Un direttore speciale, leggendario anche per la sua filosofia di vita che ci ha trasmesso: Ezio Bosso

 

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Ezio Bosso


Ezio Bosso è uno dei più grandi esempi di passione e impegno nel mondo della musica. Scomparso lo scorso anno, a pochi mesi dall’inizio della pandemia, Bosso si rivolse agli italiani parlando de lockdown come di un’occasione per stare a casa a immaginare un domani migliore. Insomma, con il suo animo sempre positivo, Ezio Bosso, per tanti anni affetto da gravi malattie neurodegenerative, è stato anche esempio di vita per moltissime persone.

A Ezio Bosso dedichiamo dedichiamo la nuova puntata di Musica Maestro, ripercorrendone la carriera.

Appassionandosi alla musica a soli 4 anni, seguendo le orme della prozia pianista, Bosso si dedicò da subito allo studio del pianoforte. A 16 anni, dopo il diploma al Conservatorio di Torino, debuttò come solista in Francia. Un giorno Ludwig Streicher lo convinse a studiare composizione e direzione d’orchestra a Vienna. Fu la svolta di Ezio Bosso.

Nel 1988 entrò a far parte degli Statuto.

In effetti non tutti sanno che Ezio Bosso, per un breve periodo, suonò il basso nel complesso che, qualche anno dopo, sarebbe diventato celebre con Abbiamo vinto il Festival di Sanremo.

Lasciando il gruppo per dedicarsi al jazz,  Ezio Bosso proseguì la sua formazione diventando uno dei direttori d’orchestra più importanti nel mondo. Il pianista torinese, infatti, diresse nei Festival più prestigiosi in tutti i continenti. Tenne anche corsi in Giappone.

La malattia, emersa nel 2011, gli impedì definitivamente di suonare solo nel 2019.

Due anni prima fu nominato direttore stabile residente del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.

Sempre molto delicato e altresì partecipe e coinvolto animosamente da quanto suonava l’orchestra, Ezio Bosso concentrava tutto sulla sua capacità di ascolto. Il direttore, per lui, deve anzitutto ascoltare, lasciando suonare l’orchestra a cui deve richiedere solo la massima attenzione. Il direttore è, con lui, il primo musicista dell’ensemble.

Fantasioso ed estremamente creativo, Ezio Bosso collaborò a lungo col violoncellista Mario Brunello.

Si creò così una delle accoppiate più storiche e più riuscite della musica classica.

Non solo le sue composizioni sono diventate celebri in tutto il mondo (basti pensare a The 12th Room o a Following a nord), ma anche le sue frasi di amore verso la vita. Il suo entusiasmo non è mai venuto meno, infatti, neppure con la grave malattia che lo portò alla morte a soli 48 anni.

Citeremo qui una sua massima che descrive alla perfezione la nostra rubrica.

La musica è una vera magia, non a caso i direttori hanno la bacchetta come i maghi.

Ecco, Bosso è uno di quelli che ha saputo rendere magica la sua vita attraverso la musica. Ci piace ricordarlo con quella bacchetta in mano, capace di far sognare chiunque incontrasse il suo incredibile talento. E noi lo ricordiamo per tutto ciò che ci ha trasmesso con passione. 

Verso Sanremo 2002: Yuman e gli altri nuovi Big

Sanremo 2021, la terza serata. Ancora Ermal, emozione Orietta 1
Ibrahimovic, Mihajlovic, Fiorello, Amadeus alla terza serata del 71 Festival di Sanremo fotografati da Marco Piraccini 

Yuman, Tananai e Matteo Romano. Sono loro tre i nomi nuovi della musica che, tra poco più di un mese, saranno tra i Big di Sanremo. Dopo aver vinto infatti tra i Giovani il 15 dicembre, Yuman, Tananai e Romano sono entrati di diritto a far parte della rosa dei 25 cantanti in gara dall’ 1 al 5 febbraio 2022. I precedenti storici sono decisamente confortanti. L’ultima volta che un Giovane divenne immediatamente Big fu Mahmood nel 2019: alla fine, a sorpresa, fu proprio lui il trionfatore dell’edizione davanti al favorito Ultimo. Ma andò così anche in passato. Nel ‘95 Giorgia e nel ‘97 i Jalisse vinsero tra i Big dopo una miniselezione tra i Giovani dell’anno prima. Nel ‘98 Annalisa Minetti fu incoronata vincitrice nella categoria delle Novità e, il giorno dopo, divenne regina assoluta dell’edizione. Addirittura, quell’anno, anche il terzo posto fu ad appannaggio di una Giovane diventata Big in una notte: Lisa.


Insomma, per Yuman, Tananai e Romano ci sono buone possibilità seguendo la cabala.

Ma, oltre alle statistiche, a dare loro sicurezza è il talento. Quello che ha già convinto le giurie a portarli all’Ariston dopo selezioni di vari mesi. Non sono nomi completamente nuovi per la musica, la loro gavetta già c’è. E allora, dopo aver analizzato la carriera sanremese dei tre veterani settimana scorsa, andiamo a vedere i tre Giovani.

Yuman, cantante che divide le sue origini tra Italia e Capoverde, dopo varie esperienze tra Londra e Berlino nel 2016 incontra i produttori Francesco Cataldo e Alberto Quartana.

 

“Twelve” è il titolo del suo primo singolo, seguito da “Run” e “The Rain”. L’artista infatti predilige cantare in lingua inglese, rendendo così più internazionale anche il suono dei suoi brani. A Sanremo 2022 Yuman vi arriva dopo aver vinto le selezioni tra i Giovani con la canzone Mille notti. Porterà l’inedito Ora e qui. Lecito aspettarsi un altro brano melodico che strizza l’occhio a un nuovo modo di interpretare la musica senza sfiorare la trap.

Tananai è il nome d’arte di Alberto Cotta Ramusino.

Dopo aver partecipato tra i Giovani quest’anno con Esagerata, a febbraio si presenterà con Sesso occasionale. Il brano potrebbe fare discutere già dal titolo, ma chissà che non sia la possibilità per lanciare messaggi importanti e positivi ai giovani. Tananai, al contrario di Yuman, è già famoso per canzoni interpretate in italiano. Tra queste soprattutto Le madri degli altri, presente nel nuovo album di Fedez. Propone uno stile indie.

Infine c’è Matteo Romano.

Classe 2002, piemontese, Matteo è popolare su Tik Tok dove ha sfondato con il singolo Concedimi un anno fa. Sa tutto di social e di promozione musicale con i nuovi media, non a caso a Sanremo porterà la canzone Virale. Intanto, tra i Giovani, ha stupito tutti con Testa e croce, cantata al pianoforte da autentico cantautore.

La voce di Yuman, lo stile di Tananai e la forza poetica di Romano possono puntare al podio. Riusciranno nell’impresa ti riuscita a Mahmood & co? Intanto ormai è ufficiale la notizia che vuole Marco Mengoni ospite fisso di tutte le cinque serate, proprio come accaduto negli ultimi due anni con Ferro e Achille Lauro.

Omaggio a Riccardo Muti, il Direttore d’Orchestra per eccellenza

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La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Riccardo Muti

Riccardo Muti, ossia La Musica. Quando si parla del Maestro, infatti, si cita il Direttore d’Orchestra per antonomasia, quello che ha diretto i più importanti ensemble in Italia nel ‘900. Per 12 anni, dal 1968 al 1980, Riccardo Muti è stato direttore musicale del Maggio Fiorentino e, dal 1986 al 2005, ha ricoperto lo stesso ruolo al Teatro alla Scala di Milano.

Oggi è, da 12 anni, music director della Chicago Symphony Orchestra, oltre che direttore dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, da lui stesso fondata nel 2004.

Insomma, parlare di Riccardo Muti equivale a raccontare una delle figure contemporanee più importanti del nostro panorama artistico.

A lui è dedicata allora la puntata di Musica Maestro di questa settimana.

Napoletano d’adozione (nacque in Campania per volontà della madre che riteneva Molfetta, dove viveva la famiglia, troppo poco conosciuta nel mondo), visse nella città di San Gennaro dall’età di 16 anni. Lì studiò pianoforte con il Maestro Vincenzo Vitale, diplomandosi al Conservatorio. A fine anni ’60 si trasferì a Milano, abbandonando gli studi in filosofia, per dedicarsi allo studio di composizione e direzione d’orchestra. Sentiva già da allora che la musica era nel suo destino. Riccardo Muti voleva inseguire il suo sogno e, un po’, anche quello desiderato da sua madre per lui: diventare direttore d’orchestra conosciuto in tutto il mondo. Motivo per cui potere asserire di essere nato a Napoli, ha tutto un altro fascino anche oltre oceano.

Nel 1969 subito la prima grande occasione: si ritrovò a dirigere la prima rappresentazione radiofonica de I puritani di Bellini, nell’Auditorioium Rai del Foro Italico di Roma. Sul palcoscenico artisti del calibro di Luciano Pavarotti e Mirella Freni. L’anno successivo fu alla Fenice di Venezia per un concerto sinfonico con Cristina Deutekom e, nel 1971, la sua fama diventò interanzionale dirigendo a Salisburgo il Don Pasquale di Donizetti.

Negli stessi anni del Maggio Fiorentino, Riccardo Muti divenne anche direttore principale della Philarmonia Orchestra di Londra.

Iniziarono così le proficue collaborazioni con Placido Domingo e Monsterrat Caballé: la loro registrazione dell’Aida di Verdi resta, ad oggi, uno dei dischi più venduti nel mondo. Ed è proprio Giuseppe Verdi una delle fonti di ispirazione, per impegno e precisione, del Maestro Riccardo Muti.

Negli anni della Scala diresse il Nabucco nella sua serata di inaugurazione della stagione 1986/1987. Il già prestigioso teatro meneghino divenne via via negli anni sempre più impreziosito, guadagnando dalla fama internazionale del suo Direttore musicale, capace di portare sul palcoscenico opere coraggiose fino a quel momento mai proposte in quella cornice. Basti pensare a musicisti come Gluck, Cherubini e Spontini, spesso ingiustamente dimenticati nella storia passata della Scala.

La forza di Riccardo Muti risiede, soprattutto, nella sua volontà di spingersi oltre i canoni delle idee conformiste. Tutto questo mantenendo altresì un rigore e un’attenzione indiscutibili. Anche per questo è figura di riferimento per i giovani di oggi. Non a caso dal 2015 ha dato vita alla Riccardo Muti Italian Opera Academy per giovani direttori d’orchestra e cantanti.

La complessità del cammino che porta alla realizzazione di un’opera è così insegnata ai ragazzi che vogliono intraprendere lo stesso percorso.

Giovani che credono nei loro sogni di musicisti e nella possibilità di renderli concreti. Oltre ogni ostacolo e qualunque pregiudizio. Perché essere musicisti, non significa aver deciso di dedicare la propria vita a qualcosa di superfluo in attesa di altri lavori. Questa è un po’ la filosofia del Maestro e dell’accademia che vuole sviluppare il talento innato di certi ragazzi.

Da sempre impegnato anche nella battaglia contro i tagli alla cultura, Riccardo Muti è paladino di un’arte che non dovrà mai essere corrotta dalla politica e da tutto ciò che non riguardi la musica.

Il Direttore d’Orchestra per eccellenza è lui, con coraggio e dedizione all’unico mestiere possibile che il destino gli aveva riservato sin da piccolo. E noi italiani dobbiamo essere orgogliosi di avere lui come connazionale, esempio per tutti.

Morandi, Ranieri, Zanicchi: che ci fanno i SuperBig a Sanremo?
Iva Zanicchi è alla sua undicesima partecipazione: se vincesse eguaglierebbe il record di Villa e Modugno, ma i bookmakers la indicano come ultima in classifica

Gianni Morandi, Massimo Ranieri e Iva Zanicchi non vanno al Festival per caso: vogliono vincere (anche se non lo dicono)

Morandi, Ranieri, Zanicchi. Tre veterani del Festival di Sanremo che, insieme, con l’edizione del 2022 conteranno un totale di 25 presenze. Settima volta per i due uomini, undicesima per l’Aquila di Ligonchio. Eppure, dopo tanti anni, sarà solo la prima volta che si ritroveranno tutti e tre contemporaneamente in gara su quel palcoscenico.

Una statistica interessante: quando due di loro si sono incrociati, qualcosa è successo sul podio. Nel 1969 Iva Zanicchi vinse con Zingara, nello stesso anno in cui Ranieri arrivava decimo con Quando l’amore diventa poesia. Nel 1995 Gianni Morandi arrivò secondo cantando In amore (con Barbara Cola), mentre il cantante napoletano presentava La vestaglia. Per la legge dei grandi numeri, qualcosa potrebbe davvero accadere e sicuramente non dispiacerebbe a nessuno dei tre. D’altra parte, quando dei SuperBig gareggiano a Sanremo è perché credono di potere arrivare lontano giocandosela alla pari con i più giovani. In caso contrario si può sempre sperare di essere chiamati come superospiti: ma è un gioco troppo facile, che tutto sommato non interessa ai tre protagonisti della canzone.  Con loro ci saranno sul palcoscenico dell’Ariston un totale di 5 vittorie e 3 podi.

Vediamo insieme le loro schede tecniche, partendo proprio da Gianni Morandi, in gara con “Apri tutte le porte”.

Sembra di averlo visto un sacco di volte a Sanremo, eppure Gianni Morandi conta solo sei presenze in gara finora. La prima fu nel 1972 con Vado a lavorare. Erano passati solo dieci anni dal suo esordio discografico con Andavo a 100 all’ora, ma proprio con l’inizio del nuovo decennio si era arrestato il successo dell’eterno ragazzo di Monghidoro. Le vittorie e le battaglie a Canzonissima e al Cantagiro sembravano già lasciare spazio alla crisi artistica di un cantante in cerca di identità. Si classificò quarto sul palcoscenico del Casinò, a soli due voti dal podio (quell’anno arrivò terza Nada con Il re di denari). Passato il decennio difficile, Morandi si ripresentò a Sanremo nel 1980, con il Festival ormai traslocato da qualche tempo al Teatro Ariston. Non bastò un brano (Mariù) scritto da De Gregori e Ron: anche quella volta il podio sfuggì. Non andò molto meglio nel 1983, quando La mia nemica amatissima fu la seconda più votata dal pubblico del Totip, ininfluente ai fini della classifica (arrivò ottavo).

I successi di Morandi al Festival di Sanremo arrivarono tutti nelle sue ultime tre partecipazioni.

Nel 1987 trionfò con Morandi e Tozzi cantando Si può dare di più, nel 1995 arrivò il già citato secondo posto con In amore, infine nel 2000 arrivò terzo con Innamorato, scritta per lui dall’accoppiata Cogliati-Ramazzotti. Anche se quel terzo posto, in qualche modo, fu da masticare amaro: Morandi era dato da tutti come superfavorito. Tv Sorrisi e Canzoni gli aveva dedicato una copertina di buon auspicio alla vigilia del Festival. Invece qualcosa non andò come nelle previsioni e, così, Morandi entrò Papa e uscì Cardinale. Indimenticabili, infine, i suoi due Festival da conduttore e direttore musicale nel 2011 e nel 2012 che, senza dubbio, diedero una svolta alla manifestazione portando in gara nomi illustri fino a quel momento restii a mettersi in gioco.

Torna per la settima volta anche Massimo Ranieri, in gara con “Lettera al di là del mare”.

Anche lui, come il suo “eterno rivale” emiliano, aspirerebbe tanto al ruolo di conduttore e direttore artistico, che sfumò nel 2012 per pochissimo. La partecipazione nel 2022, per questo, gli rende ancor più onore.

Dopo aver esordito da cantante a soli 13 anni con il nome di Gianni Rock, a 17 anni debuttò al Festival arrivando settimo con Da bambino. Il decimo posto del 1969 sembrava mettere una pietra tombale sulla sua avventura in riviera. Invece nel 1988 la rivelazione: il trionfo assoluto con Perdere l’amore, scartata l’anno prima dalle commissioni nell’interpretazione di Gianni Nazzaro. In quella canzone c’era tutto ciò che si può amare di un brano grazie ai numerosi professionisti che vi lavorararono: l’arrangiamento di Lucio Fabbri, l’introduzione di Rocco Tanica. Infine, la penna di Giampiero Artegiani e Giampiero Marrocchi.

Più sfortunate, ma preziosissime le partecipazioni degli anni ’90: quinto con Ti penso, quindicesimo con La vestaglia, fuori dal podio con Ti parlerò d’amore. Classifica a parte, quando Ranieri arriva a Sanremo lascia sempre il segno con brani che restano nella storia. Vi sono buone ragioni per credere che ciò si ripeterà nel 2022.

Eccoci a Iva Zanicchi, alla sua undicesima volta in gara con “Voglio amarti”.

I bookmakers, ingenerosamente, la posizionano all’ultimo posto con convinzione. Evidentemente conoscono solo la storia recente di Iva al Festival. In effetti nel 2003 non andò bene il suo ritorno con Fossi un tango e, nel 2009, fu Benigni a mettere il carico da novanta attaccandola per il testo di Ti voglio senza amore. Quell’anno c’era l’eliminazione e Iva uscì di scena dopo due serate, esibendosi peraltro sempre dopo la mezzanotte. All’epoca la cantante era europarlamentare e la cosa non piaceva a molti che tendono a politicizzare tutto quanto, persino la poesia. Oggi, che Iva Zanicchi ha ormai superato anche il gap di essere confusa solo per una conduttrice essendosi ripresa il suo posto nella storia musicale, le cose potrebbero andare diversamente da come ipotizzano gli scommettitori. Anche perché, in passato, Iva ha ottenuto grandissimi risultati.

Dopo l’esordio nel 1965 con I tuoi anni più belli, arrivarono altre cinque partecipazioni consecutive, con ben tre podi. La notte dell’addio, Non pensare a me (vincitrice), Per vivere, Zingara (vincitrice), L’arca di Noè (terza). Quindi il ritorno nel 1974 con Ciao cara, come stai?, che significò il terzo successo. Nel 1984 anche la partecipazione con Chi (mi darà).

E’ l’unica che potrebbe raggiungere il record assoluto di vittorie di Villa e Modugno. C’è da dire che lo scorso anno i bookmakers davano per ultima in classifica anche Orietta Berti. Non solo Orietta si classificò, in realtà, tra i primi dieci, ma addirittura fu la vincitrice morale dell’edizione. Forse, sotto sotto, anche la Zanicchi è contenta di questa previsione…

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La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Roberto Pregadio

Ricordando Roberto Pregadio. Per tutti, il “Maestro della Corrida”


Roberto Pregadio: pochi giorni fa, il 6 dicembre, sarebbe stato il suo 93esimo compleanno. Vogliamo dedicare proprio a lui, quindi, la nuova puntata di Musica Maestro. Con l’occasione di ripercorrere la carriera di uno dei giganti della direzione d’orchestra.

Diplomatosi al Conservatorio di Napoli, esordí nel 1960 nell’orchestra del Maestro Carta e, pochi mesi dopo, arriva all’Orchestra di Musica Leggera della Rai.

L’anno dopo dirige Claudio Villa in una tournée americana: così diventa protagonista anche all’estero.

Nel frattempo Roberto Pregadio forma anche un suo piccolo complesso. Il Maestro scrive colonne sonore per numerose piccole commedie sentimentali, specie quelle dirette da Silvio Amadio. Ma, soprattutto, scopre la radio. Al fianco di Nunzio Filogamo e Turi Ferro, lancia programmi che faranno la storia dello spettacolo.

Nel 1968 esordisce nella prima edizione de La Corrida, la trasmissione radiofonica condotta da Corrado Mantoni che vede protagonisti dilettanti allo sbaraglio.

Con i suoi jingle, Roberto Pregadio accoglie l’ingresso in studio dei concorrenti.

I suoi stacchi musicali, di fatto, scandiscono il tempo di una trasmissione tutta da ascoltare, almeno in quei primi anni.

Nel 1980 Roberto Pregadio si sposta sul genere jazz: il suo complesso si contraddistingue per una rara capacità di interpretare lo swing distaccandosi dal tradizionale stile americano.  Sembra infatti di potere inserire, su quella musica, parole perfettamente italiane.

Nel 1986, per lui, arriva la svolta. È di nuovo a La Corrida con Corrado ma, ora, si trova in prima serata su Canale 5. La televisione impone un talento anche nella presenza scenica oltre che nella qualità orchestrale. Roberto Pregadio si fa trovare pronto. Gli bastano sguardi di disappunto e straniamento per tenere a bada i concorrenti. Sguardi che spesso incrociano quelli del conduttore, con cui va a formare in pratica una coppia assodata del piccolo schermo.

Come arrangiatore e compositore di musica leggera, vince nel 2003 il Premio Pippo Barzizza.

Roberto Pregadio ha sempre saputo unire ironia e qualità, senza preoccuparsi di diventare personaggio prima ancora che Direttore.

Chi è bravo, lo è a prescindere dal modo con cui si propone.

Orgoglioso del suo ruolo, lo ricordiamo dirigere estasiato con entrambe le mani, immerso dalla bella musica e con lo sguardo nascosto dietro a occhiali appoggiati sul naso.

Peccato che in pochi si ricordino, almeno in tv, una sua esibizione completa, vista la facilità con cui il pubblico dello storico programma interrompeva prima della fine il concorrente.

Oggi sarebbe sicuramente un numero uno tra i coach di un talent. Elegante e ironico senza mai risultare offensivo nei confronti di quei dilettanti allo sbaraglio, Roberto Pregadio aveva una missione ben precisa che insegnò a tutti. Per lui la musica era qualcosa di molto serio, da prendere con lo spirito di chi amava giocare e mettersi in gioco. Questo era “il Maestro della Corrida”, come in molti ancora oggi lo chiamano. Come lui stesso non ha mai disdegnato di essere chiamato.

Sanremo 2021, il trionfo dei Maneskin 2
Amadeus con Ibrahimovic alla serale finale del 71 Festival di Sanremo. Sanremo (Italia), 6 marzo 2021. Foto di Marco Piraccini

Il cast presentato da Amadeus tra conferme e polemiche

Amadeus cambia un’altra volta. Al suo terzo Festival di Sanremo consecutivo, il direttore artistico e conduttore propone una gara diversa da quella delle precedenti edizioni. Dopo il primo anno concentrato su un pop contemporaneo, il secondo anno mirato a un pubblico sempre più giovane grazie allo spazio dato alla trap e alla musica indie, ecco che Amadeus questa volta unisce davvero tanti generi (ed età) completamente diversi tra loro.

Si va dalla Zanicchi (già vincitrice di tre edizioni, meglio di lei solo Villa e Modugno) all’esordiente Sangiovanni, a cui è bastato un doppio successo quest’anno per aggiudicarsi il posto tra i Big.

Certo non si può dire che ad Amadeus manchi il coraggio.

Mettere nella stessa gara nomi storici della nostra canzone e giovani che nel curriculum vantano sostanzialmente solo la partecipazione a un talent, è qualcosa di incredibilmente coraggioso, da qualunque punto di vista si voglia guardarla.

Sarà un Festival di Sanremo che vedrà sul palcoscenico tanti nomi gloriosi e qualche sorpresa. Ben sette i cantanti in gara, già vincitori in passato: non era mai successo prima e, probabilmente, sarà finalmente l’occasione per vedere qualcuno bissare il trionfo. Situazione che non capita dal 2002, anno in cui a vincere furono i Matia Bazar (con una formazione in gran parte diversa da quella che nel 1978 aveva incantato con E dirsi ciao).

Il cast completo è stato annunciato da Amadeus sabato scorso al Tg1. Vediamolo allora nell’ordine. I già vincitori Gianni Morandi, Massimo Ranieri, Mahmood con Blanco, Elisa, Emma, Fabrizio Moro, Iva Zanicchi. Gli Amici di Maria: Sangiovanni, Aka7Even, Irama.  Gli alternativi: Dargen D’amico, La Rappresentante di Lista, Ditonelllapiaga con Donatella Rettore. Le sorprese che molti hanno dovuto cercare su Google: Highsnob e Hu, Rkomi, Giovanni Truppi. I veterani che a Sanremo non sanno rinunciare: Noemi, Le Vibrazioni, Achille Lauro, Giusy Ferreri. Il ritorno: Michele Bravi. Infine la polemica: Ana Mena.

 

Esatto, la polemica. Appena presentati i 22 Big in gara, a cui si aggiungeranno altri due provenienti dalla Sezione Giovani, è montata la rabbia di qualche escluso contro Ana Mena, rea di essere straniera in una gara di canzoni italiane.

Gioverebbe ricordare, contro ogni astio, che al Festival della Canzone Italiana un tempo era abitudine avere cantanti stranieri in gara, pur di dare lustro alla manifestazione. Parliamo di fior di artisti che fino a prima non avevano mai cantato nella nostra lingua (al contrario di Ana Mena che, piaccia oppure no, ha alle spalle già due tormentoni estivi con Rocco Hunt). Addirittura vigeva il regolamento per cui si poteva gareggiare con un testo straniero, purché gli autori avessero la cittadinanza italiana. E come non ricordare che nel 2008 a vincere fu, insieme a Gio Di Tonno, l’argentina Lola Ponce?

Gli esclusi, però, si sa che da sempre maldigeriscono il cast, al grido di presunti complotti. Sabato prossimo cominceremo a raccontarvi uno per uno i Big in gara, con un piccolo approfondimento su ciascuno. Scommettiamo che sarà emersa qualche nuova polemica in previsione di Sanremo 2022? Amadeus si tenga pronto e non sveli gli ospiti: potrebbe andare incontro a irascibilità insopportabili. Intanto, mercoledì 15 dicembre, ci sarà la finale di Sanremo Giovani. Come nel 2019 co-condotta da Pippo Baudo. E, come in quell’anno, da lì emergeranno due vincitori, che saranno subito neo-Big.

 

Gorni Kramer, dal jazz al Musichiere e…

Gorni Kramer, o per meglio dire leggendo  prima il nome e poi il cognome Kramer Gorni, è un altro dei protagonisti indiscutibili della direzione d’orchestra italiana.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Gorni Kramer

Sì, italiana. Perché come sebbene il nome Kramer, quando nacque nel 1913, gli fu dato in onore del ciclista americano Frank Kramer, campione del mondo l’anno prima, il cognome Gorni indica chiaramente la sua origine mantovana.

 

Dedichiamo a lui questa nuova puntata di Musica Maestro.

Gorni Kramer iniziò la sua carriera da ragazzino, come fisarmonicista, nell’orchestra di suo padre.

Ma sarebbero stati gli anni Trenta a vedere l’esplosione artistica del musicista. Dopo essersi diplomato in contrabbasso, infatti, nel 1933 creò un gruppo con cui suonare jazz. Ossia quel genere vietato dal regime fascista in quanto troppo scanzonato.

Negli stessi anni, appena ventenne, Gorni Kramer seppe distinguersi come compositore musicale di canzoni ancora oggi mitiche per la loro carica di ironia e, molto probabilmente, di satira politica.

Crapa pelada, Pippo non lo sa, Ho un sassolino nella scarpa avevano riferimenti al Parlamento molto più di quanto non si volesse far credere.

In effetti quel Pippo, verso cui era indirizzato il sarcasmo di una città intera, pare difficile potesse essere il collega Barzizza. Sebbene i due avessero avuto una discussione nel 1939, la storia li avrebbe voluti successivamente troppo amici e pieni di stima reciproca per credere davvero a quella leggenda. Pippo non lo sa fu ispirata al gerarca fascista Achille Starace che, girando sempre in camicia nera, suscitava l’ilarità di tutti. Ecco perché fu spesso censurata in quegli anni nella versione originale del Trio Lescano.

Dopo aver composto per il Quartetto Cetra Nella vecchia fattoria, Gorni Kramer incontrò nel 1949 Garinei e Giovannini.

E fu amore a prima vista. Insieme infatti collaborarono per tantissimi anni, dedicandosi praticamente a una commedia musicale ogni anno.

Un bacio a mezzanotte, Domenica è sempre domenica, ma anche Il lungo il corto e il pacioccone: negli anni sarebbero state tantissime le canzoni di successo di Gorni Kramer (autore di oltre 1000 brani).

Subito nel 1954 esordì in tv diventando uno dei direttori d’orchestra più popolari.

Il Maestro fondó anche la Combo Records, etichetta che lanciò tra gli altri Tony Renis. Ma fu proprio sul piccolo schermo che divenne uno dei musicisti più apprezzati.

Gorni Kramer fu il primo dei Maestri a non trattenere il movimento di tutto il corpo mentre dirigeva. Con le gambe che si incrociavano a ritmo di musica, veniva fuori quasi un ballo mentre teneva in pugno l’orchestra con aria scanzonata. Fu il primo a scoprire che si può essere seri senza diventare seriosi.

Protagonista soprattutto a Il Musichiere e a Quelli della domenica, Gorni Kramer divenne un’icona della televisione italiana, tanto da essere presente anche in ben tre Caroselli.

Morì a 82 anni nel 1995, restando nella storia anzitutto per il suo atteggiamento rispetto all’orchestra: un rapporto empatico con l’ensemble e una grande capacità di rendere spettacolare ogni momento musicale. Perché le canzoni, anche quando hanno qualche richiamo politico, devono comunque servire prima di tutto a distrarre e a regalare divertimento. O meglio, divertissment. E se lo diceva un grande Maestro, c’è da giurare che fosse vero.

Verso Sanremo 2022, ogni sabato un aggiornamento

Sanremo 2022, il countdown alla rovescia è cominciato. Anzi, quello che riguarda la data di ufficializzazione dei 22 Big in gara, non si sa nemmeno quando finirà. Ha però una data di scadenza ben precisa: il 15 dicembre.

Quel giorno, in prima serata su Raiuno, Amadeus avrà infatti sul palcoscenico tutto i protagonisti della nuova edizione del Festival di Sanremo, in programma dall’1 al 5 febbraio.

Rumors ormai incessanti, spoiler dell’ultimo minuto e tante sorprese a cui il direttore artistico sta pensando, sono pronte a emergere da un giorno all’altro con assoluta certezza.

Da giovedì scorso, infatti, la Rai ha annunciato che i Big di Sanremo 2022 potranno essere comunicati ufficialmente già prima del fatidico 15 dicembre.

I nomi in lizza ormai li avete letti in tutte le salse e, a questo punto, per molti di loro ci sarebbe da stupirsi se non dovessimo vederli sul palcoscenico del Teatro Ariston. Inutile ripercorrerli ora, in attesa di avere una lista vera e definitiva. Cerchiamo, piuttosto, di capire come Amadeus stia immaginando il prossimo Sanremo.

 

Sanremo 2021, il trionfo dei Maneskin
I Maneskin alla serale finale del 71 Festival di Sanremo. Sanremo (Italia), 6 marzo 2021. Foto di Marco Piraccini

La linea appare evidente: dopo un Festival ricco di nuove e sorprendenti proposte, per cui Amadeus ha il merito di averle portate all’Ariston trattandole con la stessa importanza dei veterani più consumati, ecco in arrivo un cast che unirà artisti più di nicchia a Big assoluti.

Del resto, l’anno scorso ci voleva molto coraggio, che questa volta deve essere ripagato. Amadeus nel 2021 ha rinunciato a tanti nomi altisonanti, con un teatro spoglio de suo usuale pubblico a causa del Covid.

Ora vedremo battagliare tra loro stelle assolute della musica italiana, già vincitrici a Sanremo negli anni passati, con giovani provenienti da piattaforme come Tik Tok. Oltre che dai talent, naturalmente.

Sanremo 2021, la prima serata. Annalisa davanti a tutti 3
Amadeus, Fiorello alla serata finale del 71 Festival di Sanremo. Foto di Marco Piraccini

Cambia il modo di ascoltare canzoni, cambia di conseguenza il Festival di Sanremo.

Attenzione, però: non sarà un gioco per nessuno.

Chi si attende che i veterani arrivino all’Ariston per giocare, si sbaglia di grosso. Quando c’è la gara, ecco che si sfoderano le armi migliori. Chiedetelo a Orietta Berti, protagonista assoluta della passata edizione è diventata vera e propria icona di molti giovani nel 2021. Chiedetelo a Ermal Meta, se classificarsi terzo dopo essere stato favorito per una settimana intera, sia identico a vincere. A Sanremo si va per promuovere il brano, certo. Ma quel brano deve essere vincente, non si discute.

Saranno cinque serate lunghe (ormai è inutile illudersi, prendetevi una bella settimana di ferie a febbraio, se dovete andare a lavorare alle 6 del mattino), ricche di soli Big.

Sì, perché i giovani che ascolteremo a febbraio non saranno comunque novità assolute. Come dicevamo, anche loro arrivano tutti da qualche successo. Gli emergenti, invece, si esibiranno tutti il 15 dicembre. Dalla gara di metà mese avremo quindi i due vincitori della categoria Giovani, che si presenteranno all’Ariston a febbraio con due nuovi brani. Ecco perché, quindi, i Big in realtà saranno 24: 22+2.

E la storia ha già regalato tanti giovani vincenti tra i Big con formule simili: Mahmood è solo l’ultimo in ordine di tempo. Si ricordino anche Tiziana Rivale, Giorgia, Jalisse, Annalisa Minetti. Situazioni diverse, ma nemmeno poi troppo.

Si prospetta una grande edizione, che potrà fare affidamento sull’esperienza e la cordiale simpatia di Amadeus.

Noi fino a febbraio, ci fermiamo per due mesi con la nostra amata rubrica LegalPop, che tornerà con un format tutto nuovo ed esclusivo. Ogni sabato, quindi, vi racconteremo aggiornamenti e curiosità su Sanremo 2022. State sintonizzati, perché ne vedremo delle belle.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Bruno Canfora, storica figura della musica anni ’50 e ’60

Il Maestro Bruno Canfora, un’istituzione della nostra musica e della nostra tv. 

Bruno Canfora, un Direttore d’Orchestra silenzioso eppure incredibilmente spettacolare. Tutti, anche chi non ha vissuto la televisione degli anni ’60 che lo vide protagonista a Canzonissima e Studio Uno, conoscono il suo nome. Impossibile non associare Bruno Canfora alla storia musicale o, addirittura, all’istituzione della nostra cultura. Del resto la Rai ha sempre scelto professionisti di grande classe sin dai suoi primi anni di vita e il Maestro milanese appartiene proprio a quelle personalità in grado di legittimare la storia del servizio pubblico.

Vediamo quindi oggi, nel nostro percorso che va a conoscere i grandi Direttori d’Orchestra, chi era davvero il Maestro Bruno Canfora, morto nel 2017 a 92 anni.

Allievo del Maestro Leandro Serafin, primo oboe del Teatro alla Scala di Milano, Bruno Canfora si diplomò nello stesso strumento negli anni del secondo conflitto mondiale. Contemporaneamente studiò pianoforte e teoria musicale, avvicinandosi al jazz grazie a Serafin. Un’innovazione per l’epoca, se si pensa che il jazz arrivava dall’America ed era spesso censurato dal regime, in quanto considerato troppo “licenzioso”.

Fu nel 1943 che conobbe la cantante Elsa Pejrone, che sarebbe divenuta poi madre di due suoi figli. L’occasione fu regalata da una orchestra tedesca, che coinvolse Canfora proprio nell’esecuzione della musica jazz.

La chiamata dell’EIAR avvenne nel 1945, per suonare il pianoforte nell’orchestra di Venezia.

Successivamente si trasferì a Trieste, accompagnando formazioni inglesi e statutinensi. Già nel 1948 la sua banda vinse il premio Bacchetta d’Oro, sebbene il titolo del riconoscimento non rispecchiasse completamente il modo di dirigere l’orchestra del Maestro.

Bruno Canfora, infatti, era solito dirigere senza bacchetta. Lo ricordiamo con quel movimento della mano che vede pollice e indice unirsi sempre a ritmo di swing.

Abbiamo ben presente infatti quel suo irrefrenabile gesto, tipico di chi ha la musica nel sangue, anche quando veniva coinvolto dalle gemelle Kessler nei loro balli e siparietti.

Impettito, vero gentleman della musica, rigorosamente in smoking: il Maestro Canfora sapeva essere personaggio anche solo con il suo sorriso che non nascondeva sotto i folti baffi. Eppure non parlava praticamente mai al microfono: caratteristica che lo rese ancor più particolare.

Celebri anche alcune presentazioni dove i comici, da Paolo Panelli a Raimondo Vianello, provavano a coinvolgerlo. La sua risposta era sempre quella: “Non so cosa dire”.

Insomma, Bruno Canfora parlava solo con la musica. E che musica. 

Dopo aver lavorato in Germania, dunque, negli anni Sessanta divenne uno dei più noti direttori d’orchestra televisivi. Sue le sigle più famose di quegli anni, da La notte è piccola a Zum Zum Zum. Canzoni che ancora oggi ci fanno cantare e nelle quali riscontriamo quella leggerezza adorabile unita all’orchestrazione imponente che andava di moda quegli anni.

Maestro di musica anche per il teatro, Canfora collaborò a lungo con Garinei e Giovannini e Iaia Fiastri. Nel 1995 la sua ultima partecipazione televisiva, dirigendo di nuovo, eccezionalmente, l’orchestra nella trasmissione di Pippo Baudo, Papaveri e papere, che riprendeva i vecchi successi degli anni ’50 e ’60.

D’altronde Bruno Canfora fu autore di innumerevoli brani di grande popolarità. Proviamo a citarne solo alcuni.

Il geghegè, Il ballo del mattone, Brava, Da-da-um-pa, Stasera mi butto, Fortissimo, Mi sei scoppiato dentro il cuore. La lista sarebbe ancora troppo lunga. Da Mina a Rita Pavone, sono tantissimi gli artisti che devnono molto al Maestro Bruno Canfora.

Un Maestro silenzioso, che parlava con la musica. E quando l’esperienza è di un certo prestigio, non possono che nascere canzoni di grande spessore, che restano nella storia. Proprio come lui.

 

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi

Manager e musica: ecco il loro rapporto

Manager, ossia il deus ex machina della carriera di un artista. Possiamo girarci intorno finché vogliamo, ma dal punto di vista commerciale la musica è spesso in mano più ai manager che alle note scritte sul pentagramma. Questo sicuramente non piacerà a chi, come noi, ama sottolineare un prodotto di qualità piuttosto che i nomi di chi si occupa di puro busisness. E’ però la realtà. Ecco perché è fondamentale avere un manager, almeno se non si vuole che un brano rimanga un segreto tra il cantante e i suoi amici più intimi.

Ce lo spiega bene l’Avvocato Renato Moraschi che, specialista in diritti d’autore, risponde alla lettera di Bernardo questa settimana e affronta tutto ciò che un artista può aspettarsi dall’operato di un manager.

Ecco come questo può determinare il futuro di un cantante.

Se anche tu hai una domanda da porre, in materia di legalità e musica, scrivi a redazione@musica361.it. In fondo alla pagina, come sempre, troverete la nostra traduzione dal linguaggio legal a quello pop.

Buongiorno,

sono un artista autoprodotto che, dopo vari anni di serate in piazza completamente gestite (anche economicamente) dal sottoscritto con l’aiuto di mio padre, ora vorrebbe fare un salto di qualità in più. Tutti i miei colleghi, anche i più giovani, sono sostenuti da un manager. Io, a parte mio padre che comunque non è un manager, ma piuttosto un appassionato di musica, non ho un manager. E’ fondamentale averne uno? A quali domande deve rispondere il contratto che stipulo con lui?

Bernardo, Lucca

Risponde l’Avvocato

Il contratto di Management è il Contratto con la C maiuscola…è l’atto da cui parte lo sviluppo ed il successo dell’Artista.

Con il contratto di Management viene stretto un rapporto di collaborazione e di fiducia con il proprio Manager col quale viene definito il proprio piano artistico ed editoriale; la titolarità delle Immagini dell’Artista medesimo ed il loro sfruttamento economico in base alla LDA.

Da ciò consegue tutto il successo dell’Artista medesimo con conseguente concretizzazione dei vari rapporti lavorativi, di ingaggio, ed in generale tutti i contratti atti a definire e pianificare il calendario delle varie attività da svolgersi nel corso della carriera artistica.

Per esempio i contratti discografici, di booking, sponsor o endorser, promozionali, radiocinetelevisivi etc.

Seppur trattasi di obbligazione di mezzi e non di risultati, le clausole che definiscono gli obblighi a carico del Manager e dell’Artista sono: la determinazione dei compensi ed il loro calcolo; la definizione delle spese di logistica; recording; la gestione dei social network dell’Artista; l’ufficio stampa con definizione a quale parte sia posto l’onere di pagamento etc. 

Fondamentali anche le modalità di risoluzione del contratto e le ipotesi di inadempimento dello stesso;

la disciplina che determina a chi appartengano le Edizioni delle Opere che l’Artista creerà durante la validità del contratto di management ed altre clausole ancora.

Inoltre va chiarito se la cessione della parte editoriale sia incondizionata e perpetua, ovvero se abbia carattere provvisorio. Al contrario potrebbero esservi limiti a carico del Manager.

DAL LEGAL AL POP

Un cantante, grazie a un manager, ha possibilità di progettare in modo strutturato il proprio successo.

Un artista deve avere un contratto con un manager. Tale contratto definisce il piano artistico ed editoriale del cantante, oltre allo sfruttamento delle sue stesse immagini. Un contratto prevede varie varie clausole, prime fra tutte la determinazione del rapporto economico. E’ bene fare chiarezza da subito. anche sulle modalità di eventuali risoluzioni contrattuali.

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