascolto. E così, gioco forza, il ritornello entra in testa.

Vediamo dunque chi sono gli alternativi di questa edizione di Sanremo. Cominciamo proprio da lei, Donatella Rettore.

Quinta partecipazione sanremese per la bionda platino che torna dopo 28 anni dal suo ultimo Festival. All’epoca cantava Di notte specialmente, un brano romantico, dall’arrangiamento orchestrale particolarmente suggestivo, su cui la sua voce potente poteva davvero far sognare. Non andò oltre il decimo posto, che tuttavia rimane il suo miglior piazzamento rispetto alle altre tre partecipazioni. La canzone divenne comunque molto popolare, diventando uno dei pezzi più richiesti del repertorio della cantante.

La sua presenza, per la verità, sarà più che altro un featuring con una giovanissima cantautrice classe 1997: Ditonellapiaga. L’inteprete, all’anagrafe Margherita Carducci, con Spreco di potenziale l’anno scorso si è imposta come una delle nuove icone indie della musica italiana. Trasformista e provocatrice, porta con Donatella Rettore la canzone Chimica, che si preannuncia come un inno al sesso libero. La polemica sarebbe dietro l’angolo con qualunque altro artista: con loro, però, c’è da aspettarsi molta ironia (con cui canteranno altrettanta verità).

Sarà la volta del debutto sanremese di Dargen D’Amico.

Il cantautore iniziò come rapper per poi sviluppare la sua identità musicale attraverso collaborazioni preziose, a cominciare da quella con la pianista Isabella Turso.

Lo scorso anno D’Amico fu protagonista come autore di Dieci, cantata da Annalisa, ma soprattutto di Chiamami per nome, che vide il secondo posto di Francesca Michielin e Fedez. Questa volta si presenterà con Dove si balla. Non ha ambizioni di podio, almeno sulla carta, ma il suo è uno dei brani più attesi dalle radio. Senz’altro sarà un alternativo che lascerà il segno.

Un po’ come accaduto nel 2021 a La Rappresentante di Lista, in gara anche quest’anno.

Il duo, formato da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, lo scorso anno cantò Amare. Nella serata del featuring, guarda caso, c’era con loro proprio Donatella Rettore. Questione di stili, di incontri di anime alternative e importanti.

Furono tra le rivelazioni dell’edizione, non solo per la voce straordinaria di Veronica ma anche per i loro look straordinariamente originali. Questa volta, ormai conosciuti dal grande pubblico, potrebbero ambire a un risultato più importante rispetto al successo radiofonico, che pure rimane il loro principale obiettivo. Saranno in gara con Ciao ciao, canzone che promette di poter diventare un tormentone utilizzabile per varie situazioni.

Si inserisce in questo singolare gruppo di Big in gara anche Giovanni Truppi.

Si tratta di uno dei cantanti meno noti alla vigilia del Festival, eppure la sua gavetta inizia da lontano. La sua carriera cominciò addirittura a 7 anni suonando il pianoforte. Dopo essersi dedicato a rock e jazz, si è tuffato sull’elettropop. Oggi unisce tutto questo in un solo stile, aggiungendo un po’ di sano rap. Non risparmia nessuno nei suoi testi carichi di ironia. Giovanni Truppi rappresenta il filosofo moralizzatore del Festival, capace di far ridere con canzoni più che mai da ascoltare. Una delle sue canzoni, Il mondo è come te lo metti in testa, non smette di avere numerose visualizzazioni su You Tube a distanza di nove anni. Reduce dal libro L’avventura, che unisce autobiografia a omaggi pasoliniani, Truppi debutterà a Sanremo con Tuo padre, mia madre, Lucia. C’è da scommettere che farà parlare di sè.

Dunque quattro proposte alternative da non perdere. Nella storia sanremese, gli alternativi non hanno mai deluso. Anzi, hanno sempre fatto tremare i grandi favoriti…

 

Dalle battaglie contro il fascismo alla rivalità con Ravel: Arturo Toscanini ha sempre fatto valere la sua autonomia artistica

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata ad Arturo Toscanini

Arturo Toscanini non è solo uno dei Direttori d’Orchestra più famosi del nostro Paese, ma è anche uno dei personaggi più iconici dell’intera cultura italiana. In pochi, infatti, possono vantare la sua carriera che lo ha fatto stimare in tutto il mondo. Si può essere ovunque e ancora oggi, a distanza di 65 anni dalla sua scomparsa avvenuta il 16 gennaio 1957, si può essere certi che il nome di Arturo Toscanini sia conosciuto come un sinonimo di garanzia e rigore. Morale, oltre che professionale.

Vediamo meglio per quali motivi Arturo Toscanini rappresenta un modello da imitare per ogni Maestro.

Nato a Parma nel 1867 da due sarti, dopo pochi anni si appassionò immediatamente alla musica operistica seguendo il grande amore per di suo padre per l’arte. Notando la sua grande propensione a memorizzare in breve tempo le poesie, una sua maestra si offrì per dargli lezioni di solfeggio e pianoforte. Passò qualche tempo e quella capacità di ripetere a orecchio le melodie potè trovare maggiore sfogo nei corsi della Regia Scuola di Musica. Quella che diventerà il Conservatorio di Parma.

A soli 13 anni iniziò a suonare violoncello nell’orchestra del Teatro Regio. Successivamente, in Brasile, si trovò a soli 19 anni a dover sostituire il Direttore Lorenzo Miguez e il suo vice Carlo Superti, entrambi entrati in piena contestazione con pubblico e orchestra.

Fu così che, incitato dai colleghi, Arturo Toscanini iniziò il suo percorso di Maestro d’Orchestra, trovandosi immediatamente a suo agio con la bacchetta in mano. A quel punto aveva già in pugno la situazione. Tornato in Italia, fu scelto direttamente da Alfredo Catalani per dirigere la sua Edmea a Torino. Nel 1892 diresse la prima di Pagliacci, di Ruggero Leoncavallo, al Teatro Dal Verme di Milano. Tre anni dopo, per Arturo Toscanini arrivò il debutto al Teatro Regio di Torino, dirigendo il Sigfrido di Wagner, che da sempre lo appassionava per la sua poetica musicale.

Con la moglie ormai sua manager, Toscanini divenne quindi Direttore della Scala, apportando non poche innovazioni. Anzitutto ottenne un impianto di illuminazione scenica più moderno (con le luci di sala rigorosamente spente durante la rappresentazione). Quindi fece costruire nel Teatro la fossa per l’Orchestra che ancora oggi possiamo ammirare dal loggione. In questo modo l’Orchestra si trova a essere isolata rispetto al pubblico e al palcoscenico. E si concede una assoluta concentrazione.

Il Direttore deve pretendere rigore e disciplina, sotto ogni aspetto e con tutti.

Fu così che Arturo Toscanini impose delle regole ferree: divieto di arrivare in ritardo all’opera, divieto di tenere il cappello durante la messa in scena, nonché eliminazione dei bis.

Tutto questo sempre per consentire esclusivamente una unità di intenti tra musicisti, cantanti scena e costumi.

Nel 1901, per la prima volta dopo vent’anni, in occasione della traslazione della salma di Giuseppe Verdi dal Cimitero Monumentale alla Casa di riposo per musicisti (sita in piazza Buonarroti), Toscanini fece suonare nuovamente alla Scala il Va, Pensiero.

L’anno successivo si trasferì a New York presso il Teatro Metropolitan, tornando nel paese natio negli anni della prima Guerra Mondiale. In quell’occasione diresse una banda sul Monte Santo per distrarre gli animi dei combattenti. A fine guerra, iniziò la riorganizzazione dell’Orchestra della Scala.

Dopo avere appoggiato l’amico D’Annunzio nell’occupazione di Fiume, e dopo un’iniziale condivisione delle idee fasciste, diventò una mina vagante contro ogni propaganda mussoliniana. Si schierò al punto da rifiutarsi di suonare la Turandot alla prima di Milano, in caso di presenza del Duce. Nel 1931, addirittura, rifiutò di suonare Giovinezza e Marcia Reale in un concerto bolognese.

Da quel momento, si procurò tutta l’ostilità fascista e la sua censura, costringendosi a tornare in America e suonare sempre solo all’estero.

Ovviamente nemmeno in Germania, vista l’avversione anche ad Hitler per il quale rifiutò un personale invito a dirigere in un festival tedesco.

Ma non è solo in campo politico che Arturo Toscanini mostrò tutta la sua personalità. Nel 1930, infatti, diresse il Bolero di Ravel rivedendolo nel finale, fase in cui accelerò i tempi. Ravel rispose che per il suo Bolero c’era una struttura e una durata (17 minuti) ben precise da cui non si può prescindere. Il Maestro, tuttavia, con il suo modo “metronomico”, ossia assolutamente rigido, di dirigere l’orchestra, si confermò deciso oltre ogni più aspra critica. Il pubblico, infatti, era dalla sua parte.

Nel 1937 fu creata la NBC Symphony Orchestra, che Toscanini diresse per quasi vent’anni diventando così un personaggio anche delle televisioni americane. Tornato in Italia nel 1946 per dirigere il Concerto della ripertura scaligera, tre anni dopo il Maestro rifiutò l’onorificenza di “senatore a vita”, dando così una lezione a ogni altro intellettuale dell’epoca e anche a quelli del futuro. A un vero musicista non occorre una poltrona parlamentare per esprimersi artisticamente, del resto.

Nel 1954, a 87 anni, Arturo Toscanini diresse il suo ultimo concerto, con la NBC, interamente dedicato a Wagner.

Indimenticato, celebre per la memoria che non lo tradiva nemmeno quando dirigeva, di consueto, senza leggere la partitura, il Maestro fu un grande esempio di come la musica richieda varie qualità. Anzitutto la voglia di perfezionarsi continuamente; quindi il rigore e il rispetto delle regole; infine la piena autonomia rispetto alle idee di chiunque altro.

 

Quest'anno i superospiti gareggiano. A partire da Elisa
Emma Marrone in concerto. Per vari anni è stata coach di “Amici” con Elisa: quest’anno le due si ritroveranno l’una contro l’altra a Sanremo

Verso Sanremo 2022. Elisa guida il gruppo con Emma, Fabrizio Moro e Mahmood: ex vincitori che potrebbero fare i superospiti e invece si mettono in gioco gareggiando

Elisa a Sanremo sembrava un’associazione possibile, ormai, solo nei sogni di chi ama la musica. Al massimo poteva essere una bellissima suggestione per un’ospitata di lusso. Se proprio doveva essere tra i Big, lo avrebbe dovuto fare da featuring con Rkomi, si mormorava. Insomma, Elisa in gara da solista al Festival di Sanremo appariva fino a qualche tempo fa come un’ipotesi assurda, invece tra meno di un mese sarà realtà. E Rkomi ci sarà lo stesso, ma non con lei.

Come Elisa, anche Emma Marrone, Fabrizio Moro e Mahmood: tutti ex vincitori a Sanremo, che hanno sempre centellinato le presenze all’Ariston diventando nel frattempo icone della canzone italiana altrove. “Perché mai dovrebbero tornare a Sanremo?”, si diceva.  In effetti cantanti del loro calibro, di solito, sono superospiti al Festival. Invece ci hanno stupiti. Anzi, quando capitano nomi così altisonanti si immagina per loro già un piazzamento tra i primi tre: pensare che almeno uno di loro non salirà sul podio sembra già qualcosa che stona con la realtà. Ma questo fa di loro ancor più degli artisti da stimare.

Nel nostro percorso verso Sanremo 2022, quindi, dedichiamo una puntata proprio a loro, ai già campioni del Festival che puntano al secondo successo. Si, perché come ci siamo già detti nessuno va a Sanremo per hobby: chiunque calchi quel palcoscenico fa un pensiero su come potrebbe essere la propria vittoria.

Così Elisa, Emma, Moro e Mahmood cercano di vincere per la seconda volta sul palco dell’Ariston.

Elisa conta al suo attivo solo una partecipazione, determinante. Era il 2001 quando a condurre l’edizione diretta da Mario Maffucci c’era la grande Raffaella Carrà. Un’edizione non priva di critiche, tanto che i più maligni parlarono delle presenze di Mike Bongiorno e Fiorello come di due ospitate ad hoc per risollevare la manifestazione. La verità era che in quell’anno cominciava per la prima volta a esserci una controprogrammazione da parte di Mediaset e gli ascolti calarono leggermente (comunque sempre superiori ai 13 milioni). Inoltre la Carrà dovette far fronte a rocker esagitati come i Placebo, a un comico accusato di eccessive volgarita come Ceccherini e ad altri personaggi messi in discussione dal moralismo di inizio secolo.

Fu la musica a salvare Sanremo 2001. I Gazosa vinsero tra i Giovani, ma si fecero spazio tra i Big anche i Matia Bazar. Il successo finale fu conteso fino all’ultimo tra Giorgia, con Di sole, d’azzurro, ed Elisa. Questa era in gara con Luce – Tramonti a Nord Est.

Era la prima volta che Elisa cantava in italiano, dopo tanti anni all’estero con melodie sempre molto internazionali ed emozionanti.

Vinse proprio lei, con quella che finora restava anche l’unica partecipazione. Viene da immaginare che se ha deciso di ritornare, evidentemente è perché sa di poter fare davvero cose importanti in classifica.

Emma Marrone è un’altra Big gasatissima prima di questa edizione, dove torna in gara a distanza di dieci anni esatti dal successo di Non è l’inferno. Fu l’edizione guidata dalle donne, con Arisa seconda è Noemi al terzo posto.

Anche l’anno prima Emma era andata vicinissima al successo finale, cantando con i Modà Arriverà. E proprio il leader del Modà, Kekko, scrisse per lei la canzone vincitrice nel 2012. Nel 2015 sarebbe poi tornata, prima di altre che ospitate negli anni seguenti, come co-conduttrice al fianco di Carlo Conti.

Sembra di casa ma, in definitiva, Emma è solo alla terza partecipazione in gara dopo aver ottenuto anni fa due podi.

L’affetto del pubblico nei suoi confronti è però sempre più forte.

Quest'anno i superospiti gareggiano. A partire da Elisa 1
Fabrizio Moro è in gara a Sanremo 2022, quattro anni dopo il successo con Ermal Meta

 

Fabrizio Moro torna a Sanremo dopo il successo del 2018 in coppia con Ermal Meta. Non mi avete fatto niente fu oggetto di non poche polemiche per essere troppo simile a un altro brano già comparso in rete, dello stesso Moro. Fu da quel momento che il pubblico scoprì come a Sanremo si usi il termine “canzone nuova” e non “inedito”, evitando di superare la durata di somiglianza per un terzo rispetto al brano già esistente. Moro aveva esordito nel 2000 con Un giorno senza fine. Avrebbe vinto però tra i Giovani solo nel 2007 con Pensa. Terzo nel 2008 con Eppure mi hai cambiato la vita, gareggió nel 2010 con Non è una canzone e nel 2017 con Portami via. Romantico e battagliero, con la sua voce ruvida arriva sempre al cuore. Anche lui proverà a portare a casa il secondo successo.

Non succede dal 2002 che qualcuno vinca per la seconda volta.

Ci proverà quindi anche Mahmood, in coppia con un esordiente sanremese ma già vincitore di dischi di platino, Blanco. Mahmood arrivò quarto tra i Giovani nel 2016 con Dimentica e vinse nel 2019 tra i Big con Soldi. Per la prima volta la trap arrivò all’Ariston sbancando la classifica. Anche in quel caso non mancarono le polemiche: Ultimo non era favoritissimo con Tutti i miei particolari, ma persino il più votato senza alcun dubbio dal televoto. Il cantautore romano fu affossato dalla giuria di qualità che gli diede zero punti facendo vincere Mahmood. Impossibile non ricordare che quella giuria era guidata da Linus e composta da molti artisti dichiaratamente schierato politicamente. In un anno pieno di polemiche contro l’allora ministro Salvini e la sua politica contro i migranti, il voto di Sanremo forse subì qualche influenza sui alcuni detrattori del leader leghista.

Elisa, Emma, Moro e Mahmood provano il bis. Gente che centellina le presenze all’Ariston e che, quando c’è stata, ha sempre fatto la differenza. Che succederà nel 2022?

Qual è stata la cifra stilistica del Concerto di Vienna 2022 con il Maestro Daniel Barenboim? Vediamolo insieme

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Daniel Barenboim

Daniel Barenboim è stato il Direttore d’Orchestra dell’edizione 2022 del Concerto di Capodanno di Vienna. Quello che, con buona pace di tutti gli altri, è autenticamente Il Concerto di Capodanno.

Del resto c’è poco da guardare con invidia all’evento austriaco che ogni 1 gennaio apre le danze, anche perché c’è sempre stata molta Italia nella manifestazione. Basti pensare che per oltre trent’anni, fino al 2013, l’allestimento dei fiori sul palcoscenico arrivava dalla nostra Sanremo. Non solo, ma per ben otto volte (l’ultima l’anno scorso) a dirigere l’orchestra è stato un italiano. Per due volte Claudio Abbado, in occasioni Riccardo Muti. Questa volta è toccato all’argentino Daniel Barenboim, che cominciò la carriera di pianista studiando proprio con un italiano: Vincenzo Scaramuzza.

Il Concerto di Capodanno di Vienna è una tradizione consolidata ormai dal 1939, quando in pieno periodo nazista la Germania annesse l’Austria al Terzo Reich. I suoi direttori d’orchestra, dal 1980 non sono più solo austriaci. Dopo l’americano Lorin Mazeel che diresse per sette anni, dal 1987 i direttori d’orchestra cambiano ogni anno e vengono designati con oltre un anno di anticipo. Daniel Barenboim, quindi, ha avuto tanto tempo per preparare l’orchestra al tipo di spettacolo che voleva. Sì, persino in un evento così liturgico e rigoroso come il Concerto di Capodanno, il Direttore d’Orchestra è assolutamente decisivo nei dettagli dello spettacolo che muta ogni volta.

Andiamo a conoscere meglio Daniel Barenboim e il suo Concerto di Capodanno 2022. A lui dedichiamo la nuova puntata di Musica Maestro.

Nato a Buenos Aires nel 1942, iniziò a studiare pianoforte con Scaramuzza a soli 7 anni, per poi perfezionarsi in Europa tra Roma, Parigi e Salisburgo. Daniel Barenboim è ritenuto a tutt’oggi uno dei migliori interpreti al pianoforte delle musiche di Mozart e Beethoven. Nel 1991 diventò Direttore musicale della Chicago Symphony Orchestra e, l’anno dopo, anche della Staatsoper Unter di Berlino. Nel 1999 fondò la West Eastern Divan Orchestra, formata da musicisti israeliani e palestinesi.

Geniale, originale e irriverente, al punto che nel 2001 diresse un’Orchestra in Israele facendo suonare Wagner. Fu una mossa assolutamente azzardata del Maestro, visto che la musica di Wagner era proibita fino a quel momento per gli ebrei, venendo suonata solo di nascosto.

Daniel Barenboim dal 2007 è il Maestro della Scala di Milano, carica che condivide da qualche anno con Riccardo Chailly. 

Nel 2008 vinse il Premio Colombe d’Oro per la Pace e, l’anno dopo, il Léonie Sonning. Una figura, la sua, riconosciuta in tutto il mondo come una delle più autorevoli, tanto che nel 2012 ebbe anche l’onore di dirigere la Nona di Beethoven, in occasione della visita di Papa Benedetto XVI a Milano. Nel 2019 suonò per i funerali del presidente Chirac in Francia.

Quello di quest’anno è stato il terzo Concerto di Capodanno, per Daniel Barenboim: la prima volta fu nel 2009, la seconda nel 2014. In tutte le occasioni, il Maestro ha mostrato ironia ed empatia con l’orchestra, chiamando l’ensemble a essere anche coristi oltre che musicisti. Il dialogo con gli orchestrali e con il pubblico ha caratterizzato tutta l’intera edizione 2022. Per la prima volta, nel Concerto, sono state eseguite opere di Ziehrer e Hellmesberger Jr. Non sono mancati, ovviamente, i valzer della famiglia Strauss. Il finale, per quanto scontato con il pubblico a battere le mani sulla Marcia di Radetsky, ha confermato la simpatia del Maestro che ha diretto con attenzione la platea perché questa rimanesse in silenzio durante gli assoli degli strumenti.

E così una nuova volta il Concerto di Capodanno si è confermato una vera magia, conclusosi con le toccanti parole di Daniel Barenboim:

“Se mi permettete, vorrei dire alcune frasi in inglese anche per il pubblico straniero. È veramente importante avere questo concerto ogni anno, ma lo è ancora di più oggi, con il mondo in una situazione davvero difficile”.

Ha proseguito: “Vedere così tanti musicisti che suonano insieme come un’unica comunità, condividendo lo stesso pensiero e lo stesso sentimento, ci fa capire che il Covid non è soltanto una catastrofe sanitaria, bensì anche umana, in quanto ci allontana gli uni dagli altri”.

Ha poi chiuso così: “Noi tutti dovremmo prendere esempio da questa orchestra, da questa comunità di musicisti, e cercare di vivere insieme e uniti questa catastrofe. Per me l’orchestra è un grande invito a essere solidali, a essere uniti, ad avere un pensiero per tutta l’umanità”.

Ecco, un Maestro deve sapere comunicare. Lo fa attraverso la musica prima di tutto, ma anche con le parole sa toccare le chiavi giuste per ricordarci il valore primario dell’orchestra. Quello di sapere unire.

Così Barenboim ha commosso il pubblico, con quell’aria scanzonata e quella capigliatura che lo fa assomigliare un po’ al nostro Dario Fo. Solo che alla fine la platea non batteva le mani cantando “Ah beh, sì beh, dai dai cunta su”. Il Concerto di Capodanno ha confermato ogni sua liturgia, riuscendo sempre a emozionare con incredibile originalità. Merito, anzitutto, del Direttore d’Orchestra.

 

 

Cosa vuol dire essere veterani: la lezione di Achille Lauro e gli altri

Sanremo 2021, la terza serata. Ancora Ermal, emozione Orietta 2
Achille Lauro, Emma Marrone alla terza serata del 71 Festival di Sanremo. Foto di Marco Piraccini

Achille Lauro non è il solo: anche Noemi e Le Vibrazioni, ormai, sono nomi che quando arriva febbraio sentiamo spesso circolare nell’aria sanremese. Il Festival, d’altra parte, ha sempre avuto i suoi habitué, quelli che amano l’adrenalina della gara e che talvolta non si sentono per undici mesi all’anno. Non è questo il caso di Achille Lauro che, sebbene sia di fatto alla quarta partecipazione di fila e a Sanremo debba molto, non ha ormai certo bisogno del Festival per acquisire popolarità. Andare a Sanremo, però, è una filosofia di vita. Inevitabilmente questa si interseca con al voglia di superare ogni record di partecipazione, ma prima di tutto a guidare i veterani verso la gara è l’emozione della sfida con se stessi.

Continuiamo allora il nostro viaggio verso Sanremo 2022 analizzandone i Big in gara.

Questa settimana ci dedichiamo proprio ad Achille Lauro & co, ossia agli habitué.

Quelli che potremmo ormai chiamare anche i “veterani”. Tanto rock e spregiudicati in certi casi, quanto timidi nel privato, per cui la musica li aiuta a superare ogni paura.

Dicevamo in effetti che Achille Lauro è al quarto Festival di fila, considerando anche l’edizione 2021 in cui è stato guest star fuori concorso. Ecco, forse questo ruolo lo rende un po’ meno simpatico. È davanti agli occhi di tutti l’ammirazione di Amadeus nei suoi confronti. Lo si è evinto anche dalla serata de L’anno che verrà: Achille Lauro può cantare qualunque cosa che ormai è considerato oltremodo un modello musicale italiano. E pensare che la sua storia sanremese era iniziata in un modo decisamente lontano dal poter essere un esempio per i giovani. Ancora era poca la sua popolarità, quindi chiunque si permetteva di sentenziare sparando a zero. La sua Rolls Royce, infatti, fu accusata (non solo da Striscia la notizia) di essere un inno alla droga pieno di allusioni nemmeno troppo metaforiche. In effetti non era il massimo dell’eleganza esasperare così il concetto di denaro e ricchezza, ma da lì a interpretarlo come sostegno alla droga è francamente troppo. Anche perché i suoi testi raccontano realtà, anche crude talvolta, ma di sicuro non incitano a niente di tutto ciò.

Non arrivò sul podio e non lo fece nemmeno l’anno successivo quando era a quel punto tra i favoriti con Me ne frego. A questo punto, se non altro per scaramanzia, fossimo in lui non conteremmo più di tanto in un successo di classifica.

Le prime due partecipazioni a Sanremo hanno significato moltissimo per la carriera di Achille Lauro, che quest’anno canterà Domenica.


Sarà accompagnato dall’Harlem Gospel Choir.

Provocatore e sorprendente nella scelta di stili musicali ogni volta sempre diversi, Achille Lauro è ormai una garanzia per Sanremo come il Festival è una certezza nel suo percorso. Del resto se dal punk rock della periferia romana e dai litigi con Antonella Elia a Pechino Express è arrivato a essere uno degli artisti più quotati, molto è merito dell’Ariston.

Settima partecipazione in tredici anni per Noemi, quest’anno in gara con Ti amo non lo so dire.

Ogni volta è accreditata come una possibile vincitrice, eppure a podio ci andò solo nel 2012, quando gareggiò con Sono solo parole.

Voce graffiante, calda, avvolgente e coinvolgente: Noemi è la veterana rassicurante per chiunque.

Accendi la tv in qualunque momento dell’anno, vedi Noemi e ti chiedi se sia già arrivato il momento di Sanremo.

La cantante romana tiene davvero tanto al Festival e non lo ha mai nascosto. Una vera botta di adrenalina ogni volta che non smette di emozionarla. Ma lei, più forte di ogni ansia, ha sempre saputo mascherare bene ogni agitazione, che non si sarebbe mai saputa se non fosse stata raccontata da lei stessa dopo le esibizioni.

L’esordio sul palco dell’Ariston fu nel 2010 con Per tutta la vita. Nel 2014, anno di doppia esecuzione, portò Un uomo è un albero e Bagnati dal sole. Con questa si classificò quinta. Nel 2016 commosse con La borsa di una donna, scritta per lei da Masini. Nel 2018 arrivò solo quattordicesima con Non smettere mai di cercarmi. Lo scorso anno ci riprovò con Glicine, ma clamorosamente arrivò ancora lontana dal podio. Sarà questo finalmente l’anno buono? Per gli amanti della statistica, va detto che una donna solista non vince dal 2014. Non è ancora un record, ma è un tempo abbastanza lungo per poter credere che prima o poi la ruota possa girare. Magari a favore di questo straordinario talento dai capelli rossi.

Anche Le Vibrazioni, ormai, sono da considerarsi veterani a Sanremo.

Certo le loro tre partecipazioni precedenti (quattro se si considera quella da solista di Sarcina nel 2014) sono pochissimo rispetto a quelle di altri Big in gara. Tuttavia, dopo la prima volta nel 2005 (Ovunque andrò), la band milanese sembra avere cambiato atteggiamento dopo la reunion. Da quel momento sono arrivate Così sbagliato nel 2017 e Dov’è, nel 2020. Con questa struggente poesia personale arrivarono quarti sfiorando di pochissimo il successo, vista la popolarità ottenuta al televoto, poi decisivo nella tripletta finale. Quest’anno saranno in gara con Tantissimo.

Insomma anche per loro il Festival è diventato un appuntamento fondamentale. Sono finiti i tempi in cui i gruppi snobbavano il Festival. Merito anche di Conti, Baglioni e Amadeus che, negli ultimi sette anni hanno saputo creare format e quindi cast all’altezza della storia sanremese. Oggi essere al Festival è ancora un onore, dove tutti vogliono ovviamente vincere. Un modo per esprimersi completamente, superando le proprie insicurezze. Lo sanno bene Achille Lauro, Noemi e Le Vibrazioni, che hanno ottenuto un podio in undici partecipazioni totali. Ma chissà cosa accadrà quest’anno…

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