Fiato trionfalistici e grande enfasi: l’inno del Barcellona
L’inno del Barcellona ha una storia che dura da 48 anni.

Fuori dalle coppe, il Barcellona resta tra le numero uno del calcio (e della musica)


C’è una squadra che più di ogni altra manca ai quarti delle coppe europee: il Barcellona. Abituati come siamo a vedere i blaugrana arrivare in fondo alle competizioni, molto spesso vincendole, quest’anno ci sembra alquanto strano non vedere il Barcellona tra le migliori d’Europa. La vittoria sempre più vicina nella Liga lascia comunque sperare in un futuro sempre roseo per la squadra spagnola. Insomma, niente panico: c’è stata molta sfortuna nei sorteggi dove ha pescato il Manchester United troppo presto, ma il Barcellona è ancora lontano dal tramonto del suo periodo d’oro. Per questo con Musicalcio, ora che abbiamo raccontato tutti gli inni delle squadre che si stanno giocando l’accesso alle semifinali di Champions’, oggi parleremo della grande assente.

In questa puntata raccontiamo allora l’inno del Barcellona.

Prima di tutto ci piace aprire con una curiosità. Ricordate la colonna sonora del film I pompieri 2, quando si tiene la cerimonia di gemellaggio tra la caserma italiana e quella canadese? Bene, l’aveva composta Bruno Zambrini. Ascoltatela di nuovo prima di addentrarci nell’inno del Barcellona. Qualche somiglianza lascia immaginare che una certa ispirazione ci sia stata. Il film è del 1987, ma l’inno della squadra spagnola risale al 1974. In quell’anno risuonò per la prima volta, al Camp Nou, ElCant del Barca. Si festeggiava il 75° compleanno del club e, così, sostituendo il precedente Himne a l’Estadi, Jaume Picas e Josep María Espinàs scrissero il testo sulla musica di Manuel Valls. A suonare era l’Orchestra Sant Jordi.

C’è una grande armonia strumentale infatti nell’inno del Barcellona.

Non si tratta solo di un brano calcistico. Si va molto oltre. Naturalmente, dopo la lunga e aperta introduzione strumentale, il coro parte a intonare canzoni d’amore per la squadra. Nonché, anche in questo caso come con il Benfica, per i tifosi. Un attestato di orgoglio e di ringraziamento per le emozioni che vengono regalate. È evidente, però, sin da subito un concetto ulteriore. Quello multietnico che contraddistingue la stessa società del Barcellona. “Non importa da dove veniamo se dal sud o dal nord” recitano le prime strofe.

L’amore per la stessa bandiera si rivela così il motivo per stare uniti.

La canzone inneggia quindi ai grandi successi, arrivati con sacrificio e immenso lavoro. Tanto importanti al punto che nessuno potrà piegare la squadra. Parole certamente non nuove negli inni delle squadre più blasonate ma che, in questo caso, appartengono a una delle composizioni senz’altro più simboliche in quanto a trionfalismi. Musica gloriosa per un testo altrettanto celebrativo. Ascoltatelo e fatevi inebriare da questo inno mai più sostituito da cinquant’anni a questa parte: un motivo ci sarà. Fosse anche scaramantico, visti i successi nazionali ed europei che il Barcellona ha portato a casa negli anni.

5 motivi per ascoltare "Insieme", l'album di Roby Facchinetti e Riccardo Fogli
Roby Facchinetti e Riccardo Fogli nella foto di Luisa Carcavale. Oltre a Blanco e Mina ci sono anche i Pooh tra le novità della settimana

Blanco mette a zittire tante polemiche con un’interpretazione che merita applausi. Montecorvino e Renanera superano Faletti

Fa un certo effetto leggere Blanco e Mina come interpreti dello stesso brano. Specie se, nei crediti, Blanco viene scritto completamente in maiuscolo e Mina con la sola iniziale. Non tanto per la storia, che mostra due curriculum chiaramente diversi: uno tutto da costruire, forse da ricostruire dopo i fattacci di Sanremo 2023, l’altro che può solo incrementarsi senza necessità, ma per pura passione. Quello che stona, in quei maiuscoli e minuscoli, è la centralità che viene presupposta di un artista su un’altra. Il brano, in realtà, è un puro duetto. Chi pensava a un featuring di Mina si è dovuto ricredere.

La Tigre di Cremona canta esattamente quanto Blanco.

Il risultato è quello di sempre, di ogni volta che si ascolta la voce più bella in assoluto: magia. Certo, non mancano alcune domande che i detrattori del cantante porranno in maniera forse un po’ retorica per trovare dei like nei commenti sui social.

Proveremo a farcele, non senza prima avere rammentato un dato incontrovertibile a certi detrattori: quel ragazzo, contro cui molti puntano il dito da due mesi a questa parte, è lo stesso che un anno fa veniva acclamato in trionfo a Sanremo. Naturalmente con l’aiuto del televoto. Dunque, parliamo pure del suo carattere irascibile (per cui verrebbe addirittura idolatrato se avesse una trentina di anni in più), ma se si vuole discutere di musica i discorsi stanno a zero. Stiamo parlando di un talento assoluto. Magari non ancora dal vivo, dove deve trovare una maturità anche per tirare fuori la voce senza emozionarsi, ma in studio è davvero fenomenale.

La nuova canzone di Blanco e Mina si intitola Un briciolo di allegria.

Quel che vive dentro di noi non morirà mai: bisogna, pertanto, prendere consapevolezza di ciò che siamo e siamo stati. In questo modo ci concederemo sempre il lusso di respirare quel briciolo di allegria che dà il titolo a questa canzone. Il senso è dunque profondo e non poteva essere altrimenti, intonato da due voci diverse, che tuttavia si incontrano meravigliosamente. Blanco e Mina cantano insieme uno dei brani più belli di questi primi mesi del 2023.

Dopo la prima strofa di Blanco, interviene subito Mina. I due si completano a vicenda.

Il pezzo si traduce di fatto in un dialogo aperto, su ritmo romanticamente vivace, dove le parole sono molto più che un accessorio. Basterà questo duetto per restituire a Blanco quella forza di credibilità che aveva fino a gennaio?

Intanto la settimana regala altre novità. A cominciare da Mr. Rain che canta insieme a Federica Abbate. Lei, sempre ancora troppo poco nota per le canzoni che scrive, esprime ancora una volta raffinata vocalità in La pioggia prima di cadere.

 

Tante emozioni, tutte insieme, rischiano di confondere.

La canzone parla proprio di questo e di quelle sensazioni attese, che sappiamo già arriveranno ma non abbiamo il coraggio di ammettere. Perché assecondarle significherebbe cercare risposte in ciò che talvolta preferiamo evitare.

Mr. Rain e la Abbate regalano un featuring di grande livello, che unisce l’anima rap con quella melodica. Qualche anno fa avremmo parlato di “indie”, oggi possiamo tranquillamente definirlo un ibrido tra due generi diversi, che origina un’altra magia.

È una settimana di cover eccellenti: a cominciare dai Pooh

La storica band, che ha appena annunciato due date anche all’Arena di Verona (Milano è già sold out e si va in quella direzione anche per Roma) ripropone il suo brano più iconico. Dopo tanti anni di silenzio e di polemiche a distanza più o meno velate, eccoli di nuovo a cantare insieme Amici per sempre. Questa volta con Phil Canzian alla batteria e Riccardo Fogli (assenti nella versione originale degli anni ‘90). Che dire, la canzone è quella, le voci e i suoni creati dagli altri tre anche. Ma i Pooh sono i Pooh e l’emozione di sentirli di nuovo insieme è unica. Oltre al fatto che, questa volta più che mai, una canzone come questa assume contorni davvero sinceri. Non se le mandano a dire, ma poi in fondo trionfa l’amicizia. Un bell’esempio di onestà.

Anche Pietra Montecorvino con Renanera creano una cover. È quella di Signor Tenentelo storico brano di Giorgio Faletti.

Atmosfere più intrise di dolore e di passione in questa versione per la prima volta al femminile. Una canzone così meriterebbe di diventare colonna sonora di uno spettacolo teatrale. Con questa interpretazione le due cantanti lo confermano, dando una atmosfera se possibile ancor più drammatica rispetto all’originale. Senza nulla togliere a Faletti, ma le due donne superano ogni legittima perplessità che si può avere prima di ascoltare un brano così storico.

Classifiche Fimi: Geolier con Marracash si prende tutto, dalla classifica degli album a quella dei singoli. Il coraggio dei bambini Atto II conquista il primo posto davanti al solito Lazza. Scivola al quarto posto l’album di Madame, mentre è solo nono Mengoni: a quanto pare vincere Sanremo stavolta non è equivalso a essere primo in ogni classifica.

 

 

La maledizione che vuole il Benfica mai più vincente in Europa dura da 60 anni. Il suo inno storico, però, è ancora più antico e ha accompagnato i grandi successi quando giocava Eusebio

Domani è il giorno di Benfica-Inter. Il turno di andata dei quarti di finale di Champions’ è arrivato. La compagine di Simone Inzaghi se la vedrà con la squadra portoghese, spesso vicina a risultati importanti ma a quanto pare attanagliata da una maledizione: quella di Bela Guttmann. L’allenatore, noto anche in Italia per aver guidato tra le altre il Milan e aver fatto esordire Cesare Maldini, vinse ben due Coppe dei Campioni con il Benfica. Rifiutatogli un aumento di ingaggio, nel 1962 lasciò la squadra indignato asserendo che nessun altro team portoghese sarebbe mai più riuscito a vincere per due anni consecutivi in Europa. Aggiunse inoltre che il Benfica non avrebbe mai più vinto una finale senza di lui. Crediateci oppure no, la squadra lusitana successivamente ha perso otto finali europee. Una delle quali, nel 1965, proprio contro l’Inter. I segnali per sperare ci sono tutti insomma. Rimane che la leggendaria formazione di Lisbona non solo non può essere sottovalutata. Ha innanzitutto una storia che parla per lei. Come sempre, quando si ha una storia alle spalle ne emerge un racconto sotto ogni forma. Compresa quella musicale.

Nella puntata settimanale di Musicalcio parliamo quindi dell’inno del Benfica.

Diremo subito che l’inno è uno e solamente uno, prima di addentrarci nei tentativi di cambiamenti che la contemporaneità ha spesso richiesto, senza mai però riuscire a convincere.

La canzone si intitola Ser Benfiquista. E’ particolarmente amata perché, contrariamente a ogni altro inno, si rivela un elogio ai tifosi prima ancora che ai giocatori. Essere un “benfiquista” vuole dire molto più che supportare una squadra di calcio infatti. Il brano fu scritto da Manuel Paulino Gomes Junior e venne cantato per la prima volta nella vecchia arena del Benfica, il Pavilhao dos Desportos. Era il 1953: a interpretarlo, un tenore, Luis Picarra. La canzone è a tutti gli effetti un pezzo tenorile che merita attenzione. Pochissimi gli strumenti utilizzati; tante le strofe che nascono praticamente con voce a cappella. L’inno del Benfica è una dolce melodia, che rievoca quelle atmosfere tipiche dei film disneyani anni ’50, molto care ai portoghesi. Ricorderete infatti come anche nel 2017 Salvador Sobral vinse l’Eurovision Song contest con Amar Pelos Dois. Quando gli archi creano la magia, tutto il resto lo può fare la voce con la sua delicatezza e la raffinatezza dei lenti più romantici.

Sono del Benfica e mi lusinga, perché ho la genetica che fa crescere chiunque.

Così cita la canzone nel suo incipit, per poi continuare nel ritornello. “Essere tifoso del Benfica vuol dire avere una fiamma immensa all’anima del sole che c’è nel cielo”. I giocatori sono paragonati a papaveri saltellanti (la maglia della squadra è rossa), facenti parte di un club che da sempre sa combattere senza paura di alcun rivale. In sostanza, però, la canzone è davvero un inno per i tifosi. Anche per questo non viene mai abbandonato, nemmeno a distanza di 70 anni. Un assolo di fiati prepara il finale a una grande vivacità, senza mai perdere la poesia di questo brano. Provate ad ascoltarlo: sembrerà di sentire un Claudio Villa portoghese. Lo stile è quello e non è detto che non ci sia stata qualche ispirazione al Reuccio. Non sarà un caso, del resto, se entrambi hanno inciso nelle loro rispettive lingue la celebre Granada. In ogni caso, prima di ogni partita casalinga, i tifosi portoghesi intonano Ser Benfiquista. 

Come dicevamo, ci hanno provato a cambiarlo negli anni, ma senza successo.

A partire da Benfica es a nossa fé (Benfica è la nostra fede), canzone interpretata sulla base di Go West dei Pet Shop Boys. Un brano chiaramente capace di coinvolgere le folle e animare i tifosi, specie nei momenti più gloriosi. Ecco perché ci si augura di non sentirlo mai nelle prossime settimane: vorrebbe dire che l’Inter sarebbe stato eliminato! Tuttavia, quel brano non è mai stato sentito davvero come inno della squadra. Non è andata meglio a Somos Benfica, cantata dal Grupo Ninguem. Si tratta di un pop ricco di chitarre elettriche, cantato con voce in stile Ruggeri per capirci, che per quanto bello non ha le caratteristiche di un vero inno, fatta eccezione per il coro che interpreta il ritornello. Hanno provato a cambiare più volte l’inno, perché secondo qualcuno la maledizione delle mancate vittorie è da imputare anche a un brano che, evidentemente, ha perso il suo fluido magico. Eppure è anche lo stesso che ha permesso di vincere in quegli anni epocali. Meglio mettere da una parte la scaramanzia allora. Difficile insomma sostituire qualcosa di storicamente consolidato. Sebbene, tuttavia, nella storia era già successo.

Il primo inno della squadra di Lisbona, infatti, risale al 1929.

Lo compose Félix Bermudes e si intitolava Avante Benfica. Lo cantava un coro di voci maschili e femminili, completamente a cappella. E’ di una bellezza melodica e interpretativa per cui meriterebbe di essere ascoltato in tutte le scuole. Non c’è alcun bisogno di strumenti, fanno tutto le voci, creando armonie e sottofondi meravigliosi. E allora perché fu sostituito? Motivi politici. Quell'”Avante”, infatti, nel 1942 in piena guerra mondiale, sembrava un affronto all’Estado Novo, ossia lo stato corporatista istituitosi in Portogallo nel 1933. Per i conservatori e autarchici, occorreva qualcosa che non facesse intendere a uno spirito rivoluzionario: così l’inno venne censurato per dare luogo, dieci anni dopo, a quel Ser Benfiquista mai più abbandonato.

 

Gabbani e Boomdabash: le migliori novità della settimana
Francesco Gabbani torna in radio con “L’abitudine”

Gabbani ci dà una nuova lezione di morale che sveglia la società odierna. Delude Danti con Saturnino e Alexia

Francesco Gabbani torna in rotazione radiofonica. Sappiamo bene che il cantautore toscano è spesso protagonista di lunghi silenzi artistici che significano una sola cosa: è al lavoro per progetti particolarmente ambiziosi. Quando torna sulla scena, dunque, c’è da essere sicuri che siamo in procinto di ascoltare una musica tutt’altro che banale. La melodia orecchiabile, molto pop e persino divertente potrebbe distrarre e lasciar pensare ai classici tormentoni senza un’idea concreta. Poi leggi il testo, lo analizzi, lo scomponi in ogni sua parte, e dentro ci trovi filosofia, letteratura, storia, psicologia. Insomma, le canzoni di Francesco Gabbani si rivelano sempre uno spaccato di cultura per cui vale la pena mettersi comodi in poltrona, con le cuffie nelle orecchie e lasciarsi avvolgere dalla poesia che ne uscirà. Il merito è anche del coautore dei suoi maggiori successi, Fabio Ilacqua. Con lui il cantante ha scritto Occidentali’s Karma, (la nuova canzone ha un incipit che la richiama), Amen, Volevamo solo essere felici.

La novità con cui Gabbani apre il mese di aprile si intitola L’abitudine.

Il titolo rievoca una sensazione da cui tutti tendiamo a rifuggire e che ciascuno di noi ritiene lontana da sé. Eppure è più forte di noi: ci siamo assuefatti ormai a un certo modo di vivere e vedere le cose. Basta poco ed ecco che ci ritroviamo a ripetere in maniera passiva atteggiamenti che ci portano in un attimo a esistere in virtù delle nostre consuetudini. Così, però, si annulla chiaramente la possibilità di esprimerci con una certa creatività. Siamo abituati a cercare di imitare ciò che già ha funzionato, pensando che l’abitudine sia in sostanza la vera felicità.

Francesco Gabbani canta parole molto chiare, senza girarci intorno.

“Beato il cane al passo del padrone e chi è uno stupido per vocazione. E chi, siccome tiene un osso in bocca, non dirà la sua opinione”. Così Gabbani mette sullo stesso piano i fedeli animali con quegli esseri umani che, pur dotati di razionalità, sembra si sentano in dovere di assecondare le scelte altrui senza mai provare a cambiare ciò che non va. Senza rendersi conto che vivono per mangiare, ma rischiano di essere mangiati dalla società intorno. Tutto questo, come sempre, Gabbani lo canta con la sua voce inconfondibile e un ritmo pop che vuole farsi unicamente cantare e non cerca di far anche ballare come accaduto in altre circostanze. Ma, per restare nel tema della canzone, bisogna in effetti cambiare ogni tanto le carte in tavola. Resta in ogni caso un pezzo che sentiremo spesso nelle prossime settimane.

L’altra novità rilevante della settimana musicale si intitola L’unica cosa che vuoi.

A cantarla sono il gruppo salentino più amato degli ultimi anni: Boomdabash. E’ vero, non è ancora estate, ma chi ha detto che debba fare caldo per apprezzare questi ritmi un po’ latini mischiati con il rap? C’è una grande musicalità nei suoni scelti per questa canzone, che si rivela una bella dedica d’amore. “Per te perderei qualunque cosa. Guardami come se fossi l’unica cosa per te”: sono le parole che qualunque innamorato vorrebbe sentirsi dire. Altroché maschilismo e machismo: la canzone vuole proprio sottolineare l’importanza di lasciarsi andare ai sentimenti, al punto da esser pronti a farsi male pur di difendere il proprio amore. Pur di raccontarsi per quello che si è. Il ritornello sembra già di immaginarlo con ragazzi e ragazze che ballano nelle discoteche all’aperto: ha davvero un’energia frizzante che dà la sensazione di una melodia che gira, che ruota attorno a sé.

Gabbani e Boomdabash sono ancora tra i pochi che sanno distinguersi con stili che appartengono primariamente a loro, a differenza di altre novità della settimana.

Per esempio, era interessante l’idea di unire il basso di Saturnino con la voce di Alexia. Peccato che il primo ormai ripeta le stesse cose da oltre un decennio, senza creare un arrangiamento innovativo che permetta di accorgersi della differenza di un brano con un altro. Così come Danti, autore dei brani di successo di Rovazzi, sembra aver perso l’ispirazione ora che prova a mettersi in gioco in prima linea come cantante. Nulla da dire sulla voce di Alexia, che appare sottovalutata rispetto a quella di altre sue colleghe. Eppure Un giorno come Danti- Dal basso non ha un’armonia che si trasformi in qualcosa di piacevole. E’ solo un tripudio di talenti che, tutti insieme, non c’entrano nulla l’uno con l’altro. “Tu parli con Alexa, io canto con Alexia” è la ciliegina che descrive bene come ormai ci siamo abituati a immaginare interessante una canzone solo se crea uno slogan. A prescindere da quanto faccia ridere. Peccato, ci si poteva aspettare di più.

Classifiche Fimi: arriva Madame e l’hit parade degli album più venduti della settimana si deve inchinare a lei. Subito dietro Sirio, il progetto di Lazza che funziona (con l’aggiunta del brano sanremese) da ormai un anno. Cenere, nel frattempo, è sempre al primo posto tra i singoli. E ormai siamo a due mesi e mezzo di dominio. Dove arriverà?

Blue Moon: storia dell'inno del Manchester City
Tanto jazz, con un escalation melodico nel finale: così si presenta l’inno del Manchester City

Il Manchester City ha adottato ormai da tantissimi anni una canzone molto famosa come inno

Il Manchester City da ormai undici anni, quando venne acquisito dal magnate russo Roman Abramovich, è una certezza assoluta del calcio mondiale. Tutti i grandi talenti sognano di arrivare a giocare nella squadra biancoceleste. Tanti ne sono emersi, l’ultimo in ordine cronologico è il norvegese Erling Haaland, ambitissimo da ogni parte del mondo. Eppure, prima che la squadra di Manchester potesse acquisire una notorietà e una credibilità almeno al pari di quella dei cugini Red Devils, ne è passato di tempo. Per la precisione, 44 anni. Tanti se sono trascorsi tra il secondo e il terzo titolo nella Premier League per il Manchester City.

Dopo quel successo, che vedeva in panchina l’attuale ct azzurro Roberto Mancini, ne sono arrivati altri cinque in dieci anni per capirci. Il club non ha ancora mai vinto la Champions’ League, pur sfiorandola in più occasioni: che sia questa la stagione buona? Naturalmente, con tre squadre italiane ai quarti, abbiamo ben diritto a sperare che i biancocelesti debbano aspettare ancora un po’. Per i bookmakers, però, sono proprio loro i favoriti a trionfare nell’Europa che conta. Vero è che da una decina di anni a sta parte, ci si è interessati circa tutti i dettagli di una squadra fino a prima sempre snobbata. Anche musicalmente, dove invece avrebbe una storia da raccontare molto più di chiunque altro.

In questa puntata di MusiCalcio raccontiamo allora l’inno del Manchester City.

Non si tratta di una canzone qualunque. Sotto ogni punto di vista. Anzitutto per la storia. L’inno del Manchester City è infatti una canzone famosissima. Sappiamo come, invece, quasi ogni club tenda a cercarsi un inno costruito ad hoc. In Italia fa eccezione, in questo senso, il Napoli; in Inghilterra abbiamo già parlato della storia dell’inno del Liverpool. Nella maggior parte dei casi, i brani famosi riecheggiano nelle curve con parole modificate, ma senza diventare poi l’accompagnamento ufficiale delle squadre. Non solo, l’inno del Manchester City vanta una melodia romantica, talmente dolce da poter essere adatta a qualunque colonna sonora Disney. Insomma, un brano decisamente atipico per il calcio. Ma di quale si tratta?

Il Manchester City, da tempo, ha adottato Blue Moon come canzone ufficiale.

Si tratta di una celebre canzone scritta nel 1934 da Richard Rodgers e Lorenz Hart. Un grande classico statunitense, interpretato nel corso dei decenni da tanti giganti della musica. Possiamo citare Benny Goodman, Ella Fitzgerald, Dean Martin, Elvis Presley, Beady Eye, giusto per ricordarne qualcuno. Persino la nostra Mina ne incise una versione di altissimo livello (ma anche Teddy Reno, Emilio Livi, Antonella Ruggiero). La più famosa popolarmente, tuttavia, resta quella regalataci da Frank Sinatra. A vendere di più, invece, fu Billy Eckstine che nel 1946 la incise con la sua orchestra superando il milione di copie. Operazione che ripetè qualche anno dopo con l’ensemble di Hugo Winterhalter.

Diciamo subito che la Blue Moon è un evento rarissimo: si tratta, infatti, della terza luna piena quando nella stagione ve ne sono quattro. Una luna appunto blu e più preziosa delle altre, insomma. Forse anche per questo è stata scelta dal Manchester City, oltre che per il richiamo del colore cantato, simile a quello delle divise dei calciatori.

Luna Blu, tu lo sapevi perchè ero lì, mi hai sentito elevare la preghiera di trovare una persona da amare.

Con queste parole (qui tradotte) ci si rivolge così un po’ alla Luna e un po’ a una squadra che fa innamorare di se stessa come di un’altra persona. E’ uno dei significati sportivi che più ci piacerebbe raccontare: la possibilità di trovare l’amore sugli spalti, uniti dal sentimento per una squadra. Situazioni romantiche a cui la musica ci ha abituati con i concerti, ma che ha visto un po’ meno coinvolto in questo senso il calcio. Eppure è una visione romantica che ci piace pensare come possibile. Lo sport, dunque, viene visto qui come una possibilità straordinaria per credere nel futuro e abbandonare la solitudine. Il Manchester City, in questo caso, prenderebbe per mano il tifoso, accompagnandolo a vivere diverse emozioni e senza lasciarlo mai solo.

Per adattare meglio la canzone al calcio, c’è stata solo una piccola modifica al brano originale. O meglio, una aggiunta. Si tratta di “Blue Moon You started singing your tune, You won’t be singing for long because we beat you 5-1!!!”. Si fa chiaramente riferimento a un celebre derby vinto 5-1 contro i Red Devils, negli anni in cui i cugini erano ben più popolari dei Blue Moon.

Ascoltatela questa canzone, lasciandovi accarezzare dalla sua melodia jazzistica (qui la versione più recente). Non sembrerà nemmeno di parlare di calcio. In effetti in origine nessuno pensava al pallone. Ora, però, il Manchester City non cambierebbe inno per nessuna ragione al mondo.

 

La Coca Zero dei Pinguini, poi Annalisa, Ron-Gassmann: la parola d’ordine è “adeguamento”
“Questo vento” è una canzone di Ron, cantata con Leo Gassmann, uscita nell’album di sei mesi fa. Ora esce come singolo. Ironia della sorte: arriva nella stessa settimana di “Coca zero” e “Mon amour”. Tutte canzoni che raccontano di come sia necessario adeguarsi ai tempi moderni, senza abbandonare il passato


I Pinguini Tattici Nucleari lanciano Coca Zero, il nuovo singolo. Ma ci sono anche Annalisa e Ron-Gassmann tra le novità della settimana


Ci risiamo: con Coca Zero torna in radio un inedito dei Pinguini Tattici Nucleari e, come sempre, c’è già profumo di successo. Merito degli arrangiamenti, di un tecnicismo musicale che rende la band bergamasca una delle più complete e perciò piacevoli da ascoltare. Ma quel che sorprende maggiormente è sempre la costante capacità del gruppo a raccontare la contemporaneità. Lo sanno fare con parole semplici, metafore non eccessivamente ricercate né poetiche. I Pinguini usano un linguaggio molto comune, a cui però non pensano proprio tutti. Ecco allora come accade che riescano ogni volta a identificarsi come una band originale, in un mondo che tende sempre più alla gratuita volgarità o a frasi eccessivamente cervellotiche.

Coca zero va proprio in linea con la filosofia musicale dei Pinguini.

È una canzone che si rivolge tanto ai boomer quanto alle nuove generazioni. La storia è molto semplice: bisogna adattarsi alle nuove epoche, senza fossilizzarsi nei retaggi ormai da tutti superati. Un po’ come fecero le giraffe che, secondo Lamarck, allungarono il collo per adattarsi al passare del tempo, così l’essere umano deve cambiare mentalità se vuole resistere nel mondo. E allora rassegniamoci: nessuno più ordinerà Coca Cola, ma tutti solo Coca zero. Ovviamente con non poca ironia, consapevoli che i due prodotti tutto sommato non siano poi molto dissimili, ma oggi per una serie di fattori va più di moda parlare di Coca zero. Questo è solo uno dei tanti cambiamenti socioculturali a cui dobbiamo apprestarci. Tra un po’ non farà nemmeno più notizia, infatti, non vedere i crocifissi nelle aule scolastiche, così come sarà all’ordine del giorno parlare di gender fluid. I Pinguini ipotizzano persino l’assurdo: che l’inno di Mameli possa venire un giorno cantato in inglese.

Non mancano riferimenti sociopolitici in questa Coca zero. Il Papillon che crea casino, per esempio, va segmentato dalla prima sillaba per ottenere il nome del parlamentare a cui si fa riferimento. Insomma, tradizioni e cultura che cambiano, ma a cui dobbiamo adeguarci perché in fondo è quello il senso della vita. Bisogna sempre aggiornarsi, senza adagiarsi sul passato.

Usa talmente tanti riferimenti alla contemporaneità che, tuttavia, Coca zero rischia già di diventare vecchia in breve tempo.

In un verso si dice infatti Vedrà che sua nipote torna a casa e poi le insegna a far lo Spid, L’Italia è tutta qui. È notizia proprio di questi giorni, però, che il governo sta pensando di eliminare lo Spid visto che la carta d’identità elettronica svolgerà gli stessi compiti. Insomma, nemmeno il tempo di fare due passi in avanti, che immediatamente si è già in ritardo se ci si ferma un attimo. Tutto muta con una considerevole velocità. E se nella canzone dei Pinguini Tattici Nucleari, l’argomento della sessualità (in questo caso quella Pan) viene solo accennata, diversamente va per un altro nuovo singolo in uscita questa settimana.

La Coca Zero dei Pinguini, poi Annalisa, Ron-Gassmann: la parola d’ordine è “adeguamento” 1
Annalisa. Dopo “Bellissima”, ecco un altro brano molto orecchiabile che promette di entrare nelle classifiche

 

Si intitola Mon amour la nuova canzone di Annalisa.

Ancora una volta la cantante savonese lancia un pezzo orecchiabile e frizzante, che la fa esprimere in tutta la sua sensualità. La sua canzone parla apertamente di un ipotetico triangolo che la protagonista del brano si immagina, non potendolo realizzare. A differenza di quando taluni argomenti erano toccati da Zero o da Patty Pravo, però, ora si ha la sensazione di avere a che fare con qualcosa di ampiamente concretizzabile. Niente di surreale insomma. Al di là del tema, che spinge anch’esso verso una apertura mentale, è bello soffermarsi in questo caso sulla struttura musicale del brano. Testo e melodia si accompagnano piacevolmente, creando un divertente gioco di rimpalli linguistici e attese sonore. In altre stagioni, si direbbe che quelle esclamazioni (ah, uh, eh) a inizio strofa siamo dei tormentoni. In realtà, sono più che altro degli escamotage musicali che creano una facile memorizzazione. Meccanismo che si rende ancor più evidente nel ritornello. “Ho visto lei che bacia lui, Che bacia lei che bacia me” è una frase che, con ogni possibilità, rappresenterà un enigma da risolvere a chiunque si appresti al primo ascolto.

Un po’ come accaduto con Madame nella sua canzone dell’ultimo Festival di Sanremo. Si tratta in effetti di un “testo matrioska”, dove tutte le parole sono incastrate tra loro, con una efficacia musicale straordinaria. C’è molto ritmo in questa Mon Amour, che racconta tra l’altro una volta di più la formidabile capacità di Annalisa ad adattarsi a diversi generi musicali. Ecco, a proposito di adattarsi ai tempi: gli esempi migliori arrivano proprio dai più grandi come lei. E come Ron.

Il cantautore lombardo è in rotazione radiofonica con Questo vento.

Non è da solo a cantarla. Insieme a lui, infatti, c’è anche Leo Gassmann. Un magnifico, delicato duetto che racconta anch’esso i cambiamenti delle epoche moderne. In questo caso la riflessione è più amara, riferendosi in particolare alla devastazione ambientale che sta cambiando i climi. Differenze generazionali in un mondo che sembra andare sempre peggio, eppure se padre e figlio si uniscono può emergere qualcosa di stupendo. Si possono persino fronteggiare tempeste, se si è sospinti da un vento di amore e solidarietà. L’amarezza, quindi, dà presto spazio alla fiducia nel futuro. Alla consapevolezza che la gioventù e l’esperienza possono aiutarsi reciprocamente. Ancora una volta, in pratica, sembra che ci venga detto: bisogna adattarsi ai cambiamenti, senza per questo cancellare tutto il passato.

Come per un gioco del destino, anche questa settimana quindi ci sono tre grandi novità musicali che raccontano in modi diversi tematiche molto simili.

Infine uno sguardo all’hit parade. I Depeche Mode salgono al primo posto nelle vendite degli album, ma tra i singoli prosegue il dominio assoluto di Lazza con Cenere. Sorprendente secondo posto per Tango, interpretata da Tananai che dopo varie settimane fa scivolare al quarto posto Mr Rain e la sua Supereroi. Terza piazza per Mengoni con Due vite. Tra i singoli, in pratica, si continua a cantare Sanremo 2023…

Stern des Sudens: l'inno del Bayern Monaco
Orgoglio del Sud Germania, il Bayern Monaco ha già vinto 6 Champions’. Nell’inno pop vengono citati anche i successi europei..


Il Bayern Monaco ha un inno dal forte significato sociale e geografico

Il Bayern Monaco è una delle favorite alla vittoria finale della Champions’ League. Già trionfatrice nell’Europa che conta per sei volte, la squadra tedesca era certamente tra le avversarie meno ambite per tutte le nostre italiane. Il sorteggio, per fortuna, è stato benevolo. Se, come ci auguriamo con tre possibilità su quattro, avremo una tra Milan, Inter e Napoli in finale, sarà solo in quell’occasione che si avrà a che fare con i campioni in carica del Real Madrid o con il temuto Bayern Monaco.

Una squadra dalla storia gloriosa, che persino nelle stagioni meno convincenti è stato comunque capace di creare non poche ansie ai rivali. Oltre alle sei finali vinte, infatti, ne vanta altre cinque in cui però il risultato non è stato favorevole. Una di queste proprio contro l’Inter di Mourinho nel 2010. Insomma, parliamo di una leggenda del calcio. Giustamente, come di consueto accade in questi casi, anche l’inno musicale ne racconta le gesta sportive.

In questa nuova puntata di Musicalcio raccontiamo quindi l’inno del Bayern Monaco.

Parliamo di quello più recente. Il suo titolo è Stern des Sudens che, tradotto, significa Stella del Sud. Una canzone che ha inevitabilmente risvolti anche sociopolitici, oltre che geografici. Il senso di appartenenza del Sud Germania alla propria terra, infatti, si potrebbe paragonare a quello che avviene nel Meridione italiano.

Il Bayern, indiscutibilmente, è una delle squadre più forti del mondo e quindi rappresenta più di ogni altra la storia calcistica del Sud Germania. Le parole dell’inno sono da subito incisive, di chi si vuole imporre grazie ai suoi successi con cui si identifica.

Quale squadra di calcio è conosciuta a Monaco in tutto il mondo? Come si chiama il club che detiene ogni record in questo Paese? Chi ha vinto tutto quello che c’era da vincere e trionfa da decenni nella Bundesliga?

Inizia così, con queste domande retoriche, l’inno del Bayern Monaco.

Viene quindi paragonato per l’appunto a una stella, che rimarrà sempre la più splendente senza mai cadere. Tutto questo grazie al sostegno, nella buona e nella cattiva sorte, che i tifosi promettono con questa canzone. Un inno che va oltre ogni polemica messa in piedi dalla stampa: guardiamo ai risultati, il Bayern è la squadra che gioca sempre con lo stadio tutto esaurito, creando pressione agli avversari. Così, questa passione per la squadra si traduce in un sentimento assoluto che comprende amore, gioie e dolori. E’ quanto viene raccontato da Stern des Sudens.

Si tratta di un brano particolarmente forte anche dal punto di vista musicale.

Ricco di strumentazioni, con un arrangiamento pop tipico della tradizione tedesca contemporanea, l’inno del Bayern Monaco è avvincente, cantabile. Scritto evidentemente già pensando all’atmosfera da stadio. Ascoltatelo facendo attenzione più che alla melodia, comunque godibile, all’uso delle chitarre elettriche. Oltre alla passione dei tifosi troverete dei veri e propri assoli che ne fanno un capolavoro musicale. Come tutti gli inni, però, anche questo rischia di vedere la propria storia ridotta all’amore della curva. Vale la pena soffermarvisi.

Da non dimenticare, tuttavia, un altro inno del Bayern che fu composto in precedenza e poi riproposto nel 2013. 

Si tratta di quello scritto dal Maestro Lorin Maazel e suonato in occasione della finale giocata dai bavaresi contro i connazionali del Borussia Dortmund. La partita si giocava a Londra e, per celebrare l’evento, lo storico inno che aveva accompagnato la squadra di Monaco nei decenni precedenti veniva introdotto da un omaggio all’inno inglese. Fu quindi suonato dall’Orchestra Filarmonica di Monaco, diretto proprio da Maazel. Il Maestro morì l’anno successivo, ma l’emozione di quel momento in cui si univano tre inni (quello inglese, quello storico del Bayern – che già rievocava quello tedesco – e quello della Champions’) rimane indelebile. E naturalmente portò fortuna, visto che poi la finale si trasformò nel quinto successo del Bayern nella Coppa Campioni. Insomma, quando musica e calcio sanno unirsi insieme alla storia, il risultato è sempre strepitoso. Sotto ogni punto di vista.

Paradiso, Scuccia, Capossela: le migliori novità della settimana
Tommaso Paradiso ieri è stato subito ospite di Fiorello a Viva Rai Due per presentare il nuovo brano Viaggio intorno al sole, uscito allo scattare della mezzanotte

E’ uscita Viaggio intorno al sole, l’attesissima nuova canzone di Tommaso Paradiso. Era da quasi un anno, quando aveva lanciato Piove in discoteca, che l’ex leader dei The Giornalisti non si faceva sentire. Si era parlato di lui come di un possibile partecipante al Festival di Sanremo. Quindi si era ipotizzata una sua ospitata in riviera. Niente, il cantautore romano aveva altri programmi. Con questo caldo primaverile che inizia a farsi sentire, ecco riaffiorare tutto il desiderio di estate. Dunque siamo già pronti per nuovi brani tormentoni. La battaglia del brano estivo, per la verità, sembra già iniziata proprio all’Ariston da quando Paola e Chiara hanno lanciato la loro godibilissima Furore. Non sarebbe estate, però, senza certi cantautori.

Riecco dunque Tommaso Paradiso con il suo sound tutto melodico.

Viaggio intorno al sole è una dichiarazione d’amore senza se e senza ma. Definitiva. Il sentimento, infatti, riesce ad andare oltre a tutti i pensieri e a ciò che blocca ogni nostro progetto. Se dobbiamo frenare il mondo intorno a noi, però, tanto vale farlo per amare. Questo ci insegna Tommaso Paradiso con il nuovo singolo. Tanta serenità e ottimismo, dunque. Dobbiamo affrontare le difficoltà facendo leva sulla nostra vitalità. Sulla nostra energia che ci consente di viaggiare con la testa e con il cuore, fino a lassù, dove il cielo trova la sua luce.

Non manca, però, l’impianto malinconico che contraddistingue la musicalità di Tommaso Paradiso.

Il carattere melodico, definito dapprima indie poi più genericamente “in stile anni ’80”, è più che mai vivo anche in questo caso. Arrangiamenti carichi di strumenti (quelli veri) e una produzione curatissima da Matteo Cantaluppi, che con Tommaso Paradiso è anche co-autore del brano. Viaggio intorno al sole conferma che nel 2023 fare bella musica è assolutamente possibile. Anzi, si rivela il motivo più solido per credere nel futuro, lasciando da parte tutti i pensieri e facendosi prendere da un piacevole disorientamento. Proprio come l’amore, raccontato in questa canzone. Non è certo, però, l’unica novità musicale di questa settimana. C’era molta attesa, per esempio, anche per La felicità è una direzione.

La canzone registra il debutto di Cristina Scuccia con il suo nome e cognome.

L’ormai ex suora vincitrice della prima edizione di The Voice, così, propone un brano ritmato che esalta quella voce pop già apprezzata in passato. Cristina Scuccia potrebbe cantare anche soul, dedicarsi al blues. Può davvero fare molto con quel timbro. Peccato che, forse, in troppi vedano in lei un personaggio più che una cantante. Tutta colpa, ovviamente, di una società musicale che tende a sviluppare in quel senso ogni artista che passi dal piccolo schermo. Rimane che La felicità è una direzione si presenta anche come meraviglioso slogan. In effetti è proprio così: tocca a noi scegliere come fare intersecare le strade della nostra esistenza. Siamo noi a scegliere se vogliamo partire e abbandonare i pensieri e la tristezza. Come Tommaso Paradiso, anche Cristina Scuccia dunque vede nell’amore la medicina per ogni momento difficile che può capitare a chiunque. Bisogna viversi, senza lasciare troppo tempo alle continue attese perché la vita è una sola. Molto probabilmente, l’autobiografia è più che un’ipotesi in questa canzone.

Quel che sorprende davvero, però, è come nel 2023 Vinicio Capossela sia ancora uno dei Maestri più assoluti della musica.

La parte del torto è la nuova canzone che non fa eccezione rispetto alla qualità d’autore a cui ci ha abituati. Si tratta di una canzone contro il qualunquismo e contro la saccenza. Meglio l’umiltà. Evitare ignoranza, sessismo e razzismo è un impegno per una società normale, ma non per chi vuole vivere nel torto. Vinicio usa insomma molto sarcasmo in un brano geniale, tutto da ascoltare, con un ritmo e un sussurro che è un po’ alla Gaber (molto rievocato anche lessicalmente) e un po’ alla De André. Non si risparmia un lessico intelligente, curioso e che merita di essere sottolineato.

Classifiche Fimi: Lazza con Cenere comanda tra i singoli più venduti davanti a Mr Rain come accade da ormai sette settimane. Gli U2, invece, si prendono il primato negli album più venduti con il loro Songs of Surrender. Scivola ormai all’ottavo posto Ultimo con Alba, che si conferma purtroppo più deludente rispetto a ogni aspettativa.

 

Negramaro, Pupo, Baustelle: le migliori novità della settimana
Come i Negramaro cantano la necessità di non abbattersi nell’amore, così Pupo interpreta insieme a sua figlia la voglia di non arrendersi di fronte alle sconfitte, mentre i Baustelle dichiarano apertamente che Milano non deve vergognarsi di amare. Tematiche in un certo modo vicine, accomunano i tre migliori pezzi della settimana


I Negramaro festeggiano i loro vent’anni cantando per la prima volta in un trio con Jovanotti ed Elisa


Il trio è da brividi: Negramaro-Jovanotti-Elisa. In diverse occasioni si erano tutti già incrociati tra loro. Duetto, concerti, battaglie sociali: musicalmente e ideologicamente ci siamo abituati a vederli affiancati di tanto in tanto. Eppure, quando esce una produzione che li coinvolge, fa sempre notizia costringendoci ad ascoltare in religioso silenzio. Anche perché, nonostante diverse collaborazioni incrociate, questa è la prima volta che li sentiamo tutti e tre insieme in un brano. Una canzone che sembrano tre, perché raccoglie tutte le sfumature di ogni suo interprete.

In Diamanti ci sono le armonie rock dei Negramaro, gli acuti poetici di Elisa e il rap di Jovanotti.

Praticamente si assiste a un tripudio di espressioni musicali, che trova la sua chiave definitiva nel ritornello melodico di un pop ritmato. Il nuovo singolo si apre con il leader dei Negramaro (Giuliano Sangiorgi) che canta di un amore evidentemente in crisi, ma per il quale non è mai troppo tardi recuperare ciò che può unire.

Perdono ed empatia sono infatti i temi principali di questo brano. Sono loro a poter fare superare ogni limite in una relazione. Ecco perché fino all’ultimo non bisogna mai perdere la speranza, pur sentendosi feriti e ingannati. Il perdono consente di ritrovare quell’empatia che ha unito sin dal primo istante. Non va dunque cancellato l’ottimismo. Anche i flash sui palazzi potrebbero essere interpretati come un segno. Come la foto che scatta Dio, per ricordare l’amore tra i due. I diamanti che danno il titolo al brano racchiudono proprio il senso di ciò che la poesia vuole dire.

Tanto sono belli e brillanti quelli originali, quanto sono ingannevoli quelli falsi. Se l’alter ego della canzone indossi quelli veri oppure no, sembra deducibile dalla convinzione del protagonista “Tanto so che mi inganni. E giuri di odiarmi”. Così, come sempre, i Negramaro ti fanno venire quel pugno nello stomaco che lascia comunque aperte le porte alla speranza, pur nella realtà complicata che cantano.

Diamanti è sicuramente una canzone che somiglia più ai Negramaro che ad Elisa e Jovanotti.

Il climax e le sonorità rock lo confermano. Anche perché il brano arriva proprio per anticipare la grande festa dei 20 anni della band, che verranno suggellati dalla tournée estiva. I posti sono già quasi tutti sold out, quindi chi vuole esserci dovrà sbrigarsi. Esattamente come dovranno fare i fan di Pupo, che il 15 aprile partirà da Mantova per il suo tour teatrale in Italia. Firenze, Ferrara, Bologna, Milano (in doppia data), Sanremo sono le prime tappe già confermate e quasi tutte esaurite.

L’occasione sarà la festa dei 40 anni di Su di noi, che la pandemia ha inevitabilmente rimandato. Probabilmente mancherà nel concerto anche il nuovo brano, uscito ieri, dove Pupo canta in coppia con sua figlia Clara.

Si intitola Centro del mondo ed è prodotto da Francesco Arpino. Gli autori sono lo stesso Pupo e Lorenzo Delli Pascoli.

Si tratta di un intenso e sereno dialogo tra il padre e la figlia, che con la maturità comprende sempre di più gli insegnamenti del padre. Sono valori preziosi, che diventano un monito per la vita. Anzitutto il fatto che si debbano persino apprezzare le sconfitte, da cui si impara più che non dai successi. Vietato abbattersi, anche perché i genitori non ci lasciano mai soli.

Le ali che ci hanno dato per volare, saranno sempre al centro della loro attenzione. Al centro del mondo, come cita il titolo e ripete il ritornello. È proprio nell’inciso che prende il massimo respiro di libertà questa canzone, aprendosi a un duetto inaspettato. La voce melodica e sempre pulita di Pupo, si unisce a quella di Clara Ghinazzi. Anima pop, intonata, con una sua personalità. Sembra di vederli, mentre sorridenti dialogano tra loro cantando un brano armonioso e solare. È commovente questo sincero rapporto di apertura tra padre e figlia, per una canzone che non arriva in una data a caso. Domani, infatti, sarà la Festa del Papà e Centro del mondo verrà presentata a Domenica In da Mara Venier.

Sembra di tornare indietro di sessant’anni con la nuova canzone dei Baustelle.

Milano è la metafora dell’amore riprende, infatti, quel gusto beat del ‘68, sia per tematiche sia per musicalità. Milano che si distingue dalle altre citta proprio per il suo romanticismo non sempre immediato. Milano che si distingue politicamente dal resto d’Italia.  Milano che si pone al centro di tante battaglie per l’amore universale. Insomma, i Baustelle fanno una vera e propria dichiarazione da innamorati per la loro città.

Nonostante le contraddizioni e l’assenza del mare, il capoluogo lombardo sa essere un posto meraviglioso dove trascorrere il tempo libero. Sapessi come è strano sentirsi innamorati a Milano, scriveva Memo Remigi tanti anni fa. Ecco, a molti continua ad apparire strano, ma la città non è solo lavoro e ritmi veloci. Così i Baustelle cantano un brano diverso dalle loro solite tonalità.

Tanta strumentazione per un ritmo cadenzato e orecchiabile, dove sono citate diverse zone di Milano. Sarà certamente sfruttata per qualche campagna promozionale meneghina.

Classifiche Fimi: scivola al sesto posto Ultimo con il suo nuovo album, quindi torna in vetta Lazza con Sirio. Il cantante di Cenere è sempre più vincitore morale dell’ultimo Sanremo: anche nei singoli, infatti, supera ogni record. Giustamente si gode il bel momento. Dove potrà arrivare?

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In questa puntata di MusiCalcio ripercorriamo la storia dell’inno del Chelsea


Il Chelsea aveva appena vinto la sua prima Coppa delle Coppe quando nacque il suo storico inno…


Come Bayern e Milan, anche il Chelsea sarà ai quarti di finale della Champions’ League. Dopo la vittoria contro il Dortmund nel ritorno, con cui ha ribaltato il risultato dell’andata, la squadra londinese si appresta una nuova volta a essere tra le migliori otto squadre d’Europa. Con MusiCalcio nelle prossime settimane ci occuperemo di tutte le altre squadre qualificate ai quarti di Champions’. Oggi ricominciamo dal Chelsea. Squadra vincitrice per due volte dell’ambito trofeo. La prima volta fu dieci anni fa, quando in panchina sedeva Roberto Di Matteo. Un traguardo inseguito a lungo dal Chelsea, che da tanti anni poteva cantare una grande storia.

Risale infatti al 1971 l’inno del Chelsea.

Si tratta di una marcetta scandita da tamburi e fiati come se a suonarla fosse una banda. A cantarla un coro, non proprio casuale essendo in origine interpretata dagli stessi giocatori. L’atmosfera del canto di gruppo è fondamentale in questa canzone che rappresenta il significato dell’insieme a tutto tondo. Sulla melodia orecchiabile, infatti, si ripete “Siamo tutti insieme e vincere è il nostro scopo, Quindi sostienici con il sole e con la pioggia

Perché Chelsea, Chelsea è il nostro nome”.

Insomma, tante individualità che si uniscono in una sola parola: Chelsea.

Facilissimo da imparare, quasi una filastrocca per bambini. Anche questo è un modo intelligente per fare amare il calcio ai più piccoli sin da subito. Rendendoli partecipi di un comune sentimento, in questo caso la ricerca di una vittoria morale prima ancora che sul campo. In effetti, dietro a quelle citazioni di sole e pioggia, sembrano celarsi proprio delle metafore della vita. Non sempre c’è il sole a illuminare le nostre giornate, ma sentirsi supportati da un gruppo fa senz’altro affrontare tutto diversamente. Non si è mai soli, e questo si rivela fondamentale. Questo inno si intitola Blue is The Colour.

A scriverla furono Daniel Boone e Rod McQueen.

L’occasione era la finale della Football League Cup, che il Chelsea poi perse contro lo Stoke City. Era l’anno dopo la prima vittoria europea. Quella volta si vinceva la Coppa delle Coppe, poi riagguantata negli anni ‘90 con Vialli e Gullit. Come detto, sarebbero passati tanti anni prima che il Chelsea potesse vincere nella ambita Champions’, ma a caratterizzare la tifoseria dei Blues è da sempre quella passione per la propria squadra. A prescindere dai risultati. Proprio come intona quel bell’inno, che vale la pena riascoltare.

Talmente bello da essere ripreso persino dalle tifoserie italiane della Lazio e del Verona. La canzone si classificò persino al quinto posto dell’hit parade appena uscita. Ecco, non vinceva il Chelsea, ma trionfava l’inno. Laddove non arriva il calcio, talvolta, giunge prima la musica. Curiosamente, la canzone era il lato A di un vinile che aveva, nel lato B, All sing together, cantata sempre dai giocatori della squadra. Stesso clima allegro e spensierato. Stessa leggerezza per raccontare quello che dovrebbe rappresentare sempre, in fondo, solo un gioco. Quale modo migliore per sottolinearlo?

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