Non è un “necrologio” da vivo, come afferma ridendo.
Il ritratto di una “Treccani vivente” della Musica tutta. Giò Alajmo, giornalista professionista, cronista e critico musicale, ha curato due libri di storia del pop, anche autore teatrale. Ha realizzato qualche migliaio di interviste e recensioni.
Parlare con lui è un viaggio attraverso la storia della musica, da Beethoven passando per Bach per approdare al Rock.
Le sue narrazioni, impastate di ricordi indelebili e la verve del vero cronista innamorato di musica, sono documenti di rara bellezza.
La tua, una vita vissuta tra musica e arte. Quando hai avuto sentore di ciò?
Ho avuto la fortuna di essere cresciuto a pane e musica; nella mia famiglia se ne ascoltava tanta. Ho la stessa età del Rock’n’roll , ma il mio primo amore è stato Cajkovskij. Grazie ancora ad una scuola dell’obbligo che sapeva appassionare a quello che davvero conta.
Comincio ad undici anni a suonare il pianoforte e molto presto scrivo per passione su piccoli giornali di Parrocchia o riviste ancora ciclostilate dove in seguito esprimo il mio giudizio sulla musica che si ascoltava allora. Ho sempre avuto una grande curiosità.
Qual è stato il primo disco ad entrare in casa tua?
Il primo disco di Fabrizio De Andrè che scoprii grazie a mio padre.
Quando hai scelto il giornalismo come professione?
Per caso; non pensavo in realtà di fare il giornalista. A metà degli anni ‘70 quando avevo solo 21 anni, il direttore del Gazzettino, padre di un mio amico, mi propose di lavorare per il suo giornale. Ero un giovane con la passione per la politica e la musica. I giornali, l’informazione, la lettura, un vizio di famiglia. Inizio come cronista a Venezia, ma durò poco. Con uno dei primi stipendi comprai una chitarra che portai in redazione: questa fu galeotta. Mi fu chiesto se suonassi, dissi si- faccio Rock- perché non ne scrivi?
Da lì non ho più smesso…
Il tuo modo di parlare di musica ha preso da subito una direzione “ostinata e contraria”?
Ho sempre cercato di comunicare senza seguire la corrente del gossip, dando alla musica la valenza e l’importanza che i giovani che l’ascoltavano le riconoscevano.
Nella tua lunga e fortunata carriera, quali gli incontri che non puoi dimenticare?
Sono tantissimi, ma un momento fondamentale è stato a Venezia alla Gondola D’oro, nel settembre del ‘69, dove ero andato per conto mio. Terminata la cerimonia improvvisarono a sorpresa un concerto i Vanilla Fudge, fu il mio primo vero concerto Rock, una folgorazione per me che ero ancora inconsapevole del fatto che quindici giorni prima c’era stato Woodstock a segnare per sempre la storia della musica.
I Deep Purple altro gruppo importante per me; il batterista con cui suonai una volta, mi disse che, riuniti per la prima volta, avevano comprato tutti i dischi dei Vanilla Fudge per studiarli.
I dischi di Simon & Garfunkel che i miei amici mi facevano ascoltare, con i quali scoprii e cominciai ad apprezzare le armonie.
Giornalista, iscritto alla SIAE come autore di brani e testi teatrali, ideatore del premio della critica a Sanremo nel 1983, diventato poi Mia Martini, scrittore. Giò sei tutto questo?
Sono tanti modi diversi di fare delle cose; fanno parte di me in egual modo. Io prima ho messo le mani sugli strumenti e solo molto dopo, ho cominciato a raccontarla. In questo momento sto girando i teatri con un orchestra di 10 elementi e uno spettacolo in cui come se fosse un grande articolo, un concerto- racconto, dove la leggenda di Woodstock rivive con gli aneddoti, i ricordi di Joe Cocker, uno dei grandi protagonisti.
Se dovessi mettere in scena uno spettacolo a raccontare la tua vita, quale sarebbe la colonna sonora?
Bob Dylan, Rolling Stones, Jimi Hendrix. Il libro “Blues ballate e Canzoni” di Bob Dylan tradotto da Stefano Rizzo con la prefazione di Fernanda Pivano può essere il mio vero incipit. La mia storia comincia così.
Se dovessi dare un consiglio ad un giovane giornalista musicale ?
Studia tanto, leggi. Ascolta più che puoi, nutriti di concerti dal vivo, lascia da parte le cuffiette. Confrontati con i musicisti, cerca di capire cosa stanno facendo sul palco, è una filosofia di vita. Ricorda che più la musica è rumorosa tanto più è necessario stare attenti ai silenzi.
Ogni generazione ha il diritto di avere la propria musica e ciò che la rappresenta, anche se sembra orribile alla generazione precedente.
Tre Concerti tra i concerti?
1971 Led Zeppelin al Vigorelli di Milano, 1979 i Queen a Zurigo , 1981 The Wall dei Pink Floyd a Dortmund. Erano gli anni dei lunghi viaggia fatti di notte in cui noi, forzati del Rock , eravamo costretti ad andare all’estero perché niente arrivava in Italia.
Questo viaggio in auto con Giò potrebbe durare all’infinito, vorresti non finisse mai. Scorrono immagini che raccontano di palchi, visti così da vicino che ti sembra di toccarli, che hanno fatto la storia. Parole che trasudano tutta la passione di chi la musica, l’ha vissuta da protagonista e da innamorato.
Non smettere di raccontarla Giò.