MusiCalcio, e ora vi raccontiamo gli inni dei Mondiali!
A metà novembre scattano i Mondiali 2022 e noi siamo pronti a viverli..come sempre a modo nostro: con la musica


Tutti i Mondiali hanno un loro inno: da lunedì prossimo li ripercorriamo a partire da “Notti magiche”


Tra circa un mese cominceranno i Mondiali di calcio. L’Italia, purtroppo, non ci sarà, per la seconda volta consecutiva. Tuttavia, nello sport sappiamo bene che spesso ci ritroviamo a essere partecipi oltre la nostra squadra di appartenenza. I tifosi più poetici riconosceranno ancora un valore del calcio, che non si lasci coinvolgere e violenze di certe curve. Qualcun altro, ancor più poetico, come noi immaginerà che persino la musica sappia unire e coinvolgere tutti.

Lo abbiamo già visto con le prime venti puntate di MusiCalcio, dedicate agli inni delle squadre di Serie A: vere perle artistiche spesso composte da grandi Big della canzone.

Nelle prossime settimane, fino a fine anno, la nostra rubrica cambierà volto e vi racconterà i più importanti inni dei Mondiali.

Dal 1962, infatti, tutti i Mondiali di calcio hanno avuto un loro inno scritto ad hoc per essere la hit musicale della manifestazione.

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La Coppa del Mondo che in Italia manca dal 2006

Compito sempre arduo, perché produrre un brano di successo richiede ovviamente un’attenzione particolare, che talvolta può non bastare. A questo si aggiunge la necessità che quella canzone diventi addirittura una sorta di tormentone. Un risultato che, come sappiamo bene, non si può decidere a tavolino generalmente. Eppure i Mondiali sono in grado di trasformare quasi sempre i loro brani in indimenticabili hit.

Abbiamo deciso quindi di raccontarveli, a cominciare proprio da quello che accompagnerà i Mondiali in Qatar quest’anno: Hayya Hayya di Trinidad Cardona, Davido e AISHA. Ripartiremo dunque con i Mondiali 1990 fino a tornare ai giorni nostri. Sì, perché proprio nel 1990 non solo l’Italia c’era eccome essendo organizzatrice dell’evento. In quell’anno, di fatto, iniziò la tradizione di avere una vera hit capace di diventare tormentone. Dunque MusiCalcio proseguirà il suo cammino, a partire da settimana prossima, dedicandosi ai Mondiali cominciando da un brano che sarà una scommessa.

In effetti quest’anno, per la prima volta, i Mondiali non si giocano in estate ma a ridosso del Natale.

Non propriamente la stagione dei tormentoni insomma: riuscirà Hayya Hayya a entrare nella storia come è accaduto per tutte le precedenti otto canzoni?

Ce lo domanderemo tenendo monitorate le classifiche che ogni settimana ci verranno fornite e facendo un salto a ritroso nella storia dal 1990 al 2018. Quindi, a fine dicembre, omaggeremo l’inno della Nazionale che si sarà laureata Campione del Mondo. Quello che, verosimilmente, insieme alla canzone di Trinidad Cardona e altri cori da stadio, diventerà a suo modo un nuovo tormentone.

Dunque tenetevi pronti, perché non fossero bastate le elezioni politiche fuori dal consueto periodo di votazione, quest’anno anche il calcio cambia le sue tradizionali stagioni.

In questi mesi sarà come tornare in estate, solo che lo faremo senza preoccuparci del caldo afoso.

Anzi, è più facile purtroppo che vivremo con nostalgia i sudori estivi, guardando le bollette della luce e dei riscaldamenti. In ogni caso, balleremo proprio come siamo abituati a fare sulle spiagge ogni quattro anni. I Mondiali sono da sempre una festa: ogni inno delle Nazionali diventa un’emozione, tutte le canzoni ufficiali sono destinate a entrarci in testa occupando le posizioni più importanti dell’hit parade.

Non ci credete? Seguite MusiCalcio nelle prossime settimane. Tutti i lunedì scoprirete una somma verità: nulla unisce più della musica, persino nello sport, dove tifoserie opposte si ritrovano a ballare sullo stesso ritmo. La musica, come il calcio, a volte sa essere…mondiale!

Tananai, Fedez-Salmo, Shel Shapiro: questa settimana ce n'è per tutti i gusti
Tananai questa settimana ha stupito tutti: prima con un silenzio sui social, poi nelle strade e ora è tornato a farsi sentire con la sua nuova canzone

Altro che spaesato nelle strade di Milano: Tananai è il nuovo genio musicale e del marketing musicale

Chi considera Tananai solo un interprete di canzonette leggere e orecchiabili (come fosse niente!), usando toni anche un po’ denigratori, da ieri sicuramente si deve ricredere. Certo, dopo la partecipazione sanremese, la popolarità del cantante è cresciuta facendo leva anche sul suo essere personaggio. Tuttavia, chi capisce di musica aveva già potuto riconoscere da tempo il talento di questo ragazzo. Così, a pochi giorni dall’ennesima provocazione iniziata con il silenzio stampa sui social e culminata con un ancor più inquietante mutismo in via Dante a Milano, Tananai lancia il suo nuovo singolo. I fan già impazziscono.

Tananai ieri, 14 ottobre, è stato nuovamente protagonista sul web, ma questa volta con un nuovo brano che profuma di poesia.

La canzone si intitola Abissale e il suo testo giustifica proprio quell’esposizione mediatica ottenuta nel centro di Milano. Dopo aver dichiarato: “Anch’io ho sofferto come un cane”, ecco infatti che ritroviamo le stesse parole nel nuovo brano. Tananai è un cantautore che conosce bene il linguaggio del web e, così, ha trovato il modo di far parlare di sé e della sua ultima produzione, incontrando la curiosità di tutti.

Si tratta di un brano melodico e malinconico, che ci regala un Tananai diverso dal solito. La musica è talmente romantica da avvolgere l’ascoltatore in un racconto inaspettato. Nessuna storia scanzonata, anzi. Questa volta Tananai parla di un amore finito in modo quasi inevitabile: i due stavano bene insieme, tuttavia erano troppo diversi tra loro per proseguire sulla medesima strada. C’è anche qualche rimpianto nella confessione del protagonista del brano, che verosimilmente parrebbe essere proprio lo stesso Tananai, da oggi senz’altro conosciuto in modo diverso da chi lo aveva “scoperto” solo a Sanremo. Chi, invece, lo ricorda già da prima, sa che il cantautore milanese non è nuovo a queste ballate persino struggenti. Insomma, attenzione a sottovalutarlo, perché Tananai potrebbe essere la vera rivoluzione canora dei prossimi anni, pronta a rimanere per diverso tempo.

Chissà, magari proprio come è successo a Shel Shapiro che ieri, a 59 anni dal debutto discografico, ha lanciato un nuovo brano: Troppa realtà.

Andrea Gallo e Gigi De Rienzo sono gli autori che hanno cucito sull’ex cantante dei Rokes questa canzone ricca di atmosfere suggestive e di un interrogativo che percorre tutta la canzone. Come si sta?, ci si chiede nel ritornello. Ci ritroviamo consumati da questa troppa realtà, che sembra rappresentare la quotidiana routine che ci costringe ad allontanarci dai nostri sogni. Quante volte ci capita di abbandonare quel che siamo veramente, a favore della ragionevole concretezza, eccessivamente burocratica e fredda! Quella che canta Shel Shapiro è dunque una speranza di poter vivere di più la parte sognatrice e artistica di noi stessi.

Lo fa con una ballata romantica, che non rinuncia a unire pop e rock, proprio come faceva già 59 anni fa. D’altra parte, Shel era già all’avanguardia all’epoca.

La nuova settimana musicale vede anche il primo featuring tra Fedez e Salmo: si tratta di Viola.

Il titolo non allude al nome di una ragazza, che è comunque protagonista della storia, bensì al colore delle banconote da 500 euro. Lei sembra non volerne più sapere di lui, che sa di essersi fatto in quattro per lei e per farla felice. Ha anche speso tanti soldi, che non avrebbe senso usare se non possono soddisfare qualcosa da condividere con qualcun altro. Così, pensando all’attrazione fatale a cui non resistevano entrambi, ora lui si ritrova spaesato di fronte a un atteggiamento poco passionale che odora di disamore.

Si tratta di un brano orecchiabile, uno sfogo musicale che incontra un po’ il genere puramente rap di Salmo e un po’ quello più scanzonato, abituato a pescare nei gusti anni ’60, di Fedez. A questo si aggiunge quello da tormentone di Dargen D’Amico, tra gli autori del pezzo. Naturalmente è difficile immaginare se stiamo parlando di un brano indimenticabile nel tempo, tuttavia qualcosa di storico già lo ha combinato questa canzone. I due rapper, infatti, si ritrovano insieme a un anno di distanza dalle polemiche per il concerto di Salmo, pieno di pubblico ancora in periodo pandemico, che aveva scatenato un botta e risposta con Fedez. Eccoci, il richiamo del featuring ha permesso la pace definitiva tra i due. Cantare è sempre meglio che alzare i toni della polemica.

Impossibile non raccontare la settimana musicale senza fare riferimento all’hit parade. Come previsto, ecco balzare immediatamente al comando dei singoli più venduti The Loneliest, la canzone dei Maneskin che vi abbiamo raccontato sabato scorso. Subito dietro, i Pinguini Tattici Nucleari e la loro Ricordi. I gruppi la fanno da padrona: forse anche per questo i cantanti tendono a unirsi sempre di più a progetti con colleghi…

Da Vecchioni a Elio: tutti gli inni dell’Inter
Tante canzoni dedicate, da grandi cantautori: ma qual è oggi il vero inno dell’Inter? Vediamolo insieme

Il vero inno ufficiale dell’Inter è cambiato diverse volte nel corso della storia. E spesso a scriverli sono stati grandi cantautori 

Quando si parla di Inter, immediatamente il pensiero va alla sua proverbiale “pazzia”, che tutti conosciamo anche per questioni canore. Non esiste squadra di calcio che, più dei nerazzurri, abbia dato così grande risalto al significato della musica come manifesto della tifoseria. Nelle prime 19 puntate di MusiCalcio abbiamo raccontato tanti inni importanti delle squadre di Serie A, andando a scovare dei pezzi probabilmente sconosciuti a molti. Non vi è alcun dubbio che quel coro cantato da Javier Zanetti e compagni nel 2003, però, sia entrato nella leggenda.

I più disattenti rimarranno stupiti, tuttavia, a scoprire che Pazza Inter non è più l’inno ufficiale della squadra.

Prima di arrivare a questo, ripercorriamo brevemente la storia degli inni dell’Inter dagli anni ’50 a oggi.

Come sappiamo, infatti, sono le vittorie a esaltare la voglia dei tifosi di esprimersi melodicamente, con tanto di influenze stilistiche della musica in voga in quel periodo. Così nel 1954 il Gruppo Marcucci cantava un urlo di entusiasmo nel suo Forza Inter, che non si negava un bel ritornello a ritmo di musica da banda. Si noti, però, anzitutto la qualità del canto: la voce pulita e impostata del suo interprete sono testimoni di un certo modo di cantare dell’epoca.

Nel 1966, mentre l’Inter di Herrera vinceva il suo decimo scudetto, ecco che gli autori Perotti e Zaranda componevano Inno all’Inter.

Si tratta di una marcia a tutti gli effetti, introdotta da un sax che siamo abituati a sentire anche nelle sigle delle commedie di quegli anni. Pensiamo ai film di Franco e Ciccio, per intenderci: il tono scanzonato delle canzoni di apertura già proiettano lo spettatore nella dimensione comica della storia. E in effetti, pur trattandosi di un rispettosissimo inno calcistico, in questo brano di Perotti e Zaranda si avverte tutta l’atmosfera ludica che sembra voler ricordare il principio di divertissment dello sport. Tutto questo, non senza valorizzare le imprese dell’Inter allenata dal Mago.

Un coro di voci maschili e femminili così scandisce le parole della canzone, inneggiando alla stella appena conquistata: pochi strumenti, perlopiù a fiato, e un battito di mani seguono il ritmo di questo inno.

È il 1972 quando, nel periodo in chi l’Italia scopre le sue migliori produzioni cantautorali, Roberto Vecchioni regala una perla alla sua Inter, insieme ai Nuovi Angeli.

Non si tratta di Luci a San Siro, che pure il cantautore milanese avrà scritto pensando alla sua squadra del cuore. Cantata dal centrocampista nerazzurro Mario Bertini, la canzone si intitola Inter Spaziale. Ritmi sempre più incalzanti, con un tocco poetico tipico del Professore.

Dagli anni ’80 in avanti nascono una serie di canzoni dedicate all’Inter: rivediamo le principali perché sono davvero tante. Anzi, verrebbe da dire…una valanga!

Siamo la Valanga Nerazzurra e mai nessuno ci fermerà è proprio il ritornello, seguito dal più classico dei cori oh e oh e oh, che accompagna l’Inter nel 1986. Gli autori sono Pesce, Oliva, Caw e Gidam. Questo pop chiaramente pensato per essere un coro da stadio, diventa subito inno, inneggiando al campione Rumenigge. Tuttavia, entusiasmi a parte, è difficile scalzare Cuore nerazzurro, l’inno che nel 1984 viene composto dai Camaleonti con Dario Baldan Bembo.

Parliamo di una bella canzone che ha sicuramente la grinta e la carica tipiche dello stadio, ma che non perde la voglia di melodia tipica del celebre gruppo e dell’autore de L’Amico è. C’è tanta emozione in questa dedica piena di sentimento per l’Inter. A fare la differenza anche qui un coro Oh oh oh che risulta decisamente più poetico rispetto a quello della Valanga nerazzurra. Il ritornello cresce in un climax che racconta della stella d’oro brillare nel cielo. D’altra parte l’unica squadra mai andata in B ha di che essere onorata della sua storia.

Dopo pochi anni, nel 1989, la squadra di Milano vince lo scudetto dei record, allenata da Giovanni Trapattoni.

E via con un nuovo inno, Inter tricolore. A cantare questo pop tanto raggiante, quanto ritmato ma poco incisivo, sono due calciatori protagonisti della cavalcata nerazzurra: Nicola Berti e Aldo Serena. Sono gli anni in cui le grandi squadre fanno a gara per chi ha più canzoni nel cassetto, facendo esplodere la mania delle audiocassette con tanto di brani dedicati agli undici eroi. In qualche caso si tratta persino delle stesse tracce, a cui viene cambiato il testo. Parliamo di un derby (ovviamente inventato) tra le due squadre di Milano, con tanto di sfottò all’avversario, tramite una comica radiocronaca. Niente di musicale, ma tutto fa brodo per confezionare prodotti discografici.

Così per i tifosi l’inno vero rimane quello dei Camaleonti, ma qualcosa cambia negli anni più floridi della presidenza di Massimo Moratti. Nel 2003, infatti, lo stesso presidente suggerisce il titolo per un nuovo brano: Pazza Inter. 

A scriverla sono Paolo Barillari e Dino Stewart per il testo, mentre la musica è di Goffredo Orlandi, che l’anno dopo vincerà a Sanremo da autore per Marco Masini (L’uomo volante).

La nuova canzone viene fatta incidere direttamente dai giocatori ed è subito un successo.

L’operazione si rivela vincente proprio perché sono tutti i nerazzurri a interpretarla, sancendo il proprio amore per la maglia in un periodo in cui già si avverte una difficoltà a trovare bandiere nel mondo del calcio.

Tanti stranieri, ma tutti campioni: è così che il ritornello Amala, è una gioia infinita che dura una vita, piace subito diventando orecchiabile. La canzone legittima la sua verità quando, nel 2005, sotto di due gol contro la Sampdoria a pochi minuti dalla fine, l’Inter rimonta e vince in pieno recupero 3-2. Da quel momento, per tutti, è la Pazza Inter. Anche per chi (e sono molti) quel giorno esce prima dallo stadio, scoraggiato da un risultato che sembra ormai non dare scampo.

Nel frattempo, il vero inno ufficiale è C’è solo l’Inter, una corale melodia composta da Elio e Le Storie Tese.

Per i tifosi, però, l’orgoglio di Pazza Inter è troppo forte. Come un richiamo a cui non si può resistere: dovrebbe intervenire qualche fattore esterno perché possa essere rimpiazzato. E poco importa se la somiglianza con Baila Morena di Zucchero sia davvero eccessiva.

Ed è proprio ciò che accade nel 2012. Rosita Celentano, a capo della Luna Park, casa di edizioni musicali proprietaria del brano Pazza Inter, nega di aver proibito l’inno. Vero è che la società si vede aumentare la richiesta per i diritti d’autore e, per due anni, la canzone sparisce da San Siro. Tornerà, salvo scomparire definitivamente nel 2019.
Arriva Conte sulla panchina nerazzurra; dopo tanti anni è di nuovo scudetto. Così, nel 2021, ci pensa Max Pezzali a creare un brano a metà tra italiano e inglese: I’m Inter (Yes, I am). Un po’ di Emmanuel, una vera citazione a Jesahel, insomma le ispirazioni sono tante, ma la canzone piace. Tuttavia, il vero inno resta C’è solo l’Inter, a cui nel frattempo i tifosi si sono ormai affezionati. Anche per la romantica dedica a Peppino Prisco.

Da non dimenticare, tra le dediche musicali perni nerazzurri, quella del tifoso Ligabue che, con Una vita da mediano, omaggiò Lele Oriali. Meno famosa, ma ricca di passione, la ballata di Povia, Vero nerazzurro.

 

 

 

Sanremo 2021, il trionfo dei Maneskin
I Maneskin alla serale finale del 71 Festival di Sanremo. Foto di Marco Piraccini


I Maneskin si confermano l’orgoglio italiano in  campo internazionale

I Maneskin sono gli autentici protagonisti di questa nuova settimana musicale. La loro The Loneliest è già ascoltatissima. Un brano che conferma la poliedricità del gruppo italiano, capace di alternare la sua vena rock più pura a quella romantica. Questa è la volta di una ballata addirittura struggente. Con un testo rigorosamente in inglese, i Maneskin hanno cantato questa canzone per la prima volta al concerto londinese, riscontrando da subito il coinvolgimento del pubblico. E non è difficile pensarlo, perché The Loeneliest (ossia, “la più solitaria”) è davvero di una forza che raramente si può ascoltare.

C’è tutto il gusto internazionale in questo brano che dimostra un’ulteriore crescita dei Maneskin.

La canzone racconta di un amore che non può più andare avanti, ma non cancellerà mai i momenti belli vissuti insieme. Ora arriverà la notte più solitaria di sempre, perché lei è comunque ancora nei pensieri e nel cuore di lui, che la sta lasciando. Un sentimento preso con la consapevolezza della sua conclusione, dunque, dallo stesso protagonista. A metà tra il “mi dispiace devo andare” di poohiana memoria e “la solitudine” della Pausini, i Maneskin rilanciano quindi l’idea di un amore che non può più andare avanti nonostante il sentimento sia ancora vivo. 


L’assolo di chitarra elettrica, in un brano che è un inevitabile climax di intensità, è la perla finale: dobbiamo essere orgogliosi dei “nostri” Maneskin.

Si sanno sempre contraddistinguere i Coma Cose, con i loro giri armonici tanto calibrati da risultare essi stessi poetici. Nelle canzoni dei Coma Cose le parole assumono un volto: anche quelle più inusuali ci diventano tutto a un tratto familiari. Questo proprio grazie alla melodia, capace di trasportare e disegnare dei contorni che il solo lessico non sarebbe in grado di definire. È quello che accade anche nel nuovo singolo, Chiamami. Il brano racconta di una coppia che, pur non stando più apparentemente insieme e, non ha mai smesso di cercarsi e supportarsi. In fondo, non è poi questo il vero amore? I Coma Cose, però, non si presterebbero mai al classico pezzo che parli di sentimenti in maniera canonica. Ecco così arrivare nel testo anche le bombe, lo iodio, l’inverno e la schiavitù. Sono questi i quattro passaggi metaforici principali attraversati dal protagonista della storia, che si trovava immerso negli abissi. Lì, ha sempre avuto lei che lo tirasse su. Così ora, dopo una costante e mai sopita protezione reciproca, mettendo via ogni tipo di orgoglio i due amanti accettano di ammettere che si può ricominciare.

Al contrario del brano dei Maneskin, questo ha dunque un messaggio diverso, di speranza.

Si può anche dire basta a una storia, ma se c’è l’amore questo non cessa di esistere.

È tornato anche Sangiovanni. L’ex cantante di Amici, reduce dal successo sanremese Farfalle, che ancora dopo diversi mesi risuona nelle radio, ha lanciato Fluo. La struttura musicale è sempre la stessa: ritornello orecchiabile, ritmo pop-dance e il racconto senza filtri di un sentimento. Questa volta, però, sembra esserci un messaggio quasi rivoluzionario. Sangiovanni invita a scoprire che il mondo può essere ancora nostro, sebbene ci sembri buio: saremo noi a farlo diventare fluorescente. Incoraggia a vivere l’esistenza in modo più libero, senza le congetture che ci rallentano in questa società che non funziona. Tutto è fatto di apparenze e di speranze in paracaduti dell’ultimo minuto: ora è tempo di cambiare e prendere in mano la nostra vita. Sembra quasi un testo anni ‘70 quello di Sangiovanni, che parla anche di amore senza protezione e colpi di pistola per cambiare una volta per tutte. I cantautori di protesta lo avrebbero eletto a paladino di tante battaglie all’epoca. Come sarà preso questo brano oggi?

Nelle classifiche Fimi, nel frattempo, dopo due settimane impazza Ricordi, dei Pinguini Tattici Nucleari.

La canzone è balzata ora al primo posto, scalzando tutti i trapper del momento. C’è ancora molto spazio, fortunatamente, per la bella musica, fatta di parole e melodie. In questo panorama ricco di tante canzoni, qualcuna rischia di rimanere nascosta ma la nostra rubrica vuole sempre raccontarvi, settimana dopo settimana, quel che vale la pena di essere ascoltato. Al di là delle classifiche. C’è allora anche un brano, Cassandra, che da circa un mese non ci abbandona per la sua ritmicità e orecchiabilità. A cantarla sono i Serpenti  con la partecipazione di Malika Ayane. La figura mitologica del pessimismo cosmico è purtroppo molto più frequente di quel che immaginiamo: ecco qui un bel modo di esorcizzarla descrivendo gli atteggiamenti subdoli di chi cerca sempre il male nelle cose. Quanti godono delle disgrazie altrui in questo mondo. Ebbene, ecco una canzone anche per loro: perché chi sa fare musica è generoso con tutti, non lesinando ovviamente un po’ di sarcasmo. Da ascoltare, ben consapevoli del rischio di rimanere contagiati non tanto dal pessimismo, quanto dal ritmo e dalla melodia che rimangono immediatamente in testa.

 

Steve Luchi: Vi presento il Regno di Babbo Natale
Alcuni membri dello staff del Regno di Babbo Natale, un luogo incantato che sorge nel Lazio


Si trova a Vetralla il luogo più magico dedicato al Natale: ce lo racconta in una intervista il Direttore Artistico

Avvertite anche voi la voglia di Natale non appena il caldo estivo ci abbandona? Ebbene, sappiate che c’è il posto che fa per voi, aperto quattro mesi l’anno (e forse in futuro anche di più). Sorge infatti un Regno incantato sulle colline di Vetralla, in provincia di Viterbo. Dove si entra soltanto se si torna bambini. Bambini da 0 a 1000 anni. Un mondo magico, in cui emozioni e sentimenti si fondono al cospetto dello spirito del Natale. Questo luogo incantato è aperto tutti i giorni, dalle 9.30 alle 19.30 fino al 6 gennaio.

Nato da un’idea di Giorgio Onorato Aquilani (autore del libro Ogni giorno è Natale, che è anche il titolo della compilation realizzata appositamente con tutti i brani del Regno), per la terza volta quest’anno l’evento sarà diretto niente meno che da Steve Luchi. Il batterista degli Articolo 31, nonché storico produttore di Irene Grandi, ma collaboratore anche di tanti altri Big della musica, venne chiamato dall’organizzazione qualche anno fa proprio per la sua esperienza professionale. Un bagaglio di conoscenze che, in questo contesto, si mette in gioco in un modo del tutto diverso da quello abituale. Ce lo racconta proprio Steve in questa intervista.

Cosa rappresenta il Regno di Babbo Natale?

È un luogo magico dove si celebra il Natale sotto ogni sfaccettatura. Non si celebra Babbo Natale per gli elfetti e le sue decorazioni in sé, ma per tutto quello che significa: speranze, sogni, magia, bontà. È la voglia di essere eternamente bambini.

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Steve Luchi, artista e Direttore del Regno di Babbo Natale

Come conoscesti questo luogo?

Quando fu ideato nel 2012 era poco più di un gazebo di 150 mq e negli anni si è sviluppato grazie all’amore di Aquilani per il Natale e alle persone che ne hanno compreso la filosofia. Venni a conoscenza qualche anno fa, per caso, di questo luogo che sentii subito appartenermi: per me il Natale è magico e profetico.

In che senso?

In effetti nasco musicista grazie al Natale.

Nel 1975, a cinque anni, trovai sotto l’albero una batteria: da quel momento la mia vita cambiò. Per me ancora oggi suonare la batteria è un po’ come tornare bambino: a sei anni sapevo già cosa volevo fare. Sin da allora credo in Babbo Natale e non smetto di farlo, perché la magia esiste se ci crediamo noi: Babbo Natale è dentro di noi.

La tua collaborazione con il Regno di Babbo Natale come iniziò?

Dopo un paio di mesi da quell’incontro iniziai a scrivere una canzone, pensando al Regno di Babbo Natale. Mi registrai dei vocali che poi, riascoltandoli qualche tempo più tardi, mi continuavano a piacere. Coinvolsi allora il mio amico Andrea Casamento (musicista che da anni lavora con la Rai) per scrivere delle canzoni dedicate al Natale. Dopo qualche mese andai da Aquilani facendogli questo regalo. Mi chiese di fare le sonorizzazioni musicali di tutto il Regno e, nel 2020, mi venne chiesto di fare il direttore artistico che io, appassionato anche di giochi, non potevo rifiutare. Iniziammo a lavorare ad alcuni cambiamenti.

Per esempio?

Abbiamo dei personaggi con delle mascotte; quindi un team di ballerine, attori e ragazzi che ricoprono tutta una serie di situazioni, dall’accoglienza all’intrattenimento.

Oggi il Regno ha un’area commerciale di circa 2000 mq, intorno a cui si sviluppa un grande parco di 6000 mq.

L’anno scorso abbiamo fatto quasi 600000 presenze in quattro mesi. È un’opportunità per un artista come me.

Che tipo di musiche ti eri imposto di realizzare per un luogo che vive un po’ la magia del Natale e un po’ l’atmosfera dei grandi parchi di divertimento?

Ho avuto la fortuna in 25 anni di lavorare con grandi artisti, teatro e spettacolo: questo mi ha permesso di avere il senso dello show. Il Regno mi dà la possibilità di fare confluire tutte queste esperienze in un unico posto. Si pensa sempre a Jingle Bells, White Christmas: ho cercato di unire entrambe le cose. Alcuni brani quindi hanno una struttura morbida, molti però hanno una ritmicità ballabile pur senza arrivare allo stile dance.

Hai superato quindi lo scoglio di brani che sono da sempre considerati intoccabili per il Natale…

La grande difficoltà è scrivere i testi. Non è facile parlare di sogno e di speranza, rivolgendosi non solo ai bambini.

Il Regno è un luogo per bambini da 0 a 1000 anni: è un luogo di tutti, per questo ha un ingresso gratuito. Mi riempie il cuore di gioia vedere bambini e adulti che cantano le canzoni del Regno: nella scrittura mi piace sempre pensare alla sceneggiatura della Disney e della Pixar, i cui contenuti vanno bene per tutta la famiglia.

In cosa si differenzia il Regno da tutti gli altri mercatini di Natale?

Anzitutto non è un mercatino: è un luogo che rimane tutto l’anno, pur restando aperto, per ora, quattro mesi. Nei restanti otto si allestisce la stagione successiva. Tutte le attività sono direttamente gestite dalla stessa organizzazione del Regno.

Ci sono spettacoli, con tanti costumi; molti spazi dedicati al food, al commercio. Anche i negozi, però, non sono come tutti gli altri: ogni scaffalatura è fatta tipo “presepe”, con delle casette in cui si trovano gli oggetti da poter acquistare. Vi sono tantissime aziende che arrivano da tutto il mondo.

Quando entriamo nel Regno cosa troviamo?

Per prima cosa si vive un percorso emozionale in un bosco, che rappresenta il villaggio degli elfi: ci si immerge subito nella magia del Natale.

Gli interni sono fatti tutti in cedro, lasciando una percezione particolare anche a livello olfattivo. Si scoprono quindi un sacco di posti fino ad arrivare alla casa di Babbo Natale, dove c’è il fotografo che immortala l’incontro con ogni singolo bambino. Ovviamente la musica la fa da padrona, creando quell’atmosfera che amiamo.

E poi ci sono numerose attrazioni…

Certo, c’è la pista da pattinaggio sul ghiaccio (che in realtà non è ghiaccio, ma nylon ecologico che consente di non bagnarsi); il Carosello di Babbo Natale, il Magitreno, le Tazze Pazze. C’è davvero molto da divertirsi. Infine sul palco facciamo gli spettacoli: balletti, show, musica, con diversi ospiti.

Il segreto del successo del Regno?

C’è un grande lavoro di squadra con l’organizzazione: si lavora sempre tutti insieme e ci si stimola generando qualcosa di fantastico, trovando connubi meravigliosi tra imprenditori e musicisti. Qualche mese fa Giorgio (Aquilani, ndr) mi disse: Sarebbe carino fare anche noi una parata in stile Disneyland! A quel punto ho scritto un brano molto bello, Ogni giorno è Natale: è diventato l’inno della parata che faremo da quest’anno con 12 ragazzi. Ecco, non capita tutti i giorni di trovare una sinergia così tra le persone che si impegnano in un progetto.

 

Da Liboni agli STATUTO: gli inni del Torino
Ripercorriamo oggi nella rubrica Musicalcio gli inni del Torino


Una squadra gloriosa anche nella musica: il Torino


Il Torino è indiscutibilmente una leggenda del calcio italiano. Con sette scudetti vinti, di cui cinque consecutivi, la squadra granata negli anni Quaranta fu un punto di riferimento. La tragedia di Superga, dove nel 1949 l’intera squadra fu coinvolta in un incidente aereo mortale, mise di fatto fine a un’epoca. Non fece però cancellare la memoria del Grande Torino. Da sempre i Granata sono la seconda squadra del capoluogo piemontese, con alti e bassi che hanno l’hanno vista protagonista anche in Europa. Come dimenticare quella Coppa UEFA, con un allenatore appassionato come Emiliano Mondonico che toglieva la sedia dalla panchina in segno di protesta contro l’arbitro? Ma se una squadra è grande, lo è sempre ancor di più sul piano musicale.

Oggi dunque racconteremo la storia degli inni del Torino.

Partiamo anzitutto da una curiosità. Il primo inno composto per il Torino non era in italiano. I fondatori della società erano infatti di origine svizzera e così optarono per un ritornello in lingua francese.

“Oui oui, Torino là, là; Torino ne perirà pas” recitava quella canzone.

Successivamente, nel 1926, toccò ai Reali Carabinieri eseguire il nuovo inno in occasione dell’inaugurazione dello stadio. Su musica del Maestro Alberto Consiglio e parole di Giuseppe Montesi, il coro cantava “Va calciator”. Una canzone che risentiva del clima politico di quegli anni e che si proiettava a incitare la squadra andando contro ogni timore per elogiare valori sportivi quali la virtù e la giovinezza.

Nel decennio successivo arrivava un nuovo brano, firmato Laugeri-Annatarone, intitolato FC Torino. Questo pezzo, con un “la gara libera ci tempra il cuor”, chiudeva il ritornello usando la poesia tipica di quel tempo.

Ogni decennio, più o meno, emergeva una nuova canzone che invocava l’ardore e il coraggio degli undici eroi in campo.

Marcette, cori imponenti, ritmi precisamente cadenzati per scandire al meglio le parole. Lo stile era sempre quello. Non si discostò troppo da questo genere anche il più storico inno del Torino.

È  degli anni Settanta il più famoso e reso celebre nel periodo in cui tutte le grandi società volevano un grande inno. Il titolo era quanto di più semplice potesse esistere: Forza Toro!

Un grande coro cantava così Forza Toro, forza Toro, torneranno i tempi d’oro. Col Torino che s’avanza rifiorisce la speranza. La vittoria che sognamo, la vittoria arriverà.

Quindi eccoci al 1982. Dalla penna di Liboni nasceva Forza Toro, Olè! Alle trombette si aggiungevano percussioni è un arrangiamento pop decisamente anni ‘80. L’autore sfornava una canzone via l’altra (si ricorda anche Sempre tu), diventando di fatto il cantautore ufficiale del Torino. Cinque anni dopo lo stesso Liboni dava vita a quello che poi sarebbe diventato l’inno ufficiale per molti lustri. Tanto che, tutt’oggi, non è mai stato davvero spodestato. Si intitola Ancora Toro.

È una dedica d’amore alla squadra di Torino, che dopo tante fatiche, non perde la sua gloriosa storia e torna sui campi europei. 

È passato tanto tempo dai fasti degli anni ‘40, ma come una volta, ancora oggi…nel cuore c’è la squadra granata. A cantarla, in origine, i calciatori simboli di quel Torino: Cravero, Policano, Bianchi, Ezio Rossi. I proventi del singolo andarono in beneficienza a Casa Ugi: ecco come la musica aiuta il calcio a fare del bene.

Nel 2000 con un arrangiamento più moderno, Valerio Liboni insieme a Vittorio De Scalzi diede nuova linfa a questo inno.

Dal 1993 nelle presentazioni della squadra c’è sempre un gruppo musicale di grande fascino: gli STATUTO. Musicisti eclettici, capaci di creare melodie con innovativi arrangiamenti orchestrali. Tifosissimi del Torino, prima di realizzare quella che sarebbe stata anche la sigla di QSVS (Facci un gol), gli STATUTO fecero una autentica dedica alla loro squadra. Nel 2006, quando il Torino tornava in Serie A dopo un purgatorio nella serie inferiore, il gruppo pubblicava l’album Toro – sette magici inni. In quel progetto venivano reinterpretati tutti gli inni storici della squadra. Da lì ecco che anche gli STATUTO divennero cantanti ufficiali secondo la Curva Maratona. Ovviamente non c’è alcuna diatriba, in questo senso, con Liboni. Il calcio è bello proprio per quella sua capacità di unire una tifoseria: se lo fa in musica ancora meglio. È quella l’arte capace di rendere tutto più prezioso e importante: persino le amicizie.

In fondo, quando si parla del Torino, gli avversari hanno sempre una certa riverenza. Persino la sua storia musicale lo testimonia.

Cesare Cremonini nel nuovo singolo affronta le contraddizioni dell'essere umano
Cesare Cremonini aveva già cantato Stella di mare nella sua tournée estiva. Ora il magico duetto con Lucio Dalla è un singolo


Cremonini che duetta con Dalla in “Stella di mare” è la perla del mese

Così Cesare Cremonini fa rivivere Lucio Dalla. Nove anni dopo la sua scomparsa, il cantautore di Attenti al lupo è di nuovo nelle radio con un altro suo grande classico, Stella di mare. A cantarla insieme a lui è proprio Cremonini che, già nel tour estivo negli stadi, aveva emozionato i fan con questo duetto virtuale. Da ieri la canzone è a tutti gli effetti un nuovo singolo, che conferma la straordinaria contemporaneità di Dalla.

A 43 anni dalla sua prima uscita, Cremonini fa tornare Stella di mare a risuonare nelle radio e nelle case degli italiani.

È proprio Cesare a prendere il primo celebre attacco del brano, introdotto solo da un eco lontano. Lo si ascolta e già lo si confonde per Lucio, che invece arriva un po’ più tardi. “Che le stelle della notte fossero ai tuoi piedi, potessero essere meglio di quello che vedi”. Con questa strofa Dalla, che ancora non ci capacitiamo possa averci lasciato, interviene nella canzone. Incredibile la somiglianza tra questi due cantautori così eclettici, romantici e originali. Solo Cremonini, probabilmente, poteva osare un duetto così magico con Dalla. Non è solo una questione di timbro vocale, ma anzitutto di filosofia musicale. Entrambi bolognesi, amanti della musica raffinata, fatta di atmosfere celestiali, tra pianoforte e archi emozionanti.

Stella di mare è la dedica alla persona amata che giace nel letto durante la notte, talmente bella da non potere rinunciare a essere guardata.

Altri tempi, altra poesia. Il brano, tratto dal l’album Lucio Dalla, faceva compagnia all’epoca a Cosa sarà. Insomma parliamo davvero di una musica che oggi ci possiamo sognare, si direbbe. In effetti si sogna veramente con Cremonini e Dalla. La forza di questo progetto è nell’avere mantenuto ritmi e suoni originali. Nessun riadattamento melodico, né alcun cambio di velocità per “stare al passo coi tempi”. Cremonini conferma che la vera poesia non ha bisogno di ritocchi. Al massimo, può essere cantata insieme, ma comunque in punta di piedi, con il rispetto dovuto.

Insomma questa è un’operazione intelligente e importante, che permette di far conoscere ai più giovani uno dei pezzi più belli della musica italiana.

E se Cremonini omaggia Dalla, ecco che Valentina Persia ricorda Gabriella Ferri.

Non lo fa con un duetto, ma con una reinterpretazione (anch’essa molto fedele all’originale) di Nina, si voi dormite. Tanta verace romanità in questa nuova incisione che ci propone un’immagine di Valentina diversa da quella cui siamo abituati. O, per meglio dire, ci restituisce quella di una donna che, non a caso proprio come Gabriella Ferri, lavorò anche col Bagaglino. E lo fa benissimo, con una voce roca e altresì piena di sentimento (oltre che intonata).

Praticamente una cantattrice coinvolgente, che ci fa volare con questa serenata. Anche qui si tratta di una dedica a una persona che sta dormendo, e che ci si augura possa sognare l’amore.

Belli questi modi di tramandare la musica italiana alle generazioni più giovani che, come normale che sia, questa settimana attendevano con ansia anche il ritorno di Fabri Fibra.

È uscito il singolo, estratto dal suo ultimo album, Caos. In questa canzone, che oggi arriva in radio ma il pubblico conosce ormai da mesi, il rapper canta con Lazza e Madame. Che mondo sarebbe quello senza amore? Semplice, un mondo immerso nel caos e privo di punti di riferimento. Così i tre cantano l’amore in un modo ovviamente diverso da quello di Cremonini o della Persia, con ritmi e suoni ultramoderni. Ma pur sempre di amore si parla: i sentimenti non cambiano in fondo nel corso delle epoche.

È sempre lo stesso Lazza a guidare l’hit parade dei singoli più venduti, con il featuring che lo protagonista insieme a Hype e Delarosa in Ferrari. Al secondo posto, da questa settimana, i Pinguini Tattici Nucleari: la loro Ricordi convince e molto. L’autunno è appena iniziato, ma sembrano esserci già importanti indicazioni musicali. Perché no, anche guardando al passato.

Spezia, l’inno è orgoglio di non essere cambiati
La tifoseria dello Spezia nell’inno è omaggiata per la sua capacità di spingere a volare “il nido di rapaci”


La storia dell’inno dello Spezia, in Serie A dall’anno scorso


Lo Spezia è una delle squadre più giovani per la storia della Serie A. Portata alla storica promozione dall’attuale allenatore della Fiorentina, Vincenzo Italiano, la squadra ligure è nel calcio che conta solo dalla scorsa stagione. Certo non sono mancate per lo Spezia, importanti sfide anche nel passato. Su tutte si ricordano ovviamente quelle con la Juventus nel campionato di B del 2006. L’anno dopo la squadra sarebbe fallita e quindi radiata. Ripartì così dalla categoria Dilettanti prima di fare una lenta (ma nemmeno troppo) risalita.

Lo Spezia più di ogni altra squadra, insomma, sa cosa voglia dire soffrire e rialzarsi per essere ancora più grandi.

Quel che va sottolineato è l’orgoglio dei tifosi che, negli anni, non dimenticano le loro origini e i trascorsi. A confermarlo è la musica. Nel nostro viaggio tra gli inni di calcio, questa settimana ci piace analizzare quello dello Spezia.

La canzone, Non siete soli, è infatti ancora lo stesso dal 2009, anno in cui cadde nel baratro la squadra, ma non la passione dei suoi supporter. Così, a distanza di tempo, quel pezzo è ancora rappresentativo di una società, nel frattempo ricostruita e arrivata a lottare nella massima serie. Tuttavia, al contrario di quel che accade generalmente quando si cambia l’inno in virtù di un successo importante, Non siete soli è rimasto fedelmente associato alla squadra.

A comporre e cantare il brano è il cantautore Riccardo Borghetti, grande tifoso dello Spezia.

Si tratta del primo e unico storico inno. Nella canzone si paragona la squadra a un nido di rapaci, che viene spinto a volare e crescere sempre di più dal coro dei tifosi. Suggestiva questa immagine poetica, che vuole la curva gioiosa come a una festa popolare. Tutto ciò a conferma di uno spirito sportivo nel suo senso più profondo del termine.

Così i rapaci diventano persino delle aquile, in grado di arrivare in alto oltre ogni avversità. E persino oltre le più rosee aspettative. Anche per questo, l’inno dello Spezia diventa profetico circa il percorso del club ligure che, nel giro di dieci anni, fa una scalata incredibile.

La canzone sente tutta l’influenza della musicalità di Borghetti, con la sua chitarra elettrica. Un vero e proprio rock pop convincente, che carica la squadra nella tradizione degli antenati (descritti come un covo di pirati).

Così il ritornello, con una passione che si unisce alla capacità di aspettare degna della tifoseria, recita queste parole.

Non siete soli, non siete soliStiamo aspettando che l’aquila voliNon siete soli, non siete soliStiamo aspettando nel cielo che l’aquila voli

Niente sembra lasciato al caso: anche la voce calda di Borghetti pare avere un significato importante. Esprime infatti il calore e la grinta di una città che merita tutto questo affetto. Perlomeno in virtù della dichiarata fiducia nei valori sportivi. Oggi come oggi, anche dichiarazioni di vicinanza alla squadra come queste non sono affatto banali. I valori sportivi, in qualunque serie si giochi, devono rimanere essere gli stessi.

Giordana Angi, Ferreri, Pinguini: le novità musicali della settimana
La canzone di Giordana Angi, Un autunno fa, è un escalation di emozioni che sale con le sue note fino a fare esprimere al meglio la cantautrice

Giordana e Giusy cantano amori finiti, con reazioni diverse. I Pinguini emozionano

A distanza di un anno dall’ultimo album, riecco Giordana Angi. La cantautrice, emersa ad Amici nel 2019, ieri 23 settembre è tornata alla ribalta con un nuovo struggente brano. La canzone si intitola Un autunno fa ed anticipa il prossimo progetto discografico, che ancora non ha una data di uscita ma è particolarmente atteso dalla stessa Giordana. La ragazza ha infatti confessato che considera questo LP il suo primo vero disco. C’è da attendersi pertanto un grande lavoro, che rappresenta la cantautrice nel suo profondo.

Se il buongiorno si vede dal mattino, questa volta Giordana sembra aver proprio superato se stessa.

Un autunno fa è una ballad struggente, che racconta tanti rimpianti per un amore che non è riuscito a sopravvivere. Mentre tutto fuori resta uguale, la protagonista della canzone vede la sua esistenza rivoluzionata. Vorrebbe riavvolgere il nastro e tornare a un anno fa, assaporando la vita diversamente e cambiando certe parole dette. Da un anno infatti nulla ha più un senso, il giorno si confonde con la notte. Un omaggio a De Gregori e uno a Milano, impreziosiscono il testo di elementi in cui è facile riconoscere la nostra quotidianità.

In questa canzone, Giordana Angi usa la stagione dell’autunno come metro di misura del tempo.

Ripete quindi che vorrebbe tornare a “un autunno fa” per ricostruire la sua vita. Un brano davvero profondo, che tuttavia nasconde tra le righe un segreto positivo: la grinta della protagonista, che ora comprende come ripartire. La vera forza la scopriamo quando capiamo che non possiamo seguitare a crogiolarci in quel che ci fa stare male. Giordana Angi, quindi, con questa canzone si rivolge in particolare a quelle persone che si sentono sole e che hanno voglia di un brano romantico per se stessi.

L’arrangiamento, composto con Antonio Iammarino e Gabriele Cammarozzo, su una melodia che fa esprimere al meglio la voce potente di Giordana, è la ciliegina sulla torta. Questa canzone farà tanta strada. Chissà che non ci accompagni fino a Sanremo 2023.

E di un amore finito parla anche Giusy Ferreri nel nuovo singolo estratto dal suo album, Federico Fellini.

In questo caso, più che rimpianti si respira una totale apertura verso quel sentimento che non si è spento e può comunque trasformarsi positivamente.

Emozioni e ricordi di un amore si accavallano come in un film di Federico Fellini. E sembra proprio di vedere le immagini di Amarcord davanti ai nostri occhi mentre ascoltiamo la canzone di Giusy. Le atmosfere romantiche e nostalgiche più che malinconiche, con quel velo di magia che il regista amava porre, sono questa volta trasformate in musica. L’autunno porta molto bene alla Ferreri (ricordate il successo che ebbe Novembre?). Tra qualche settimana sapremo se il tormentone di fine 2022 sarà suo.

Mentre le classifiche Fimi vedono ancora al secondo posto, in pianta stabile ormai da settimane, la divertente Giovani Wannabe, i Pinguini Tattici Nucleari lanciano un nuovo singolo.

La band bergamasca si conferma la grande rivelazione musicale del momento, anche grazie alla loro poliedricità. Il brano con cui provano a bissare il successo estivo si intitola Ricordi, ed è ben diversa dai pezzi a cui ci hanno abituati. La canzone è infatti una romanticissima (ritmata e ballabile) dedica a una donna che, a causa di una malattia neurodegenerativa, perde mano a mano i ricordi. È il suo compagno di una vita a raccontarle di tanto in tanto quel che hanno vissuto insieme. Lui, per lei, ormai rappresenta solo ciò che le suggerisce il momento. In un mondo drammaticamente pieno di fantasia, anche lui decide di fare un viaggio con la mente. Lo fa appunto attraverso i ricordi della loro vita in coppia, cambiata fisicamente ma rimasta giovane, forse inesperta, nell’animo.

Alla fine la lacrima scappa, questo brano è probabilmente il vero salto di qualità dei Pinguini Tattici Nucleari, mai banali nei loro testi che qualcosa insegnano sempre.

Da segnalare, tra le uscite della settimana, anche il ritorno dei Gazosa dopo tanti anni con il brano Gentleman, Irene Grandi con E poi, Nesli con Salvami.

Nell’hit parade degli album più venduti, intanto, Eros Ramazzotti sale al secondo posto: il suo Battito infinito conferma che per la bella musica, fortunatamente, c’è ancora molto spazio.

Tra successi internazionali e cori da stadio: gli inni del Napoli
Il Napoli quest’anno cerca il suo terzo scudetto. Chissà che qualcuno non stia pensando a un inno per festeggiare l’eventuale trionfo: in fondo l’inno ufficiale fu realizzato contro ogni scaramanzia prima di vincere nel 1987


L’inno ufficiale del Napoli fu composto, contro ogni scaramanzia, qualche mese prima dello scudetto nel 1987

A disen la canzun la nas a Napoli. Lo dice persino Giovanni D’Anzi nella sua celebre O mia bela Madunina, che si rivela in qualche modo un omaggio alla città partenopea e alla sua musica. Oggi probabilmente, all’indomani della vittoria che lancia gli azzurri in vetta alla classifica di Serie A, i tifosi milanisti faranno un po’ più di fatica a sciogliersi in complimenti, ma la storia è indiscutibile: Napoli è la patria della canzone italiana. Non fa eccezione, in questo senso, la passione melodica che accompagna la squadra calcistica da sempre.

Nella puntata di questa settimana di MusiCalcio, quindi, raccontiamo la storia dell’inno del Napoli.

Gli azzurri hanno sempre potuto fregiarsi di inni piuttosto importanti per tutta la musica italiana. A cominciare da O’ surdato ‘nnamurato. La canzone, scritta nel 1915 da Aniello Califano, non è stata ovviamente pensata per la squadra di calcio che all’epoca ancora non esisteva. Tuttavia, quella storia malinconica di un soldato che parte per la guerra e deve abbandonare gli affetti promettendo amore eterno, viene cantato da sempre al termine di ogni partita dai tifosi del Napoli. Sarà l’atmosfera gioiosa sul celebre ritornello “Ohi vita, oh vita mia”, sarà la voglia di cantare a squarciagola la passione per la squadra che rappresenta un motivo di orgoglio per la propria esistenza in ogni tifoso, la canzone appare ogni volta come una grande occasione di festa.

Tutto rigorosamente con il disco che riproduce nello stadio la voce originale di Massimo Ranieri. Napoli, dunque, come primo e ultimo amore di una vita che non ammette tradimenti. E se questa canzone emoziona tutta Italia, a distanza di oltre un secolo dalla sua composizione, immaginatevi cosa possa rappresentare per ogni cittadino campano.

Nel 1987 la squadra allenata da Ottavio Bianchi vinse il suo primo scudetto.

In quell’anno un grande cantautore, dal successo internazionale, gira il film Quel ragazzo della curva B, che racconta proprio lo storico trionfo di Maradona e compagni. Ovviamente stiamo parlando di Nino D’Angelo che, con quella pellicola diretta da Romano Scandariato, si rivelò profetico, oltre ogni scaramanzia. Il Napoli, infatti, all’epoca delle riprese non aveva ancora vinto il campionato: ecco che la fantasia arrivò prima della realtà. Evidentemente il trionfo era nell’aria e, preveggenti, i napoletani l’avevano già intuito.

Nel film, il ragazzo protagonista partecipa a tutte le partite della squadra del cuore, assistendo in curva. Il grido di battaglia è in una canzone che ripete proprio: “Napoli, Napoli, siamo quelli della curva B”. 

Il brano, decisamente orecchiabile, diventa così l’inno dei tifosi, complice ovviamente il trionfo finale. Si tratta di un pezzo strumentale, già presente nel film La discoteca (protagonista sempre il biondissimo Nino), riarrangiato per l’occasione come un grande pop anni ’80. Non si rinuncia, nell’utilizzo degli strumenti e nell’interpretazione di D’Angelo, al gusto neomelodico che caratterizza l’inimitabile canzone napoletana.

Impossibile tuttavia dimenticare l’altro inno adottato dalla curva. Parliamo di O mama, mama. Nell’originale versione interpretata da Nilla Pizzi e dal Duo Fasano negli anni Quaranta, la protagonista ammetteva di avere il corazon battere forte per la visione di “un bel muchacho”. Ad attribuire un nome preciso ci pensarono quarant’anni dopo proprio i tifosi del Napoli. Quel muchacho sarebbe diventato, senza dubbio per nessuno, Maradona. Idolo dei tifosi, protagonista dei due tricolori e del successo argentino al Mondiale ’86, il più grande numero 10 di sempre è un’icona in città. Nessuno può descrivere davvero quanto.

Nel corso degli anni resta questa di Nino D’Angelo la canzone che più rievoca l’amore calcistico per il Napoli.

Ad oggi è ritenuto l’inno ufficiale. La verità è che la città del Mare Chiaro gode davvero di una grande storia musicale. Ogni brano di Carosone, Mario Merola, Gigi D’Alessio, Tullio De Piscopo, Roberto Murolo e chi più ne ha più ne metta, potrebbe rappresentare la città anche sotto il profilo calcistico. Il motivo è molto semplice: i napoletani sono un vero popolo. Nessuno più di loro sa cosa significhi appartenere a una curva, intersecando l’orgoglio sportivo con quello campanilistico. Anche per questo, al pari di O’ surdato ‘nnamurato, i tifosi cantano spesso Napulè, dell’immenso Pino Daniele.

Certo parliamo comunque di canzoni adottate ormai da anni. Chissà che D’Angelo e D’Alessio, impegnati nel loro tour Figli di un re minore, non stiano facendo gli scongiuri e, guardando la classifica, non prospettino un possibile nuovo inno…

 

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