Cirillo-Morselli, Caffellatte-Haiducii: le migliori novità della settimana
Marcello Cirillo con Demo Morselli


Cirillo ripropone O’Sarracino, Caffellatte ricanta Dragostea Din Tei. La cover funziona

Marcello Cirillo con Demo Morselli. Caffellatte con Haiducii. Ormai lo sappiamo: in estate va di moda il featuring. Ma anche la cover, o perlomeno la citazione di brani già arcinoti, è un modo per riproporre qualcosa di piacevole con una maggiore freschezza. Arrivati a luglio, ormai, le più grandi attese per i brani più nuovi e pronti a contendersi lo scettro di tormentone sono già finite. Ci sono già quasi tutti e chi non si è presentato all’appuntamento entro la scorsa settimana, ormai difficilmente riuscirà a entrare nella memoria delle vacanze. Anche perché ormai in tanti fanno già le ferie ben prima di agosto e, per loro, i viaggi avranno già avuto una colonna sonora. Ora, dunque, è il tempo delle possibili outsider. E’ il momento di quelle canzoni che, con una nuova veste, tornano a riecheggiare nelle nostre orecchie piacevolmente pur essendo già conosciute a memoria.

Marcello Cirillo è il Maestro delle cover a cui dà un’interpretazione talmente personale da trasformare i brani  in opere sue.

Questa volta, insieme all’amico Demo Morselli che ne guida l’arrangiamento, Cirillo ripropone O’ Sarracino. Il celebre brano di Renato Carosone compie 65 anni ma non li dimostra. La sentiamo cantare ancora spesso,  diventata ormai un must di feste e matrimoni. Tuttavia di solito cambia il suo interprete, ma solo parzialmente qualche ritmo. Del resto Carosone aveva già fatto un lavoro eccezionalmente all’avanguardia che sarebbe un delitto modificarne la struttura. Cirillo ha fatto di più. Mantenendo intatto il lavoro del Maestro Carosone, ecco che il famoso cantante amatissimo anche dalla tv ripropone il brano in una veste dance.

C’è da scommetterci: la versione di Cirillo di O Sarracino potrà esplodere soprattutto in discoteca.

Da canzone jazz, Cirillo e Morselli la fanno diventare un brano da ballare, con un ritmo destinato a fare rimbombare le casse. Non mancano le spumeggianti fantasie del Maestro d’orchestra, con alcune incursioni di fiati e un assolo di inconfondibile fattura. Cirillo non cambia una nota rispetto all’originale. Non si avventura in cambiamenti che risulterebbero odiosi. Diventa piuttosto un perfetto attore, che sa vestire meravigliosamente questi nuovo abito cucito apposta per lui e per le sue qualità. Marcello interpreta il successo con l’atteggiamento (si potrebbe dire la “cazzimma”) ideale per dare credibilità a un brano che rimane nella storia anche grazie alle continue cover. Questa però è particolarmente innovativa, anche perché strizza molto l’occhio ai giovani. E non solo a loro ovviamente. Poi diciamocelo: quando si sente la voglia anzitutto di divertirsi e di fare qualcosa con passione, come in questo caso, il risultato è sempre strepitoso. Farlo nel 2023, però, quando tutti pensano solo al denaro e non alla poesia, richiede coraggio. Bravi.

Altra cover, supportata da strofe nuove (e in italiano) quella di Caffellatte.

Con Haiducii ripropone la famosa canzone rumena Dragostea Din Tei. Quella che faceva ballare già vent’anni fa, colpendo anzitutto per un’estensione vocale che arrivava a raggiungere falsetti incredibili. All’epoca la cantava la stessa Haiducii. Questa volta il brano torna con il titolo Troppo Chic. Altro non è che una versione aggiornata e ancora più dance, con ulteriori suoni a riempire la melodia. Troppo chic è un inno alla musica (forse l’ultima bella e fatta di autentiche note) di cui oggi c’è nostalgia. Sì, guardare al passato è chic, e bisogna esserne fieramente orgogliosi. Specie visti tanti prodotti che siamo costretti a sentire oggi.

Dunque attenzione a cosa sentiremo nelle spiagge e nelle feste di quest’estate. Senz’altro tanti nuovi tormentoni, ma potrebbe capitarci anche qualcosa del passato. Non sarà un sogno: per fortuna c’è chi ancora valorizzare quel che di buono è stato fatto prima della Trap.

A proposito, questa settimana è nelle radio il nuovo singolo di Drillionaire, che unisce tutti i grandi della nostra trap: Sfera Ebbasta, Lazza, Blanco. 

Brano ovviamente molto atteso dai fan, ma in tutta onestà non si sentiva la mancanza dell’ennesima collaborazione con tanti protagonisti. Il ritmo è sempre quello: se si aggiungono nuovi suoni tecnologici non si dà più credito musicale a un pezzo che poteva interpretare tranquillamente uno da solo. Sarebbe inoltre gradevole capirne tutte le parole, invece ci si ritrova a doverle cercare sui motori di ricerca. Bontà loro che si possono permettere questo nel 2023: anni fa, quando i testi li trovavi solo su Sorrisi e Canzoni, avremmo scoperto tutto solo una settimana dopo. Capirai che scoperta: l’ennesimo testo pieno di volgarità, che un po’ guarda all’alcol come segno di eroismo e un po’ attacca la superficialità elogiando però il sesso libero a tempo perso. Ecco, questa musica ancora ce la devono spiegare, perché non è né orecchiabile né poetica, eppure ha sempre successo ed è prima in classifica.

Il vero tormentone di iniziò estate, però, sembra essere quello di Fedez e Annalisa con Articolo 31.

Aiutata anche dal concerto di LoveMi, la loro Disco Paradise sta iniziando a prendere il volo. Sebbene, tuttavia, meno di ciò che accadeva a Fedez gli anni passati. L’effetto novità nel recuperare qua e là pezzi del passato sta via via scomparendo. Per il 2024 il signor Ferragni dovrà inventarsi qualcosa di nuovo per far capire che avrà cambiato canzone.

Una canzone da New Trolls: l’inno della Sampdoria
I tifosi della Samp, per mostrare la propria vicinanza alla squadra retrocessa in B, nell’ultima giornata di campionato hanno intonato “Io amo”. La canzone è ormai da anni l’inno di una delle tifoserie più appassionate di sempre


Il calcio a volte sa interpretare grandi canzoni italiane: è capitato anche a Io amo


Quante volte avremo parlato della nostra squadra del cuore anticipandone il nome con due semplici parole: Io amo. In effetti il rapporto che abbiamo in Italia con il calcio è quasi paragonabile a quello di una relazione amorosa. I partner meno sportivi depositino pure le armi di guerra, stiamo parlando sempre in forma di metafora. Chi è appassionato di calcio, però, sa bene che il sentimento provato per la propria squadra è talmente viscerale da far sì che i risultati possano condizionare persino gli umori del fine settimana. Anche per questo non c’è da stupirsi, quindi, se parlando di calcio si senta spesso ripetere la frase “Io amo…”. In questa nuova puntata di MusiCalcio rivedremo quindi la storia di una canzone che, non a caso, è tornata alla ribalta negli ultimi mesi grazie ai tifosi della Sampdoria. Un altro di quei pezzi nati per i grandi palcoscenici e finiti, grazie alla loro popolarità, negli stadi.

Stiamo parlando proprio di Io amo, il brano portato al successo da Fausto Leali.

La Sampdoria, a maggio, era già retrocessa matematicamente, al termine di una stagione difficilissima. Non esisteva una società alle spalle e il rischio di fallimento era fortissimo. La tentazione per molti tifosi potrebbe essere, a quel punto, una sfiducia o persino un disamore nei confronti della squadra. Non così per i tifosi blucerchiati. Abituati a supportare la Samp nei momenti più complicati, come nei momenti più gloriosi dei successi dell’era Mantovani, i tifosi hanno continuato a cantare anche nell’ultima giornata di campionato. Anzi, in modo ancora più convinto e ad alta voce. “Tu solamente tu, non aver paura, non sarai mai sola, amo, io amo!”. Ritornello che ormai cantano da diversi anni.

Un ritornello che conosciamo tutti perfettamente quello di Io amo.

La canzone si classificò al quarto posto del Festival di Sanremo nel 1987 e segnò il grande ritorno di Fausto Leali al successo. Di lì a poco il negro bianco, come viene chiamato da sempre, interpretò poi Mi manchi e Ti lascerò. Tutte canzoni che, come Io amo, avevano la firma dello stesso compositore: Franco Fasano. Non a caso, il libro che racconta la sua carriera con le parole dello stesso cantautore, lo abbiamo intitolato, due anni fa, proprio Io amo. Non solo perché è una canzone famosissima in tutto il mondo. Ma anche perché racconta un sentimento costantemente ambito e dove nulla è mai scontato. Esattamente come la storia di questo brano.

Era il 1983. Franco Fasano e Italo Ianne si trovavano nel Pavese per una serata con amici.

Al rientro, mentre percorrevano chilometri di nebbia in macchina che avrebbero costretto a una sosta notturna, Ianne iniziò a intonare un paio di note del ritornello che oggi conosciamo tutti. “Non dimenticartele Franco”, ripeteva per tutta la notte l’autore di altri brani di successo di Iva Zanicchi, preoccupandosi che quella melodia inventata lì per lì dal nulla non scomparisse nella confusione della serata. Non c’erano ancora cellulari con cui registrare ogni istantanea: occorreva attendere il giorno dopo quando, dotati di registratore, Fasano e Ianne avrebbero potuto fissare quelle note su un nastro. Erano poco più che un accenno. Fasano ne intuì subito la portata internazionale e si mise in testa un sogno impossibile: fare cantare il brano a Billy Joel.

Fu lì che nacque l’idea di coinvolgere l’artista italiano più importante all’estero: Toto Cutugno.

Reduce del successo con L’italiano, Toto si mise quindi al pianoforte insieme a Fasano e Ianne e con loro proseguì la melodia completando la canzone. Anziché “Io amo”, il ritornello ripeteva “Io tremo”. Non vi è dubbio: la melodia è fondamentale, ma anche le parole hanno un senso importantissimo nella storia delle canzoni. Con “Io tremo”, probabilmente, in pochi avrebbero citato il titolo e il ritornello di quella canzone. Io amo è decisamente più solare e si propone meglio come una vera dichiarazione.

Cutugno e gli altri non si sentirono per altri tre anni.

Io amo rischiava quindi di andare in quel dimenticatoio scongiurato nella notte pavese. Fino a quando, a sorpresa, non arrivò la notizia che Fausto Leali, entrato a far parte della scuderia di Cutugno, sarebbe tornato a Sanremo. Bisognava scegliere tra due canzoni da fargli interpretare: Io amo, che nel frattempo aveva cambiato titolo, e Canzone d’amore. Il destino volle che quest’ultima sarebbe stata portata al successo dai Ricchi e Poveri (scritta sempre da Toto Cutugno). Io amo sarebbe diventata una hit di Leali. Mai scelte furono più azzeccate per destini fortunati di tutti.

Quattrocentomila copie vendute. Due dischi di platino: in quanto a vendite fu seconda solo a Si può dare di più. Chissà sè quella fortuna non aiuterà anche i tifosi della Samp che, senza cambiare alcuna parola, hanno intonato la canzone in quanto dà morale a un futuro senz’altro più roseo dopo l’acquisizione da parte della nuova proprietà. Una canzone che, d’altra parte, racconta un amore assoluto e incondizionato. Ancora una volta la musica unisce il calcio. E il calcio aiuta a non dimenticare poesie musicali. Ben venga il mondo del pallone così interpretato.

Levante tra il nuovo singolo e la tournée teatrale
Levante fotografata da Eugenio Odasso

Levante guida le novità di questa settimana: pronta per il salto di qualità 

E’ sempre sorprendente Levante. Lo era stata con il suo primo grande successo (Sei un pezzo di me), si era confermata in questo ultimo Festival di Sanremo con un look che la vedeva completamente diversa da come ce la ricordavamo. Presentandosi ogni volta carica di autoironia, la cantante non si è finora mai imposta con prepotenza ma ha saputo conquistarsi lentamente anno dopo anno la fiducia del pubblico. Ora era chiaro a tutti che il brano con cui Levante fosse tornata dovesse avere una marcia in più per conquistare definitivamente un posto nell’olimpo dei migliori cantautori italiani. Era evidente che ci volesse qualcosa di originale ma altresì non troppo ricercato. Insomma, un pezzo capace di farci ballare e altresì di farsi ricordare nelle parole mai banali che lei ama utilizzare. Ecco così arrivare Canzone d’estate.

Non delude nemmeno questa volta Levante, anzi.

Canzone d’estate è un bel pop fresco, in contrapposizione a un testo certamente meno sereno. Il brano racconta di un amore difficile da cancellare. Più la protagonista prova a scappare, più si trova incastrata nel ricordo di quella relazione probabilmente un po’ malata. L’estate dovrà quindi aiutarla a mettere definitivamente in un cassetto la storia finita. Bisogna archiviare tutto. Anche in questo caso, però, Levante lascia davvero poco spazio alla banalità. Bella l’estate, mille bracciate di malinconia, bruciarsi il cuore per metterti via. Spingersi al largo per poi dirsi addio. Così recita il ritornello, dopo aver descritto le sponde sulla spiaggia come un riflesso delle bugie di quell’amore ingannevole.

Un bel giro di chitarra, una voce che strizza l’occhio al falsetto e un testo un po’ malinconico ma speranzoso. C’è un po’ di Carmen Consoli in questo brano di Levante.

La cantautrice conferma in ogni caso di avere personalità, senza temere confronti con nessuno. Propone una musica vera e di questo sarà senz’altro premiata. Nel frattempo, nel videoclip, si prende in giro da sola a proposito del blonde look con cui si è presentata all’ultimo Sanremo. La grandezza di una artista si vede anche nella sua capacità di usare l’autoironia come arma principale. Il sospetto è che questa volta siamo davvero di fronte a un salto di qualità ulteriore, che potrebbe consacrare definitivamente Levante in quell’olimpo dei grandi di cui parlavamo. Il mix di distrazione e riflessione è qualità tipica dei giganti. Canzone d’estate la sentiremo a lungo, senza dubbi.

C’è tutta la vena romantica di Tananai in Un altro mondo, il nuovo pezzo che lo vede protagonista insieme a Marracash e Merk & Kremont.

Si tratta di una ballad elettronica, capace di unire i suoni della discoteca con il pop lento di Tananai. Una canzone che punta a empatizzare soprattutto con il pubblico più giovane. Quello abituato a cercare i propri sogni nella discoteca, magari raggiunta in treno alle dieci e mezza di sera come i tre protagonisti descritti nella canzone. Si parte da Milano est per arrivare al luogo ambito e scoprire una ragazza che promette di far conoscere un mondo vero là fuori. La classica ragazza per cui si perde la testa e diventa possibile far cadere le proprie resistenze. Si è pronti a tutto e ogni cosa sarà quella giusta: persino “le peggio cose” diventeranno le migliori del mondo.

Il testo dunque è un po’ più vicino ai giovanissimi, ma non per questo va condannato: Pezzali ci ha fatto una carriera su queste storie. Unire il pop di Tananai con la dance di Merk & Kremont e il rap di Marracash, tuttavia, non sembra il massimo. Ancora una volta questi featuring pieni di generi diversi sembrano tre pezzi di canzoni differenti messe insieme senza un senso preciso. Così le canzoni perdono di identità: alla fine Marracash ce lo si dimentica per questo brano e resta Tananai con una base un po’ più dance del solito. Tanto valeva cantarla da solo.

Anche per questo appare quasi inutile raccontare l’ennesima collaborazione di Ebbasta con Michelangelo, Drillionaire, Lazza e Blanco: la loro Bon Ton non si capisce bene chi voglia mettere più in luce di loro, che sembrano necessitare di continua visibilità. Anche a costo di risultare meno credibili con la propria storia.

Da rilevare, invece, il coraggioso omaggio di Gio Evan a Raffaella Carrà.

Il suo brano, intitolato proprio come il cognome della più grande star tv di tutti i tempi, ma anche come il famoso artista rivoluzionario del Novecento, è un inno al divertimento. Bisogna vivere la libertà senza smettere di sognare e resistere. E’ molto più che un omaggio a Raffaella questo bel brano pop che trova tutta l’originalità di Evan. La Carrà infatti è la stessa musa di un sogno che ha ispirato il cantautore verso questa canzone, dove il ritornello riecheggia proprio A far l’amore. Citandolo, senza minimamente sfiorare il plagio. Un accurato e gentile omaggio che merita molta attenzione. In fondo, c’è ancora bisogno di divertimento che ci rallegri e ci faccia dimenticare ogni bruttura di questo mondo.

Hit parade: prosegue il primo posto di Teda con Sfera Ebbasta nella loro Hoe.

Annalisa è terza (con Disco Paradise) e quarta (con Mon Amour): la numero uno della musica italiana ha un nome preciso ed è una donna. Una bellissima notizia.

Levante tra il nuovo singolo e la tournée teatrale
Levante fotografata da Eugenio Gege Odasso

 

 

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C’è un altro inno per la Roma (e in parte la Lazio): è Tanto pe’ cantà


La storia di “Tanto pe’ cantà”: da Petrolini a Nino Manfredi…allo stadio!


Perché guardare una partita in curva allo stadio? “Tanto pe’ cantà”, potrebbe rispondere un tifoso di Roma o Lazio. Non sbaglierebbe. Anzi, interpreterebbe il sentimento di tutti, raccontandolo con quell’accento romanesco che fa apparire tutto sempre più convincente. In dialetto romanesco ogni frase diventa quasi un imperativo. Non ci sono alternative, nè spiegazioni da dare: si va allo stadio “tanto pe’ cantà”. Spensierati, senza porsi troppe domande. Guidati unicamente dalla passione per lo sport (o almeno così dovrebbe essere). In ogni caso, come sempre, è la musica a ricordare i valori di unità e divertimento che dovrebbe creare il calcio. Tanto pe’ cantà è per Roma un po’ come O mia bela Madunina per Milano: una canzone in grado di accomunare persino due tifoserie avversarie che si contendono la potestà di una città. A volte si sono cambiate le parole, in modo goliardico e anche un po’ irriverente. In tutte le partite della Roma, però, risuona all’Olimpico questa canzone con la voce di Nino Manfredi. Nella sua versione ufficiale insomma. E lo stadio canta insieme al grande Nino. In questa nuova puntata di MusiCalcio vogliamo allora ripercorrerne la storia. Quella non calcistica.

Perché Tanto pe’ cantà è innanzitutto una grande canzone della nostra storia italiana.

Le sue origini risalgono addirittura al 1932. Ettore Petrolini, attore cabarettista e drammaturgo che amava leggere la quotidianità con grande ironia, si trovava a letto per una angina pectoris. La convalescenza durò sei mesi, ma il genio non si arrestò di fronte alla malattia. In quel periodo scrisse infatti “Tanto pe’ cantà” e il suo incipit sembra proprio spiegarne bene le ragioni. “Quanno c’è ‘a salute c’è tutto, Basta ‘a salute e un par de scarpe nove, Poi girà tutto er monno. E m’a accompagno da me”.
Insomma, basta la salute: per il resto tutto può accadere e nulla scalfirà mai la voglia di divertirsi. Non vedeva l’ora di tornare sui palcoscenici Petrolini. Lui che viene ricordato ancora oggi come il Maestro del teatro italiano. Talvolta persino accusato di propensione al fascismo. Nulla di tutto ciò: semplicemente aveva un rapporto cordiale con Mussolini, che sapeva bene di non potere attaccare un artista come lui. Irriverente e satirico con tutti, certo non sprovveduto da essere troppo crudele con il governo dell’epoca (che comunque non lesinava di divertenti imitazioni). Il suo unico obiettivo era divertire e distrarre. Tanto pe’ cantà lo conferma pienamente.

Tanto pe’ cantà è una canzone d’amore, fatta davvero alla maniera di Petrolini.

In quell’epoca in cui tutti intonavano brani d’amore piene di passione, con voci calde e quasi liriche, ecco Petrolini. Timbro marcatamente nasale, vocali allungate con chiaro intento satirico. In pratica Tanto pe’ cantà è la caricatura di certi brani interpretati con trasporto sentimentale. Petrolini lo precisa: Io nun ve canto a voce piena, Ma tutta l’anima è serena. E quanno er cielo se scolora De me nessuna se ‘nnamora. Come a dire, con una voce così si può essere aiutati solo dal cielo azzurro: appena giunge il tramonto, che richiederebbe maggior romanticismo, tutto svanisce.

Inutile dunque cantare per fare innamorare. Meglio dedicarsi anzitutto al benessere della propria anima.

Il canto diventa quindi uno sfogo per fare rilassare la mente e il corpo, con ironia e tanta voglia di sognare. Si, sognare forse anche quel primo amore che si rivelò ingannevole. O perlomeno sognare  nuovamente quelle sensazioni irripetibili. Petrolini cantò così, ed evidentemente il suo messaggio arrivò. Tanto che addirittura 38 anni dopo, al Festival di Sanremo, Manfredi la ripropose in qualità di ospite. Dopo l’esordio della tv e di un nuovo modo di proporsi al pubblico, nel 1970 a quel punto si era pronti per tornare a celebrare i grandi Maestri. Coloro ai quali si deve la magica arte del palcoscenico. Così Manfredi rispolverò questo brano che, da quel momento, entrò nella tradizione romana forse più di prima. Mai avrebbe potuto immaginare quanto. Oggi Tanto pe’ cantà è un vero inno romano. Scegliete voi se giallorosso o biancoceleste. Forse di entrambi: è semplicemente Roma, aldilà della squadra per cui tifasse Nino. Allo stadio, ancora oggi, le curve (ma soprattutto quella romanista) lo cantano con orgoglio.

Perché si può essere sereni, spensierati e divertenti ovunque. Ma quel friccico nel cuore è tipicamente romano e tutta Italia lo invidia. Ma, a questo punto, ci si chiederà, quel primo amore “rintontoniva” o “rincojoniva”? Semplice, per Petrolini era buona la prima. Per Manfredi c’era bisogno di “farsi capire anche all’estero”, quindi optò per la seconda ipotesi. Così, con arrangiamento di Maurizio De Angelis, la canzone divenne un must.

“M’ama non m’ama” non è solo il vecchio gioco con cui si metteva il destino nelle mani di un fiore: è anche il titolo della canzone di Baby K

Baby K guida il gruppo di interpreti che lanciano il brano d’estate a metà giugno. Ci sono anche Colapesce e DiMartino

E con Baby K ci sono finalmente tutti. I protagonisti più attesi dell’estate, con questa settimana, sono ormai al completo nella discografia della stagione più calda. Questa volta convincendo in modo particolarmente forte, al punto da lasciare pensare che si possa trattare di una settimana cruciale: tra tantissime proposte che vi stiamo raccontando ogni sabato, quelle di questa metà giugno sembrano davvero forti.

Chissà, forse perché le protagoniste sono quasi tutte donne, o forse perché semplicemente ritroviamo i grandi protagonisti abituati alle sfide estive. Vero è che da Baby K a Paola e Chiara, passando per Ana Mena e Laura Pausini, possiamo star sicuri che quanto stiamo per raccontare oggi lo ricorderemo spesso durante i prossimi mesi.

Il ritorno di Baby K era quasi scontato.

Se c’è una cantante che conosce le regole dei tormentoni estivi e cosa occorra per creare un autentico successo ballabile, quella è proprio Baby K. Questa volta si presenta da sola. Nessun featuring: inizio di una nuova fase più matura o capacità di essere innovativa come sempre, ora che tutti usano collaborare in duetti? La seconda ipotesi è senz’altro la più accreditata, sebbene non occluderebbe comunque alla prima.

In ogni caso, M’ama non m’ama è la nuova canzone che unisce un ritmo dance a uno un po’ più afro. Tanto che sembra di rinvenire un’atmosfera del Waka Waka di Shakira e tutto questo è decisamente positivo. Baby K urla il suo nome con il tipico grido di battaglia che l’ha resa celebre e, così, inizia il brano. Inizia l’estate.

Baby K canta proprio la leggerezza delle vacanze.

Emerge chiaramente nel testo la voglia di lasciarsi andare al divertimento, senza troppo coinvolgimento sentimentale. D’altra parte la protagonista del pezzo si mostra consapevole del fatto che, qualora cedesse alle promesse, rischierebbe di incorrere in una delusione d’amore. Meglio non fidarsi e godersi l’estate. Una visione probabilmente un po’ grossolana e pessimista, ma tutto sommato sincera. Sempre che ci sia bisogno di andare molto a fondo nel testo di un brano che aspira chiaramente a diventare un tormentone. Aspettiamo il video ufficiale con tanto di balletto, ma anche stavolta Baby K fa centro. Peccato solo che si distinguano con difficoltà tutti i suoi brani: per ricordarci le differenze tra le varie estati, meglio non fare riferimento alla memoria di queste canzoni. Rischieremmo la confusione.

Erano appena uscite con un altro pezzo Paola e Chiara, ma avevano già pronto in canna un ulteriore sorpresa.

Lambada è il titolo del featuring che le vede protagoniste del ritornello nel nuovo pezzo di Boomdabash. Tantissima dance nei suoni di questa canzone, rap nella strofa ed estremamente pop nell’inciso. La storia non è altro che un’autocelebrazione, pur ironica, degli stessi Boomdabash. Ormai sicuri di essere tra i re dell’estate, i ragazzi salentini non mancano di tante citazioni, tra cui il loro primo grande successo dell’estate 2018. A quel tempo cantavano con Loredana Berté Non ti dico no, ora intonano nella seconda parte “Questa volta non mi dici no”. C’è spazio anche per il cestista Lebron, Prada e il simpatico Pumbaa de Il Re Leone. Sono diversi i riferimenti che si ritrovano per un brano che deve solo fare ballare con tanto divertimento. Paola e Chiara, ancora una volta, si rivelano fortissime con le loro voci che regalano sensualità e ritmo tanto da fare immaginare che non sia mai passato il tempo dai fasti di Vamos a bailar ad oggi.

Fa ballare anche il duetto di Ana Mena con Guè.

Un bel pop latino (Acquamarina) senza troppe pretese, ma dal suono vocale già molto internazionale. La dolcezza di Ana Mena si unisce quindi al carattere urban di Gué, cui è affidata per la verità solo una piccola porzione della canzone nella seconda parte. La forza sta comunque essenzialmente nel ritornello e nelle sue note allungate che consentono di fare esprimere passionalità al brano.

Il primo passo sulla luna, invece, è la traccia che Laura Pausini ha scelto dal suo ultimo disco per salutare l’arrivo dell’estate. Una canzone dal ritornello dance e molto ricca di ritmo, ma con un testo tutt’altro che leggero. Si parla di un amore non abbastanza ricambiato. Ogni sentimento a senso unico sembra destinato a spegnersi, a meno che non ci sia chi ama fare “il primo passo sulla luna”: occorre però coraggio e non sempre è facile metterlo in atto. Laura comunque è innovativa rispetto a se stessa e anche per questo va premiata.

Non solo Baby K e le altre donne. È anche la settimana di Colapesce e Di Martino.

Il duo (all’inizio era un featuring, ma al quarto brano importante insieme è obbligatorio parlare di una situazione definitiva) non si discosta dal genere proposto a Sanremo già per due volte. Anche per questo non è innovativa Considera, che stupisce meno in un periodo in cui tutti usano quei ritmi pop dall’atmosfera anni ’80 con l’unisono delle due voci.

Considera è una canzone dal testo per nulla banale: ci racconta la finitezza di tutto ciò che appartiene a questa vita, nonché la possibilità di trovare una sintesi tra le diverse religioni. Ecco quindi la riflessione finale: non è che vogliamo esserci a tutti i costi solo per la paura di perderci qualcosa, a cominciare noi stessi, destinati a vedere ogni cosa finire? Vale la pena ascoltare Considera e lasciarsi guidare dalle parole: sarà l’unico modo per tenere a mente un brano che, altrimenti, confonderemmo con altri.

Avevamo fatto una scommessa settimana scorsa a proposito delle Classifiche Fimi.

 

Ed ecco che non veniamo sbugiardati: anche questa volta il trapper (Tedua) di turno che aveva ribaltato l’hit parade, è costretto a vedere calare molto (troppo) sensibilmente il gradimento. Questo sebbene Epic, con Sfera Ebbasta, continui a dominare al primo posto. Seguono Capo Plaza e Shiva. Quarto Disco Paradise, che tra tutti i tormentoni estivi sembra quello più apprezzato finora.

Da Vecchioni a Elio: tutti gli inni dell’Inter
La curva dell’Inter lo canta in ogni partita, ma anche quella del Milan. A conferma del fatto che la musica può unire tutti, persino nello sport. O mia bela Madunina: ne raccontiamo la storia


O mia bela Madunina è un inno per Milano e per le curve di Milan e Inter


Chi non conosce O mia bela Madunina? E soprattutto, chi non la riconosce come la canzone simbolo di Milano? Non occorre essere meneghini per memorizzare la melodia che Giovanni D’Anzi compose nel 1934, per la prima volta senza affidare il testo al suo paroliere di fiducia. Alfredo Bracchi, infatti, fino a quel momento aveva sempre scritto i testi dei brani di D’Anzi. Bene, tutti conoscono O mia bela Madunina. Non è un caso allora sia la curva del Milan che quella dell’Inter la intonano a ogni partita. L’abbiamo sentita anche nella finale (purtroppo persa) sabato scorso a Istanbul tra i nerazzurri e il Manchester City.

O mia bela Madunina rappresenta un grido di orgoglio per ogni cittadino milanese.

Non sono tante oggettivamente le squadre che possono vantare l’appartenenza di un brano, rimasto attaccato alla pelle della città. Se pensiamo a Tanto pe cantà, per fare un esempio, la sentiamo cantare spesso negli stadi (con parole modificate) anche da tifoserie non necessariamente della Capitale. Con O mia bela Madunina, invece, sembra conservarsi una certa sacralità. Anche nella stessa esecuzione interista o milanista che sia. Le parole non vengono modificate. Si canta piuttosto quanto D’Anzi aveva immaginato. Certo, lo aveva fatto senza poter ipotizzare che quella canzone avrebbe riscosso tutto quel successo, tanto da arrivare a essere cantata dagli ultras calcistici. Vale la pena tornare brevemente alla storia di questa canzone, per renderci conto che in fondo non solo non è così distante dal senso che viene dato negli stadi. O mia bela Madunina si adatta a ogni occasione in cui il cittadino di Milano voglia far sentire la sua presenza, in mezzo a persone provenienti da altri lidi.

O mia bela Madunina fu composta anzitutto prima della Seconda Guerra Mondiale.

In quel periodo le campagne lombarde stavano tornando a dare lavoro a tante persone, dopo la crisi del ‘29. Chi emigrava dal Meridione, chiedeva spesso a D’Anzi, all’epoca pianista in un locale milanese, di suonare canzoni napoletane. In effetti la tradizione napoletana, anche in fatto di musica ha sempre potuto fare da maestra in Italia.

Fu lì che D’Anzi, milanese sì ma pugliese d’origine, tirò fuori tutta la sua ironia che potesse in qualche modo soddisfare tanto il Nord quanto il Sud. Ci si dimentica infatti, troppo spesso, che O mia bela Madunina fosse nata anche come omaggio a Napoli. Lo sberleffo di quel finale (mai scritto da D’Anzi ma reso famoso dal volgo popolare), sulle ultime note, ha impedito di apprezzarne fino in fondo la portata.

Eppure D’Anzi era chiaro: la canzone nasce a Napoli e chi lo dice certamente non ha torti.

Proprio per questo, tuttavia, il cantautore volle realizzare una canzone che citasse anche l’orgoglio milanese dopo quelli partenopei e romani. Perché, citando un altro suo brano famoso, Milan l’è un gran Milan.

D’Anzi vedeva l’attrice Linda Pini arrivare al Trianon di Milano e cantare pezzi napoletani. A quel punto le propose il suo brano ironico e tutto sommato pieno di affetto. Certamente non offensivo. La Pini cantò e ricevette numerosi applausi. Così D’Anzi capì che fosse giusto portare in giro il brano in tutta Italia.

Dunque era fondamentale fare emergere l’unicità del capoluogo lombardo, partendo dal monumento celebre in tutto il mondo. La Madunina. D’Anzi, che di lì a pochi anni avrebbe composto anche canzoni lontane dal dialetto (Ma l’amore no, Voglio vivere così, Casetta mia), non usò in questo caso il milanese più stretto. La stessa parola “dominet”, infatti, non esiste nel vocabolario meneghino. Il cantautore quindi giocò con i termini per rendere tutto più accessibile anche ai chi non masticava il dialetto. Bisognava farsi capire da tutti. Esattamente come i tifosi allo stadio, che intonano quel ritornello con orgoglio.

La Milano che accoglie e lavora senza mai fermarsi è osservata dall’alto del Duomo.

Una protezione mistica che, pertanto, si proietta in questo caso sullo stadio. Niente di blasfemo, solo la passione di ricordare quanto sia bello essere di Milano, applaudendo anche alle altre città. È importante anche il fatto che le parole non siano state intaccate dalle curve sportive.

Orietta Berti, dopo il successo di “Mille” è di nuovo pronta a diventare la regina dell’estate. Con il nuovo featuring insieme a Rovazzi si fa conoscere sempre anche dal pubblico giovanissimo


Finalmente è tornato Rovazzi. Quando si parla di musica d’estate il pensiero va presto al poliedrico cantante milanese. Sarà perché è molto merito suo se a un certo punto siamo tornati a vivere l’attesa del tormentone estivo. Sarà perché ogni volta ci fa ballare più di altri. Sarà perché fu proprio Rovazzi il primo a lanciare la moda dei featuring di cui parlavamo anche nelle scorse settimane. Vero è che, raccontando le canzoni estive, sembrerebbe strano non farlo di uno dei protagonisti degli ultimi dieci anni.

Così questa settimana Fabio Rovazzi torna nelle radio insieme a Orietta Berti.

La cantante emiliana, reduce dal grande successo di due anni fa con Mille, ci ha preso gusto. Accettando con ironia il ruolo della cantante d’altri tempi, Orietta Berti anche stavolta interpreta un ritornello dal sapore piacevolmente retrò. La melodia riecheggia quella delle orchestre da balera, come suggerisce anche il videoclip. Come al solito, infatti, Rovazzi si conferma regista oltre che cantautore. Non tradisce le aspettative nemmeno con la discoteca italiana, il nuovo brano uscito ieri, che promette battaglia a Fedez, Annalisa e agli altri competitor per il tormentone dell’anno. Il videoclip, infatti, inizia con tre assi del cinema: Aldo, Giovanni e Giacomo. Nei panni del manager e di esperti delle radio, i tre provano a convincere Fabio a buttarsi in una nuova avventura, diversa dal solito.

Riuscirà Rovazzi a ripetere con Orietta lo stesso successo ottenuto sei anni fa con Morandi?

Il cantante, così, interpreta il ruolo di un cantante per feste, sagre e matrimoni, pagato poco e in nero, ma ricco di entusiasmo. La discoteca italiana è quindi un inno alla musica nostrana e alla sua capacità di farci ballare in ogni occasione di festa da tanti decenni. Senza distinzione alcuna per cantanti e generi: chi fa il musicista merita rispetto e onori. Curiosamente, la canzone vede tra gli autori anche Gabry Ponte, che qualche anno fa aveva lanciato Discoteca italiana. Stavolta nel titolo c’è anche l’articolo determinativo. C’è meno dance, ma molta più melodia, grazie anche alla voce di Orietta Berti che non si snatura. Qualunque cosa cambi, sembrerà sempre raccontare meravigliosi mondi d’altri tempi. Niente trap, ma tanta melodia.

Un esempio che, invece, non segue Emma Marrone.

C’è anche lei nei featuring della settimana. Insieme a Tony Effe canta Taxi sulla luna, arrangiata da Takagi e Ketra. Il rapper interpreta le strofe ed Emma il ritornello. La mano di Takagi e Ketra nell’inciso è evidente, tuttavia è troppo breve per andare in supporto a un brano che parla molto di Tony e poco della Marrone. Perché Emma abbia accettato questo featuring, che non c’entra nulla con il suo genere né è particolarmente orecchiabile, rimane un mistero. Una canzone che non risparmia messaggi poco edulcoranti come quelli di uno che “prendeva paste nel club” e si portava a letto qualunque bella ragazza.  Aveva davvero bisogno di cantare questo ritornello la bionda salentina? Taxi sulla luna, al momento, è uno dei singoli estivi meno interessanti. Esperimento bocciato.

Più solari rispetto agli ultimi pezzi, invece, Renga e Nek.

Con Il solito lido portano nuovamente freschezza e colore al loro repertorio. Il brano, come dichiarato dai due artisti, “racconta la disillusione e il disincanto di una generazione. E lo fa con l’ironia di chi sa che la vita va sempre vissuta alla ricerca della felicità, affrontata col sorriso e con il cinismo garbato di chi ha gli strumenti per poterlo fare, perché molte cose sono già successe e molti colpi li abbiamo già parati”.

Tra le nuove uscite della settimana, spunta anche un duetto di Rkomi e Irama (pure qui però il secondo sembra sacrificato rispetto alle sue possibilità, per una canzone che non entra in testa, completamente incapace di dare spazio a una certa orecchiabilità). Più convincente Fulmini addosso, la canzone con cui Francesca Michielin si presenta quest’estate. Non è dance, non è ironica, ma almeno regala ottimi virtuosismi vocali. Un beat che racconta l’amore da vivere sempre spensierati come in estate. E qui si intende non solo l’amore di coppia: si parla di gentilezza e dolcezza da cui farsi sorprendere proprio come accade coi fulmini.

Classifiche Fimi: tra i singoli ottavo posto per Fedez e la sua Disco Paradise.

 

Undicesima Annalisa con Mon Amour. Quindicesimi Blanco e Mina. Potremmo però definirli primo, seconda e terzi: in effetti tutte le altre prime posizioni sono occupate da Tedua. Non è la prima volta che, quando esce un album trap, le vette delle classifiche vanno ad appannaggio di un solo interprete. Per poi magicamente sparire dopo una settimana. Appuntamento a sabato prossimo per scoprire se anche questa volta è vero. Scommettiamo che arriva Rovazzi e scalza tutti?

L’inno più storico della Serie A? Oh Fiorentina
Sarà perché ti amo è uno dei brani che la curva della Fiorentina canta in ogni partita. Vediamone la storia in questa nuova puntata di Musicalcio

Mercoledì 7 giugno la Fiorentina tornerà a giocare una finale europea dopo 33 anni. La Viola sarà infatti impegnata nell’ultimo atto di Conference League contro il West Ham: l’ultima volta che giocò una finale internazionale fu sconfitta in Coppa Uefa dai rivali storici della Juventus. In un solo caso la squadra di Firenze ha conquistato un trofeo fuori dai confini italiani: era addirittura il 1961 e si giocava la prima edizione di Coppa delle Coppe.

La Fiorentina è indubbiamente la squadra delle prime volte. Fu lei, infatti, la prima italiana a raggiungere una finale di Coppa dei Campioni (poi persa) contro il Real Madrid nel 1957. Tutto questo senza contare che il calcio moderno deve molto al calcio fiorentino rinascimentale in termini di regole. Insomma, quando si parla dei viola il sentimento degli italiani non è mai indifferente.

Come cita il famoso inno (il più antico della storia della Serie A), la squadra “del calcio è la storia”. A proposito di musica, c’è una canzone che con ogni probabilità sentiremo intonare mercoledì sugli spalti di Praga dai tifosi.

Si tratta di Sarà perché ti amo. Praticamente un inno ufficioso della curva della Fiorentina.

Non è certo un caso isolato nel calcio. Il ritornello “E vola vola si va, sempre più in alto si va” è molto diffuso tra le tifoserie sportive, anche perché canta con entusiasmo quella voglia di andare verso le vette delle classifiche con risultati importanti. Tuttavia, si sa che il calcio sa essere addirittura perfido quando si tratta di dileggiare l’avversario. Così, sono in tanti ad avere sentito le note di Sarà perché ti amo (ribattezzata Sarà perché tifiamo) allo stadio, con un finale modificato in modo non particolarmente elegante ai danni di una nota squadra italiana.

Diciamocelo pure: in genere viene presa di mira la Juventus. Non così per i tifosi della Fiorentina: a dimostrazione del fatto che le ostilità più aspre possono comunque evitare di rovinare una bella canzone, usata esclusivamente come voglia di cantare e fare festa, senza pensare all’avversario. Nelle partite della Fiorentina, quindi, con questo coro non si fa riferimento ai bianconeri, ma si canta il ritornello originale “Vola vola con me, il mondo è matto perché se l’amore non c’è basta una sola canzone per far confusione fuori e dentro di me”. Chissà, forse non è un caso se c’è quell’attenzione al testo così come era stato composto. Tra gli autori del brano, infatti, c’è anche Pupo, notoriamente tifosissimo della Fiorentina.

Ripercorriamo allora brevemente la storia della canzone, prima che venisse utilizzata dai supporter della Fiorentina.

Era il 1980 quando un giovanissimo Pupo, insieme a Daniele Pace (già paroliere anche di Caterina Caselli e Raffaella Carrà), scriveva il testo di Sarà perché ti amo sulla musica di Dario Farina. Quest’ultimo aveva già collaborato con i Ricchi e Poveri, ma l’idillio divenne fortissimo proprio dopo questa canzone, che va definita un vero e proprio successo internazionale. Si decise di affidare, quindi, il brano ai Ricchi e Poveri per partecipare a Sanremo nel 1981.

All’epoca si parlava ancora di un quartetto, famoso soprattutto per brani come Che sarà e La prima cosa bella. Non si poteva immaginare che il bello stesse arrivando solo in quel momento. E soprattutto in tre. In effetti quel pezzo non verrà mai cantato in quattro (fatta eccezione per la breve reunion del 2020). Almeno ufficialmente. In riviera, infatti, il gruppo si presentò nella consueta formazione composta da Angelo, Franco, Angela e Marina, ma in quei giorni successe qualcosa di insopportabile per la band.

Così, dopo le prove, Marina Occhiena minacciò di lasciare il quartetto.

Per gli Abba italiani sarebbe potuto essere un durissimo colpo, ma evidentemente le tensioni (provate a raccontare in versioni più volte modificate e corrette dagli stessi protagonisti) erano troppo forti. Così gli altri tre accettarono la decisione, non volendo più riammettere la cantante bionda tornata subito sui suoi passi. Da quel momento, i Ricchi e Poveri diventarono tre. Cambiò la loro carriera e non solo per un fatto di numeri nella formazione. Ma anche per i numeri nella discografia.

Sarà perché ti amo, infatti, raggiunse il quinto posto nella classifica del Festival ma, soprattutto, fu il singolo del 1981 più venduto in Italia con 7 milioni di copie sparse per il mondo. 100 mila copie vendute, successivamente, anche in digitale: tanto che nel 2023 il brano è diventato Disco di Platino. Un vero e proprio trionfo, probabilmente fiutato dalla stessa Occhiena quando si rese conto troppo tardi che non era il momento di lasciare il gruppo. Iniziò dunque un nuovo percorso per i Ricchi e Poveri che, di lì a poco, lanciarono anche Mamma Maria, Voulez vous dancer e altri brani orecchiabili e spensierati proprio come quello di Sanremo.

Quel modo leggero di raccontare l’amore, con un ritornello più che mai ballabile, piacque subito. La canzone è attualmente una delle più celebri all’estero e il testo non è niente altro che una dichiarazione per la persona amata. Di fronte al sentimento, la ragione può cedere e dare voce al cuore e alla confusione che si crea nella testa offuscando tutto quanto intorno. In amore è concesso tutto, anche di lasciare spazio all’emozione senza preoccuparsi della quotidianità del lavoro.

Un po’ come, in teoria, dovrebbe poter fare il calcio.

Ecco perché Sarà perché ti amo è la canzone migliore che una curva calcistica come quella della Fiorentina possa intonare. Nella piena consapevolezza di vivere una passione pulita e importante come quella dello sport, si può dimenticare il lavoro per 90 minuti. Si pensi solo ed esclusivamente all’amore per la Viola. Basterebbe ottenere in campo anche solo un quarto del successo di questa canzone per portare a casa un grande risultato. Dunque incrociamo le dita e speriamo che la “confusione” dell’amore calcistico possa trionfare a Praga.

M¥SS KETA chi è? La diva mascherata di "Una vita in capslock"
Miss Keta, questa volta, riprende il vecchio ritornello di Love Boat per far ballare durante l’estate. Il risultato non convince fino in fondo…


Tra i nuovi brani della settimana spiccano i ritornelli di Miss Keta (che cita Little Tony) e altri due pezzi orecchiabili. Scopriamo quali


È arrivato giugno, riecco Miss Keta. La cantante mascherata, che unisce rap e melodie già note, dà il meglio di sé quando giunge l’estate. Non tradisce quindi le attese e propone la sua nuova canzone. Naturalmente prendendo sempre spunto qua e là da successi consolidati. In qualche caso si tratta di semplici citazioni testuali: questa volta, per esempio, ci sono evidenti ammiccamenti a E la luna bussò di Loredana Bertè. In altri casi c’è una vera e propria riproposizione melodica. Non si può chiaramente parlare di plagio, anzitutto perché si tratta di poche battute. E poi perché sebbene non sia dichiarata, la citazione è talmente evidente che non può essere confusa per un plagio. Sicuramente, però, è una gran furbata: alle future classifiche la sentenza se tutto ciò sia da premiare oppure no.

L’anno scorso Miss Keta citava Edoardo Vianello, quest’anno ricanta le note di Little Tony.

Se con Vianello ripartiva proprio il disco de Il capello, questa volta è lei a ricantare la melodia più celebre del ritornello di Love Boat. Quella che fa, per capirci, Mare profumo di mare…Lo ripetiamo, sono solo poche battute. Importanti comunque per essere quelle del ritornello destinato a diventare il tormentone del brano. Un pezzo, quello di Miss Keta, forte musicalmente ma francamente discutibile sul piano testuale. La canzone è infatti il racconto di un profumo inebriante. O meglio, un inno alla sensualità usata smodatamente, con tanto di occhio strizzato al lusso e alla ricchezza del Billionaire. Niente di grave, si intenda, ma così è molto facile cercare il consenso dei più giovani, a cui viene peraltro veicolato il messaggio di un amore con cui giocare. Va bene l’estate e la spensieratezza, ma perché incitare alla “notte cattiva”, come se tutto fosse lecito?

Non si può propriamente dire che nel suo coraggio Miss Keta ci metta la faccia.

D’altra parte è sempre mascherata e forse è soprattutto a questo suo essere personaggio che deve il suo successo. Oltre che, per l’appunto, alle melodie scelte per i suoi ritornelli. Questa volta dunque è il turno di Little Tony. Non sarebbe male l’idea di fare conoscere così ai più giovani una musica d’altri tempi. Peccato solo che, dichiarandola apertamente, la citazione sarebbe più completa. Rischiamo, invece, che vi siano ragazzini convinti che a cantare Il capello o Love Boat sia Miss Keta.

Edoardo Vianello, invece, viene citato nel testo di un altro brano quest’anno. Quello di Albe.

Il cantante, ex Amici, lancia in radio il nuovo singolo Così come sei. Un bel pop frizzante e pieno di allegria, che rievoca alcuni simboli del passato, tra cui il cellulare Nokia la cui batteria durava per una giornata intera. L’abbronzatura della ragazza a cui si fa riferimento, invece, è appunto “alla Vianello”, pensando a un celebre tormentone estivo del cantante romano.

La canzone è un invito a piacersi per come siamo, senza filtri. La protagonista è una ragazza spesso vittima di preoccupazioni riguardanti la propria immagine. Il brano, prodotto da Jvli, vuole invitare le persone a sentirsi libere di piacersi e a cercare di superare le paure date da un mondo di pressioni sociali.

Si fa piacevolmente ascoltare e ha un ritmo che senza dubbio resterà in testa.

Proprio come la nuova canzone di Elettra Lamborghini.

Mani in alto, idealmente la prosecuzione di Pistolero, è anch’essa un inno al divertimento estivo e alla spensieratezza. Senza volgarità e senza imitazioni di altri brani. È un reggaeton allegro, dinamico e ballabile. Non serve fare il macho, dice la canzone. Ecco, lei almeno canta davvero l’amore. Anche in estate, ossia quella stagione che arriva ogni volta che qualcuno a cui teniamo ci ruba il cuore, con sorprese e sorrisi.

Brava Elettra, la capacità di far ballare e far sognare senza essere necessariamente provocatori e inneggianti alla trasgressione non è una qualità molto presente oggi. Potete copiarla quanto volete: la regina de reggaeton è lei.

Da segnalare, tra le novità radiofoniche più interessanti, anche Any given day dei Planetari Funk.

I tifosi della Roma hanno adottato Maledetta primavera come canzone simbolo della loro curva. Ecco come e perche


Mercoledì sera potrebbe capitarvi di sentire cantare Maledetta primavera. Non sarà un urlo per il cambio di stagione che si avvicina rapidamente. Ma soprattutto quella che ascolterete non sarà nemmeno la canzone di Loretta Goggi. Perlomeno non nelle parole. Intanto chiariamo subito il contesto. Mercoledì sera la Roma giocherà la finale di Europa League contro il Siviglia. Se farete caso ai cori dei tifosi, oltre agli splendidi inni scritti apposta da Venditti, la curva Sud intonerà proprio la celebre melodia portata al successo a Sanremo ‘81. D’altronde è una prassi ormai comune che talune canzoni, ben note al pubblico, si trasformino in cori da stadio. Poco male, all’estero come abbiamo visto diventano talvolta persino gli inni ufficiali delle società. Alla faccia dell’originalità.

Nel caso della Roma, il più celebre coro della Curva Sud riecheggia proprio Maledetta Primavera.

Una canzone ripresa già negli anni ‘80 dai tifosi del Verona e, nel 2004, dal Bepi. Quest’ultimo, cantautore bergamasco, fece diventare il pezzo della Goggi una dedica al capitano Massimo Carrera. Ovviamente facendo leva sul numero di sillabe e soprattutto sulla rima che riecheggiava proprio la Maledetta primavera. Il motivo per cui lo stadio spesso recupera brani già famosi è ben immaginabile. Non c’è da inventare una nuova melodia, ma solo parole adattate e spesso molto ironiche, che il resto degli spalti imparerà in fretta grazie alla musica arcinota. Ecco perché in qualche maniera quelle canzoni diventano parte della storia delle stesse squadre e della loro città. Ecco perché Maledetta primavera è una canzone che appartiene ormai indissolubilmente soprattutto alla Roma. Da segnalare che, qualche anno fa, Loretta Goggi era ospite de L’Eredità, dove le fecero interpretare il suo brano più rappresentativo. Fecero partire la base, ma non era quella originale. Bensì proprio quella del coro giallorosso. La cosa non dispiacque affatto a Loretta, grande tifosa romanista.

Ma andiamo brevemente a rivedere allora la storia di Maledetta primavera.

Anzitutto chiariamo che non si tratta di un insulto alla stagione, rievocata piuttosto come metafora di una giovane e immatura età. La protagonista del brano si è lasciata andare a una notte di passione che aspettava da molto, ma con cui ha bruciato i tempi. Il lui della canzone, infatti, non aveva alcuna intenzione di proseguire in una relazione. Lei, illusa, si danna l’anima pensando all’imbroglio e maledice la sua età. Curiosamente, questo concetto di “maledizione”, benché molto forte, fu voluto proprio dalla Goggi nel 1979. Già, il pezzo era nato due anni prima del suo successo. Maledetta primavera doveva essere la sigla finale della trasmissione Hello Goggi nel 1980, ma diverse ragioni fecero rinviare la messa in onda del programma. A quel punto la Goggi decise di portare direttamente a Sanremo Maledetta primavera. E per poco non vinse.

Al primo posto si classificò Alice con Per Elisa, mentre la Goggi si dovette accontentare della piazza d’onore.

Si rifece ampiamente con le vendite del disco, che rimase per oltre un mese al primo posto delle classifiche. Vendette moltissimo anche in Germania, Francia  e altri Paesi europei, diventando un pezzo cult della nostra musica. Intramontabile e amato sin da subito, senza essere rispolverato dalla sola nostalgia anni dopo. Ci sono voluti però quasi vent’anni prima che i tifosi giallorossi lo adottassero come coro da stadio. Le parole, naturalmente, tutte modificare. Anzitutto il titolo: non più Maledetta primavera, ma Voglia di stringersi un po’, rifacendosi alla prima strofa. Non sono modificate completamente le parole, che comunque riecheggiano quelle originali.

Una canzone che diventa così una dedica d’amore incondizionata alla squadra. Recita così lo stadio:

Voglia di stringersi un po’…

Curva Sud Roma vecchie maniere…

E si parlava di noi,

di giorno e sera,

alza al cielo la bandiera,

e grida forte

Roma vinci insieme a noi…

Se per innamorarsi ancora

sosterrò sempre e solo la mia Roma…

Lo sai perchè

tutta la mia vita è giallorossa

C’è una ragione

ho la Roma nel mio cuore

A.S.Roma io non vivo senza te!

Nel 2010 Rinho la incise e da quel momento la melodia di Maledetta primavera divenne di fatto il vero inno della curva. La canzone della Goggi (firmata da Cassella e Savio) fu la terza più venduta del 1981 con un testo che raccontava un’illusione delusa, speriamo che questa volta la primavera..diventi benedetta!

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