La nostra rubrica Musica Maestro continua a riscuotere grande successo e, da settimana prossima, si rinnova

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Musica Maestro doveva durare solo dieci settimane: il riscontro ci ha spinti a proseguire per tanti altri mesi e da settimana prossima ci saranno ulteriori novità

Musica Maestro, la nostra rubrica che da oltre quattro mesi vi tiene compagnia indagando sul mondo dei direttori d’orchestra, raccoglie ogni settimana sempre più successo.

Molte le mail che arrivano costantemente in redazione, a testimoniare l’entusiasmo per le interviste con cui proviamo a raccontare lati inediti di uno dei più affascinanti ruoli musicali. E di questo non possiamo che essere orgogliosi e ringraziarvi.

Musica Maestro era nata come una scommessa che doveva durare solo dieci puntate e, invece, è arrivata già a raccontare ventitré direttori d’orchestra.

Ora proseguirà, con tanti nuovi ospiti pronti a parlare del loro percorso artistico e di imminenti progetti. Perché lo abbiamo capito ormai: i direttori d’orchestra sono anzitutto compositori, arrangiatori, produttori. Insomma, musicisti la cui attività procede senza sosta. Facendo spesso riferimento a un bagaglio di esperienze che li ha resi tra i maggiori esperti in assoluto nel campo delle sette note.

Nessuno come loro sa leggere diversi spartiti, osservando, ascoltando e catturando l’attenzione di un intero gruppo di orchestrali.

Aperti a diversi generi sonori, i direttori d’orchestra si rivelano versatili e rispettosi. D’altronde abbiamo visto fin qui come qualcuno di loro lavori su progetti altrui, prestando anzitutto interesse alla direzione e al suo gesto. Molti dirigono solo se chiamati a operare su un loro stesso arrangiamento. In ogni caso sono tutti d’accordo: il vero lavoro è durante le prove. È lì che, come veri allenatori, i direttori d’orchestra conoscono il loro ensemble e si rapportano ai musicisti.

Gesti ampi per qualcuno, impercettibili per altri: questione di abitudini, a volte quasi di scaramanzie.

È comunque sempre l’empatia con il gruppo a fare la differenza.

Abbiamo fin qui scoperto che non c’è solo un direttore con la bacchetta, ma anche un orchestratore, che si occupa di tradurre uno spartito musicale in una sinfonia per orchestra.

Insomma, tanto il lavoro del Maestro che, al contrario di quanto appare televisivamente, ha a che fare con una lunga e meticolosa organizzazione.

La nostra rubrica è diventata, nel giro di qualche mese, uno degli appuntamenti più attesi dai lettori ma anche dagli stessi direttori d’orchestra.

Essere ospiti di Musica Maestro è ora un privilegio, una presentazione che va oltre ogni curriculum.

E nelle prossime puntate, tantissime sorprese vi aspettano. A cominciare dalla novità più interessante: ciascun ospite, dall’alto della sua esperienza, indicherà qual è il percorso da fare per ogni aspirante musicista. Di scuole e annunci millantatori è pieno il web, ma come riconoscere quelle giuste? Ce lo diranno direttamente ospiti di lusso che, più di ogni altro, hanno lavorato con i più giovani fino a farli esprimere al meglio.

Il format rimane invariato, ma ci saranno alcune caratteristiche in più.

Aneddoti riguardanti canzoni indimenticabili, personaggi di una incredibile centralità storica e culturale:

le prossime settimane di Musica Maestro approfondiranno davvero molti aspetti offrendovi altrettanta curiosità.

Perché in effetti il lavoro dei direttori d’orchestra ci riguarda molto più da vicino di quanto non ci possa sembrare. In quei brani pop che ascoltiamo a Sanremo c’è lo stesso impegno che si mette in una overture sinfonica. E in ogni opera classica c’è lo stesso divertimento di una canzone di musica leggera.

Insomma, un ruolo centrale che le donne fanno ancora fatica a fare diventare loro. Proveremo, con alcuni direttori d’orchestra tra i più importanti e veterani del palcoscenico, a capire se esista davvero, è perché, un certo ostracismo in questo senso.

Siete curiosi di scoprire i nostri prossimi ospiti? Non vi resta che attendere lunedì prossimo per un altro, rinnovato ciclo di interviste!

L’Avvocato Renato Moraschi, specializzato in diritti d’autore, risponde alla domanda della settimana 

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi

Diritti d’autore: che succede realmente in sede legale, una volta accertata una violazione?

Sono in tanti a chiedersi se, al di là di tante promesse, ci siamo poi reali conseguenze per chi sfrutta illegalmente musica altrui scavalcando ogni diritto d’autore.

La verità è che molto spesso, dopo certe polemiche, non si sente alcuna notizia, ma questo è proprio perché la giustizia ha fatto il suo corso. Solo che nessuno ammette di essere stato inibito.

I diritti d’autore sono sempre difesi in sede legale sotto ogni aspetto.

È quello che emerge dalla domanda di questa settimana nella nostra rubrica, a cui risponde come sempre l’Avvocato Renato Moraschi.

Se hai una domanda da porre in materia di legalità e musica, scrivici anche tu a redazione@musica361.it.

Buongiorno,

Sono un giovane musicista da poco affacciatomi al mondo della canzone pop.

Non mi è ben chiaro in che modo i miei diritti d’autore saranno difesi in sede legale, laddove dovesse verificarsi una violazione di questi.

La sensazione, nonché la mia paura, è che certi colleghi possano andare avanti impuniti, sicuri della loro affermazione popolare, al contrario di me.

Giulio, Reggio Calabria

Risponde l’avvocato.

Le azioni di difesa del diritto di autore esperibili in sede civile mirano al soddisfacimento del titolare del diritto sostanziale a che siano interdette violazioni dei diritti di utilizzazione economica e del diritto morale riconosciuti dalla LDA (Legge sul Diritto d’Autore, ndr).

Tali azioni possono avere ad oggetto:

i) l’accertamento della titolarità del diritto d’autore; ii) l’inibitoria dell’attività illegittima in violazione del diritto;

iii) la rimozione e la distruzione degli esemplari che costituiscono il frutto dell’illecito accertato;

iiii) il risarcimento del danno subito dal titolare del diritto leso.

Sussiste altresì una tutela di natura penale che allo stato ha trovato una espansione ed autonomia in conseguenza dei nuovi mezzi di utilizzazione in massa delle opere dell’ingegno.

La stessa Corte Costituzionale ha affermato l’importanza del rimedio sanzionatorio penale nel campo del diritto d’autore assumendo una rilevanza di interesse generale e pubblico.

DAL LEGAL AL POP

Se un diritto d’autore è violato, si procede anzitutto ad accertarne il vero titolare, che sarà risarcito.

Quindi viene inibita l’attività di chi ha violato il diritto d’autore ed è rimosso ogni prodotto illecito.

Queste tutele tengono più che mai conto anche delle nuove tecnologie e dei nuovi mezzi di diffusione musicali.

Dunque nessuna paura per i giovani artisti: una volta accertati, gli illeciti sono sempre puniti con forza.

Giovanna Nocetti: Che battaglia far dirigere a donne l'orchestra!
Giovanna recentemente ha omaggiato l’amica Milva e ha lanciato un album in copie limitate per gli appassionati della musica melodica.

Giovanna Nocetti, cantante, produttrice e direttore d’orchestra,  fa un’analisi della musica di oggi

Giovanna Nocetti, meglio nota con il solo nome di battesimo, è una delle protagoniste più complete della nostra musica. La sua profonda conoscenza artistica, unita a una sensibilità poliedrica, fa di lei una delle poche in grado di interpretare i generi più diversi tra loro.

Debuttante a fine anni ’60 con la Meazzi dopo aver studiato armonia jazz, Giovanna inizia come cantante lanciando il suo primo strordinario successo pop Il muro cadrà. Con Io volevo diventare e Il mio ex raggiunge grandi risultati in hit parade conquistando anche l’estero e si impone con la sua voce melodiosa e altresì adatta a ritmi sincopati.

Autrice per il teatro, diventa regista di spettacoli di musica lirica da Cavalleria Rusticana alla Carmen fino a Il Barbiere di Siviglia.

Giovanna, compositrice per arie liriche, nel 1980 fonda l’etichetta Kicco Music dedicandosi soprattutto a musica operistica e classica, con una produzione continua.

Nel 2012 la sua esperienza la porta all’impegno quotidiano in Estate con noi in tv, su Raiuno con Paolo Limiti, nel ruolo di direttore d’orchestra.

Oggi Giovanna Nocetti, mentre è impegnata a teatro per un altro nuovo spettacolo, è la nostra ospite della rubrica Musica Maestro.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Giovanna Nocetti è la ventitreesima ospite della rubrica Musica Maestro

Giovanna, come arrivò quel ruolo di direzione d’orchestra?

Fu Paolo a chiamarmi: da sempre coadiuvavo il ruolo del Maestro Righello e quindi, data la mia esperienza in campo musicale, mi chiese di dirigere l’orchestra. In questo modo avrebbe evitato di dovere cercare altrove. Dal canto mio, dopo 42 anni di musica lirica e varie collaborazioni con i Maestri, sentivo che quel percorso diventava quasi spontaneo.

E subito desti la tua impronta con un gruppo diverso dal solito.

Proprio così. Formai un’orchestra tutta al femminile: scelsi personalmente ogni strumentista, tutte bravissime.

Fu una cosa bellissima e innovativa, che avemmo la fortuna di presentare in televisione con brani di una certa rilevanza. Per me fu un’esperienza bellissima, che spero di poter ripetere. È particolarmente stimolante: le due mani del Maestro non sono unite nella gestualità, perché una comanda l’orchestra e l’altra l’eventuale cantante. Entrambe devono dare un segno chiaro per poter dare l’attacco giusto e garantire quella sicurezza necessaria.

Oggi siamo arrivati alla ventitreesima puntata della nostra rubrica, eppure sei solo la seconda donna che intervisto. Come mai sono così poche le donne direttori d’orchestra?

Si deve superare ancora uno scoglio: in Italia lo spazio per la direzione d’orchestra resta ad appannaggio maschile nell’immaginario comune. In Cina hanno Xian Zhang, così come anche in America e in Germania sanno mettere al centro la figura femminile in questo senso. Noi abbiamo Sandra Sofia Perrulli, Beatrice Veneziani e alcune altre direttrici importanti, ma è sempre una battaglia farle emergere.

È inutile negarlo, si pensa che l’uomo abbia più autorevolezza.

Il guaio è che la difficoltà non arriva dai direttori artistici, ma dagli stessi musicisti: sono loro a non fidarsi, perché essere comandati da una donna evidentemente dà fastidio.

Eppure la tua esperienza ormai è consolidata. Da 40 anni produci musica lirica con la Kicco Music: qual è il valore aggiunto di questo genere?

La musica lirica è l’unica che non subisce mai altalene di gradimento: è sempre stabile. La Traviata si ascolta da secoli, appena qualcuno la riedita a modo suo ecco che viene ancora venduta in tutti gli store digitali: qualcosa vorrà dire. È la musica che appartiene alla nostra cultura, l’abbiamo creata nei decenni. Purtroppo a vedere le opere sono quasi tutte persone sopra i 50 anni.

A molti non interessa nemmeno sviluppare la musica lirica in Italia. Nel resto del mondo vi è un’attenzione maggiore, propongono prezzi abbordabili che possano incuriosire anche i giovani. Del resto se si vuole incentivare la musica, è necessario sostenerla. E trovo sia più che mai importante, perché bisognerebbe abituare i ragazzi all’idea che esista anche un altro tipo di musica rispetto a quella che sono soliti ascoltare, sennò nel giro di qualche anno l’opera lirica in Italia sarà destinata a sparire.

Con la preparazione musicale dei giovani a che punto siamo oggi?

I giovani di oggi, purtroppo, fanno una scuola all’acqua di rose: prendono le lezioni cantando brani già famosi su basi preregistrate. Così non acquisiscono una personalità, perché non ascoltano più se stessi come quando fanno le scale con il pianoforte. Solo facendo questo esercizio si sente la propria voce e la si può così preparare a qualcosa che le appartenga.

Oggi un cantante o ha un brano di successo, oppure non è riconoscibile: un tempo c’erano Mina, Milva, la Zanicchi, tutte identificabili per la loro voce. Oggi sono tutti uguali.

Dov’è l’errore secondo te?

Oggi interessa arrivare alla svelta, facendo tutto e di più per guadagnare. Il problema è che nessuno ricorda ai giovani che queste sono situazioni effimere: dopo pochi mesi non succede più nulla e nel giro di un anno scompaiono. Negli ultimi dieci anni sono nate e morte tantissime persone dal punto di vista artistico. La colpa è di chi fa i talent, che creano grossi problemi più che agevolare i ragazzi.

Però ormai la musica arriva principalmente dai talent, come si fa a evitarli?

È un errore. Basti pensare che un tempo venivano dall’America per ascoltare le nostre canzoni, oggi non succede quasi più. Abbiamo venduto all’estero, dopo tanti anni, con Il Volo, perché propongono belle canzoni dallo stile italiano, ma altrimenti sarebbe il silenzio. Puoi fare un buon Festival, ma se i contenuti rappresentati non sono venduti all’estero, alla fine ne rimane solo uno spettacolo di grande successo per qualche sera che lascia però il mercato discografico sostanzialmente fermo. E lo sappiamo tutti, è inutile negarlo: se non si vende è una sconfitta.

Tu di successi all’estero ne sai qualcosa. Quando si pensa a Giovanna, non si può non pensare a Il mio ex, che ebbe un grandissimo successo ovunque con la tua cover in italiano.

Nell’originale canzone lanciata in Brasile si raccontava la storia di una signora anziana. Cambiando arrangiamento e testo con Paolo Limiti, dandole una personalità con la mia voce, la feci diventare qualcosa di mio.

Ancora oggi Il mio ex di Giovanna la sento alla radio, evidentemente piace. E non a caso ha venduto tanto.

Ci manca molto Paolo Limiti, con la sua gentilezza e la sua cultura. Riproporresti un nuovo Ci vediamo in tv?

Tutti stanno cercando di fare quella trasmissione, da anni, senza riuscirci. Per farla ci vuole onestà intellettuale, invece in tv parlano troppi cialtroni. Certo che la rifarei. Bisognerebbe avere un bravo conduttore: di gente che sa cantare ce n’è tanta, solo che non viene dato lo spazio giusto. L’anno scorso abbiamo lanciato con Manuela Villa e Fabio Armillato una canzone bellissima, Sei nell’aria. Ne ha dato notizia qualcuno? E potrei continuare con tantissimi altri esempi. La verità è che la politica ha messo troppo le mani nella musica e, così, stiamo sentendo sempre le stesse cose.

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi

Il rapporto tra videomaker, produttori e cantanti: la risposta dell’Avvocato Moraschi

Videomaker e cantanti. Per realizzare un buon videoclip è evidente siano necessarie entrambe le figure. L’interprete dovrà cantare il brano e molto probabilmente essere presente nel filmato, mentre il videomaker avrà il compito di fare esprimere la canzone nella sua luce migliore con una serie di immagini che formino un vero e proprio racconto del brano.

Insomma, un autentico lavoro di squadra dove i due, apparentemente, hanno pari diritti e doveri.

E’ evidente che sia videomaker che cantante abbiano un guadagno sul videoclip. Ma a chi appartiene davvero quel prodotto?

E’ di entrambi o uno dei due ha una prelazione sull’altro?

La domanda di Alfio, a cui risponde come sempre l’Avvocato Renato Moraschi, parte proprio da questa possibile discrasia nei ruoli.

Se anche tu hai una domanda da porre all’Avvocato, scrivici a redazione@musica361.it. Ogni settimana la nostra rubrica LegalPop fornisce indicazioni chiare e necessarie. In fondo a ogni articolo troverai sempre la nostra traduzione della risposta dal linguaggio Legal a quello Pop.

 

 

Gentile Avvocato,

sono un videomaker che lavora spesso con alcuni giovani artisti. I filmati che realizzo per i videoclip, talvolta mi vengono chiesti anche da certe agenzie per alcune fiere ed eventi musicali e non solo. Io però non li ho ancora concessi: non sono sicuro di poterlo fare, perché il cantante in questione non ne ricaverebbe nulla. E’ pur vero che i filmati appartengono a me, avendoli effettuati io stesso.

Posso usare quelle immagini come voglio?

Alfio (Sassari)

Risponde l’Avvocato:

La proprietà del videoclip dipende da chi lo commissiona.

In genere la proprietà spetta al produttore e/o alla major quali titolari originari e/o licenziatari.

Sia l’artista che il videomaker non possono indistintamente ed insindacabilmente utilizzare le immagini del videoclip. 

Dovranno essere stipulati gli opportuni accordi con il titolare dello stesso ovvero il produttore e/o la major ed in base agli accordi intervenuti potranno utilizzare il videoclip o le immagini entro i termini convenuti.

Tale limite deriva dalla cosidetta “monetizzazione” legata allo sfruttamento economico del videoclip.

Un utilizzo non normato ed indiscriminato non consentirebbe al produttore e/o alla major di monetizzare. Di conseguenza, a seconda degli accordi intervenuti, l’Artista, che trae i propri introiti dallo sfruttamento economico delle proprie Opere e della propria immagine, non ne beneficerebbe in termini economici ovvero di royalties riconosciute… Sarebbe quindi per lui un grave danno.

DAL LEGAL AL POP

Tutto dipende da quanto è stabilito nel contratto.

Se questo prevede che il videomaker possa utilizzare le immagini a suo piacimento, sarà possibile.

Difficile però che l’interprete, non beneficiando in termini economici, non goda dei diritti che lo riguardano in termini di immagini.

Intervista a Enzo Gentile che racconta il suo ultimo libro: “Onda su onda – Storia e canzoni delle estati italiane” 

Onda su onda. Lo cantava Paolo Conte nel 1974 e continuiamo a farlo quasi cinquant’anni dopo: il potere di un ritornello orecchiabile è a volte racchiuso tutto in una frase che ci riconduce a una stagione ben precisa. Ora che l’autunno ha definitivamente preso posto nella nostra quotidianità, con le sue giornate uggiose e i primi giubbotti, ecco che del caldo possiamo solo provare una piacevole nostalgia. Non possiamo ovviamente già immaginare cosa ci riserverà il 2022, ma l’estate porta da sempre con sè una certezza: la presenza di un tormentone canoro.

Onda su onda: la storia dei tormentoni secondo Enzo Gentile
Enzo Gentile con “Onda su onda” è alla sua ventinovesima pubblicazione

Enzo Gentile, eccezionale biografo, critico ed esperto musicale, nonché docente universitario di Storia del pop e del rock, ha pubblicato pochi mesi fa Onda su onda- Storia e canzoni delle estati italiane. 

Il libro, edito da Zolfo, rappresenta in assoluto la prima storia completa dei successi estivi dal 1960 a oggi: ossia, da quando fu inventato il cosiddetto tormentone.

Onda su onda non è solo una carrellata dei brani più celebri che ci hanno accompagnati sotto l’ombrellone, raccontandoci qualcosa del nostro Paese e del mondo in cui viviamo.

Le canzoni, infatti, sono infatti il pretesto per Enzo Gentile di ripercorrere 60 anni di storia con i suoi cambiamenti e le reciproche influenze che intercorrono da sempre tra musica e società.

Tanti gli ospiti del libro che ricordano le loro esperienze estive attraverso le partecipazioni alle manifestazioni canore estive o i loro ricordi di dj: da Gerry Scotti a Red Ronnie, passando per Orietta Berti, Bobby Solo, Marcella Bella fino ai più recenti Takagi e Ketra.

Oggi, nostro ospite, è proprio Enzo Gentile, che ci racconta la sua ultima fatica letteraria, scritta come sempre con un linguaggio scorrevole e sorprendente.

Enzo, un argomento così vasto e importante dovevi averlo in mente da parecchio tempo. Qual è stata la molla che ti ha spinto a lanciarlo proprio ora?

La storia che cerco di affrontare in “Onda su onda” copre ben 60 anni: nonostante ciò non era mai stata raccontata completamente fino ad ora.

Il fenomeno dei tormentoni estivi e delle canzoni di successo da spiaggia era già ben noto a tutti, ma mancava un quadro di riferimento in questo senso. Arrivati a questo anniversario importante, ho pensato che fosse il momento giusto per toccare un argomento molto interessante, anche da un punto di vista storico. Quelle canzoni, infatti, descrivono anche usi e costumi dell’Italia. Durante la pandemia dello scorso anno, mi sono dedicato alcuni mesi piacevolmente a questo tema che avevo a cuore da tempo e ho messo mano agli archivi che avevo a disposizione. Mi sono divertito, vivendo proprio lo spirito dell’estate.

Come hai deciso la data di inizio di questo fenomeno chiamato “tormentone estivo”?

Possiamo dire abbastanza ragionevolmente che i tormentoni estivi scattano nel 1960. Fino a prima esistevano canzoni frivole e leggere ma non erano identificate con le vacanze.

Col boom economico e la trasformazione delle infrastrutture, ecco che le vacanze iniziavano a durare di più e allo stesso tempo, quasi magicamente, emergevano questi brani.

Nello stesso periodo nascevano le manifestazioni che accompagnavano il periodo estivo: Cantagiro, Festivalbar…La discografia scopriva così l’esistenza di un periodo dell’anno tutt’altro che depresso, ma al contrario particolarmente vivo.

Perché si punta a creare successi estivi, ma per il Natale siamo rimasti ai grandi classici, fatta salva qualche rara eccezione?

Qualcuno ha provato a fare le canzoni di Natale, ma con scarso successo. Questo, forse, è accaduto anche perché l’inverno è vissuto come qualcosa di più familiare e si vivono quelle realtà che in estate sono ferme. Parlo del calcio, del cinema, dei teatri e persino della tv, fatta anzitutto di repliche; la musica, invece, va sempre avanti ed è esplosiva. C’è, anzi, ancora più attenzione per le canzoni, con la vita all’aperto che consente di ballare e divertirsi.

Onda su onda: la storia dei tormentoni secondo Enzo Gentile 1
Enzo Gentile racconta in “Onda su onda” i cambiamenti sociali attraverso le canzoni

Perché a una cosa così divertente attribuiamo un nome in apparenza negativo come “tormentone”, che però oggi è l’ambizione di ogni cantante? 

Il termine “tormentone” ora è sdoganato: oggi ha un’accezione molto ironica. Negli ultimi anni, soprattutto, la canzone estiva più che per le classifiche interessa perché permette di sottolineare una centralità artistica. Lo abbiamo visto anche con Morandi, Bertè, Berti…

D’altra parte una volta fare un tormentone era un grosso business, dagli anni 2000 non si vendono più dischi, ma il successo estivo diventa uno status symbol che crea ospitate e serate.

Eppure sono sempre in pochi ad emergere davvero. Anzi, si rivela sempre più difficile nonostante la grande quantità di produzioni…

È cambiato il tipo di consumo: finché c’è stato il juke-box la musica era vissuta in maniera collettiva, all’aperto. Le cuffie, al contrario, non aiutano alla diffusione di un brano, che così rimane invece in un ascolto privato. Così anche le case discografiche non puntano più di tanto sui singoli, se non sperando che l’artista crei un po’ di rumore intorno a quello. La musica, quindi, si è dovuta adeguare a un diverso approccio del pubblico.

Scrivendo un libro come questo non posso pensare che non ti sia fatto un’idea sulla canzone estiva che più ti appartiene. Sapendo già di fare un torto a qualche brano, qual è il tormentone estivo che appartiene di più all’autore di Onda su onda?

Ce ne sono tanti: nel libro racconto 500 pezzi e mi sono rifatto anzitutto alle classifiche, sennò ne avrei dovuti citare molti di più. Sapore di sale è sicuramente un brano senza tempo: venne presentato nel 1963 e ancora oggi Gino Paoli non può fare a meno di cantarlo nei concerti. La cosa vale anche per le canzoni di Edoardo Vianello. Sono brani allegri, spensierati e orecchiabili, anche perché hanno fatto parte di qualche colonna sonora.

 

 

Una chiacchierata con il Maestro Massimo Morini

Massimo Morini: Il mio record, 30 anni al Festival di Sanremo
Massimo Morini ha vinto per 8 volte a Sanremo: sette come Direttore Tecnico, una come Direttore d’Orchestra

Massimo Morini è il recordman assoluto di presenze al Festival di Sanremo: 30 edizioni consecutive dal 1991 a oggi come direttore tecnico e per ben 12 volte Direttore d’Orchestra. Nessuno quanto lui può svelarci alcuni segreti intorno al mondo sanremese e al fascino del suono. Vincitore nel 2013 come Maestro d’Orchestra di Antonio Maggio (Mi servirebbe sapere), in altre sette occasioni ha trionfato come direttore tecnico: l’ultima volta nel 2020 con Diodato (Fai rumore).

Inutile dire che il Festival di Sanremo diverta molto Massimo Morini, che in riviera ligure è d’altra parte di casa.

Lui che, da buon genovese, nel 1986 è entrato a far parte del gruppo pop folk di Bogliasco, i Buio Pesto, di cui è il frontman.

Tantissime le sue collaborazioni importanti (Ruggeri, Mannoia, Oxa, Dalla, Morandi, Bocelli, Baglioni, Battisti, Vecchioni e infiniti altri: pensate a un cantante importante e siete sicuri che abbia lavorato con Massimo Morini).

Oggi è il nostro nuovo ospite di Musica Maestro.

Quando cominciasti, ti immaginavi già come Maestro Massimo Morini?

Non volevo fare il Direttore d’Orchestra, ma mi immaginavo già compositore sinfonico: mi potrei definire un bambino prodigio. A due anni e mezzo suonavo le tastierine con quindici tasti replicando le pubblicità e le sigle della televisione. A cinque anni iniziai a suonare il pianoforte e a 11 anni diedi il primo esame al Conservatorio. Nel frattempo cominciai a insegnare musica nelle scuole elementari dalle quali ero appena uscito. Giovanissimo, mi dedicai a comporre musica per orchestra, senza alcuna possibilità di riascoltare ciò che scrivevo. Molte di quelle composizioni le avrei usate poi nelle mie colonne sonore tempo dopo. Verso i 12-13 anni quella mia vena classica si spense e mi spostai verso altri generi. Rimasi affascinato dalla musica anni Ottanta e diventai compositore e arrangiatore di musica leggera.

Quali sono le qualità di un direttore d’orchestra?

Un direttore d’orchestra deve avere una profonda conoscenza dello strumento musicale e del lavoro principale di adattamento.

È un allenatore, essenziale alle prove. Durante l’esibizione il gesto aiuta più che altro ad avere le aperture, le chiusure, i colori e i crescendo giusti.

Detieni il record di 30 presenze (consecutive) al Festival di Sanremo, affiancando talvolta il ruolo di Direttore d’Orchestra a quello di Direttore Tecnico. Cosa fa esattamente un direttore tecnico?

Ci sono due direttori tecnici: uno è nella regia audio della Rai e dà le disposizioni ai tecnici per fare il mix che andrà alle tv e alle radio per fare sì che il suono sia il più possibile pulito. Un altro è in sala e lavora sul mix che arriva al pubblico. Questo è un ruolo di grande responsabilità di cui fui promotore, perché è attraverso l’ascolto in sala che votano la giuria di qualità e i giornalisti.

Solo un direttore tecnico può avere la competenza per impostare i volumi degli strumenti. A Sanremo ci sono due sessioni da 40 minuti di prove, precedute da altrettante prove a Roma: quindi una volta arrivati alle prove generali il lavoro è ormai già preparato a puntino con eccezionali professionisti.

Al netto di tutte le imperfezioni vocali, quando riascoltiamo un brano sanremese su YouTube l’effetto è completamente diverso. Con tutte le nuove tecnologie, arriveremo a un punto in cui l’ascolto della canzone in diretta avrà la stessa qualità del disco?

No, è la stessa cosa che accade in sede di registrazione: all’inizio la canzone non dice nulla, poi dopo il premix, il mix, l’editing e il mastering, ascoltandola sembra di essere a Hollywood. Si tratta di processi successivi che non si possono fare in tempo reale. Sulla qualità dell’ascolto va fatta una precisazione. Gli orchestrali a Sanremo devono fare 10 ore di prove andando in onda dalle 20.30 alle 3, imparando 100 pezzi da eseguire. Alle 2 si è più stanchi quindi inevitabilmente suonano un po’ più piano rispetto a inizio serata: si dimezza il volume, quindi il pezzo ha un’altra resa.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Massimo Morini è il ventiduesimo ospite della rubrica Musica Maestro

Torniamo alla tua carriera. Come avvenne il passaggio alla Direzione d’Orchestra?

Dal ’90 al ’92 lavorai alla Sony: una volta uscito di lì potei essere discografico per me stesso e per altri, avendo imparato il mestiere nella migliore azienda del mondo. Nel ’91 iniziai a fare il direttore tecnico a Sanremo e subito nel ’92 vinsi con Barbarossa (Portami a ballare, ndr).

Nel ’95 si creò l’occasione perché un produttore indipendente presentò quattro giovani nella speranza venisse selezionato almeno uno: furono presi tutti e quattro. Per ovviare alle spese, mi proposi come giovane direttore d’orchestra di Mara (Dentro di me, ndr).

Mi preparai alla perfezione e fu una bellissima esperienza, che potei affrontare con un vantaggio: conoscevo giù tutti gli orchestrali.

Da quel momento, oltre al ruolo di direttore tecnico che non hai mai più abbandonato, sono arrivati altri 12 Festival da Direttore d’Orchestra. Quali dei due ruoli ti diverte di più?

Sicuramente il Direttore d’Orchestra: è il massimo della creatività. Tradurre un brano, non pensato per orchestra, in una partitura che verrà suonata da tanti elementi è estremamente stimolante. Oggi, per ciò che non si può fare con orchestra, si può usare la tecnologia, ma la regola è che prima di tutto deve essere utilizzato ogni strumento disponibile. Questo anche perché vige la psicoacustica: il Festival di Sanremo è una trasmissione televisiva, dove le telecamere riprendono strumenti che devono suonare. Con una musica realizzata ormai con tantissimi suoni non riproducibili, la creatività diventa anche quella di trovare l’equilibrio giusto per non fare sembrare troppo finto ciò che si ascolta.

Hai attraversato vari generi musicali, spesso all’avanguardia: dagli arrangiamenti per i B-Nario fino alle canzoni di Emma. Ogni generazione ha sempre avuto nostalgia di ciò che ha vissuto. Cosa resterà della musica di oggi? Siamo davvero destinati ad avere nostalgia anche della trap fra qualche anno?

Impossibile immaginare cosa succederà, ma la discografia sta andando chiaramente verso una precisa direzione, che forse oggi è difficile comprendere appieno. Fa parte delle epoche d’altra parte, come si dice: alle prime note non è mai arte. Mio padre non capiva la musica degli 883 e di Jovanotti, così come mio nonno non capiva come mio padre potesse ascoltare Prisencolinesionalciusol. Baudo, che è sempre stato il migliore di tutti e che ringrazierò sempre perché mi diede l’opportunità di cominciare, portava a Sanremo dei Giovani che sarebbero diventati assoluti Big. La Pausini e Bocelli vinsero in due anni consecutivi e oggi sono i due interpreti italiani più conosciuti nel mondo ma, all’epoca, qualcuno non li capiva.

Le canzoni spesso parlano a noi e di noi. Ma hai mai pensato al rischio che la musica dialettale con i Buio Pesto possa rivolgersi solo a una nicchia di persone?

Fu una precisa scelta. Volevamo portare avanti la tradizione ligure: c’era un leader musicale per ogni regione e ci prendemmo così il nostro spazio. Era il 1995, l’anno giusto per cominciare: avevo lavorato con Battisti, Fossati e Baglioni e nessuno mi aveva considerato.

Mi bastò fare un inchino di due secondi e mezzo in mondovisione per diventare Massimo Morini.

Non siamo però mai riusciti, con i Buio Pesto, ad arrivare al Festival. Ogni anno mi “vendico” a modo mio. Porto sul palcoscenico un oggetto che richiami il gruppo: dal vasetto di pesto alla lavagna con la formula del pesto. Non si possono portare oggetti sul podio, quindi mi devo inventare tutte le volte un modo per imboscarli: ho i miei segreti, che puntualmente spiazzano gli uomini della sicurezza. Comunque non demordo: ci proveremo in tutti i modi a partecipare in gara finalmente.

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi

Il rapporto tra Artista e Ufficio Stampa chiarito dall’Avvocato Moraschi

Pagare un Ufficio stampa oltre a una casa discografica (e ovviamente un Management)? Può apparire come una spesa folle, ma parliamo di investimenti sul futuro artistico. E’ una scelta da fare, che non riguarda solo l’aspetto economico. Avere uffici organizzati che lavorano per noi, ci permette una carriera effettivamente sviluppata, anche da un punto di vista legale. Di sicuro non verrà mai perso il controllo diretto sulla propria attività.

Il rapporto dell’Artista con la casa discografica è tale da far sì che questa, laddove prenda delle decisioni, paghi anche gli oneri fiscali legate a queste.

La scelta di un Ufficio Stampa, allo stesso modo, deve basarsi su una fiducia di fondo, andando oltre la paura che le promesse non vengano mantenute.

La domanda di Simone, questa settimana, esprime questi dubbi e l’Avvocato Renato Moraschi chiarisce il ruolo di un Ufficio Stampa dal punto di vista legale. Una volta conosciuto questo, ci si renderà conto che è interesse di tutti lavorare in un’unica direzione, che sia quella del raggiungimento di un obiettivo.

Se anche tu hai una domanda sul rapporto tra legalità e musica, scrivici a redazione@musica361.it. In fondo a ogni articolo troverete sempre la nostra traduzione della risposta dal linguaggio legal a quello pop.

 

Buongiorno,

con i miei amici suoniamo rock da qualche anno. Leggevo un vostro interessante articolo in cui si parlava delle diverse opportunità con la presenza di una casa discografica. Il problema è che, se seguissimo tutti i consigli che arrivano da più parti, quel poco che guadagniamo con le serate lo perderemmo immediatamente. Mi spiego meglio. Non ci viene spinta solo la necessità di una casa discografica, ma anche quella di fare riferimento a un Ufficio Stampa. Ma avendo già contatti con alcuni giornalisti, a cosa ci servirebbe avere un Ufficio che sicuramente millanterà di farci fare il salto di qualità, ma poi chissà se davvero sarà così.

E se firmassimo con una casa discografica, chi pagherebbe l’Ufficio Stampa? Noi o la nostra etichetta?

Simone (Venezia)

Risponde l’Avvocato.

L’Ufficio Stampa è l’ufficio deputato a tenere i rapporti e le relazioni dell’Artista, quale che sia, con i terzi. Parliamo principalmente delle testate giornalistiche, le Major, le Tv e le Radio.

A seconda del grado di importanza del proprio Ufficio Stampa, i rapporti con i vari soggetti indicati risulta più intenso.

Un Ufficio Stampa dovrà quindi, tra le varie attività, promuovere l’Artista, i suoi progetti che durante la carriera prendono forma.

Nel caso della musica si promuovono i vari prodotti quali i singoli e/o gli album che verranno mano a mano pubblicati…
L’ufficio stampa deve pianificare con l’Artista il lancio dei propri prodotti e della propria attività e dovrà garantire lo svolgimento della propria attività con onestà, probità e professionalità. Ogni promessa millantata non giova sicuramente all’Artista.

Può essere remunerato direttamente dall’Artista oppure dal proprio Management, a seconda degli accordi intercorsi.

L’Ufficio Stampa potrà, altresì, in alternativa, essere remunerato direttamente dalla casa discografica in relazione alla pubblicazione di singoli e/o album dell’Artista.

DAL LEGAL AL POP

L’Ufficio Stampa aiuta a sviluppare i rapporti con le testate giornalistiche e i vari media, sicuramente oltre quelli che possono essere i rapporti personali con i giornalisti, se non altro per una precisa organizzazione lavorativa. Il pagamento dello stesso potrebbe essere ad appannaggio dell’artista oppure del Management o della casa discografica: dipende dagli accordi e quindi, banalmente, da chi ha optato per l’ingaggio dell’Ufficio.

Mario Natale, uno dei Maestri e arrangiatori più importanti della nostra musica

Chiacchierata con il Maestro Mario Natale tra la musica di ieri e di oggi 

“Dirige l’orchestra Mario Natale”. L’abbiamo sentita un’infinità di volte questa frase a Sanremo; talmente tante che, anche chi non conosce il percorso di Mario Natale, ha perlomeno la certezza di trovarsi, con lui, di fronte a qualcosa di fortissimo dal punto di vista della qualità. Il curriculum festivaliero parla per lui: due primi posti (2002 Messaggio d’amore con i Matia Bazar, 2005 Non credo nei miracoli con Laura Bono tra i Giovani e nello stesso anno secondo posto assoluto con Cutugno e Minetti per Come noi nessuno al mondo) e tantissimi successi indimenticabili frutto di una grande curiosità e della voglia di sperimentare.

A, Siamo donne, Quelli che non hanno età, Quelli come noi, Nel cuore delle donne, Un falco chiuso in gabbia: tutte canzoni, di generi anche completamente diversi, dirette dal nostro ospite settimanale di Musica Maestro.

Mario Natale, cresciuto da subito con la passione per la musica, sviluppata con lo studio della fisarmonica e, trasformata con l’attenzione alla musica dance, ci racconta alcune tra le sue più significative esperienze musicali da Direttore e arrangiatore.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Mario Natale è il ventunesimo ospite della rubrica Musica Maestro

Mario, tra i tantissimi, qual è l’incontro più incredibile che tu abbia vissuto fino a questo momento?

Difficile fare una scelta. Sicuramente un’emozione enorme la vissi quando con Amii Stewart realizzammo due album di cover con una grande orchestra in presa diretta. Il che significava banalmente, dopo un lungo lavoro di ricerca, dare a tutti i musicisti le partiture, io su un piedistallo che davo il via, gli orchestrali suonavano, Amii cantava. Era il 1995: fu una delle ultime volte che si fece un disco in quella maniera, almeno nel pop. Dirigere a tutti gli effetti in un disco è qualcosa che oggi sembra impensabile. Però ci sono altre esperienze particolarmente stimolanti che porto sempre nel cuore.

Per esempio?

Sicuramente la collaborazione con Laura Bono: mi buttai anima e corpo in quel progetto per fare della musica di qualità. In tanti ci facevano notare che all’epoca Laura avesse già 25 anni, un’età che per qualcuno inopinatamente è già poco interessante per una gara di Giovani. La canzone, però, era bella, piacque e arrivò a vincere in un’edizione in cui c’erano persino Negramaro e Modà.

E poi non posso dimenticare la collaborazione con Franco Fasano. Lavorammo, insieme a Roberto Turatti, all’arrangiamento di E quel giorno non mi perderai più. Era il 1989, non c’era l’orchestra purtroppo. Franco sembrava diffidente all’inizio perché lui proponeva una musica melodica molto profonda, mentre noi arrivavamo da un mondo più frivolo come quello di Salvi. Da questa commistione strana nacquero cose molto importanti. Merito della magia della musica.

Ecco, parliamo di Salvi. Come nacque quella serie di successi, da Esatto fino a Le solite promesse, A, Il lupo, ecc..?

Con Francesco, insieme a Silvio Melloni e Roberto Turatti, iniziammo a incontrarci per costruire la sigla del MegaSalvi Show.

Insomma per qualcosa di puramente commerciale e televisivo. Quando condividemmo le idee capimmo subito che potevamo prendere spunto dalla vita di tutti i giorni, compreso il concetto di spostare l’auto da un parcheggio. Andò così: aspettavamo Salvi nel nostro studio alle nove di sera e proprio a quell’ora suonò il citofono. Era una persona esagitata che gridava “Qua c’è da spostare una macchina!”. Pensavo fosse Francesco, quindi aprii il portone. In studio, però, non entrava nessuno. Uscimmo allora a vedere cosa succedesse e trovammo il dirimpettaio che ripeteva: “Qua c’è da spostare una macchina!”. Nello stesso momento arrivava Salvi, che vide la scena. Ci mettemmo tutti a ridere, entrammo in studio e nel giro di un’ora nacque la canzone. Così scoprimmo che si potevano catturare certi momenti e trasformarli in tormentoni.

Vi inventaste qualcosa di assolutamente innovativo unendo la dance alla musica comica. La chiamavano nonsense, ma rispetto alla trap di oggi era più che sensata anche dal punto di vista dei testi…

Piaccia oppure no, però, per chi fa quel genere anche la trap ha un senso, incredibilmente! Noi facemmo la scommessa di  introdurre in quelle canzoni un

sound che in quel momento era molto attuale. Siamo tutti un po’ la contaminazione del nostro vissuto. Ora abbiamo possibilità di vedere immediatamente qualcosa del passato grazie al web, una volta c’era un maggiore lavoro di ricerca.

Parlavi prima del disco con Amii Stewart come di qualcosa che oggi sembra impensabile. In realtà purtroppo oggi tutta la direzione d’orchestra in generale appare come un lavoro d’altri tempi: perché?

È cambiato il modo di interpretare la musica, ma dirigere un’orchestra è esattamente lo stesso lavoro emozionante di sempre.

Una volta c’era una qualità diversa. Andare in uno studio di registrazione era impegnativo, significava dovere affrontare un certo costo, che costringeva ad avere idee molto chiare. Oggi questo aspetto è assolutamente più democratico: avere uno studio di registrazione ad alto livello è più alla portata di molti. Così ci si mette in casa propria del materiale per potersi esprimere e vengono proposte idee non filtrate da nessuno. Insomma quella ricerca di cui parlavo non si fa più, né si ascolta un provino con quell’idea: contano la visibilità e la notorietà sui social. Sono stati scardinati tutti i sistemi. Tante volte non riusciamo a trovare un senso in ciò che ascoltiamo semplicemente perché quel senso non c’è. Insomma diciamocelo onestamente, se un ventenne vuole fare musica e ha delle delle idee interessanti, si fa fatica a vederlo perché viene sommerso da altri che hanno voglia solo di apparire.

Nel 1989 dirigesti anche all’Eurovision Song Contest: si trattava di Avrei voluto, cantata da Oxa e Leali.

Un’esperienza bellissima e prestigiosa. La difficoltà fu quella di portare il brano a una durata di tre minuti, come era richiesto dal regolamento: in origine la canzone durava più di quattro minuti…

C’è un artista che oggi ti convince particolarmente e con cui ti piacerebbe collaborare?

Francesco Gabbani. Ha trovato un modo molto ironico e allo stesso tempo pieno nella sua proposta musicale ricca di contenuti di un certo spessore. Ha iniziato ad avere successo a un’età importante e questo lo ha aiutato in una maturità professionale.

I prossimi successi a cui stai lavorando?

Ultimamente mi sono dedicato a musiche di commento sonoro di immagine, che hanno vinto anche qualche premio.

Non mi interessa fare necessariamente lavori da classifica: se c’è un progetto di qualità ci si può dedicare anche a qualcosa che resti più nascosto, ma che emerga nel cuore di ha voglia di ascoltare.

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop: i ruoli di una casa discografica. E’ necessario sottoscrivere un contratto con un’etichetta? Risponde l’Avvocato Moraschi

L’Avvocato Moraschi chiarisce i dubbi sul ruolo di una casa discografica

Avere una casa discografica è ritenuto fondamentale in molti concorsi musicali. E’ sinonimo di garanzia professionale: fondamentalmente si certifica un lavoro accurato alle spalle, con un progetto e un percorso studiato su misura per l’artista. La presenza di una casa discografica conferma che il giovane cantante ha deciso di investire su se stesso per raggiungere gli obiettivi prefissati. Non tutti, però, potrebbero averne voglia. In fin dei conti il talento potrebbe essere espresso comunque.

Ma perché è richiesta così assiduamente la collaborazione con una casa discografica per partecipare ai concorsi?

E’ obbligatorio di fatto?

Questo richiede la nostra lettrice Anna questa settimana. Come sempre risponde lAvvocato Renato Moraschi. In fondo all’articolo troverete la nostra traduzione dal linguaggio Legal a quello Pop. Se anche tu hai una storia da raccontarci e hai una domanda da porre all’Avvocato, scrivici a redazione@musica361.it.

 

Buongiorno, 

canto in un locale da diversi anni, ma non ho un contratto con nessuna etichetta. Ho sempre preferito sentirmi libera di decidere cosa cantare e di guadagnare con le mie serate senza dover dividere nulla con terzi che sfruttano l’immagine. Il problema è che quando provo a partecipare ogni mese a concorsi musicali di rilievo, mi viene imposta la presenza di una casa discografica. Possono farlo?

Per legge sono obbligata a sottoscrivere un contratto?

 

Anna, Forlì 

Risponde l’Avvocato.

Un Artista non necessariamente deve ingaggiare una casa discografica, in quanto allo stato attuale con i mezzi digitali a disposizione può autoprodursi così come può non avere un editore.

Tuttavia, per prassi, la presenza di un editore e di una casa discografica contribuiscono notevolmente al successo dell’Opera musicale.
 

La casa discografica o etichetta discografica, o più comunemente definita major, è sostanzialmente il produttore dell’Artista.

Procede con la pubblicazione, la promozione e lo sviluppo di uno o più singoli o interi album interpretati dall’Artista composti da Opere musicali scritte, composte e create da altri artisti oppure dal medesimo.
Le etichette discografiche si dividono sostanzialmente in tre categorie:
  • Le major – Legate a multinazionali che detengono gran parte del mercato musicale mondiale.
  • Le indipendenti – Etichette che autoproducono e promuovono i propri prodotti indipendentemente dal circuito delle multinazionali
  • Le vanity label – Etichette fondate e gestite da un artista anch’esse indipendenti fondate in genere per avere un certo grado di libertà da una o più etichette principali che ne distribuiscono la produzione.

DAL LEGAL AL POP

Non è necessario avere una casa discografica: i regolamenti dei singoli concorsi non sono legge, ma appunto regolamenti interni.

L’etichetta, tuttavia, aiuta al successo in qualità di produttore, che si occupa quindi di pubblicare, promuovere e sviluppare le Opere dell’Artista.

Pino Perris: La musica ha futuro, con i talent e i social 2
Il Maestro Pino Perris debuttò nel Varietà napoletano negli anni Novanta. Prima di “Amici” frequentò la tv come pianista a “Campioni di ballo”, “Viva Napoli”, “Trenta ore per la vita”, “Bravo bravissimo”.


Il Maestro Pino Perris: dalla commedia di Garinei e Giovannini ad Amici fino a Sanremo. La musica non ha limiti

Pino Perris è uno dei mitici insegnanti di Amici. Con la sua preparazione emersero Marco Carta, Valerio Scanu, Alessandra Amoroso, Emma Marrone: praticamente chi si affida di lui ha un successo assicurato. Sì, perché lui Maestro lo è davvero.

Pino Perris infatti si diploma in pianoforte nel 1993 per accompagnare successivamente serate di varietà e orchestrare i musical più importanti degli ultimi trent’anni: Hello Dolly, A qualcuno piace caldo, Pinocchio, Bulli e Pupe, The Producer, solo per citarne alcuni. L’esperienza da pianista in tanti spettacoli di Garinei e Giovannini lo portano al Maurizio Costanzo Show nel 2007, con il suo inconfondibile talento di sottolineare i momenti della trasmissione talvolta anche con pochi ma essenziali tocchi sul pianoforte. Nel suo curriculum grandi collaborazioni anche con Fiorella Mannoia.

Anche Sanremo è da parecchi anni nel mirino del Maestro Pino Perris.

Iniziò nel 1996 dirigendo Syria in Non ci sto e fu subito vittoria tra i Giovani al debutto. Ci riprovò nel 2012 con Emma Marrone (Non è l’inferno) e non andò peggio: primo posto tra i Big. Successivamente grandi successi discografici con Dear Jack, Fabrizio Moro, Sergio Sylvestre, Annalisa, Alberto Urso, Riki. Sa capire perfettamente le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione e crede molto nei ragazzi: del resto ne sa qualcosa di cosa voglia dire sviluppare la passione musicale in giovane età.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Pino Perris è il ventesimo ospite della rubrica Musica Maestro

 

Quando inizia il tuo percorso nella musica?

Sin da bambino. Casa mia era “infestata” da musicisti: mia madre aveva studiato da piccola, gli zii erano tastieristi e cantanti. Il pianoforte a casa era il “gioco” su cui io e i miei 4 fratelli ci sfogavamo per trovare le melodie grazie anche qualche insegnamento che ci dava nostra madre. Lo zio quindi ci mise sul percorso e il nonno materno, appassionato di musica, ci incoraggiava esaudendo tutti i nostri desideri: se dicevo che volevo suonare uno strumento, lui andava al negozio e lo comprava subito. Così con i miei fratelli (il più piccolo aveva 11 anni in meno di me) creammo un piccolo gruppo dove suonavamo pianoforte, contrabbasso, chitarra e batteria. Partecipammo anche ad alcune gare televisive.

Insomma eravate una specie di Five italiani. Poi la cosa si fece sempre più seria.

Mi diplomai in pianoforte e ci volle anche un po’ di coraggio.

La cultura del Sud impone sempre di pensare ad avere un posto fisso e stabile e di considerare la musica come hobby, invece divenne la nostra professione.

Tutti e cinque oggi siamo musicisti, ognuno in un ambito diverso.

Ci sono Maestri a cui aspiravi di avvicinarti per la loro grandezza?

In realtà li ho scoperti tutti strada facendo. Ho iniziato a Napoli con il varietà e il cabaret; ebbi la fortuna di lavorare in una trasmissione Rai con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (Avanspettacolo, nel 1992), quindi al Carlo Sistina a Roma con la ditta Garinei e Giovannini, con cui ho collaborato per 16 anni. In queste occasioni conobbi vari Maestri e cominciai ad apprezzare i creatori della storia della commedia musicale italiana. Lavorai così con Gianni Ferrio, che fino ad allora era per me il Maestro di Mina con Parole parole e Non gioco più. Conobbi Armando Trovajoli, per cui arrangiai tre commedie musicali. Ecco, non ebbi mai l’occasione di incontrare Ennio Morricone: peccato…

Qual è la caratteristica principale di un Direttore d’Orchestra?

È una figura che va distinta in due ambiti: quello classico, che richiede uno studio particolare, e quello della musica pop. È un ruolo dove ci si affida molto all’istinto. La gestualità è fondamentale ed è insita nel Direttore, che con quella sa esprimersi come nessun altro per trasformare la scrittura nel suono dei musicisti.

Tu che frequenti molto la tv, non hai paura che questa e tanti personaggi che ne fanno parte possano in qualche modo sminuire il valore della qualità musicale del Maestro Pino Perris?

La televisione è intrattenimento, quindi sarà sempre legata agli ascolti, ossia a un sistema che non farà mai parte della musica, ma voglio vederla come una possibilità in più.

Ho sempre vissuto il mio lavoro con gioia, non mi preoccupo quello che c’è intorno: io rimarrò sempre Pino Perris in qualunque ambito.

E poi l’esperienza mi insegna che tutto questo fa parte della vita. Mi spiego, la musica è un bene comune, come il calcio: tutti si sentono autorizzati a fare gli allenatori e i musicisti o, nella migliore delle ipotesi, i critici. È compito di chi gestisce queste situazioni discernere dove ci sia solo intrattenimento e dove la qualità, per darle risalto.

Tra le tue tantissime esperienze, praticamente tutte vincenti, vorrei chiederti come prendesti la scelta di Riki, a Sanremo 2020, che chiese al suo pubblico di non televotarlo per concentrarsi sull’ascolto della dolcissima canzone (Lo sappiamo entrambi). Arrivò così ultimo: scelta nobile, ma sappiamo che il televoto fa quasi sempre la differenza…

Certo, quando si dirige una canzone che vince come accadde con Emma nel 2012, si vive una grande gioia. In ogni gara, però, anche gli ultimi in classifica hanno fatto storia, quindi non mi preoccupò minimamente quella sua richiesta ai fan. Preciso che il pezzo fu arrangiato dalla sua produzione, io trascrissi per l’orchestra ciò che dava merito al pezzo originario: ero quindi poco legato alla storia del pezzo, quanto piuttosto a Riki, che avevo conosciuto ad Amici. Lui è una bravissima persona e la sua richiesta scaturì da un sistema che non gradiva: non per niente mira più al mercato sudamericano, dove è molto apprezzato.

C’è sempre un certo scetticismo da parte di molti Maestri nei confronti dei talent. Tu che li frequenti con tutto il bagaglio delle tue importanti esperienze, puoi dirci perché bisogna credere nei talent?

La televisione ha una potenza mediatica straordinaria ed è l’unico mezzo che rende popolare il personaggio. Musicalmente i talent aiutano a questo. Ovviamente bisogna riconoscere che è pur sempre spettacolo, ma anche le case discografiche oggi attingono dai talent mentre una volta scovavano i giovani nei locali.

Oggi è tutto più veloce: per i discografici è diventato molto più comodo mettere sul mercato un ragazzo che abbia già sei mesi di visibilità televisiva.

Si parte già da un percorso musicale di un certo tipo.

Quindi la bella musica ha ancora un futuro assicurato?

Direi proprio di sì! I social oggi stanno facendo molto: il web è la televisione del futuro. Nell’ultimo Festival di Sanremo molti cantanti arrivavano da lì, perché l’aspetto sonoro stesso è cambiato. Ora la musica si ascolta con i cellulari. Bisogna dare fiducia alle nuove tecnologie.

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