LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Nuova puntata di LegalPop, risponde l’Avvocato Moraschi. Si parla di musica e traduzioni.

L’Avvocato Renato Moraschi parla di canzoni straniere e traduzioni

Traduzioni dei brani musicali da una lingua a un’altra? Sono senza dubbio utili per far conoscere il vero significato delle canzoni straniere, ma farlo non è così semplice come sembra. Non solo perché prevede un’ampia conoscenza delle lingue, ma anche perché se non si rispettano attentamente tutte le misure dei diritti d’autore, si rischia di incorrere in gravi sanzioni.

Negli anni Sessanta e Settanta, in Italia, andava di moda fare cover di brani stranieri. Talvolta, però, i testi che cantavamo in italiano non c’entravano nulla con quelli originali e tuttavia a volte erano anche più belli: basti ricordare Stand by me, superata in preziosità dalle parole di Pregherò. E, diciamoci la verità, in tanti si sono dimenticati di alcune versioni originali, attribuendo la paternità del brano a chi ne ha fatto solo una cover anni dopo. Insomma, quando si tocca una canzone altrui è bene specificare che si sta proponendo qualcosa di diverso da ciò a cui si è abituati.

Le traduzioni delle canzoni potrebbero essere quindi fuorvianti e anche per questo c’è una precisa legge che le regolamenta, come vediamo dalla lettera che ci invia Teresa questa settimana. 

Come sempre risponde l’Avvocato Renato Moraschi, specializzato in diritti d’autore. In fondo all’articolo la nostra sintesi della risposta dal linguaggio legal a quello pop.

 

Buongiorno,

mi occupo di filologia e traduzione dei testi. Leggevo da qualche parte che per tradurre un brano musicale straniero e farlo incidere nella nostra lingua avrei bisogno di precise autorizzazioni. E’ vero? Se in fondo già pago la Siae per utilizzare la musica, perché dovrei farlo?

Le traduzioni dei brani musicali da una lingua a un’altra sono soggette a un’ulteriore legge? 

Teresa, Genova

 

Risponde l’Avvocato:

La legge sul diritto d’autore afferma che il diritto di traduzione ha per oggetto la traduzione dell’opera in altra lingua o dialetto ed il diritto alla traduzione compete unicamente all’autore del testo e/o ad altro soggetto dal medesimo espressamente autorizzato.

Le traduzioni del testo di canzoni senza la preventiva autorizzazione dell’autore originario integra la violazione alla LDA.

 

DAL LEGAL AL POP

Non importa se si paga già la Siae per l’utilizzo della musica del brano: qui parliamo di una regolamentazione parallela.

Chi volesse tradurre un’opera da una lingua a un’altra deve necessariamente essere autorizzato dall’autore del testo, l’unico ad avere acquisito tale diritto. Si sta trattando, del resto, pur sempre di un utilizzo che modifica un’opera d’arte e l’artista deve esserne necessariamente al corrente.

Giulio Nenna: Dividere la musica in categorie è sbagliato. Vi spiego perché
Giulio Nenna: “Con Irama un incontro molto fortunato grazie alla nostra curiosità di esplorare diversi mondi musicali”


Giulio Nenna: Si possono suonare diversi generi. L’unico limite è quello che si può dare l’artista stesso

Giulio Nenna è stato, nel 2015, a soli 26 anni, uno dei più giovani Direttori d’Orchestra nella storia ad approdare sul palcoscenico del Teatro Ariston per il Festival di Sanremo. Quell’anno seguiva Irama, con il quale avrebbe poi dato vita ad altri successi importantissimi. Nel 2017 diresse anche Francesco Guasti.

Produttore che ama inserire nei suoi lavori un po’ della sua cultura musicale di ogni epoca, da quella rinascimentale a quella barocca fino a quella popolare, Giulio Nenna iniziò a studiare pianoforte all’età di cinque anni. La musica è chiaramente la sua vita, ma questo non gli ha impedito di concludere i suoi studi universitari in economia. E, chissà, forse è anche per questo che sa sempre azzeccare ogni pezzo di successo per il mercato musicale, contaminando tra loro diversi generi in maniera decisamente geniale.

Giulio Nenna è il nuovo ospite di Musica Maestro.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Giulio Nenna è il diciannovesimo ospite della rubrica Musica Maestro

Giulio, come ti affacciasti al mondo della musica?

Per circa vent’anni ho frequentato lezioni private di pianoforte presso varie scuole, specie alla Music Time di Milano. Successivamente ho conosciuto Angelo Valori, ai tempi responsabile del corso di pop music al Conservatorio di Pescara, con insegnati davvero eccellenti. Da lì si aprirono le strade per i contatti con le etichette più importanti. Mi specializzai quindi in composizione e produzione, studiando anche alla Pop Academy di Mannheim, in Germania, dove ero in classe con Alice Merton (celebre per la sua No roots, ndr). Ho iniziato a lavorare da subito fortunatamente e, al termine del percorso di studio a Pescara, ho conosciuto Irama.

Un incontro che ha cambiato le sorti di entrambi.

Abbiamo iniziato subito in effetti a lavorare insieme a livello professionale: il debutto fu a Sanremo Giovani nel 2015. Era la prima volta che dirigevo un’orchestra così importante. Un incontro molto fortunato: arrivavamo da esperienze diverse ed entrambi siamo estremamente curiosi di esplorare diversi mondi musicali. Inizialmente lui era immerso in un mondo urban, hip pop; io, invece, ero focalizzato nella musica del Mediterraneo. Proposi quindi a Filippo di scrivere con il suo stile, ma anziché su un ritmo trainante di batteria avrebbe dovuto provare a farlo su un giro di pianoforte. E così ne nacque Cosa resterà.

Nessuna difficoltà a convincerlo?

No, per lui era una cosa bellissima e diversa dal solito.

Seguire senza paura l’unicità di quello che si sente è fondamentale, perché solo così ci si distingue sul mercato.

Fu più difficile convincere gli altri, prima su tutti l’etichetta per cui lavoravamo, ma già dalle prime prove ufficiali arrivarono complimenti autorevoli. Uno su tutti, quello di Giovanni Allevi per la coniugazione della musica con l’esigenza di Irama di raccontare qualcosa.

Avete cambiato radicalmente vari generi senza porvi limiti. Una bella sfida…

Oggi si tende a dividere la musica in categorie, anche per facilitare le cosiddette playlist di consumo: c’è quella per rilassarsi, quella per andare a correre, ecc…In realtà la musica appartiene sempre allo stesso mondo: io e Filippo abbiamo sempre seguito un eclettismo che ci consente di passare da La genesi del tuo colore a Nera, che può sembrare una canzonetta leggera e invece ha in sé una cultura un po’ spagnola. Si può passare da un genere a un altro senza problemi. L’unico confine possibile è quello che sente l’artista stesso. Freddy Mercury è un esempio di quanto sto dicendo: ha spaziato tra diversi generi, eppure è sempre Freddy Mercury!

In tanti ci hanno raccontato che le prove sono il momento più importante per un Direttore d’Orchestra. Tu che quest’anno non hai potuto salire sul palcoscenico (uno dello staff era risultato positivo al Covid-19), però, forse ci puoi raccontare cosa ti è mancato nella diretta.

Le prove sono molto importanti e delicati: è in quel momento che il Direttore verifica che il pezzo suoni come ha in mente il produttore. Tutto deve suonare alla perfezione. In questo caso mi era più facile perché il pezzo l’avevo co-prodotto io stesso con Dardust. Anche le prove sono emozionanti quando si ha a che fare con un’Orchestra come quella della Rai: esibirsi in diretta è però ovviamente diverso. La soglia di emozione cambia completamente. Sul palcoscenico lo scambio che c’è tra Direttore e Orchestra è anzitutto emotivo.

Mi è dispiaciuto quindi che, nella prova andata in onda, mancasse quel surplus di emotività che avremmo sicuramente tirato fuori insieme.

Come si dirige un’Orchestra che in quei giorni è coinvolta in tantissime produzioni e lavora con altrettanti direttori?

È un’esperienza impegnativa da sostenere, perché si hanno davanti i Maestri più importanti che ci possano essere in Italia. È fondamentale quindi rapportarsi con loro con il massimo rispetto, rendendoli partecipi nel pezzo e tenendo il timone dritto rispetto alla direzione che si vuole dare al pezzo.

I musicisti sono artisti prima di tutto: ciascuno di loro ha un gusto diverso e il Direttore deve convogliare tutto questo per dare un’unica impronta al brano.

Per farlo bisogna confrontarsi su ogni dettaglio.

Progetti per il 2022?

Sto seguendo il primo disco del progetto Rockin’1000, nato da ragazzi di Cesena che volevano portare nella loro città i Fighters: per farlo hanno realizzato una cover di un loro brano eseguito da mille musicisti. Da questo è nato il progetto di una rock band composta da mille musicisti che sta riempiendo gli stadi di tutto il mondo. Inizieremo i lavori in autunno, quindi credo sarà pronto per la prossima primavera.

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Una nuova puntata di LegalPop: l’Avvocato Moraschi chiarisce i diritti di un produttore di canzoni

I diritti di un produttore spiegati dall’Avvocato Moraschi

Un produttore quale diritto ha essenzialmente rispetto a un brano a cui lavorato?

Se è vero che chiunque può incidere cover (come abbiamo visto in passato) purché siano dichiarate, quali possibilità ha un produttore di decidere se il suo brano possa essere utilizzato?

Praticamente nessuna, ecco perché.

Lo vediamo attraverso la domanda di Antonio, che questa settimana scrive alla nostra rubrica LegalPop, a cui risponde come sempre l’Avvocato Renato Moraschi. In fondo alla pagina, la nostra traduzione della risposta dal linguaggio legal a quello pop.

Se anche tu hai una storia da raccontarci e una domanda da fare all’Avvocato, scrivici a redazione@musica361.it.

Buongiorno,

sono musicista di una giovane band. Recentemente la nostra musica è stata riutilizzata da un artista come sigla di un suo evento, per la quale siamo stati anche pagati. Tutto in regola insomma.

Essendo oltre che cantante anche un produttore, però, non dovrei autorizzare io stesso l’utilizzo della musica prima ancora che mi venga riconosciuto un compenso?

Grazie,

Antonio (Biella)

Risponde l’Avvocato:

Un produttore può autorizzare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, dei suoi fonogrammi. A lui, come all’artista interprete ed esecutore, non è però riconosciuto un diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, ma un diritto a compenso per le utilizzazioni proprie di tale diritto.

L’art. 73 l.d.a. prevede infatti che “il produttore di fonogrammi, nonché gli artisti interpreti e gli artisti esecutori che abbiano compiuto l’interpretazione o l’esecuzione fissata o riprodotta nei fonogrammi, indipendentemente dai diritti di distribuzione, noleggio e prestito loro spettanti, hanno diritto ad un compenso per l’utilizzazione a scopo di lucro dei fonogrammi a mezzo della cinematografia, della diffusione radiofonica e televisiva, ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite, nelle pubbliche feste danzanti, nei pubblici esercizi ed in occasione di qualsiasi altra pubblica utilizzazione dei fonogrammi stessi. L’esercizio di tale diritto spetta al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati“. Tali utilizzazioni sono chiamate, nel gergo tecnico, “utilizzazioni secondarie del fonogramma“.

Tale diritto a compenso spetta anche quando l’utilizzazione è effettuata a scopo non di lucro (art. 73-bis l.d.a.).

DAL LEGAL AL POP

Il produttore ha diritto di autorizzare la riproduzione dei fonogrammi, ossia dei primi suoni fissati. La musica già pubblicata, però, può essere riprodotta da tutti: è la cosiddetta utilizzazione secondaria del fonogramma. Al produttore spettano invece i diritti di compensi su tali riproduzioni.

Massimo Zanotti: Umanità e precisione, fondamentali per un Direttore
Il Maestro Massimo Zanotti è un veterano del Festival di Sanremo, ma ha lavorato anche a tanti album con Big della musica: da Renato Zero a Claudio Baglioni fino ad Adriano Celentano)

Il Maestro Massimo Zanotti racconta il suo percorso da Direttore d’Orchestra

 

Quando Massimo Zanotti, nel 1995, lavorò per la prima volta sulle partiture di alcune canzoni in gara al Festival di Sanremo, forse non immaginava di avere riscontri importanti come suo padre Fio. Eppure la meticolosità nel lavoro e lo spirito di sacrificio, probabilmente nel DNA di famiglia, lo hanno reso praticamente da subito un Direttore d’Orchestra con peculiarità ben precise e distinte che identificano una delle personalità più apprezzate nel campo musicale.

Da Paola Turci a Cesare Cremonini, fino a Nek, Loredana Bertè, Eros Ramazzotti, Celentano, Morandi, Renga e tantissimi altri, quando gli artisti collaborano con Massimo Zanotti sanno di avere a che fare con un Direttore che fa della creatività ma anche della gentilezza e dell’attenzione ai dettagli le sue cifre principali. Valori che, per fortuna, hanno ancora una centralità nella musica e grazie ai quali arrivano poi risultati straordinari.

Massimo Zanotti è il diciottesimo ospite della nostra rubrica Musica Maestro.

Nel tuo caso ipotizzare come ti sei avvicinato alla musica potrebbe quasi scontato, ma immaginavi già da piccolo di diventare il Maestro Massimo Zanotti?

Assolutamente no. Effettivamente sono nato in una famiglia di musicisti: da mio nonno ai miei zii fino ai miei genitori. Mia madre si diplomò in violoncello mentre aspettava me che, nella pancia, venivo coccolato da quel suono meraviglioso. Abitavamo in un piccolo appartamento a Bologna dove mio padre aveva il pianoforte nella mia stanza e ci lavorava tutte le notti. Insomma respiravo le sette note in ogni momento della mia giornata, eppure per molto tempo dalla musica sono rimasto distaccato.

Come cambiarono le cose?

Quando venni ad abitare a Monzuno, in provincia di Bologna, tutti i miei amici suonavano nella banda del paese. Per stare con loro, iniziai quindi a suonare il corno: avevo undici anni. In seguito studiai lo strumento alla scuola di musica di Fiesole; quindi mi avvicinai al pianoforte e a 14 anni entrai in Conservatorio per frequentare gli studi di Composizione. Quando avevo circa 18 anni un negoziante regalò a mio padre un trombone, che io iniziai a studiare da autodidatta entrandoci piano piano in sintonia fino a farlo diventare il mio strumento principale ed in seguito a diplomarmi. L’attività di scrittura e arrangiamento, però, mi ha sempre accompagnato nel tempo. Grazie allo studio, al lavoro e tanti sacrifici sono riuscito a farla diventare la mia caratteristica principale.

C’è una missione che senti di avere quando dirigi l’orchestra?

L’unica “missione” che ho è quella di poter essere la versione migliore di me, per meritare il rispetto delle persone che ho davanti.

I musicisti dell’orchestra sono un indicatore perfetto: se comprendono che hai consapevolezza di ciò che stai facendo e chiedendo loro, allora ti seguiranno con entusiasmo e con grande spirito di squadra. Ritengo altresì fondamentale il rapporto umano, l’empatia, la condivisione di emozioni. Un’orchestra col cuore aperto suonerà sempre in maniera molto più viva e magica.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Massimo Zanotti è il diciottesimo ospite della rubrica Musica Maestro

Com’è il rapporto con il cantante durante l’esecuzione che lo vede già concentrato e teso davanti alle telecamere?

In quel momento, e comunque sempre, credo che sia importante dare serenità e positività, magari può capitare attraverso un incrocio di sguardi, un gesto d’intesa. Poi devi sempre capire la persona con cui hai a che fare, c’è chi in quel momento magari cerca energie anche attorno a sé e chi invece si isola nella concentrazione. Anche l’aspetto psicologico e la comprensione dell’altro sono sempre importantissimi.

C’è un gesto che caratterizza il Maestro Massimo Zanotti?

Ho un approccio rispettoso ma non troppo formale. Mi è capitato di dirigere spesso persone che conosco, in qualche caso persino ex colleghi: viene quindi spontaneo propormi con educazione, salutando subito tutti gli orchestrali prima di chiunque altro sul palcoscenico e dando la mano al primo violino. L’aspetto umano è per me prioritario e determinante.

Dal punto di vista tecnico qual è la direzione perfetta?

Quella che lavora su una scrittura ben orchestrata e ben distribuita: quando la musica è scritta bene ogni musicista si sente in una perfetta relazione con tutto ciò che ha intorno e questo gli consente di suonare nel suo giusto spazio e con i giusti riferimenti. La conseguenza di ciò è un’esecuzione migliore, più sentita, assieme ad una maggiore efficacia di tutta l’orchestra.

Quando vedo i musicisti che si divertono eseguendo musica scritta da me, sinceramente sento di aver centrato un obiettivo importante.

Quanto tempo richiede un lavoro di orchestrazione con tutta l’attenzione ai dettagli?

Se voglio essere sicuro che tutti i dettagli siano a posto certamente ti posso dire che non è un lavoro veloce. Se ci aggiungi che chiedo a me stesso sempre il massimo, è facile tirare le conclusioni! Mi capita spesso di ricevere brani già arrangiati nella parte ritmica, sui quali io devo scrivere e registrare tutta la parte orchestrale, archi, fiati ,percussioni, coro e quant’altro. Quei dettagli di colore sono tutta la mia ragione di vita: alla fine di un lavoro devo sentirmi totalmente felice di riascoltarlo. Dipende anche molto dalla canzone, perché quando è bella ed è già scritta bene, è come se contenesse in sé il suo destino finale e ti può suggerire tanto.

Il tuo lavoro più significativo fino a questo momento?

Difficile rispondere: ho potuto collaborare con Artisti molto importanti nel corso del tempo, ricordo delle bellissime sessioni di archi con Eros Ramazzotti, con Biagio Antonacci, con Nek. E sicuramente le direzioni a Sanremo, tutte bellissime e sentitissime: con la Bertè (nel 2019, Cosa ti aspetti da me, ndr) quasi ci scappava il colpaccio! (già ottenuto lavorando alle partiture di Senza pietà nel 1999, Doppiamente fragili nel 2002 e Occidentali’s Karma nel 2017, ndr).

Ma credo che il lavoro che ha avuto più riscontro sia la cover di Se telefonando con Nek nel 2015.

Molti giovani oggi credono che la canzone sia di Nek: gliel’avete cucita addosso come non è mai accaduto per nessun’altra cover presentata a Sanremo!

Quell’arrangiamento, realizzato per la parte ritmica dal mio amico Luca Chiaravalli e per la parte orchestrale da me, è diventato un po’ un classico e molti ancora oggi lo prediligono come vestito rispetto addirittura alla versione originale: recentemente anche Il Volo nell’omaggio a Ennio Morricone.

Quell’orchestrazione la realizzai in due giorni senza andare a letto: come sempre i tempi erano stretti sotto Sanremo! Il pezzo, però, è bellissimo; la linea melodica è stupenda e questo mi ha aiutato molto nello scrivere le contromelodie degli archi. Nek poi è un cantante eccezionale e ha fatto decollare il tutto.

Chiarisce i dubbi Renato Moraschi, specialista in diritti d’autore 

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
Si pagano i diritti d’autore per le musiche classiche di autori scomparsi da oltre un secolo?

I diritti d’autore, si sa, vanno pagati. Ma come funziona quando sono passati tanti anni dalla morte del compositore? Gli eredi ne possono pretendere qualche diritto particolare?

In effetti siamo tutti portati a immaginare di dovere pagare i diritti d’autore se eseguiamo in pubblico canzoni degli ultimi decenni,

ma siamo sicuri di avere la stessa attenzione nei confronti di una musica di secoli fa?

La domanda di Edoardo questa settimana verte proprio su questo e, come sempre, risponde l’Avvocato Renato Moraschi per la nostra rubrica LegalPop. In fondo alla pagina la traduzione della risposta dal linguaggio legal a quello pop.

Buongiorno,

Se volessi suonare musica di compositori classici ormai datati come Mozart o Beethoven, posso farlo senza problemi di diritti d’autore?

Grazie,

Edoardo

Risponde l’Avvocato

Anzitutto è fondamentale precisare che, nel caso di specie,

ricadiamo nell’alveo che viene definito “opere di dominio pubblico”

ovvero un’opera creativa per la quale siano trascorsi i termini previsti dalla normativa nazionale (70 anni dopo la morte dell’autore) oltre i quali è possibile utilizzarla liberamente senza chiedere l’autorizzazione all’autore per l’utilizzo o dovere corrispondere alcun compenso.

E’ bene precisare che i diritti di cui si parla sono unicamente quelli patrimoniali, poiché i diritti morali di paternità dell’opera sono irrinunciabili ed imprescrittibili.

Sul punto è opportuno accennare che sussiste una differenza tra le elaborazioni creative di opere di pubblico dominio e opere originali costituite solo in parte da opere di pubblico dominio, per le quali è necessario seguire una procedura diversa e dettagliata per il loro deposito in SIAE.

DAL LEGAL AL POP

La differenza non sta ovviamente nel “genere classico”, ma nel tempo trascorso dalla morte dell’autore. Parlando di Mozart o Beethoven sono passati più di 70 anni, quindi le loro opere sono di dominio pubblico. Se si vuole eseguire una loro opera, senza riprodurre l’originale, non si devono pagare diritti.

La paternità dell’opera, invece, continuerà ad appartenere all’autore eternamente.

Pasquale Mammaro: Vi racconto chi era Gianni Ravera
Pasquale Mammaro con Il Volo, che ha portato a Sanremo nel 2015 e nel 2019

Intervista a Pasquale Mammaro, il più lungimirante (e vincente) dei manager ed editori musicali

Pasquale Mammaro. Uno dei manager ed editori musicali più lungimiranti e attenti al gusto della gente e, per questo, sempre vincente. Giusto per fare qualche esempio, è lui la mente delle recenti partecipazioni sanremesi di Diodato con Fai rumore (primo nel 2020) e di Orietta Berti con Quando ti sei innamorato (vincitrice morale nel 2021). E fu sempre lui a tirare fuori dal cassetto una canzone come Grande amore, suggerita a Il Volo per partecipare (e trionfare) a Sanremo nel 2015.

Quando una canzone può funzionare, Pasquale Mammaro la sa riconoscere immediatamente: merito di un fiuto manageriale che non pensa solo alle vendite del momento ma si avvale di una conoscenza musicale che garantisce la durata nel tempo di un brano.

Qualità oggi tutt’altro che usuale. Per questo tantissimi artisti dello spettacolo si affidano a lui.

Nessuno meglio di Pasquale Mammaro potrebbe quindi parlarci di un grande maestro come Gianni Ravera, a cui è dedicato il Premio giunto alla settima edizione, in scena sabato 4 settembre a Tolentino. Lo abbiamo voluto intervistare.

Pasquale Mammaro, tu sei quello che ha fatto conoscere Diodato ad Amadeus, nonché quello che ha fatto conoscere Orietta Berti alle nuove generazioni, andando forse anche oltre ogni aspettativa. Come si potrebbe raccontare Gianni Ravera a chi non l’ha mai conosciuto? Chi era Ravera?

È stato sicuramente il più grande organizzatore del Festival di Sanremo, ma non va dimenticato che nasce come cantante e fu proprio la sua passione per la musica a portarlo a trasformare la kermesse. A differenza degli altri organizzatori, Ravera aveva l’intuito, era molto lungimirante. Era ruspante, genuino con un grande orecchio musicale. Riusciva a capire prima degli altri se un brano avesse le potenzialità giuste.

Tu hai avuto la fortuna di conoscerlo. Ti ha mai svelato il suo segreto?

Usava un metodo molto semplice e infallibile: quando gli venivano proposte le canzoni, lui le vagliava e poi quelle che riteneva più giuste le faceva ascoltare al macellaio, al panettiere, al barista. In questo modo faceva dei sondaggi mirati al popolo, ossia a chi avrebbe poi visto il Festival. Non a caso dai suoi Festival sono nati tanti artisti di successo e tante canzoni che hanno fatto il giro del mondo.

Tra le sue scoperte chi ti colpì di più?

Sono davvero tantissime, l’elenco sarebbe lunghissimo: possiamo citare Eros Ramazzotti, che fu l’ultima sua scoperta e infatti era in prima fila al suo funerale, pochi mesi dopo la vittoria di Adesso tu.

Gianni Ravera è morto nel 1986, ma questo Premio esiste solo da 7 anni. Come mai ci è voluto così tanto tempo prima di celebrare una grande figura come la sua?

In Italia va così, ci si dimentica in fretta di tutto.

L’idea del Premio nacque con Michele Pecora, mio grande amico dagli anni ’70.

Qualche anno fa mi chiamò proponendomi questa serata, essendo lui molto legato a Ravera che lo scoprì a Castrocaro. Michele vive nelle Marche, Ravera era marchigiano (di Chiaravalle, in provincia di Ancona, ndr), così anche la location era facile da decidere. Accettai subito la sua proposta e contattai Pippo Baudo per condurre la prima edizione. Pippo, che aveva un grande rapporto con Ravera e aveva condotto varie edizioni dei suoi Festival, arrivò immediatamente. Fu un trionfo: tra i premiati c’erano anche Carlo Conti, che aveva appena diretto il suo primo Festival di Sanremo, e tanti artisti dei Festival di Ravera: Cinquetti, Zanicchi, Leali e tanti altri.

Successivamente, sempre con grandissimi ospiti, sarebbero arrivati alla conduzione Frizzi, Pupo, Mara Venier. Quest’anno ci saranno Dario Salvatori e Amadeus.

Esatto, Amadeus prenderà a un certo punto le redini della serata soprattutto per introdurre Diodato e Orietta Berti, ossia i due personaggi più importanti emersi negli ultimi due Festival. Anche quest’anno saremo ancora limitati dalla pandemia, con tutte le limitazioni del caso, ma sono contento di avere formato un cast importante. Tra gli ospiti ci saranno anche Albano, i Nomadi, Gio Evans, Le Deva, Random, Emanuela Aureli, Franco Fasano e molti altri.

Due ore di spettacolo, introdotte da otto giovani: un bel messaggio in una serata così ricca di Big.

Sì, faremo esibire – senza gara – otto giovani prima dell’inizio del Premio, che sarà consegnato da un importante orafo, Michele Affidato.

Saranno premiati Diodato, Albano, Adriano Aragozzini – organizzatore di due bei Festival a fine anni ’80 -, e Orietta Berti come rivelazione dell’anno.

La pandemia ci ha costretti a un ascolto sempre più virtuale della musica, con l’assenza dei live. Come l’avrebbe presa Ravera?

Non l’avrebbe certo interpretata bene! (ride, ndr). Avrebbe sicuramente agito per cercare di fare il Festival in tutte le maniere: anche lui quindi non avrebbe rinunciato alla sua creatura, portandolo al termine in un modo o nell’altro, anche senza pubblico piuttosto.

Nel 2022 come sarà Sanremo? Anzitutto, sarà sempre all’Ariston?

Sicuramente a Sanremo 2022 il pubblico ci sarà. E si farà sempre all’Ariston.

Si sarebbe potuto fare anche quest’anno tutto sommato, ma la massima attenzione da parte della Rai e la polemica che si era innescata con il resto dei teatri chiusi lo impedì. Ora con il Green Pass e tutte le accortezze, si potrà pensare a un Festival con il pubblico. Certo quello del 2020 rimarrà storico per chiunque vi abbia partecipato.

Pasquale Mammaro: Vi racconto chi era Gianni Ravera 1
Pasquale Mammaro con Orietta Berti e il Maestro Campagnoli a Sanremo 2021

C’è già qualche progetto che bolle in pentola?

È ancora presto: l’idea di Orietta a Sanremo 2021 nacque in estate per maturare solo a novembre. In questo momento non viene presa nessuna decisione. A metà dicembre è prevista la presentazione dei Big, ma il mosaico sarà costituito da fine novembre, non prima. Io sto già ascoltando brani che mi propongono: se c’è qualcosa che mi interessa, li proporrò ad Amadeus…

La musica vera, fatta di note e parole con un significato, ha ancora un futuro in Italia?

Mi auguro proprio che la musica e il bel canto possano continuare a vincere nelle classifiche: sono le canzoni che ci chiedono all’estero. Certo, le vendite sono cambiate. Nei Festival di Ravera vincere voleva dire vincere al Totocalcio: si vendevano milioni di copie, oggi è cambiato tutto. Quando vinsi con Grande amore alla Sony mi dissero, di fronte a 300 mila copie vendute, che avremmo venduto 1 milione di copie tempo prima. Ora con Orietta siamo al quarto disco di platino con Mille: sono risultati che dobbiamo già imparare a tenerci stretti.

Stefano Zavattoni: Con gli errori imparai a dirigere l'orchestra
Il Maestro Stefano Zavattoni

Il Maestro Stefano Zavattoni si racconta: “Con la Big Band volevamo andare oltre la musica di servizio. Ci riuscimmo…”

Stefano Zavattoni rappresenta la certezza che credere nei propri sogni è l’unico modo per realizzarli. Il suo motto è “La musica è una conquista, un privilegio e un dono”: lui a quella conquista ci è arrivato davvero dopo anni di studio intorno a una passione che la vita gli aveva regalato sin da bambino.

Come ci racconterà lui stesso in questa nuova puntata di Musica Maestro, Stefano Zavattoni ha iniziato a studiare musica giovanissimo per diplomarsi al Conservatorio di Perugia a 23 anni diventando così un pianista, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra di riferimento per i più grandi della canzone.

Nel 1997 ha creato la sua popolare Big Band per arrivare a proporre in poco tempo una musica diversa anche nei programmi televisivi: un ritorno alla vera orchestra, che non si limitasse solo al sottofondo di brevi intermezzi ma che sapesse trovare il coinvolgimento del pubblico strizzando l’occhio alle diverse epoche canore e soprattutto a diversi generi.

Tra gli interpreti diretti da lui anche Adriano Celentano, Il Volo, Fiorella Mannoia, Massimo Ranieri, Annie Lennox, Gianni Morandi, Ornella Vanoni.

Direttore d’Orchestra a diversi Concerti di Natale in Vaticano, oltre che per qualche colonna sonora, Stefano Zavattoni è cresciuto con il mito di Glenn Miller, in onore del quale ha diretto per tanti anni un omaggio patrocinato dall’Ambasciata USA di Roma.

Un esempio di umiltà e professionalità come strumenti necessari per raggiungere risultati che si immaginano impensabili.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Stefano Zavattoni è il nuovo ospite della rubrica Musica Maestro

Stefano Zavattoni, con questa rubrica stiamo raccontando chi sia davvero un Direttore d’Orchestra. Sei pronto?

Impresa ardua! Il grande Gianni Ferrio, dopo tanti anni di carriera, una volta disse in un’intervista: “Vorrei far capire alla gente che mestiere faccio”. Ecco, in molti si chiedono ancora a cosa serva quel signore con la bacchetta. Anch’io da piccolo, purtroppo, pensavo che ogni direttore d’orchestra fosse uguale a un altro. Credevo avesse un ruolo quasi marginale.

Partiamo dal tuo percorso. Come ti affacci al mondo della musica?

Anzitutto ebbi la fortuna di avere in casa dei musicisti e di nascere con l’orecchio assoluto: mi bastava quindi un semplice strumentino di plastica per riprodurre le melodie che ascoltavo. Iniziai con i primi studi di musica, per poi approdare al Conservatorio e, a 23 anni, mi diplomai in pianoforte. Devo dire che raggiunsi quel risultato non senza fatica proprio “a causa” di quell’orecchio assoluto, che ti porta a fare un po’ quello che ti pare prescindendo dagli spartiti.

Non leggevi alcuno spartito?

Sì, in realtà mi appassionava leggere come venissero disposti gli strumenti in una partitura, ma sempre condizionato dall’orecchio assoluto che mi porto dietro sin da bambino. Mi iniziai ad appassionare alla scrittura intorno ai 15 anni ascoltando una cassetta di Glenn Miller: rimasi affascinato dal suono dei fiati e, da quel momento, per la mia prima mini band, cominciai a scrivere la musica per i fiati.

Una bella responsabilità sin da giovane. C’era qualcuno che ti dava consigli mentre imparavi?

Consigli ne arrivavano, ma si parte dall’idea per cui si impara continuamente per tutta la vita, quindi il primo critico deve essere lo stesso compositore che, ascoltandosi, capisce cosa non dovrà ripetere successivamente.

Proprio da alcuni miei stessi errori sul campo capii che dirigere l’orchestra è più complicato di quanto non immaginassi dall’esterno: quando un tuo gesto non ottiene il risultato richiesto, comprendi che non sei lì solo per chiamare gli strumenti ad entrare al momento giusto. Quel gesto bisogna che sia studiato e appropriato.

Nel 1999 con la tua Big Band arrivasti in prima serata su Raiuno ad animare gli spazi musicali di Torno Sabato. Come arrivò la conoscenza con Paolo Belli?

Con Paolo Belli fu un’esperienza molto importante. Dopo il servizio militare avevo deciso di mettere in piedi una Big Band con le persone disponibili del territorio: non mi interessava l’esperienza dei musicisti, ma il suono che erano in grado di fare emergere. Tra i componenti c’era un amico di Paolo Belli che, quindi, ci venne ad ascoltare, e ci coinvolse per un progetto assolutamente innovativo. Nel giro di sei mesi ci ritrovammo catapultati su Raiuno: il primo ospite fu Wilson Pickett, non so se riesco a spiegare l’emozione…

Lo possiamo solo immaginare! Come fu l’impatto con la tv per un autentico musicista a 360 gradi come te?

Non mi aspettavo ritmi così serrati: in quella trasmissione i tempi erano particolarmente stretti! Dovevo preparare arrangiamenti di notte per la mattina dopo: pensavo fosse la normalità, in realtà mi accorsi più tardi che, fortunatamente, non funziona sempre così. L’entusiasmo, però, era talmente tanto che ne vedevo solo il lato più bello: riuscivamo a esprimerci musicalmente come volevamo. Non era “musica di servizio”, come spesso oggi si sente dalle orchestre in tv: mi affidai alla mia piccola esperienza e ci portammo a casa belle soddisfazioni.

Che emozione rappresenta dirigere un’orchestra?

Oggi siamo abituati purtroppo a tante ritmiche fisse che fanno venire meno l’importanza del Direttore. Invece, quando ci sono i presupposti di un grande progetto, è un mestiere unico.

Dirigere le proprie musiche è la migliore possibilità, ma solo se si ha un minimo di conoscenza della direzione per dare il gesto corretto.

Un buon orchestratore deve fare dirigere a qualcuno che ha una conoscenza della direzione del brano, altrimenti se ne compromette la scrittura.

È più divertente dirigere o essere diretto?

Essere diretti permette di mettersi ancora di più in gioco per certi versi, ci si mette in discussione confrontandosi con il lavoro di un altro. Essere diretti da un buon direttore è quindi una grande soddisfazione, ma questo avviene solo con la musica classica: nella musica leggera il Direttore porta essenzialmente il tempo, quindi il trasporto emotivo è diverso.

Arrangiatore e Maestro di tanti Big della musica. Potendo scegliere, qual è l’esperienza professionale più emozionante della tua carriera?

Domanda difficilissima. Ma dico l’album con Fiorella Mannoia (A te, omaggio a Lucio Dalla, ndr), suonato in diretta al Forum Village di Roma. Quello mi appartiene probabilmente più di ogni altro lavoro: fu anche un’esperienza di confronto con grandissimi come Peppe Vessicchio e Pippo Caruso, il Maestro a cui mi sento di somigliare di più. In quell’occasione ognuno portava la sua esperienza, si sentiva la mano di ciascuno. Avevamo solo archi e un pianoforte, io realizzai cinque arrangiamenti.

Nel 2002 vincesti il Premio Barzizza per arrangiatori di orchestra ritmo-sinfonica. Un riconoscimento unico nel suo genere che, purtroppo, non si è più fatto. Lo vincesti a 32 anni: con l’esperienza di oggi ti piacerebbe riproporre un Premio così dedicato a un Maestro assoluto?

Magari! Quel Premio fu una grande emozione: rappresentava un’occasione perché il Direttore, in qualche modo, interloquiva con il compositore stesso. C’era un pezzo d’obbligo del repertorio di Barzizza, che arrivava al Direttore solo con una melodia e senza gli accordi per evitare ogni tipo di contaminazione armonica. Non si potevano usare sempre gli archi, quindi si era costretti a trovare strade diverse.

Elogiamo sempre gli americani, che hanno sicuramente grandissime melodie, diverse dalle nostre, ma noi siamo più vari e ci siamo dimenticati di questo nostro potenziale.

Un tempo si capiva subito che una musica era italiana: avevamo una sonorità completamente nostra. Non ci siamo mai limitati solo allo swing.

Progetti imminenti?

Non posso anticipare molto. Sto realizzando un progetto inedito con una bravissima cantante lirica napoletana su delle arie inedite. Presto arriveranno novità!

 

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
I diritti d’autore sono tutelati anche se mi cancello dalla SIAE? Vengo pagato ugualmente per le mie canzoni? Due domande che presuppongono diverse risposte: chiarisce tutto l’Avvocato Moraschi

L’Avvocato Moraschi chiarisce cosa comporta la cancellazione dalla SIAE o da altre collecting

SIAE e diritti d’autore: ne sentiamo parlare da sempre e ci sembra praticamente impossibile scindere le due realtà. Sappiamo che la SIAE tutela gli autori e gli editori nelle loro opere d’arte e questo ci potrebbe bastare per intuire che vi sia una legislazione a garanzia anche dei compositori e dei poeti. Eppure restano talvolta alcuni dubbi relativi alle modalità e alle tempistiche.

Per esempio, una volta che ci si iscrive alla SIAE si è costretti a mantenere l’iscrizione per tutta la vita se si vuole ricevere i compensi per i diritti d’autore?

La risposta potrebbe sembrare banale, ma non lo è affatto, anche perché si stanno chiedendo in realtà due cose leggermente diverse: la lettera di Maria Teresa questa settimana si riferisce proprio a questa tematica. Come sempre risponde l’Avvocato Renato Moraschi e, in fondo alla pagina, troverete il riassunto nella nostra traduzione dal linguaggio legal a quello pop.

Se anche tu hai una storia da raccontare relativa al rapporto tra musica e legalità, scrivici a redazione@musica361.it.

Buongiorno,

sono iscritta da diversi anni alla SIAE in quanto fino a un po’ di tempo fa componevo molte canzoni. Ora, però, sta diventando una spesa improduttiva non occupandomi più attivamente di musica. Vale la pena che resti iscritta?

Se voglio smettere di pagare la SIAE che ne sarà dei diritti d’autore sui brani scritti in precedenza? Saranno ancora tutelati?

Grazie,

Maria Teresa (Avellino)

Risponde l’Avvocato Moraschi.

L’iscrizione alla SIAE e/o ad altra collecting è la modalità per tutelare le proprie opere e per ricevere i compensi d’autore. 
Tuttavia per gli Associati e i Mandanti in regola con il pagamento della quota sociale relativamente all’anno in corso è possibile in ogni momento interrompere il proprio rapporto di tutela con SIAE, facendo pervenire la richiesta e ciò potrà avvenire con tre diverse modalità di cui si rimanda al sito della SIAE: https://www.siae.it/it/autori-ed-editori/iscriversi-siae-0/dimissioni
E’ bene sapere che il recesso avrà effetto dal 1° gennaio successivo all’arrivo della suddetta comunicazione se effettuato entro e non oltre il 31 agosto di ogni anno, fermo restando l’obbligo al pagamento del contributo o del corrispettivo dell’anno in corso per gli autori con più di 30 anni di età.

Resta inteso che con la cancellazione, seppur le opere sono tutelate in termini di diritti d’autore in quanto la paternità dell’opera non viene meno, non consente la distribuzione a favore dell’avente diritti dei relativi compensi.

Si rende pertanto necessario procedere con l’iscrizione ad altre collecting ove non si ritenga di affidarsi alla SIAE.
DAL LEGAL AL POP
La SIAE, come altre collecting, serve per tutelare le proprie opere dal punto di vista economico, ma i diritti d’autore restano integri: nessun altro potrà prendere a posteriori la paternità di un’opera che non gli appartiene. Si può sempre interrompere il proprio rapporto con una collecting, ma è necessario poi iscriversi a un’altra per ottenerne i compensi.
Giancarlo Di Maria: Così orchestro senza salire sul palco
Il Maestro Giancarlo Di Maria, qui fotografato da Riccardo Sarti

Giancarlo Di Maria ci racconta cosa voglia dire lavorare sulle orchestrazioni senza essere necessariamente il Direttore d’Orchestra.


Giancarlo Di Maria: compositore, cantautore, arrangiatore, ma anche Direttore d’Orchestra.

Un vero osservatore tecnico in grado di apportare modifiche decisive e vincenti per brani che, con il suo intervento, hanno trovato il loro vestito musicale più appropriato.

Al Festival di Sanremo è a tutti gli effetti un veterano, anche se in molti non lo sanno perché

Giancarlo Di Maria lavora spesso sulle orchestrazioni, ma dietro le quinte.

Intorno alla produzione di un brano e alla sua orchestrazione c’è molto più lavoro di quello che non immaginiamo: oggi ce ne renderemo conto particolarmente.

Musicista sin da quando era ragazzino, Giancarlo Di Maria vanta tre partecipazioni da autore allo Zecchino d’Oro, oltre a preziose collaborazioni con i più grandi della nostra canzone, da Andrea Bocelli a Laura Pausini, passando per Mina e Adriano Celentano.

Eccolo ospite della nostra nuova puntata di Musica Maestro.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Giancarlo Di Maria è il sedicesimo ospite della rubrica Musica Maestro

 

Giancarlo, sei uno dei più storici Direttori d’orchestra del Festival di Sanremo. A quando risale la prima esperienza?

 

Era il 1992, realizzai l’orchestrazione del brano Portami a ballare, di Luca Barbarossa. Di Festival in effetti ne ho fatti tantissimi, stando dietro le quinte. Non mi sento però di definirmi principalmente un Direttore d’orchestra ma piuttosto un arrangiatore e orchestratore.

 

Spesso l’arrangiatore coincide con il direttore d’orchestra a Sanremo, ma non è in effetti una regola. Hai mai arrangiato brani orchestrati poi da altri?

 

È difficile, è capitato più facilmente di avere orchestrato brani arrangiati da altri. Ho avuto la fortuna di lavorare tantissimo con il Maestro Celso Valli orchestrando brani di cui lui ne aveva curato l’arrangiamento

 

Ecco entriamo nel dettaglio quindi, cosa significa orchestrare una canzone?

 

Vuol dire partire dall’arrangiamento esistente, solitamente già realizzato con l’ausilio di strumenti virtuali, trascrivendo e disponendo  su una partitura, adattando le parti alle varie sezioni d’orchestra. 


Per fare un esempio, se nell’arrangiamento ci sono archi il cui suono è prodotto  da una tastiera, si scrive quella parte in modo tale che gli archi veri possano eseguirla in modo corretto.

A Sanremo, per fortuna, esiste ancora questa peculiarità: si suona live.

 

Come iniziò la tua carriera artistica?

Sono sempre stato musicalmente predisposto. Ho avuto un’infanzia molto faticosa a causa di vari problemi fisici, per cui ho avuto la possibilità di studiare  musica solo dopo i 13 anni. Il mio primo lavoro  fu con Roberto Costa nel 1992,  all’epoca ero un giovane studente del Conservatorio di Bologna.

Venni contattato tramite la Fonoprint di Bologna per fare l’adattamento orchestrale di Portami a ballare e di Con un amico vicinodi Andrea Mingardi e Alessandro Bono. Entrambe le canzoni erano prodotte da Roberto Costa, nonché direttore d’orchestra per il Festival di Sanremo. Portami a ballare poi vinse il Festival.

Un altro successo al Festival di Sanremo fu Colpo di fulmine, cantata da Lola Ponce e Gio Di Tonno. Lì dirigevi tu stesso l’orchestra, che era fondamentale anche per regalare al brano uno spessore ancora più elevato: si avverte subito la differenza che può fare l’orchestra nella storia di una canzone?

 

Era un brano tipicamente sanremese. Ecco, in quel caso scrissi gli archi con Celso Valli: gli arrangiamenti erano di Massimo Varini, assemblai tutto adattando ogni strumento per l’orchestra di Sanremo e diressi l’orchestra al Festival‍. Ovviamente l’obiettivo è sempre fare suonare l’orchestra al meglio per ottenere il massimo risultato: sin dalle prove e dalla prima esibizione ebbi conferma che l’adattamento orchestrale funzionava in maniera ottimale, ben amalgamato alle voci rendendo il brano di grande impatto.

Talvolta lavori per grandi successi i cui meriti vanno comunque solo agli interpreti: come vivi questa situazione?

Serenamente: è un lavoro, ognuno ha il proprio ruolo. Certo che per il pubblico è “luogo comune” attribuire tutti i meriti a chi è esposto visivamente: il cantante, il direttore d’orchestra, il singolo musicista sul palco ecc. Tutto questo è plausibile, anche perché al momento delle esibizioni

non è possibile elencare nel dettaglio chi e con che ruolo ha reso possibile l’esecuzione.

Progetti futuri?

Ho lavorato per un progetto discografico con un artista venezuelano Cabruja, l’album uscirà a dicembre a seguito del primo singolo previsto per fine settembre. Ci tengo molto perché è un album pieno di sfumature, lui canta in venezuelano, inglese, spagnolo, italiano. Mi ha colpito molto e per questo ho accettato di lavorare con lui. Lo abbiamo realizzato facendo largo uso di archi, ci sono tante cover, pezzi tradizionali venezuelani e solo due inediti.

Altri progetti futuri in cantiere alcuni per quanta riguardano le nuove produzioni, con la mente a Festival e concerti, ma purtroppo permane l’incertezza causata dalla attuale emergenza sanitaria che ancora oggi ci fa vivere uno stato di “quasi fermo. La maggior parte dei progetti live è in standby.  

Si è parlato molto, con il lockdown, della musica che unisce sui balconi e della sua capacità di andare oltre gli ostacoli. Eppure talvolta sembra complicatissimo parlare di vera musica oggi. Cos’è per te la musica nel 2021?

Credo che la musica che unisce sui balconi possa essere eseguita in qualche modo da chiunque abbia preso confidenza con uno strumento o sia intonato nel canto. Personalmente penso alla musica come un’arte e vorrei che il vero artista potesse fare musica professionalmente e per questo venisseretribuito adeguatamente e  tutelato come un qualsiasi professionista.

Sono speranzoso che la riapertura faccia sì che le persone apprezzino nuovamente i live eseguiti dai professionisti del settore e che vi sia un ritorno alla qualità artistica e non solo all’immagine.

Purtroppo però attualmente l’asticella della qualità si è un abbassata.

La musica nel 2021 è molto più concentrata verso il suono che verso la composizione. La costruzione dei pezzi è più semplice, così anche le soluzioni armoniche, la tecnologia e gli strumenti virtuali sono sempre più prevalenti nelle produzioni.

Ogni epoca ha un suo modo di esprimersi anche musicalmente, vedremo nel futuro quale sarà l’evoluzione. Gli esempi passati mi hanno insegnato a non dare niente per perso e niente per scontato.

 

 

 

LegalPop, come muoversi tra musica e diritto 1
La presenza di un marchio in un videoclip presuppone il pagamento di una pubblicità? Risponde l’Avvocato Moraschi

Pubblicità nei videoclip: quando è da pagare e quando no

Pubblicità occulta nei videoclip? Un rischio che ogni artista deve calcolare e prevenire per non incorrere in clamorosi problemi giudiziari. D’altra parte, in certi casi, la sponsorizzazione è piuttosto esplicita. Talvolta non solo nelle immagini, ma persino nelle stesse parole del testo interpretato. Come distinguere le situazioni?

È questo che emerge dalla domanda del nostro lettore Tiziano per la rubrica LegalPop. Come sempre risponde l’Avvocato Renato Moraschi e, in fondo alla pagina, troverete la nostra traduzione della risposta dal linguaggio legal a quello pop.

Se anche tu hai una domanda da porre all’Avvocato in materia di musica e legalità, scrivici a redazione@musica361.it.

 

Gentile Avvocato,

So che la pubblicità occulta è un reato. Tuttavia a volte tale reato è meno lontano di quanto non si immagini. Da musicista e co-regista dei miei videoclip mi sono accorto che basta poco che cadere in un possibile errore. Se qualcuno indossa un paio di scarpe con il logo ben in vista, per esempio, e questo è distinguibile per gli osservatori più attenti, il rischio diventa realtà.

Quindi, se in un videoclip compare un logo di un marchio, devo pagarne la pubblicità?

Grazie,
Tiziano (Bolzano)

Risponde l’Avvocato

Come già precisato in una precedente domanda, il logo è la componente figurativa di un marchio detto anche marchio figurativo, che individualizza, personalizza e fornisce il valore aggiunto allo stesso.
Il Marchio contraddistingue una società all’interno del mercato e

l’inserimento in un videoclip di un Marchio non necessariamente presuppone il pagamento di una pubblicità.

Nella prassi, invece, tra il produttore del videoclip e/o l’Artista ed il Marchio o Brand può instaurarsi un rapporto economico di sponsor e/o di testimonial o di endorser, con conseguente definizione di un compenso economico a favore di tali soggetti.
Basti pensare a titolo esemplificativo all’accordo di endorsement che si viene ad instaurare tra un artista ed un Marchio di strumenti musicali e/o un Brand di abbigliamento ove l’endorser fa uso pubblico di strumenti, attrezzi o altro fornitigli in via privilegiata dal fabbricante, sostanzialmente per scopi pubblicitari.
DAL LEGAL AL POP
La semplice presenza, senza fini di sponsorizzazione, di un marchio in un videoclip non significa che necessariamente vi sia un pagamento, nè si può parlare di pubblicità occulta.

In alcuni casi, invece, ci sono accordi ben precisi che presuppongono una sponsorizzazione. In quei casi vi sarà un pagamento.

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