Diodato, “Cretino che sei”
Diodato (Foto: © Nicolò Salvatori)


Diodato e Moro cantano, in modi diversi, il coraggio fondamentale nella vita

E se a Sanremo 2023 ci fosse di nuovo Diodato? Il cantante tarantino, vincitore nel 2020 ma mai partecipante all’Eurovision Song Contest a causa della pandemia, è indicato da più parti come un possibile Big della prossima edizione. Eviteremo di annoiarvi con illusori elenconi, pieni di nomi che potrebbero essere scelti da Amadeus. Aspettiamo i primi di dicembre, quando il Direttore Artistico annuncerà al Tg1 l’atteso cast dei cantanti che prenderanno parte a Sanremo 2023. Se ci sarà Diodato, avremo solo da guadagnarci in qualità e speranze. Sì, perché ogni volta che canta Diodato ci accorgiamo di quanto la bella melodia non sia affatto superata. Farci inebriare dalla poesia musicale è ancora una bella abitudine che non vogliamo perdere. È proprio quello che accade anche quando si ascolta Se mi vuoi.

È questa la nuova canzone di Diodato, uscita ieri venerdì 18 novembre, che andrà a comporre la colonna sonora del film Diabolik.

Un brano intriso di mistero, esattamente com’è il personaggio a cui si ispira. Quel gusto del proibito, che attirava lo stesso Diodato sin da piccolo, verso un fumetto per adulti, emerge in tutta la sua passione in Se mi vuoi.

È la stessa filosofia di Diabolik a venire fuori: ci vuole tanto coraggio nella vita, perché senza di quello non si va da nessuna parte. Anzi, Diodato usa un’immagine ancor più di impatto nel suo intrinseco contrasto. Dice infatti che se non si è pronti a morire, si è destinati a sparire. Ossia, a morire veramente in questa vita che ci chiede di rischiare.

Forse anche per questo siamo attratti dal proibito, che per quanto pericoloso ci mostra la parte più intrigante di noi. Quella che smuove le nostre coscienze. È chiaro, non vi è nessun inno al male in questo testo scritto è composto da Pivio e Aldo De Scalzi. Anzi, esattamente il contrario. Ritroviamo piuttosto quel personaggio di Diabolik, che tanto ci appare cattivo quanto ci calamita per l’animo temerario che gli si invidia. Per questo a volte siamo attratti dal pericolo, ben sapendo che se lo seguissimo potremmo anche cacciarci nei guai. A volte, però, occorre rischiare.

A questa storia, che scava in profondità nelle pieghe più oscure dell’anima, mettendoci a confronto con i desideri più tormentati, occorreva una grande voce narrante.

Ecco che arriva così Diodato, con la sua voce angelica capace di toccare note altissime facendoci volare lassù in alto con lui.

Se mi vuoi si candida così a poter concorrere al prossimo David di Donatello, che Diodato ha già vinto sempre nel 2020 con Una vita meravigliosa. Archi, pianoforte, tanta poesia musicale tutta insieme in una melodia. Tanta delicatezza che ancora una volta l’interprete di Fai rumore sa esprimere come meglio non si poteva.

La musica italiana, in certi casi, vive stati di grazia. Evidentemente in queste settimane i migliori hanno deciso di mettere in gioco le loro armi. Sempre ieri è uscito infatti anche il nuovo singolo di Fabrizio Moro.

La canzone si intitola Senza di te.

È un pezzo intriso di romanticismo, quello più autentico e schietto che piace raccontare a Moro. Senza metafore poco credibili, il cantautore romano concede la sua voce a un pezzo pieno di verità, per stile e parole. Tra la disperazione di un ritornello in cui il protagonista chiede perché sia finita e la lucida consapevolezza di ciò che ha portato la coppia ad allontanarsi, emerge una realtà. Quella della certezza di un amore irrinunciabile.

In fondo, come racconta anche Diodato in altro modo, occorre il coraggio nella vita.

Bene, anche nell’amore. Non può essere tutto scontato e lineare. Certo, c’è chi ci travolge in montagne russe un po’ più movimentate del solito. Ma in fondo è quel che ci piace: rappresenta il motivo per cui abbiamo scelto quella persona. Troppo facile rinunciare al coraggio di amare perché qualcosa non ci piace: meglio tenere il proprio cuore in mano e fare come Fabrizio Moro in questa canzone. Meglio avere il coraggio di chiedere perdono, se viviamo la nostalgia di tutto ciò abbiamo smarrito con la fine di una relazione. E così persino i pedissequi contrasti o le passioni altrui che mai ci hanno convinto, in questo caso quella per l’oroscopo, arrivano a mancarci.

La sorpresa di questo brano, dal testo quasi struggente, è l’accompagnamento di una melodia ritmata, che sembra rappresentare l’ispirazione per un clima di speranza intorno a quel che viene raccontato. La voce inconfondibile di Moro, ancora una volta, fa tutto il resto, diventando parte integrante del racconto. La sua è sempre una interpretazione che si fa immagine della canzone stessa. Poesia sentirlo cantare: non a caso il 18 dicembre ad Assago si va verso il sold out al Mediolanum Forum per il suo concerto.

Così, mentre Il Volo ci regala una perla tutta natalizia con una emozionante rivisitazione del leggendario brano di John Lennon, l’hit parade continua a parlare italiano.

In risalita Annalisa con la sua Bellissima, una delle canzoni più trasmesse anche dalle radio, ecco che i Pinguini Tattici Nucleari occupano due delle prime dieci posizioni. Ricordi è seconda subito dietro al rap di Quevedo con Bizarrap.

Ancora non pervenuto Ultimo, scendono al quinto posto i Maneskin. Ma questo non fa di nessuno dei loro brani qualcosa di meno prezioso. A volte le classifiche possono sbagliare…

Francia ‘98: quel Mondiale tra Ricky Martin e Baglioni
Ricky Martin, con La copa de la vida, fu il protagonista musicale del mondiale vinto da Zidane e compagni


Un vero tormentone quello che Ricky Martin propose nel 1998 e che fu scelto per i Mondiali di calcio


Go go go, alè alè alè: sono passati 24 anni da quando Ricky Martin ci fece ballare con quelle parole. Già, era l’estate 1998. In Francia si tenevano i Mondiali di calcio, con il Brasile di Ronaldo superfavorito. Gli azzurri di Cesare Maldini erano considerati tra i più forti, in virtù di un grande attacco con Bobo Vieri e un dualismo tra Del Piero e Baggio. I galletti francesi erano tutt’altro che da sottovalutare: Zidane, Thuram, Djorkaeff li conoscevamo bene anche nel nostro campionato di Serie A. Non erano i favoriti, ma giocare il Mondiale in casa, si sa, è sempre un grande vantaggio. Così, dopo averci eliminati ai rigori nei quarti di finale, ecco la sorprendente vittoria della Francia contro Ronaldo e compagni. Il Mondiale fu vinto dai padroni di casa, ma la musica era tutta latina. A pochi giorni dalla competizione in Qatar, continuiamo con Musicalcio il viaggio nelle canzoni che hanno fatto la storia del Mondiale. 

Ricky Martin, infatti, l’anno dopo aver inciso Un dos tre, fu il cantante di quell’estate.

Per la prima volta, la FIFA voleva un inno ufficiale, distinto dalla canzone ufficiale che avrebbe accompagnato la manifestazione nel suo livello più pop. Dunque, per il primo venne scelto il senegalese Youssou N’Dour che, con la belga Axelle Red, cantò in francese La Cour des Grands. Per tutti, però, Francia ‘98 sarà sempre associata al ritmo bailante di Ricky Martin.

Scritto da Desmond Child e Robi Rosa, La copa de la vida divenne quindi il brano per eccellenza di quel mondiale, inciso per Sony.

La canzone era tratta dall’album Vuelve e, sebbene non fosse chiesta su commissione a Ricky Martin, non si può certo dire che non vi fosse stata strategia da parte del cantante.

Del resto un pezzo che racconti il successo in un una coppa della vita, nell’anno dei Mondiali, non arriva propriamente a caso.

Arrivata così nel mercato internazionale, La copa de la vida giunse ai vertici delle hit parade in moltissimi Paesi europei. Tra questi anche l’Italia che, nel frattempo, sdoganava definitivamente la sua passione per la musica latina.

Ma rivediamo nel dettaglio il significato di quel successo di Ricky Martin.

Non si tratta solo di un brano spensierato e divertente. La canzone si fregia persino di una citazione culturale, parlando esplicitamente della lotta tra Caino e Abele come di un esempio a cui guardare. Perché ogni vittoria nasce dalla passione, ossia dal cuore che ci fa lottare. Il vero trionfo, pertanto, è quello nella coppa della vita, fatta di amore e convinzione.

È tutta una metafora quella cantata da Ricky Martin: se la vita è una battaglia continua, merita di essere premiata con una coppa che tutti possiamo vincere.

In una filosofia hobbesiana che riecheggia l’homo omini lupus, ecco che quindi vediamo la vita quale competizione. E quel “Go go go” diventa l’urlo di incitazione che ci spinge a grandi risultati.

Ma allora, quale può essere calcisticamente parlando la “coppa della vita”? Qual è la vittoria a cui si aspira per tutta la propria esistenza se non il Mondiale?

Ecco dunque spiegato come il brano di Ricky Martin non arrivasse a caso in quel 1998. Per la prima volta, così, la canzone popolare dei Mondiali non aveva i suoni e i colori della nazione ospitante, che invece aveva l’inno di Youssou N’Dour.

Ritmo spagnoleggiante, percussioni e fiati per una canzone che di fatto era una prosecuzione di Un, dos, tre e che sarebbe arrivata qualche anno prima de La vida loca. Nessuno si senta in difetto se qualche volta ha confuso una per l’altra le canzoni di Ricky Martin. Sono accomunate da ritmi, parole, e soprattutto inevitabile successo. Quando si balla, la musica e il calcio riescono sempre a fare grandi cose.

Il 1998, però, era anche l’occasione per festeggiare il centenario della FIGC. Così, il presidente Luciano Nizzola diede incarico di comporre un apposito brano al cantautore più in voga in quel momento.

Un poeta, tornato in auge grazie alla tv con “Anima mia” dopo qualche anno silenzio: Claudio Baglioni.

Questi realizzò Da me a te, la canzone che aveva quel ritornello romantico ed emozionante: “Un azzurro lungo un sogno che ci ha fatto vivere..”. Era proprio questa la metafora del brano: il calcio come la vita, esattamente come per Ricky Martin. Così, la storia della FIGC si mischiava a quella del nostro Paese, con vittorie e sconfitte ma sempre in nome dell’unità di un popolo. La canzone, presentata in occasione dell’amichevole contro il Paraguay ad aprile 1998, giunse sino alla vetta dell’hit parade. Ancora oggi, a distanza di 24 anni, è una melodia delle più avvolgenti che accompagnò gli azzurri al Mondiale. Anche quella volta perso ai rigori, per la terza volta consecutiva…

 

Il mestiere della vita è il nuovo album di Tiziano Ferro 1
Come ormai da tradizione, ecco a novembre il nuovo brano di Tiziano Ferro


Tiziano Ferro torna con un brano autobiografico sull’emozione di essere padre

Novembre, da tradizione, è il mese di Tiziano Ferro. In attesa di capire se davvero il cantautore farà parte della rosa dei Big di Sanremo 2023 (le voci sono un po’ meno insistenti rispetto a qualche settimana fa, ma vale un po’ per tutti i candidati partecipanti), eccolo col nuovo singolo. Non è l’unico dei grandi della nostra musica a proporre un inedito in questa settimana. Ma andiamo con ordine e iniziamo proprio con Tiziano Ferro, il cantante che da qualche tempo, come sappiamo, è diventato padre.

La nuova canzone di Tiziano si intitola La prima festa del papà .

È chiaramente un testo autobiografico, che racconta come quel sogno realizzato di crescere un figlio, fosse considerato impossibile fino a qualche anno fa per i gay. Ossia coloro che lui definisce nella canzone “quelli come me”. Poi ecco che, quando inizia l’avventura pronta a stravolgere la vita, gli arriva un messaggio dal suo di padre. Si rivolge al Tiziano figlio e gli scrive “Ora il testimone passa a te”. A questo punto è tutto vero: la sua personale storia sta cambiando. Tiziano sarà padre. Si, è una grande festa da vivere.

Un turbinio di emozioni, speranze e progetti dettati da impegno e valori, esplodono nel cuore del cantautore che, ora, riporta questa esperienza in musica.

Sì, è tutto emozionante, anche l’attesa. Il primo giorno da padre, però, resta ineguagliabile. Unico per come sa cambiare una persona.

Cosi, con la sua capacità poetica, ecco che Tiziano Ferro realizza la prima canzone di un padre omosessuale.

Lo fa con orgoglio, puntando su una melodia tanto dolce quanto intensa, proprio come nel suo stile. I tratti esplicitamente autobiografici fugano ogni dubbio sin dal principio: sì, la canzone parla proprio di lui. Forse anche per questo, ancora una volta, Tiziano ci appare ancora più vero è apprezzabile. Lui non si nasconde mai, ha sempre ben chiaro il messaggio privo di banalità che vuole trasmettere con ogni brano. Anche così la canzone non cadrà nel dimenticatoio troppo non in fretta, come invece accade spesso con la musica contemporanea.

Spera di rimanere in classifica a lungo anche Alessandra Amoroso che, con una melodia capace di dar luogo a una escalation vocale delle sue, lancia Notti blu.

La canzone racconta di un momento di disagio che richiede una solitudine proficua a riscoprire se stessa. Le distanze in amore diventano dapprima fisiche per poi diventare morali. O forse il contrario. In ogni caso si equivalgono e fanno sempre molto male. Ecco che allora bisogna dedicarsi a se stessi, al proprio rapporto con la vita e la natura, lasciandosi vivere dalla voglia di sorprendersi. Un bel brano quello di Alessandra: resta un mistero il motivo per cui Sanremo sembra essere sempre distante anni luce dai suoi progetti. Ma d’altra parte la musica va avanti tutto l’anno.

Lo sa bene Massimo Ranieri, di cui proprio Tiziano Ferro è considerato il naturale erede.

Il cantante napoletano ha preso parte all’ultimo Festival di Sanremo, ricevendo anche un premio per il miglior testo. Eppure il suo disco di inediti, Tutti i sogni ancora in volo, uscirà solo a fine mese.

Ad anticiparlo c’è questa nuova canzone pubblicata ieri: Lasciami dove ti pare.

C’è malinconia nelle parole scritte da Carlo e Niccolò Verrienti: l’amore è terminato e già per ciò stesso sarà un’esperienza dolorosa da ricordare. Se c’è stato amore, però, significa che in quel tempo si è stati bene: e allora perché non annoverarlo tra i ricordi più belli? Ecco allora che l’anima contrastante di questo singolo, impone un confronto tra sentimenti, che rende la canzone al tempo stesso quasi serena. In fondo, un po’, si spera con il protagonista del brano che tutto si sistemi. Interpretazione come sempre coinvolgente e intensa di Ranieri, sempre più istrionico Aznavour dei nostri tempi.

C’è spazio anche per Nek questa settimana.

Con un energico pop frizzante e pieno di spunti da tormentone, rieccolo in radio questa volta con La teoria del caos. Come lascia indurre il titolo stesso, se per l’Amoroso si canta un disagio in una relazione, anche per Nek la situazione è la medesima. I problemi di cuore non conoscono matematica: l’unica regola aritmetica che rispettano è quella del caos. Sentimenti che si intrecciano e si sovrappongono facendo venire meno la ragione. Nek canta tutto questo ammettendo che la teoria del caos, ossia di una esistenza senza regole, è l’unica che ci permette di sentirci davvero vivi. Si canta e si balla con questa canzone piena di energia e di chitarre elettriche.

Certo, però, è tutt’altro che facile inserirsi nei primi posti di quelle classifiche Fimi che vedono sempre un’egemonia quasi imbattibile.

Prosegue, in hit parade, il successo della trap davanti a Pinguini Tattici Nucleari e Maneskin. Sparisce dai primi Ultimo, un po’ in affanno dopo l’uscita del suo ultimo singolo.

Gloryland, la canzone di Usa '94 tra calcio e religione... 1

Nata come brano strumentale, Gloryland divenne presto un brano pop

Gloryland, ovvero la “terra della gloria”. Purtroppo non si rivelò tale per l’Italia di Arrigo Sacchi, che subì quella bruciante sconfitta ai rigori contro il Brasile al termine di un Mondiale onestamente anche fortunato per gli azzurri. Usa ’94, però, sarà sempre ricordato per il trionfo dei gialloverdi, per le rivelazioni di Bulgaria, Nigeria e Romania, per aver permesso di vincere il Pallone d’Oro a Stoickov, per il gran caldo che fece dei giocatori in campo una sorta di eroi. Insomma, i Mondiali americani di metà anni ’90 si rivelarono una vera e propria terra di gloria. Verranno per sempre ricordati, quindi, anche con la loro canzone ufficiale.

Gloryland fu cantata all’inaugurazione del 17 giugno da Daryl Hall con i Sounds of Blackness.

Il brano nacque in realtà nella sua forma puramente strumentale a inizio 1994, quando Charles John Skarbek decise di investire sull’arrangiamento che Richard Simon Blaskey del Glory Glory di forma spirituale. Un canto di speranza, già noto in tutto il mondo per essere usato in cerimonie religiose, diventava così una musica contemporanea, grazie anche al sassofono di Snake Chris Davis. Fu allora che, consapevoli di aver avvicinato un genere pop, i compositori capirono di poter fare un passo successivo. Quel brano, Gloryland, con qualche modifica al testo per renderlo più vicino ai valori dello sport, sarebbe così diventato quello ufficiale di Usa ’94.

Non cambiava l’impostazione gospel: Gloryland manteneva così la sua ossatura musicale, rafforzata da cori che creavano un’atmosfera assolutamente cerimoniosa.

Ciascuno di noi ha un sogno da realizzare nella vita, da raggiungere con la fame nel cuore e il fuoco nell’anima, acceso dalla passione per ciò che si sta portando avanti. Ebbene, proprio questi sono i valori principi che una squadra di calcio deve ricordarsi quando entra in campo. Ecco allora come Gloryland si prestava perfettamente a raccontare quel sentimento che il 17 giugno 1994 univa tutte le nazioni. Tutti potevano sognare, per trovare gloria e raggiungere il proprio obiettivo. Quell’obiettivo che, guarda un po’, in inglese viene tradotto anche con la parola “goal”.

Impossibile non commuoversi ascoltando quel coro che ripeteva “Gloryland”, mischiando la fede religiosa con quella calcistica, senza tuttavia risultare minimamente profana. No, perché con le dovute distinzioni, il calcio rimane qualcosa di sacro per ogni tifoso. Specie se si tratta della propria Nazionale.

Per questo motivo, mentre tutti cantavano quella canzone di Hall che arrivò al 36esimo posto nella hit parade mondiale, l’Italia aveva comunque una sua canzone di accompagnamento.

Dopo Un’estate italiana, infatti, si capì che la nazione dovesse avere una canzone da usare come portafortuna. Si puntò così su grandi nomi della musica, del cinema e dello sport. Enrico Ruggeri, Massimo Ranieri, Diego Abatantuono, Paolo Maldini, Paolo Rossi (Pablito), sotto la supervisione di Ringo, cantavano Italia ancora. Era una bella canzone, tanto romantica quanto emozionante, che voleva far emergere l’orgoglio peninsulare per le proprie bellezze e le forze artistiche e sportive. L’idea fu di Carlo Vetrugno, noto dirigente televisivo all’epoca alla guida di Italia Uno. Maldini e Abatantuono aprivano con due strofe recitate in una sorta di rap, che incitavano a battagliare e unirsi nella voglia di amare l’Italia.

La canzone fu dimenticata in breve tempo, ma questo non fa del progetto qualcosa di estremamente qualitativo. Ammettiamolo, sarebbe bastato che la lotteria dei rigori regalasse la medesima fortuna trovata fin lì, e il ricordo di Usa ’94 avrebbe avuto un destino diverso per tutti noi. A quel punto forse anche Italia ancora non sarebbe finita nel dimenticatoio che non meritava. Coi se e coi ma, però, non si fa la storia.

Usa ’94 consegnò nuovamente il titolo a Taffarel e compagni: a quel Paese che, l’ultima volta, aveva vinto nel 1970. Sì, sempre contro l’Italia. Quanto ci brucia. Proprio vero: il calcio è un gioco, ma anche un po’ una religione…

Giorgia e il suo Normale, Hunt, D’Andrea: novità musicali della settimana
Giorgia torna sei anni dopo Oronero con un brano intitolato Normale. La cantante romana è accreditata da molti per partecipare a Sanremo 2023: la rivedremo in gara dopo 22 anni?

Giorgia che si chiede cosa sia Normale con una canzone di Mahmood è il segno di un’epoca musicale cambiata.

 

Cosa vuol dire esser Normale? È la domanda che si pone Giorgia nel nuovo singolo, giunto sei anni dopo Oronero. La cantante romana lancia, in questo inizio novembre, un quesito su cui ci si interroga sempre troppo poco. Una domanda che lascia aperta la strada a tante possibili risposte. Una parola tanto semplice quanto complicata, che potrebbe diventare un tormentone nei prossimi mesi: normale.

Il nuovo brano di Giorgia è un pezzo pop dance, che regala molte sorprese rispetto a ciò a cui la cantautrice ci ha ha abituati.

Una canzone che, ripetendo la parola “normale”, ribadisce un concetto ormai dimenticato.

Il pezzo vede la firma di Mahmood con Faini, Fracchiolla, Dagani e Big Fish. L’influenza urban, con alcune sfumature che strizzano l’occhio a una musica ultramoderna, racconta proprio lo stile dei suoi autori. Normale sembra rappresentare una svolta nella carriera artistica di Giorgia, e forse dell’intera musica italiana. Se non altro per il largo uso di autotune di cui la cantante non ha certo bisogno per esprimere i suoi consueti vocalizzi. Una sperimentazione coraggiosa, che probabilmente farà storcere il naso a qualcuno, ma è quello che il mercato richiede per restare sulla cresta dell’onda senza inciampi da 30 anni. Come fa Giorgia. Ecco così che i ritmi raddoppiati su alcune parole, tipici di Mahmood, catturano anche Giorgia. Insomma, da questo momento è ufficiale: piaccia o no, il cantante di Soldi ha cambiato il modo di interpretare canzoni. Un po’ come quando, un tempo, tutti (persino Celentano) cantavano come Cutugno e la musica era frastornata di belle melodie d’amore. Questione di mode: oggi ci si interroga sui temi sociali tramite un genere che dà più spazi all’arrangiamento che non all’orecchiabilità.

Che Normale sia l’inizio di un grande progetto che andrà oltre la musica, è chiaro sin dal principio.

Contestualmente all’uscita del singolo, infatti, Giorgia ha pubblicato sul suo canale YouTube un cortometraggio di quasi nove minuti, diretto da Rocco Papaleo. Lì, girando per le strade di Roma, propone la domanda alle persone. Cosa è normale? Tutto questo senza un minimo accenno alla sua canzone, quasi come se fosse una reporter.

Non stupisce allora se il brano possa essere, più che altro, un pretesto per un altro tipo di progetto. La canzone racconta di un amore in difficoltà proprio perché ciascuno ha il suo concetto di normalità. In un mondo che ci spinge a essere individuali, spesso ci si ascolta poco anche su questo: la nostra normalità ci appare banale, quella degli altri strana. Quale delle due è davvero normale?

Se Giorgia, dunque, con una semplice domanda apre possibili dibattiti filosofici che durerebbero ore, ecco che in questa settimana musicale torna anche Rocco Hunt.

Il suo nuovo singolo, A’ vita senz’e te (me fa paura) è una dedica d’amore in rigoroso dialetto napoletano. Niente di ballabile e vicino al tormentone: Rocco Hunt propone il suo stile più urban che lo rappresenta, unendo quella poesia da melodico quale è.

Pochi strumenti, grande spazio all’arrangiamento: bastano pochi elementi anche a Rocco. Sembra, però, meno convincente di altre volte.

Interessante, invece, dare uno sguardo alle novità più giovani. Per esempio, questa settimana esce anche Coriandoli, di Federica D’Andrea. Voce pulita, intonata, melodia orecchiabile. La cantante, con questo brano composto da Ennio Salomone, riesce a esprimere emozioni con musica vera. Quella che è sempre più difficile trovare in certi suoi colleghi. La canzone racconta una riflessione sulla vita e sulla possibilità di ricominciare da se stessi, dando un senso a ogni singola azione. Col senno di poi tutto sarebbe più semplice: sicuramente servirà da esperienza per il futuro.

Nel frattempo cambiano le classifiche Fimi. Scivolano al terzo posto i Pinguini Tattici Nucleari con Ricordi, e con loro anche i Maneskin con The loneliest, ora quarti. Ai vertici ecco la trap di Bizarrap, nonché Geolier e Lazza con Takagi e Ketra. Solo dodicesimo, nella settimana d’esordio, Ultimo. Sembra essere solo l’inizio, c’è tempo per recuperare, ma bisogna fare in fretta: tra un mese arriveranno già i cofanetti natalizi. Meglio guadagnare strada prima.

Simone Di Matteo (a destra) con Andrea Piovan, doppiatore e narratore de Il viandante, estratto dall’ album L’amore dietro ogni cosa. Il progetto, ora, potrebbe dare luce a un nuovo prodotto cinematografico: colonna sonora e attori già sono pronti…

Il viandante è la nuova uscita tratta dall’album “L’amore dietro ogni cosa”

Il viandante, naturalmente, come da tradizione cavalleresca, errabondo. Prosegue il percorso de L’amore dietro ogni cosa, il primo disco musicale al mondo integralmente concepito a partire da un’opera letteraria, con cui Simone Di Matteo, prodotto da New Music International, si mette in gioco unendo letteratura e canzone.

Storie e pensieri autobiografici trasformati con fantasia dall’autore, prendono vita in questo album sorprendente che racconta tutte le sfumature dell’amore. Sospeso tra passato e presente, in cerca di un futuro equilibrato dopo una vita dedicata sempre a ricercare la verità nel sentimento per eccellenza, in questa traccia bonus è Andrea Piovan a dare voce al narratore.

Si tratta di una autentica poesia, tutta da ascoltare e vedere attraverso il videoclip diretto da Bruno Trombetta e prodotto da Modo Agency. Il sottofondo musicale di Simone Farresi la trasforma in una lirica emozionante, capace di raccontare l’amore sotto una chiave al tempo stesso malinconica e piena di verità.

Il viandante si presta così a completare il cammino de L’amore dietro ogni cosa.

O forse no, perché, come ci racconta Di Matteo in questa intervista, ogni cammino ci porta a compierne un altro…

Come mai, proprio come nei grandi romanzi cavallereschi, anche qui si parla di un viandante errante?

Ciascuno di noi vive facendo dei passi ogni giorno, che segnano la strada per quelli che si faranno il giorno dopo. Qualunque meta raggiungiamo è il risultato dei passi fatti ieri. Se si sta fermi non si va da nessuna parte, né si potranno mai scoprire le proprie fragilità e le proprie qualità.

In questo caso la scoperta delle fragilità sembra proprio essere la valvola per apprezzare l’essenza dell’amore, che è a sua volta essenza della vita.

L’amore è il più nobile dei sentimenti e, contemporaneamente, scopre il fianco di chi lo vive, rendendolo più fragile. Quando si ama, inevitabilmente, si pensa all’altra persona, con il rischio anche di trascurare un po’ se stessi: si pensa a dare il meglio del meglio a chi abbiamo vicino, che si vuole portare a tutti i costi alle stelle. Gioie e dolori ruotano intorno a quel grande sentimento, che in effetti è un po’ un viaggio quotidiano che ci cambia di volta in volta.

Simone Di Matteo, irriverente anche nei gusti musicali. 1
Simone Di Matteo, autore di L’amore dietro ogni cosa

Fare una classifica dei brani è sempre molto difficile, specie se si parla dei propri progetti. Non ti chiederò quindi di fornirmi una graduatoria rispetto alle altre canzoni, ma quale centralità ha Il viandante in questo album?

Questa è la rappresentazione cardine dell’intero progetto discografico.

Il viandante è l’unico vero protagonista del disco e dell’antologia di racconti.

È colui che accompagna l’ascoltatore e il lettore all’interno delle storie, di cui dipana le trame. Andrea Candeo, protagonista delle storie, si svela proprio in questa traccia e lo si ritrova in tutti i videoclip che raccontano, sotto forma di canzone, quello che viene narrato nel libro.

Candeo è il volto, sorretto qui dalla voce di Andrea Piovan…

Esatto: un grande professionista che riesce a tracciare perfettamente, attraverso il suo doppiaggio, le emozioni della storia contenuta nel libro. Devo ammettere che ogni giorno che passa sono sempre più soddisfatto e orgoglioso di questo progetto, che ha unito tante anime belle e artisti incredibili.

Nel doppiaggio si parla di “testimoni malinconici del nostro destino”, ma nel testo si racconta di “testimoni malconci”.

Non è un errore, è assolutamente voluto. Finché c’è l’amore è tutto meraviglioso, ma quando si esce da una storia se ne esce un po’ malconci e malinconici allo stesso momento, solo che all’inizio non ci si rende conto. Per quanto si possa vivere la parte più brutta di una relazione, con il tempo viene restituito anche il bello che ha accomunato i due protagonisti. Se una persona ha meritato il nostro amore, per vent’anni, un anno, o un mese, vuol dire che comunque ci ha regalato qualcosa di bello, tanto da farci vibrare le corde dell’animo. La malinconia è una nostalgia “malconcia”.

Come è avvenuta la scelta della cornice del lago di Cernobbio per il videoclip?

Il lago rappresenta la malinconia: Andrea Candeo, comasco, ha avuto l’idea della location.

Questo è un progetto molto familiare: ciascuno di quelli che vi ha preso parte ha potuto esprimersi, in quanto pezzo integrante e fondamentale del racconto, quindi non ho avuto esitazioni nell’ascoltare il suggerimento di Andrea.

Questo è un progetto che si presta molto a essere trasformato in una storia cinematografica, ci hai mai pensato?

Nel 2018 divenne uno spettacolo teatrale per la regia di Guido Del Vento, selezionato per il Prince Festival. Ora non voglio sbilanciarmi troppo, ma in effetti stiamo pensando a una pellicola d’autore che potrebbe trovare presto una concretizzazione. Si tratta di un’opera in continua evoluzione: io stesso osservo sempre con grande curiosità quello che accade intorno a questo progetto, che mi sorprende ogni volta di più andando a completare un puzzle molto ampio.

Il cammino de L’amore dietro ogni cosa, quindi, potrebbe non finire qui….

Quella estate italiana delle Notti magiche…
“Forse non sarà una canzone a cambiare le regole del gioco”: iniziava così la strofa di “Notti magiche”, l’inno che univa il mondo sotto la passione del calcio a Italia ‘90. A distanza di tempo, quella canzone non avrà cambiato le regole ma è rimasta un simbolo nella nostra memoria


Ripercorriamo gli inni mondiali da Notti magiche del 1990 a oggi

Sono passati 32 anni, ma per tutti noi italiani quella del 1990 rimane l’estate delle notti magiche. In realtà completamente magiche non furono, visto che una sconfitta ai rigori contro l’Argentina ci impedì di giocare la finale contro la Germania (poi campione). Nonostante ciò, quel Mondiale di calcio rimane nell’immaginario collettivo uno dei più belli per la Nazionale azzurra, e non solo per un terzo posto comunque conquistato. La manifestazione calcistica più importante si teneva in Italia, con la mascotte “Ciao” raffigurata da un omino tricolore stilizzato che aveva la testa come quella di un pallone a spicchi. Molti la criticarono all’epoca, ritenendola poco empatica. Eppure per tutti noi rappresenta ancora oggi un motivo di orgoglio e serenità, in un’estate che ci fece sentire più italiani del solito. Tutto il Bel Paese viveva l’atmosfera di festa con gli occhi pieni di speranza per i gol di Schillaci e Vialli. Cominciamo dunque dal 1990 il nostro nuovo percorso di MusiCalcio.

Tutti, in quell’anno, imparammo a memoria il ritornello di Notti magiche.

Iniziava proprio con queste due parole la canzone ufficiale della manifestazione, sebbene il suo titolo fosse un altro: Un’estate italiana.

Notti magiche non era nemmeno il sottotitolo, ma divenne il modo più immediato per descrivere quelle serate cariche di aspettative per gli azzurri. Del resto, quell’anno a Sanremo era già esplosa un’altra canzone il cui ritornello aveva ispirato un titolo popolarmente famoso ma non ufficiale: Vattene amore, di Minghi e Mietta, per tutti era Trottolino amoroso. E lo sarebbe rimasto per sempre, proprio come Notti magiche.

A cantarlo erano Edoardo Bennato e Gianna Nannini, autori delle parole insieme a Tom Whitlock. La musica imponente, con tanto di chitarra elettrica a supporto di un’introduzione solista, la compose un certo Giorgio Moroder, già premio Oscar con le colonne sonore di Fuga di mezzanotte, Flashdance e Take my breath away.

I due autori e interpreti, in realtà, incisero la canzone, prodotta da Sugarmusic, in sessioni di registrazioni separate. Il rapporto tra Bennato e Nannini, come racconta Dario Salvatori nel suo Dizionario della canzone, non era dei migliori. Poco prima dell’inaugurazione, Diego Armando Maradona cercò di consolare la Gianna nazionale, in preda a una crisi di pianto che descriveva un clima piuttosto teso. Il disco uscì diversi mesi prima dell’inizio dei Mondiali.

Forse anche per questo, si rese più facile parlare di Notti magiche piuttosto che di Estate italiana, quando arrivò sul mercato a dicembre 1989.

Uscito in 45 giri, si insediò subito nella top ten dell’hit parade, tenendo testa a marzo persino a quel Festival di Sanremo che aveva lanciato, tra le altre, anche Disperato, Uomini soli, Gli amori. Fatto sta che rimase il disco più venduto dell’anno, l’ultimo di successo prima dell’eclissi del vinile in Italia.

Una canzone che, con grande stile internazionale, raccontava la passione per uno sport che iniziava sin da bambini fino al desiderio realizzato di diventare calciatori. Anche solo metaforicamente. Quei ragazzi che escono dagli spogliatoi, in effetti, siamo ancora noi stessi, se abbiamo voglia di giocare e guardare il calcio con lo sguardo sognante che usavamo nell’infanzia.

La voglia di vincere, di vivere un’estate italiana piena di emozioni; di essere protagonisti di notti magiche. Ecco, da 32 anni in Italia non smettiamo di pensare a questo leggendario ritornello quando vogliamo volare con l’immaginazione attraverso la musica. Tanto che, quando nel 2021 l’Italia torna a vincere l’Europeo di calcio dopo oltre 50 anni, nelle strade della penisola risuona nuovamente la canzone di Moroder.

C’è di più: nel 2006, anno della vittoria mondiale con la guida di Marcello Lippi sulla panchina azzurra, persino l’organizzazione tedesca si confonde.

La canzone dell’Italia, infatti, sarebbe Cuore azzurro, dei Pooh.

Al momento della premiazione, però, le casse dello stadio fanno risuonare Un’estate italiana. Successo internazionale indimenticabile, simbolo e orgoglio di un Paese prima ancora che di un Mondiale. Vero tormentone che racconta, con intensa melodia da cui lasciarsi trascinare, quanto sia importante il calcio da noi. Sì, ora è sempre più forte il rimpianto per il Mondiale 2022 che dovremo guardare ancora una volta senza poter tifare per la nostra Nazionale. Tuttavia, il ricordo di ciò che venne realizzato, musicalmente, 32 anni fa, ci rende un po’ meno tristi: quelle Notti magiche, in fondo, saranno sempre valide, nelle gioie come nei dolori, in estate come in inverno.

Pamela Rovaris: "Avremo modo di riabbracciarci e di riabbracciare la bellezza" 1
Ultimo fotografato da Pamela Rovaris


Ultimo guida la banda di cantautori che tornano sulla scena in questa nuova settimana musicale

Si scrive Ultimo, si legge Primo. Ancora una volta Niccolò Morriconi ha spiazzato i suoi fan con una melodia romantica destinata a raggiungere presto le vette dell’hit parade. Lassù, per ora, prosegue il duello tra Maneskin (tornati primi con The loneliest) e Pinguini Tattici Nucleari (scesi nuovamente al secondo posto con Ricordi). Settimana prossima, però, qualcosa potrebbe movimentarsi ulteriormente in classifica. Sì, perché quando arriva Ultimo non c’è nulla che possa rimanere indifferente al pubblico. Sarà che è stato il primo a far tornare ai giovani la voglia di essere romantici con la musica. Sarà che è uno dei pochi ad avere davvero una voce più bella di qualunque autotune. Sarà che le sue canzoni sono semplicemente belle storie con melodie che profumano di poesia.

In ogni caso, Ultimo non si smentisce mai.

La nuova canzone si intitola Ti va di stare bene. Il cantautore romano l’aveva  spoilerata già qualche giorno fa, quando con due accordi al pianoforte della stazione canticchiava il ritornello a bassa voce per i suoi fan sui social. Il brano è la dedica a una ex, che evidentemente non è tanto ex. La storia sembra finita senza spiegazioni precise, ma soprattutto senza convinzione. I due si sentono persi, lontani l’uno dall’altra: ecco perché lui le chiede di vivere nuovamente un momento insieme. Una proposta per abbandonare tutti i pensieri negativi, per stare bene. È la cosa più semplice e più bella del mondo, che troppo spesso dimentichiamo. Atmosfere pop rock impreziosiscono questo pezzo pieno di poesia, ma anche di suoni diversi da quelli a cui ci ha abituati Ultimo. Per questo il nuovo album, anticipato da Ti va di stare bene, si preannuncia carico di novità.

E sicuramente, non stravolgendo la cifra stilistica di Ultimo, piacerà tantissimo ai fan.

Non è mai scontato nemmeno Daniele Silvestri, che ci prepara al nuovo disco con la sua Tik Tak.

Il titolo, ma rigorosamente con la K, per richiamare la celebre piattaforma social, allude allo scorrere del tempo da cui siamo ormai ossessionati. Così come siamo frastornati da obblighi e regole che, ormai, fanno parte della nostra quotidianità. Con il tipico ritmo di Silvestri, a metà tra ballad e indie, ecco quindi nuovamente un brano pronto a farci divertire e riflettere nello stesso momento. L’amore è l’unica possibilità per farci uscire dai loop più complicati della vita, portandoci in una dimensione fuori dal tempo. Solo con l’amore possiamo evitare di lasciarci logorare dal ritmo di un’epoca tanto veloce quanto incapace di evolversi davvero.

Riecco allora quei giochi di parole che appartengono spesso a Silvestri e che ci danno sempre un motivo in più per pensare. Dovremmo conservarlo sotto chiave un cantautore come Silvestri, invece troppo spesso i media si dimenticano di lui. Il destino difficile dei poeti…

In questa settimana dei grandi ritorni, è la volta anche dei Modà.

Tornano in radio con il singolo Finisce sempre così, che racconta il disagio di un uomo incapace di riconoscere se stesso. Lui, sempre schivo rispetto alle relazioni, si è innamorato e ora si ritrova cambiato da quella persona che gli ha fatto perdere la testa. Solo che quell’amore non è già più corrisposto e lui si sente disorientato. Nonostante sia privato della sua libertà di azione e pensiero, non vuole rinunciare all’amore. Si tratta di un pezzo che esprime tutta la disperazione di un uomo attraverso un rock bruciante che fa tornare Kekko sulla scena. Non mancano ovviamente le sue tipiche vocali allungate, dense di musicalità già solo attraverso la voce.

Infine, ultimo ma non da ultimo, da segnalare il ritorno di Gianni Togni. Il cantautore lancia il singolo tratto dal suo primo disco live: si tratta di Vivi. E a distanza di quarant’anni dalla sua prima incisione, ci si emoziona ancora con la stessa intensità. Forse anche qualcosa in più, perché l’attualità di certi suoni anni ‘80 riempie sempre di orgoglio e sorpresa.

MusiCalcio, e ora vi raccontiamo gli inni dei Mondiali!
Hayya Hayya è la canzone che accompagnerà i Mondiali 2022


Di cosa parla Hayya Hayya, la nuova canzone ufficiale dei Mondiali 2022?

Hayya Hayya: siete pronti a un mese (forse un intero inverno) in cui sentiremo risuonare queste parole continuamente? Siete pronti insomma a un autunno vissuto come se fosse piena estate? Bene, preparatevi alla stagione più pazza di sempre, perché stanno per cominciare i Mondiali di calcio! Quest’anno l’evento più atteso sarà in Qatar e, così, si disputerà proprio tra novembre e dicembre. Come per ogni Mondiale che si rispetti, anche quello 2022 avrà il suo inno ufficiale.

Il Mondiale in Qatar sarà quello di Hayya Hayya.

La canzone (clicca qui per ascoltare), interpretata da Trinidad Cardona, Davido e Doja Aisha, è un vero e proprio inno di speranza e ottimismo in un mondo migliore. Un’invocazione all’unità di tutti i Paesi. Hayya Hayya, infatti, nella sua ripetizione rafforzativa in lingua araba significa “Meglio insieme”.

Hayya Hayya: ecco l’inno ufficiale dei Mondiali 2022
La bandiera del Qatar: Aisha, una delle cantanti di Hayya Hayya, è proprio qatariota

Si tratta di un reaggaeton, in linea con le mode musicali di quest’epoca. Orecchiabile, ballabile. Sì, ma riuscirà a coinvolgerci anche in inverno, senza poterci travolgere nelle spiagge? Molto probabilmente sì e, anzi, Hayya Hayya potrebbe essere l’inno mondiale più tormentone della storia. Ecco perché.

Hayya Hayya arriva proprio subito dopo la pandemia che ci ha tenuti lontani e che ha spento i riflettori su sport e musica per tanto tempo.

Nello smarrimento comune ci siamo tutti ritrovati uniti con la stessa voglia di tornare alla vita. Finalmente abbiamo capito l’importanza di vivere insieme gli eventi. Poi siamo tornati e, in realtà, a comparire per primi sono stati i nostri egoismi. La vita in solitudine non ci ha certo aiutati in questo senso. Ora, però, è il momento di riprendere da quel che di positivo ci può offrire il mondo. Si ricomincia a vivere un evento sportivo tutti insieme, uniti sotto lo stesso sentimento di amore ciascuno per la propria nazione e la propria squadra. Peccato non essere presenti, come azzurri, a questa enorme festa più che mai sentita. Tuttavia, Hayya Hayya ci permetterà di cantare e ballare sulle medesime note di tutto il resto del mondo.

Trinidad Cardona (cantante americana), Davido (produttore statunitense cresciuto in Nigeria) e Aisha (interprete qatariota) sono le tre voci di questo inno.

La canzone racconta la voglia di fare festa a ogni ora della giornata. La vita è dura, dice il testo, con tanti alti e bassi, ma ora tutto andrà a posto. Tutto sarà meraviglioso perché non si è da soli. Il tempo è adesso: non è più ora di rimandare.

Insomma, la pandemia è alle spalle e ora, tutto insieme, torniamo a unirci come calcio e musica ci permettono sempre di fare. Così ascolteremo e balleremo fino alla nausea questo Hayya Hayya, con il rischio di trascinarlo fino al prossimo luglio se funzionerà. Ecco perché questa dei Mondiali 2022, rischia di diventare la canzone più longeva di sempre. E le altre dei Mondiali passati ve le ricordate? Lunedì prossimo inizieremo a ripassarle una per una. Per ora, cominciamo a scoprire il brano di Cardona & co. Se a qualcuno non piace il reggeaton, c’è pure la possibilità che questa canzone rimbomberà talmente tanto nelle prossime settimane, da fare cambiare idea persino agli scettici. Mancano tre settimane, ma il tormentone dell’inverno è già pronto (ed è uscito sei mesi fa…).

Alma di Enrico Ruggeri, le sensazioni forti della vita
Enrico Ruggeri, qui nella foto di Angelo Trani, è la grande novità musicale della settimana insieme a Vasco Rossi

Nelle nuove canzoni di Vasco Rossi ed Enrico Ruggeri suonano strumenti veri, con voci inconfondibili e ineguagliabili. E non puzzano affatto di naftalina…

Nella nuova settimana musicale, riecco Vasco Rossi ed Enrico Ruggeri. Tra i singoli usciti il 21 ottobre, quelli del Blasco e del Rouge sono indubbiamente i più attesi, a conferma di un modo di comporre e interpretare canzoni che si rivela sempre intramontabile. Fa un certo effetto ammettere che oggi Vasco e Ruggeri facciano parte soprattutto dei gusti delle due generazioni precedenti a quella più giovane. Loro, moderni e anticonformisti per eccellenza, sebbene in modi diversi, sono diventati i cantautori punto di riferimento di chi non ne può più della trap, autotunes e musiche campionate. Poi li fai ascoltare ai ragazzini, abituati a ritornelli senza alcuna poesia, e (sorpresa!) ti accorgi che piacciono ancora. Allora è vero, la buona musica non ha età: bisogna solo avere il coraggio di educare i più giovani a conoscerla con calma, lasciando alla trap la rapidità di essere consumata con una scadenza ormai prossima.

Quando escono nuovi brani di Vasco Rossi e Ruggeri, non esiste dubbio sulla loro qualità: c’è solo da chiedersi se si tratterà di canzoni rock o di romantiche ballate. Andiamo a scoprirle insieme.

Si intitola Patto con riscatto il pezzo con cui Vasco Rossi torna alla ribalta in questo 2022.

La canzone è tratta dal suo album dello scorso anno, Siamo qui, e anticipa l’uscita di un libro e di Vasco Live Roma Circo Massimo, docufilm sul concerto registrato qualche mese fa, tra pochi giorni al cinema.

Patto con riscatto racconta di due persone che non vogliono pensare alle conseguenze delle loro azioni, per godersi il momento. Inutile farsi tante domande, chiedersi se quel che è stato realizzato sia giusto o se si potesse fare meglio: quello che è fatto è fatto. Se qualcosa non ha rispettato le aspettative, pazienza: ci si riscatterà la volta successiva.

In fondo è un po’ questa la filosofia di Vasco Rossi, da sempre.

Vietato chiedere il permesso ad altri: quel che facciamo deve innanzitutto convincere noi stessi e, se ci diverte, meglio non rinunciarvi. Quando non c’è nulla da perdere, bisogna approfittarne. Un tempo questo modo di cantare rappresentava la trasgressione assoluta, oggi è un manifesto di libertà in mezzo a tanti personaggi omologati che, mentre si copiano vicendevolmente gli stili artistici, sono schiavi del pensiero altrui e dei relativi likes sui social.

La canzone di Vasco è un piacevole pop rock, di cui si può ben intuire la prosecuzione dopo le prime strofe. Diranno quello che vogliono, ma è bello ritrovarsi nei gusti di quei cantautori che hanno inventato loro stessi un genere.

Proprio come succede con Enrico Ruggeri, che pure sa sempre emozionare e scovare musiche e parole sconosciute alla banalità.

La sua canzone, Non sparate sul cantante, è una ballata rock, scritta con Massimo Bigi, scandita da un ritmo inconfondibile che identifica il suo autore e nessun altro. Entra nelle orecchie per finire sulla bocca di chi ascolta in meno di trenta secondi: statene certi, rimarrà per parecchio dentro di voi e sarete sicuri di essere in buona compagnia.

Le prime note sono un omaggio ai film western e alle celebri colonne sonore di Morricone (e non solo lui). Lunghi accordi di chitarra, separati da un’atmosfera di attesa, introducono questa canzone tratta dall’album La rivoluzione. Dopo un inizio che sembra quello del Ruggeri più lento e melodico, ecco il ritmo incalzante della sua anima rock. Ma non meno poetica e profonda.

Il brano, infatti, racconta di un musicista, biasimato e umiliato e ora vittima di una sparatoria sul palcoscenico. Si tratta di una metafora, che parla di un tempo che corre veloce per dimenticare in fretta il passato. Dobbiamo prendere spunto da questa canzone: non vergogniamoci di fare ascoltare questa bella musica a chi ci parla di trap come se stesse raccontandoci Proust.

Basterebbero le prime parole a giustificare l’importanza filosofica di questo pezzo: Un uomo dovrebbe esser così grande da capire quanto è piccolo.

Se a dirlo è un grande cantautore come Ruggeri, forse è il caso che la musica si faccia un bagno di umiltà e comprenda quale sia la strada da seguire. Forse è meglio davvero non sparare sui cantanti, almeno non su quelli che, come Vasco ed Enrico, permettono di proseguire la nostra tradizione musicale italiana.

E siccome anche le classifiche Fimi hanno un loro significato, è bello rilevare questo avvicendamento tutto tricolore di musica di qualità, ai primi posti dei singoli più venduti. I Pinguini Tattici Nucleari tornano a comandare l’hit parade con la loro Ricordi, davanti a The loneliest dei Maneskin. Il duello autunnale sembra essere chiaro, tra due band completamente diverse, ma identicamente sorprendenti. Una rivalità divertente e curiosa, dove l’amore per uno non esclude quello per l’altro. Proprio come con Vasco e Ruggeri, Maestri di poesia rock italiana da non smettere di far conoscere ai più giovani. Anche perché, basta avvicinarsi per scoprirlo, profumano ancora di nuovo: l’odore della naftalina non gli appartiene di certo.

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