Come Lucio Dalla fu un esempio della vera direzione d’orchestra

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Lucio Dalla

Lucio Dalla nel ruolo di direttore d’orchestra non se lo immaginavano in tanti. Almeno fino a quando lo vedevamo “semplicemente” cantare e suonare ogni tipo di strumento, compresa quella voce che lui sapeva davvero sfruttare con un’originalità incredibile, producendo suoni che sembravano registrati.

Insomma, Lucio Dalla era un mito della musica italiana, a cui tutti riconoscevano un talento superlativo.

Eppure quasi nessuno credeva potesse essere un direttore d’orchestra. Come se, per i Maestri, la conoscenza musicale sia solo quella teorica. O, peggio, come se i direttori siano entità astratte distanti dalla musica autentica.

A Sanremo 2012, un mese prima di andarsene improvvisamente, Lucio Dalla ci fece l’ultimo regalo. A sorpresa diresse il pupillo Pierdavide Carone nell’esibizione di Nanì.

Per la verità, il poliedrico artista bolognese figurava anche come partecipazione straordinaria del brano. Non si poteva parlare di un vero e proprio featuring, dal momento che tale partecipazione si limitava a un appoggio corale durante il ritornello. Nonostante ciò, il contraltare di voci rendeva ancor più magica l’atmosfera di quella canzone.

Eliminati incredibilmente nel corso della prima serata, furono ripescati per poi guadagnarsi un definitivo quinto posto. Atmosfere uniche, arrangiamenti straordinari (dello stesso Dalla).

Quell’esibizione durante il Festival non è storica solo per essere l’ultima di Lucio Dalla, ma anche per il valore simbolico con cui il veterano dirigeva il giovane.

La gestualità e l’intensità di Dalla, in quelle serate, sono da vero e proprio manuale della direzione d’orchestra.

Proviamo a ripercorrerle.

Quell’anno l’orchestra si trova sotto al palcoscenico; il podio del direttore è sulla sinistra dell’ensemble, in modo da consentirgli di guardare negli occhi tutti i musicisti.

Lucio Dalla, invece, preferisce dirigere dal centro del palcoscenico. Si pone sulla pedana allo stesso livello di Carone, guardandolo frontalmente. L’orchestra è quindi dietro di lui, che la dirige senza guardare direttamente in faccia nessuno ma con una attenzione costante. Con la mano sinistra tiene il ritmo, con la destra sembra far volteggiare l’aria della melodia.

Non dirige solo il cantante, ma l’intera orchestra di cui sembra fidarsi ciecamente.


Quella esibizione dimostra quanto sia vero ciò che tanti ospiti della nostra rubrica Musica Maestro ci hanno detto: il vero lavoro viene svolto durante le prove più che nell’esibizione.

Ecco che Lucio Dalla aveva già chiaro come l’orchestra si sarebbe comportata: tanto valeva stare di fronte a Carone, con cui avrebbe dovuto avere una perfetta sintonia nel coro. Momento in cui, automaticamente, la sua concentrazione non avrebbe potuto essere per l’orchestra. Questa, invece, sapeva già come fare sin dalle prove.

Una carriera da polistrumentista, quella di Dalla, chiusa non a caso con una direzione d’orchestra tra le più esemplari di sempre. In fondo ci insegnò fino all’ultimo che la direzione, come tutta la musica è qualcosa di molto serio. Un gioco molto serio.

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi


Elaborazione di un brano: cos’è? Quando è consentita?

L’elaborazione di una canzone è qualcosa di usuale nel mondo della musica, specie se pensiamo a tanti brani famosi di anni passati, remixati di recente.

Ma l’elaborazione di un brano musicale cosa comporta? Entro quali limiti non intacca il diritto d’autore?

Questo si chiede Antonio, che questa settimana ci scrive ponendo la domanda all’Avvocato Renato Moraschi, specialista in diritti d’autore.

Se anche tu hai una domanda da porre all’Avvocato in materia di musica e legalità, scrivici a redazione@musica361.it.

In fondo all’articolo, come sempre, troverete la nostra traduzione della risposta dal linguaggio Legal a quello Pop.

Buongiorno,

Sono un aspirante dj. Mi piace giocare con la musica e fare dei mash-up tra canzoni aggiungendo tutta la mia creatività. È una cosa che faccio in casa, per conto mio.

So che l’elaborazione di un brano è consentita, ma ho paura che se provo a farlo in pubblico mi ritrovo una querela.

Faccio bene ad aver paura?

Risponde l’Avvocato:

Le canzoni originarie possono essere modificate unicamente nei limiti in cui non si incorra in un’elaborazione.

In tale ipotesi l’elaborazione di carattere creativo dovrà essere espressamente autorizzata.

In caso contrario si incorrerà nella violazione della LDA

con conseguente diritto in capo all’Editore, Autore del testo e compositore del Brano alla richiesta di risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi.

Secondo l’art. 18 della LDA, le elaborazioni sono modificazioni che cadono sulla forma esterna o interna dell’opera.

In questi casi viene lasciato quel tanto della sua forma rappresentativa per cui l’opera conserva il suo valore originale.

La legge definisce il diritto di elaborazione come “tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera prevista all’art. 4.

A sua volta l’art. 4 stabilisce che sono protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa quali le traduzioni in altra lingua; le trasformazioni da una in altra forma letteraria od artistica; le modificazioni ed aggiunte che costituiscano un rifacimento sostanziale dell’opera originaria; gli adattamenti; le riduzioni; i compendi; le variazioni non costituenti opera originale.

DAL LEGAL AL POP

Se si parla di remix o mash-up, si tratta di modifiche che non intaccano il brano originale.

Quando invece si varia in modo sostanziale la musica, ecco che siamo di fronte a una elaborazione creativa.

L’elaborazione creativa di un brano deve essere autorizzata. Le parti chiamate in causa a dare il consenso sono l’Editore, l’Autore e il Compositore del brano originale.

Una volta autorizzata, anche l’elaborazione creativa è protetta dalla legge. Si tratta di fatto di un nuovo brano a tutti gli effetti.

120 anni fa nasceva Cinico Angelini: vogliamo ricordarlo così 

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata a Cinico Angelini

Cinico Angelini, uno dei più grandi direttori d’orchestra italiani di sempre. Proprio pochi giorni fa, il 12 novembre, ricorreva il 120esimo anniversario dalla sua nascita.

Così questa settimana, dopo aver celebrato il suo più noto rivale Pippo Barzizza, omaggeremo proprio Cinico Angelini nella nostra rubrica Musica Maestro.

In realtà Barzizza era solo il suo più acerrimo amico, in una carriera fatta di grandi contrapposizioni, vere e presunte (da Trovajoli a Anepeta).

Del resto i personaggi leggendari sanno creare leggende intorno a sè, sotto ogni punto di vista. Il curriculum del Maestro lo dimostra.

Cinico Angelini, familiarmente detto “Il C.”, si dedicò allo studio del violino a soli dodici anni.

Entrò a far parte di un piccolo complesso appena maggiorenne, per poi fondare un’orchestra con la possibilità di suonare presso la sala Balakowsky e la sala Gay di Torino. Lì venne notato da Umberto di Savoia, diventando così il direttore musicale di vari eventi a palazzo Reale.

Nel 1925 si trasferì in America, dove assorbì lo swing e il jazz che avrebbero influenzato anche il suo stile che, nell’immaginario popolare, era solamente quello della musica tradizionale. Senza dubbio si ispirò, nella sua carriera, ai modelli delle orchestre classiche. Non va dimenticato però che, successivamente, sarebbe stato persino accusato di eccessiva esterofilia dalla radio di Stato, proprio per quella passione jazz.

Tornato‏ in Italia, diresse la Perroquet Royal Jazz per poi fondare finalmente la sua Orchestra Cinico Angelini.

Nel 1933 entró nella scuderia della allora EIAR. Fu così alla direzione della prima orchestra da ballo italiana che trasmise musica leggera alla radio.

A settembre 1939, la sua orchestra insieme a quella di Barzizza (la Cetra) fu protagonista di una tournée in tutta Italia.

Fu proprio per avvicinarsi al gusto nostrano ed evitare le accuse di esterofilia in pieno regime fascista, che Angelini decise di adottare, come sigla della sua Orchestra, la melodica C’è una chiesetta.

Dopo aver suonato, negli anni della guerra, presso ospedali e caserme, ecco che negli anni Cinquanta si presentarono le occasioni dei grandi Festival.

Cinico Angelini fu da subito protagonista a Sanremo, divenendo una delle figure più storiche e iconiche della nostra musica. Fu proprio lui a dirigere per la prima volta l’orchestra al Casinò di Sanremo dando inizio alla più grande kermesse canora di sempre.

Orchestratore e arrangiatore di brani diretti da lui, Cinico Angelini si impose così come un musicista assoluto.

Carattere rigido, contrario a ogni atteggiamento divistico: il Maestro si fece rispettare, secondo la leggenda, non senza importanti discussioni con i suoi orchestrali e cantanti.

Ritiratosi nel 1964, fu richiamato in qualità di ospite al Festival nel 1975 per alleggerire il clima di protesta creatosi tra cantanti e organizzazione. Un direttore, d’altra parte, è anzitutto qualcuno che sa tenere le redini e ricuce ogni frattura.

Nel 1977 si ritirò definitivamente con una serata di grandi successi del passato a Bussola (Viareggio).

Cinico Angelini rimarrà per sempre il direttore che fece esprimere i nostri interpreti con il loro bel canto: da Nilla Pizzi a Togliani, Duo Fasano, Carla Boni e Latilla. Le loro voci venivano inserite nell’impasto strumentale, creando così un suono del tutto particolare.

Non fu mai compositore, ma arrangiò pezzi passati alla storia quali Grazie dei fior, Mambo gitano, Occhi languidi, Crescendo in swing.

Cinico Angelini è, ancora oggi, una delle figure di riferimento per tanti direttori d’orchestra. La sua gestualità e il modo di osservare i musicisti, sotto il suo comando, sono una vera scuola per chiunque faccia questo mestiere, anche a distanza di ormai cento anni dal suo esordio.

Insomma, se oggi possiamo parlare di direttori d’orchestra sapendo di quale mestiere parliamo, lo dobbiamo a Cinico Angelini, che per primo avvicinò quel ruolo al linguaggio popolare. Proprio come la sua musica che, tuttavia, non rinunció mai a sfumature davvero raffinate. Alla faccia di chi pensa che “popolare” sia un offesa..

Il nome d’arte di un altro si può utilizzare?

 

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi

Nome d’arte e pseudonimo, spesso, si confondono tra loro. Il problema avviene quando il nome creato ad hoc si confonde con un nome reale.

Il mondo della musica è pieno di artisti che hanno modificato il loro nome originale in favore di uno giudicato più interessante. Talvolta viene cambiato solo il cognome, in altri casi tutto l’intero appellativo.

Naturalmente, può capitare che si scelga un nome realmente esistente.

Per esempio, Luca Bianchi. Ma se un giorno un vero “Luca Bianchi” decidesse di diventare cantante, dovrebbe cambiare nome? Oppure potrebbe usare il suo originale?

Vale la stessa regola che abbiamo visto vigere sui loghi della band? Vanno trattati come dei marchi?

Alla domanda posta da Antonio, risponde l’Avvocato Renato Moraschi
Come sempre in fondo alla pagina trovate la nostra traduzione dal linguaggio legal a quello pop.

Se anche tu hai una domanda da porre in materia di musica e legalità, scrivici a redazione@musica361.it.

Buongiorno,

Vorrei usare il mio cognome come nome d’arte. Il fatto è che è già utilizzato come nime d’arte da un famoso cantautore.

Posso comunque procedere o incorro in qualche illegalità legata al copyright?

Antonio, Napoli

 

Risponde l’Avvocato:

Lo pseudonimo non è altro che un appellativo che va a sostituirsi integralmente al nome e cognome di una persona e si sostituisce interamente.

Il nome d’arte è, invece, un nome e cognome completamente diverso rispetto a quello originario dell’artista.

La LDA e la giurisprudenza equiparano al nome e cognome effettivi lo pseudonimo e il nome d’arte.
Ne consegue che sia lo pseudonimo che il
Nome d’arte sono tutelati ovvero il loro utilizzo da parte di terzi può essere inibito.
Va da sè che che lo pseudonimo può essere tutelato dalla legge solo nella misura in cui sia originale e non già utilizzato da altri.
Per quanto attiene al nome d’arte, trattandosi molto spesso di nomi e cognomi reali, non potrà essere inibito l’utilizzo ad altro soggetto come proprio nome e cognome. Potrà impedirsi ad altri di utilizzarlo come nome d’arte.
DAL LEGAL AL POP
Il nome d’arte è un nuovo nome e cognome diverso da quello originale, similmente allo pseudonimo che è un appellativo di una parola con cui si sostituisce integralmente un nome e cognome.

Legalmente è punibile l’utilizzo di un nome d’arte già usato da un altro.

Se però questo è anche il nome e cognome reale di qualcun altro, nulla puó impedire a quest’ultimo di usarlo.
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Il Maestro Pippo Barzizza, leggendaria figura della musica italiana
Pippo Barzizza è, per tutti, un’istituzione della musica. Il direttore d’orchestra per eccellenza che, prima di chiunque altro, ha portato in Italia il jazz e lo swing.
Punto di riferimento della musica leggera per tantissimi anni, Pippo Barzizza fu direttore della Blue Star e poi dell’Orchestra Cetra, sempre contrapposto a Cinico Angelini. La loro rivalità è qualcosa di leggendario per chiunque ami la storia del Festival di Sanremo. E la città dei fiori ha un grande significato per lui, che proprio all’inaugurazione del Casinò nel 1928 conobbe la donna della sua vita, Tatina.

Polistrumentista di rara originalità, Pippo Barzizza chiuse la carriera anzitempo nel 1960.

Continuò, altresì, nella sua attività di Maestro. Tra i suoi allievi prediletti, per passione e costanza, Franco Fasano che lo ricorda ampiamente nel libro Io amo.
Oggi, nella nostra rubrica Musica Maestro, idealmente vogliamo provare a intervistarlo. Lo faremo attraverso una chiacchierata con suo figlio Renzo, montatore, regista e produttore cinematografico.  Sarà lui, che su You Tube ha creato un canale, Barzizza Channel, recuperando perle rare e meravigliose della carriera del padre, a raccontarci chi era Pippo Barzizza. Un Maestro d’altri tempi per competenza, passione ed eleganza.
Pippo Barzizza, qui con i figli Isa e Renzo che oggi è il nostro esclusivo ospite della rubrica Musica Maestro

Renzo, chi era papà Pippo Barzizza?

Era un personaggio speciale anche per la simpatia. Nel periodo prebellico potei godere meno del suo tempo e, quando diventai grande, ormai era travolto dalla quantità di lavoro che lo impegnava tra Torino e Roma. Ma questo non mi ha mai impedito di viverlo con ammirazione e anche divertimento. Pippo Barzizza amava la musica e credo che il suo principale privilegio fosse quello di essere rimasto un adolescente di estremo talento. Aveva una curiosità, un interesse per ciò che faceva e altresì una velocità di pensiero impressionante. La musica era il suo mondo. Era un fuoriclasse assoluto.

Come si rapportava con l’orchestra?

Era comprensivo ma severo e di una padronanza incredibile, di quelle che appartengono solo a chi può rivoluzionare il pensiero.

Con il suo carisma sapeva tenere in pugno l’orchestra con estrema facilità, facendosi rispettare e rispettando i musicisti.

Ricordi un episodio in particolare da poterci raccontare?

Una volta il sassofonista, durante le prove, si alzò e disse che secondo lui sullo spartito era indicato un passaggio impossibile da eseguire. Mio padre, con la sua voce autorevole, rispose: “Se scrivo una cosa è perché si può fare e se tu ripeti che è impossibile, anche se sono fuori esercizio, ora vengo lì e ti dimostro che si può fare”. Il musicista arrossì, si sedette e rifece il passaggio alla perfezione. Questa cosa mi colpì per la forza carismatica con cui convinse il musicista.

Lui suonava tantissimi strumenti.

I direttori d’orchestra dovevano sapere suonare almeno 3 strumenti. Lui ne suonava 9. Non volle mai suonare il trombone. Teneva molto alla sua bocca e alle sue labbra disegnate e non voleva rovinarle.

Dirigere un’orchestra era più una passione o un lavoro, per lui?

Per lui era sicuramente un’emozione continua. Non amava la musica facile: fece Paquito lindo, che vendette 270 mila dischi, ma ripeteva che fosse un brano pieno di luoghi comuni. Lo aveva composto in mezz’ora perché serviva un tango da far ballare a Totò. La sua musica sono Domani, Sera, La canzone del boscaiolo. E poi Un’ora sola ti vorrei, l’unico standard internazionale che scrisse, ma mai davvero riconosciuto perché non la firmò. E a volte se ne pentì.

Pippo Barzizza fu direttore d’orchestra di tanta musica leggera, jazz e swing per grandi palcoscenici, ma anche per alcune musiche dei Caroselli televisivi. Oggi alcuni musicisti dicono a bassa voce di aver composto per le pubblicità, quasi come se si vergognassero. Lui come si rapportava con i diversi generi che lo coinvolsero?

Per lui non esisteva una differenza tra musica popolare e classica.

La musica, per Pippo Barzizza, era distinguibile tra bella o non bella.

Ovviamente quella bella poteva essere talora quella popolare, altre volte quella classica. Non esistevano differenze in questo senso. Purtroppo, per circostanze fortuite, i suoi pezzi più belli non hanno incassato quanto altri, ma le sue composizioni hanno un inciso che si memorizza facilmente. Se fosse cresciuto professionalmente negli USA, anche come autore sarebbe diventato uno dei mostri sacri americani perché portò una ventata di novità che innescò una voglia creativa e produttiva di altri artisti in seguito. Tutti, nell’ambiente, glielo riconoscono. Lui non è stato dimenticato dai musicisti, ma dagli storici, che lo hanno snobbato a un certo punto perché non componeva musica popolare.

Qual era la sua composizione preferita?

Domani. In particolare era orgoglioso di un passaggio tra le strofe, che oggi sarebbe sfruttato con tanto colore di batterie ma probabilmente senza musica. A lui, invece, interessava avere anzitutto la melodia prima di tutti gli orpelli intorno.

Dicevi di Paquito lindo che fu composta in mezz’ora. In genere quanto impiegava per una canzone a cui dedicava anima e corpo?

Quando arrivava qualcosa da poter essere sviluppato, lo metteva da parte per pensarci un po’. E potevano passare anche mesi.

Come viveva la sua rivalità, vera o presunta, con Cinico Angelini, con cui si divideva i successi maggiori al Festival di Sanremo?

Erano amici. La loro fu una rivalità montata come quella tra Coppi e Bartali.

Solo che questi correvano sullo stesso terreno, mentre Angelini e Pippo Barzizza lavoravano su terreni diversi. Nelle loro carriere le belle canzoni se le giocavano a pari e dispari: avere un successo internazionale significava avere ascoltatori. Ma si rispettavano moltissimo, ricordo che anche Angelini aveva grandissima ammirazione per papà. Mio padre faceva basi complete per i suoi arrangiamenti; seguiva la musica corrente per passione e necessità al tempo stesso. Angelini, a tal proposito, gli diceva: “Ti invidio per le tue qualità!”.

Pippo Barzizza diresse per l’ultima volta un’orchestra nel 1984, in occasione dei trent’anni della televisione, alla presenza di Sandro Pertini. Se ne andò nel 1994, facendo quindi in tempo a vedere un mondo musicale che stava cambiando, con l’avvento del rap. Cosa penserebbe delle canzoni di oggi e della trasformazione musicale a cui stiamo assistendo?

Per lui, se le cose sono belle lo sono in qualunque genere vengano espresse. Papà era famoso per l’ampiezza del suo repertorio: dal jazz all’operetta, fino alla rumba, che per primo registrò in Italia. Non ricordo avesse espresso un giudizio preciso sul rap ma, conoscendolo, sicuramente apprezzava la rapidità di saper parlare di temi socialmente importanti, non ritenendola, però, musica.

Chi gli piaceva tra i cantautori, all’epoca, più moderni?

Quando sentì in anteprima i capelloni, aveva capito che da lì partiva una rivoluzione. E lo sapeva fare di tutti gli artisti. Per esempio, adorava Dalla. Apprezzava Battisti, Zero, De Andrè (come cantore più che come musicista). Capiva cose di cui io non comprendevo immediatamente la portata.

Non provò mai a coinvolgerti nella passione musicale?

Come no. Un giorno mi chiamò a sé, probabilmente proprio con quell’intento. Fece partire un grammofono e, nel frattempo, scriveva le parti degli strumenti per allenarsi. Io lo guardavo meravigliato, quasi in adorazione. Ma, per diverse ragioni, la musica non avrebbe mai potuto essere il mio mondo.

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi

Non esiste solo il plagio. In tutti i casi occorre tutelarsi depositando il brano

Il plagio è indiscutibilmente uno dei fenomeni che più preoccupa i giovani artisti. Lo vediamo spesso anche dalle email che ci arrivano in redazione, rivolgendosi all’Avvocato per la nostra rubrica LegalPop.
D’altra parte, il plagio coinvolge anche gli artisti affermati. Basti pensare al Festival di Sanremo e all’attenzione che ogni anno si pone sulle somiglianze dei brani con altri successi del passato. Molti media vivono quei giorni alla ricerca dello scoop. Ossia del plagio (che in quel caso potrebbe comportare la squalifica dalla gara).

Abbiamo già parlato in passato di questo lato oscuro della musica, definendo il plagio come la falsa attribuzione di paternità di un’opera.

In “soldoni”: una canzone è un plagio se non è frutto della nostra creatività, ma fingiamo che sia tale. Non è così facile farla franca, specie ora con il web che permette di riascoltare ogni tipo di brano, tuttavia è ancora abbastanza frequente tutto questo. Qualcuno cambia poche note e si giustifica dalle accuse sostenendo di essere stato “ispirato” da altre canzoni.
Nessuna poetica ispirazione, ovviamente. Si tratta di veri e propri plagi, perlomeno quando le due canzoni in questione sono sovrapponibili tra loro e si riscontra un’identità tra loro. In quel caso è chiaro che uno dei due artisti non ha inventato nulla, si è limitato a copiare l’altro.
Ma c’è un altra sfumatura di questo fenomeno, che emerge proprio questa settimana attraverso la lettera di Filippo. Il caso di chi, attribuendosi oppure no la paternità di un brano, lo sfrutta illecitamente.
A rispondere anche questa settimana è l’Avvocato Renato Moraschi.
Se anche tu hai una domanda in campo giuridico e musicale da porre, scrivici a redazione@musica361.it. In fondo a ogni pagina troverai sempre il nostro riassunto che traduce la risposta da un linguaggio legal a quello pop.
Buongiorno,
ho un brano a cui tengo molto, che non ho mai depositato non essendo iscritto alla Siae nè in alcuna altra collecting. Premetto che non intendo assolutamente far firmare le mie canzoni ad altri iscritti: quelle che scrivo io sono mie, non lascerei mai la mia arte in mano ad altri.
Il problema sorge, però, nel momento in cui qualcun altro volesse incidere questa canzone al mio posto.
Avendola già cantata nei miei concerti (con tanto di video che attestano la mia prima esecuzione), altri potrebbero sfruttare la mia canzone?

Potrebbero farne un plagio cambiandone alcune parole?

Filippo, Roma
Risponde l’Avvocato
Se taluno sfrutta illecitamente un’opera altrui, senza attribuirsene la paternità, che continua ad essere riconosciuta in capo al suo autore, si configura una fattispecie diversa, denominata contraffazione dell’Opera dell’ingegno. In tale ipotesi il terzo viola i diritti economici dell’opera.
E’, altresì, possibile configurare una fattispecie composta denominata plagio-contraffazione. In questa ipotesi vi è la falsa attribuzione di paternità di un’opera che viene, nel contempo, sfruttata illecitamente dal terzo. Giova precisare che per la contraffazione e per il plagio-contraffazione è irrilevante che l’opera riprodotta e sfruttata sia esattamente l’opera originale oppure la stessa modificata.

Nell’ipotesi in cui l’opera non sia stata depositata diventa più difficile giuridicamente fornire la prova della paternità dell’opera e, pertanto, di tutti i diritti tutelati dalla LDA.

DAL LEGAL AL POP

Non depositare un brano è alquanto rischioso, perché legalmente è ancora l’unico modo per confermare la paternità di un brano. Se una persona sfrutta illecitamente una canzone altrui, incorre nella contraffazione dell’Opera. Qualora se ne attribuisse anche la paternità, si parlerebbe addirittura di plagio-contraffazione.

Ma senza depositare il brano, anche la dimostrazione del solo sfruttamento illecito sarà praticamente impossibile. La canzone, finchè non è depositata, è di tutti.

Lucio Fabbri: Dietro a un brano tanto lavoro, ma il successo è un caso
Lucio Fabbri, qui fotografato da Monica Mazzei

Il Maestro Lucio Fabbri è il nuovo ospite della rubrica “Musica Maestro”

Lucio Fabbri è uno di quei nomi che vi sarà capitato di sentire ripetere migliaia di volte quando si parla di produzioni musicali. D’altra parte, dalla sua collaborazione con Eugenio Finardi nell’album Sugo a oggi sono trascorsi 45 anni e innumerevoli arrangiamenti seguiti e orchestrati da lui.

Se pensate a qualunque grande nome, questo ha sicuramente lavorato con Lucio Fabbri. Cantautori come Bertoli, Vecchioni, Jannacci; artisti internazionali come Dee Dee Bridgewater e Demis Roussos; interpreti della nostra musica più conosciuta quali Morandi, Mannoia, Tozzi, Ranieri, Maneskin e tantissimi altri.

Tutti i più grandi della musica si sono affidati all’esperienza del Maestro Lucio Fabbri.

Tastierista, violinista e chitarrista della PFM, nonché session man di Baglioni, Dalla, Gaber e De Andrè, Lucio Fabbri ha vinto per ben quattro volte al Festival di Sanremo in qualità di direttore d’orchestra e arrangiatore. Fiumi di parole (1997), Amici come prima (1997) Senza te o con te (1998), Siamo tutti là fuori (2003) i suoi trionfi tra Big e Giovani. Senza dimenticare che è suo l’arrangiamento di Perdere l’amore, vincitrice nel 1988 quando ancora non c’era l’orchestra.

Insomma, il nostro ospite di oggi è uno dei più grandi protagonisti della nostra musica. Non a caso anche l’Antoniano di Bologna, che da sempre è attento a coinvolgere i veri Maestri della nostra canzone, lo ha chiamato.

Da quest’anno Lucio Fabbri sarà il direttore musicale dello Zecchino d’Oro.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Lucio Fabbri è il venticinquesimo ospite di “Musica Maestro”

 

Lucio, anzitutto cosa cambia nel lavoro con i bambini rispetto a quello con cantautori affermati?

C’è una differenza sostanziale. I cantautori sono autonomi: scrivono le loro canzoni e si affidano a un arrangiatore, ma sanno già cosa fare quando devono cantare. I bambini hanno bisogno di qualcuno che insegni loro come comportarsi. Va detto che allo Zecchino non dirigo i bambini: a quello ci pensa la bravissima Sabrina Simoni. Io scrivo gli arrangiamenti e le parti per le singole voci del coro, di canzoni peraltro scritte anche quest’anno da cantautori di un certo rilievo. Ho un ruolo ben preciso insomma, che richiede di fare tutto entro un certo limite di tempo.

Quando ti affacciasti al mondo della musica ti immaginavi già di diventare il Maestro Lucio Fabbri?

Nessuno nasce direttore, ma chiunque ami l’orchestrazione sa che quello è un ruolo che talvolta può far parte di lui. Io volevo fare il musicista: in particolare mi è sempre piaciuta la figura dell’arrangiatore e dell’orchestratore. Perciò, quando è necessario, divento direttore d’orchestra: è un ruolo collaterale al mio lavoro quotidiano. Ci sono poi varie sfaccettature: a volte dirigo un’orchestra, altre una band più ridotta, a volte anche un coro.

In tanti sostengono che oggi il clic aiuti molto questo ruolo. Cosa significa essere direttori d’orchestra oggi?

In realtà il direttore ha sempre lo stesso ruolo che aveva un tempo: non è cambiato.

In fondo il clic di cui si parla non è altro che il pronipote del metronomo. Apparentemente chiunque potrebbe dirigere un’orchestra, ma quel chiunque deve possedere competenze musicali precise, per sapere andare a sincrono con qualunque musica. Se non fosse così gli orchestrali si ribellerebbero e si creerebbe un’indisciplina totale. Questo del resto accade persino quando a dirigere sono persone competenti, ma sconosciute all’ensemble affiatato che lo guarda con distacco.

Però a Sanremo oggettivamente sono aumentati tanti suoni che sarebbe impossibile dirigere senza un aiutino in più…

Certo, oggi al Festival ci sono le parti pre-registrate, che un tempo erano proibite. Dirigere ha però ovviamente mille sfaccettature, non riguarda unicamente Sanremo e la sua presenza televisiva. Ricordiamoci che c’è dietro un lavoro immenso, basato su una grande empatia tra il direttore e l’orchestra.

Ogni tuo lavoro ha portato a risultati incredibili. Ma tra le tantissime produzioni che hai seguito, ce n’è una che avrebbe meritato più fortuna?

Moltissime. Ci sono tanti fattori che possono incidere.

La fortuna è equivalente al caso: nessuno sa mai davvero perché un album o un cantante abbia successo.

Ci sonoÈ vero, ho prodotto tra gli altri anche un brano dei Maneskin (Beggin, ndr) ancora oggi ai primi posti in classifica in tutto il mondo, e quindi si fa spesso riferimento a quei pezzi. Quello che si fa, però, mediamente non ha successo. Se c’è una regola, forse possiamo dire che sia quella di collocare le cose nelle giuste caselle. Ogni artista ha il suo ambito e il suo percorso da intraprendere.

Quando si lavora su un prodotto, si può già immaginare quale sarà il target?

Si propone qualcosa sempre con il presupposto che questo verrà condiviso da uno zoccolo duro, in attesa da tempo di un nuovo progetto. Ogni cantante ha il suo bacino di utenza che si può quasi quantificare sin da subito. La scommessa è sempre cercare di catturare l’attenzione oltre a quel bacino. Quando riesce, vuol dire che la poesia ha saputo tradurre bene certe sensazioni.

Come può un giovane, che voglia affacciarsi al mondo musicale, capire quale sia la scuola giusta per lui?

Io sono l’opposto di tutto ciò che è una scuola. Dopo gli studi preferii non andare a fondo per non farmi assorbire da un meccanismo che avrebbe potuto bloccarmi in una specie di gabbia. Ammetto che oggi i Conservatori oggi non sono solo “conservatori”, ma anche aperti a nuovi stimoli. La vera forza, però, dobbiamo averla dentro, sfruttando la scuola casomai per mettere in ordine le proprie idee: d’altra parte l’istinto è una grande qualità, ma rischia di non essere ben gestito. Tutto deve arrivare comunque da un’introspezione dell’artista e da quell’entusiasmo che gli consenta di andare a “rompere le scatole” a chiunque faccia questo mestiere.

Bisogna accumulare esperienza, e questo si fa ascoltando attentamente la musica degli altri, nei suoi arrangiamenti e nelle sue orchestrazioni.

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Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi


Arrangiamenti nuovi su canzoni vecchie: come funzionano i diritti?

Gli arrangiamenti musicali rappresentano la chiave di interpretabilitá di un brano. Non ci sono solo i testi e le note a costituire l’anima di una canzone: chiunque fruisca musica sa che il colore con cui vengono presentate, fa cambiare il nostro stesso ascolto.

Gli arrangiamenti sono come abiti da indossare e, naturalmente, più sono eleganti e più restano nella storia.

Così in qualche caso nessuno oserà più toccarli e modificarli.

Ma se, invece, si decidesse di rinnovare un prodotto già esistente? Come funziona la spartizione dei diritti d’autore? È questo il tema di oggi della nostra rubrica LegalPop.

A rispondere alla domanda di Luigi è l’Avvocato Renato Moraschi. Se anche tu hai una domanda da sottoporre in materia di legalità e musica, scrivici a redazione@musica361.it. In fondo alla pagina, come sempre la nostra traduzione della risposta dal linguaggio Legal a quello Pop.

Recentemente ho sentito un vecchio brano pop eseguito per la prima volta da un’orchestra in un evento pubblico. Il Maestro d’orchestra ha arrangiato la canzone in modo diversa dal solito.
Mi sono chiesto, i diritti SIAE che avranno dovuto pagare per la serata, non comprendono anche gli arrangiamenti vecchi? Un direttore, se è anche un arrangiatore, non ha alcun diritto sulla sua nuova esecuzione?

Luigi (Matera)

Risponde l’Avvocato.

Tutti gli arrangiamenti di un brano, per essere correttamente depositati, dovranno avere lo spartito e l’mp3.

Il direttore d’orchestra non è detto che coincida con l’arrangiatore del brano. I suoi diritti dipendono dagli accordi dal medesimo presi con l’Artista, major, produttore.

DAL LEGAL AL POP

Tutti gli arrangiamenti devono essere depositati con spartito e mp3. Sono questi a formare la prova di un arrangiamento esistente. In virtù del deposito, si creano i diritti della persona che vi ha lavorato.

Va da sè, quindi, che se per una cover si utilizza un arrangiamento già esistente si dovrà pagare anche quello, viceversa

se si è gli stessi arrangiatori non si pagherà nulla oltre ai diritti d’autore che riguardano testo e musica della canzone.

In pratica, i diritti riguardanti gli arrangiamenti si spartiscono esattamente come quelli di testo e musica, costituendo una parte egualmente fondamentale del brano.

Il Maestro Zannini Quirini si racconta: Con “Vattene amore” fummo i vincitori morali del Festival

Zannini Quirini: Giovani, il futuro musicale dipende solo da voi
Mario Zannini Quirini ha diretto l’ultima volta a Sanremo nel 2009. E ora sarebbe pronto a tornare…


Mario Zannini Quirini
: uno dei Direttori d’Orchestra più raffinati della nostra musica. Arrangiatore, produttore e compositore, Zannini Quirini trasforma la canzone pop donandole ogni volta un’atmosfera classicheggiante. Quando c’è la sua impronta, si ha sempre la sensazione di avere a che fare con un’arte di livello superiore rispetto a quello di qualunque altro brano.

Attento ai dettagli sinfonici e alla ricerca, ma non sofisticato al punto da rinunciare alla loro espressività pop.

Come ci dice anche in questa intervista, il ventiquattresimo incontro di Musica Maestro, Mario Zannini Quirini ama il carattere più popolare della musica.

Tantissime le sue partecipazioni al Festival di Sanremo in veste di Direttore d’Orchestra: la prima nel 1990, con quella Vattene amore che potè vantare un secondo titolo, più popolare (Trottolino amoroso), come era accaduto in passato solo a Nel blu dipinto di blu (Volare). L’ultima partecipazione risale al 2009  (Ti voglio senza amore, cantata da Iva Zanicchi). In mezzo altre collaborazioni all’Ariston, quasi sempre con Amedeo Minghi accompagnato in successi come Cantare è d’amore, Nenè, Notte bella notte magnifica, Futuro come te.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Mario Zannini Quirini è il ventiquattresimo ospite di “Musica Maestro”

Come entra la musica nella tua vita? Ti immaginavi di diventare il Maestro Zannini Quirini?

Non fu un’improvvisa novità. La musica è da sempre la mia scelta: non ho mai pensato nemmeno per un minuto di fare altro. Da ragazzo cominciai a suonare nelle band con alcuni amici e, così, mi trovai a confrontarmi con altri scoprendo le mie peculiarità artistiche. Suonare con altri ti fa capire come devi comportarti e ti insegna a prendere decisioni. Nel mio caso mi accorsi presto che mi piaceva fare la musica a modo mio, cercando di ottenere anche dagli altri esattamente il senso che volevo dare ai brani.

Quindi fu un’esperienza empirica a instradarti.

Esatto. Proseguii poi con gli studi fino alla direzione vera e propria sulla musica pop. Nel 1990, a Sanremo, si presentò la grande occasione con il ritorno dell’orchestra, una grande intuizione di Aragozzini. In quella circostanza ero il più giovane direttore dell’edizione.

Che ricordi hai di quella esperienza?

Dirigevo Minghi e Mietta in Vattene amore, con la produzione di Sanjust e Varano per la Fonit Cetra.

Il tempo avrebbe detto che saremmo stati i vincitori morali di quell’edizione: il brano ci accompagnò per tutta l’estate e oggi ancora ce la ricordiamo e la conoscono i ragazzini. La ritengo una soddisfazione personale che ricompensa la scarsa conoscenza delle nuove generazioni circa l’abc della musica pop. Vattene amore arrivò comunque terza, un ottimo piazzamento.

Quella canzone è diventata in qualche caso anche un coro da stadio, per fortuna mantenendo le parole originali. Questo ti inorgoglisce o toglie qualcosa alla poetica di un certo impegno?

La musica pop si chiama così perché deve essere popolare, quindi ben vengano queste manifestazioni di affetto. L’intuizione geniale fu di Panella: fu lui a trovare quella perifrasi, Trottolino amoroso, che ormai siamo abituati a sentire nel nostro linguaggio.

Lavorare con poeti assoluti come Amedeo Minghi, quanto aiuta a esprimere la propria raffinatezza musicale?

Io, come un sarto, vesto una canzone per un artista. Minghi ha sempre prediletto le orchestrazioni importanti. Con lui sicuramente il mio lavoro ha trovato grosso spazio e, non a caso, dopo tanti anni siamo tornati a collaborare insieme con un nuovo brano uscito qualche mese fa, Navi o marinai (una bellissima lirica sui sogni e sul nostro ruolo in questa vita, ndr). In quell’occasione abbiamo riproposto atmosfere davvero particolari che ci hanno sempre appartenuto.

Come possiamo definire esattamente il mestiere di un Direttore d’Orchestra?

Intanto bisogna distinguere quello di musica pop, che ha un atteggiamento diverso da quello classico. Questo si distingue per gesti convenzionali e ritmiche inconsuete (tempi dispari e accelerati) che richiedono di scandire le misure per dialogare con l’orchestra. È una difficoltà che, invece, non si trova nel pop, dove il direttore, con la scrittura e con il gesto, deve anzitutto dare risalto a una frase piuttosto che a un’altra.

Il suo lavoro è quindi capire come dare risalto alle varie frasi dell’arrangiamento di un brano: ogni dettaglio, compresi gli stacchi e i break, hanno un valore fondamentale.

La cosa migliore è che il direttore abbia lavorato sui brani o, perlomeno, che abbia parlato con l’orchestratore al fine di riprodurre fedelmente la sua intenzione musicale. In ogni caso deve creare un crescendo e le dinamiche dei brani.

Oggi in tanti si presentano come Direttori d’Orchestra. Cosa si può fare per tornare ad avere una certa selezione anche in questo mestiere?

Bisognerebbe avere più scuole di musica, cultura musicale. È solo questa a poter dare cognizione, a chi ascolta e a chi fa questo mestiere, di dire la propria. Solo così si porta avanti la propria attività. Le generazioni di oggi spesso non conoscono la musica del passato, quindi manca qualcosa.

Come si distingue una scuola di musica seria da una millantatrice?

Non frequento da molto le scuole. A Roma i Conservatori comunque sono sempre i Conservatori, ma ci sono anche altre scuole storiche che hanno creato grandi musicisti. Tra queste il Saint Louis: chiunque esca da lì, è sicuro di avere imparato qualcosa.

La differenza, però, la fa il nostro atteggiamento più che la scuola in sé. I giovani devono partire da questo.

Cioè?

Bisogna capire se si vuole affrontare la musica professionalmente o come hobby. Per me, come dicevo, questo mondo è stata una vocazione: ho sempre cercato situazioni e insegnanti che potessero fare crescere la mia esperienza. Ognuno di noi quindi deve poter capire come può crescere: di insegnanti bravi ve ne sono tantissimi, sta all’allievo capire se c’è davvero la volontà di aprire gli orizzonti e portare avanti un progetto. Oggi, con la tecnologia, l’unico limite per i nostri sogni sono la fantasia e l’attenzione che si dà alle cose. Dipende tutto da noi.

Progetti futuri? Tornerai a Sanremo nel 2022?

Sto per uscire con un singolo cantato da un ragazzo molto forte. La canzone si intitola Magnitudo: ci credo molto perché davvero significativa. Intanto lavoro sempre sulla mia più grande passione: la musica dance anni ’70/’80.

Per Sanremo ci sono stati diversi tentativi in passato, ma alcune difficoltà in circostanze specifiche l’hanno impedito: l’ultima volta nel 2020 proprio con Navi o marinai. Vedremo nel 2022 che succederà…

Il fenomeno del bagarinaggio è ancora perseguibile?

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi

Bagarinaggio: un annoso problema. Mai completamente risolto, eppure perseguibile. Almeno così ci hanno sempre insegnato. Ma sarà davvero così? E perché?

L’Avvocato Renato Moraschi, questa settimana, risponde alla domanda di Sara che, preoccupata del rispetto delle regole a ogni concerto, si chiede se davvero il bagarinaggio costituisca reato e in quali termini.

Ma, soprattutto, chi acquista tramite bagarinaggio, commette anch’egli un reato?

È una pratica che fanno in tanti, la domanda quindi diventa lecita. Chi paga è sempre solo chi rispetta le regole?

Se anche tu hai una domanda da porre all’Avvocato Moraschi, in materia di musica e legalità, scrivici a redazione@musica361.it. In fondo a ogni pagina, come sempre, troverete la nostra traduzione della risposta dal linguaggio legal a quello…pop!

 

Buongiorno,

Come tutti non vedo l’ora che i concerti possano realmente riprendere la loro normale attività, così come è ora concesso di fare ai teatri. Chissà, però, se l’attenzione che verrà posta per verificare i Green Pass e le mascherine indossate correttamente, varrà anche per altre problematiche da sempre esistenti ahimè negli eventi live. Mi riferisco ai cosiddetti bagarini che, puntualmente, si incontrano fuori dai palazzetti. Questi individui sono sempre indisturbati nonostante vi sia la polizia intorno. Mi chiedo, allora, sono davvero pratiche illegali?

Non è che ora, avendo bisogno di vendere a tutti i costi biglietti per recuperare gli introiti persi negli scorsi mesi, il bagarinaggio sarà accettato benevolmente da tutti?

E se acquisto anch’io dal bagarino, a che titolo potrei rischiare una sanzione?

Sara (Diano Marina)

Risponde l’Avvocato

Il fenomeno del bagarinaggio e/o del secondary ticket, per cui i biglietti di un evento, in particolare concerti ed eventi sportivi, vengono acquistati in blocco e poi rivenduti all’esaurimento dei posti disponibili a prezzo maggiorato, costituisce violazione di legge.

Chi acquista tramite bagarinaggio potrebbe vedersi imputabile una responsabilità a titolo di concorso.

DAL LEGAL AL POP

Siamo alle solite: il fatto che qualcosa succeda di frequente, non significa che necessariamente non vi sia reato.

Acquistare biglietti per rivenderli a prezzo maggioritario va contro la legge.

Anche chi acquista tramite bagarinaggio va incontro a sanzioni, in quanto è ritenuto complice di un sistema profondamente sbagliato.

A questo, ovviamente, andrebbe aggiunta la possibilità che i biglietti acquista tramite bagarinaggio non siano nemmeno validi. In quel caso, la beffa sarebbe doppia perché oltre a concorrere alla violazione dei diritti d’autore, si verrebbe fermati sicuramente prima dell’ingresso.

Meglio non rischiare dunque, siete d’accordo?

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