Il nostro incontro con Edoardo Bridda, direttore di Sentireascoltare, alla scoperta della sua redazione.
Titolo della testata: Sentireascoltare
Tipologia: web
Qual è il pubblico a cui si rivolge? Variegato. Dal 15enne al sessantenne. Chi ci legge di più sono universitari e trentenni.
Che spazio viene dato alla musica? Quasi completo. Il restante è cinema
Musica di tutti i tipi o qualche genere in particolare? Molti generi: tutti i derivati del rock, jazz ma anche musica classica, per il teatro, molta elettronica, Hip Hop, naturalmente, trap, sperimentale a vario titolo. Folk e tradizionale. Etnica e fusion.
Perché avete scelto di trattare solo la musica italiana o internazionale o perché entrambe? No geography: da sempre parliamo di buona musica senza badare alle geografie.
Come si esprime l’unicità della testata? Quali le caratteristiche che la rendono unica?
Il modo di trattare l’argomento, variegato come i generi che trattiamo ma rientrante in una cornice, chiamala se vuoi linea editoriale. Difficile spiegare in poche parole; diciamo che la quadra la si trova selezionando e maturando con gente che unisce passione, un ampio bagaglio di ascolti e culturale. Non da meno, testi che informino, guidino e siano anche belli da leggere, a livello di narrativa e di italiano scritto. Alcuni sono più divulgativi altri possono essere super tecnici: dipende dall’argomento, dal genere trattato e dalla penna che scrive.
Da quando esiste la testata? Dal 2002
Qual è stato il percorso di crescita? Siamo passati attraverso tutte le trasformazioni web, dagli inizi a oggi. Dai forum all’esperimento del magazine mensile in pdf a pagamento, dal sito statico a quello WordPress.
Come descrivereste la vostra immagine e impostazione grafica?
Istituzionale e anche un poco datata. Arriverà presto un restyle.
Quanto pesano per voi i social nella divulgazione del vostro progetto?
Abbastanza, ma è più Google che ci aiuta a far arrivare i nostri contenuti alla gente. Sul motore di ricerca compariamo abbastanza spesso scrivendo keyword come Beatles, Brian Eno…
Tra i social, quale trovate quello più efficace?
Senz’altro Facebook. Twitter in Italia non funziona se vuoi veicolare contenuti culturali. E’ per l’informazione al volo. Facebook, anche via sponsorizzate, ti permette di far arrivare un articolo quasi esattamente a chi è interessato a leggerlo e poi crea un po’ la community che era dei forum.
Chi è il direttore e qual è la linea che ha impostato in tema di musica?
Sono io (ndr. Sorride). La linea editoriale non si spiega univocamente perché non impongo a nessuno un pensiero o un atteggiamento nei confronti di generi o stili. Ognuno, se ben giustificato e se ben argomentato, può dire la sua. Fondamentale è comunque la contestualizzazione. Qualsiasi cosa può esser vista in tanti modi ma ogni cosa ha un contesto, e conoscere quello è fondamentale per criticare.
Che rapporto avete con gli uffici stampa? Buono
Esiste ancora la concorrenza tra testate? Se si, come superarla? Molto meno. Forse non c’è più! La gente litiga meno per la musica e per le classifiche e questo è un po’ il segno dei tempi.
Quali per voi, almeno due testate di riferimento per il vostro ambito/settore?
Internazionali: Pitchfork, Wire, Consequence Of Sound, Fact.
Musica Intorno nasce dai versi di Ivano Fossati, per diventare un luogo democratico, in cui, a prendere la parola sono la gavetta, le rinunce, la tecnica e lo stile che hanno portato e continuano a portare gli esponenti di ogni ambiente musicale a confrontarsi con il palco. Ovunque esso si trovi.
Tipologia Musica Intorno è la webzine dalle #goodvibrations che pubblica contenuti originali con cadenza giornaliera.
Qual è il pubblico a cui si rivolge? Il pubblico di riferimento è alquanto eterogeneo: spaziamo dai ragazzi, che fruiscono il mondo musicale in modo veloce e distratto, agli addetti del settore che guardano alle nostre pubblicazioni con vivo interesse, agli artisti e ai musicisti che vedono curata e tutelata la loro immagine professionale.
Che spazio viene dato alla musica? La musica è – e rimane al centro di ogni testo pubblicato su Musica Intorno: quelle buone vibrazioni che si allargano come onda sonora in continua espansione, fino ad arrivare dritto al cuore di chi ci legge.
Musica di tutti i tipi o qualche genere in particolare? La musica non dovrebbe essere costretta in una gabbia dettata dalle tendenze del momento e dallo streaming online. La approfondiamo tutta: dal pop al rock, con incursioni nel metal; dal jazz al blues, passando per la classica; dal rap alla trap con un’attenzione particolare al genere folk della tradizione italiana.
Perché avete scelto di trattare solo la musica italiana o internazionale o perché entrambe? Il linguaggio della musica è universale e non conosce confini geografici né accenti stranieri. Musica Intorno si occupa di musica a 360°, privilegiando, per comodità di espressione artistica, quella italiana, ma strizzando l’occhio allo scenario internazionale.
Come si esprime l’unicità della testata? Quali le caratteristiche che la rendono unica? La caratteristica peculiare di Musica Intorno è quella di offrire al lettore, che abbia voglia di approfondire un argomento pubblicato all’interno del nostro magazine, un punto di vista assolutamente originale che non riuscirebbe a trovare da nessun’altra parte.
Da quando esiste la testata? La prima pubblicazione viene messa online il 6 aprile 2016: il testo, “Les Paul vs Strato”, vuole rendere omaggio a chi la musica la fa, la suona, la vive. La conferenza stampa di presentazione è avvenuta al MA di Catania, il 1° maggio dello stesso anno, con la sala concerti gremita di gente. Un’emozione che ci porteremo per sempre dentro!
Qual è stato il percorso di crescita? In soli tre anni Musica Intorno è riuscito a raccontare la musica, passando dalle piccole realtà di provincia alle grandi personalità artistiche italiane e internazionali. Tre esempi su tutti: i Duran Duran all’Home Festival, l’eterno agosto di Alvaro Soler e una portavoce del nostro Belpaese nel mondo, Laura Pausini.
Come descrivereste la vostra immagine e impostazione grafica? Quando abbiamo cominciato a ragionare l’impostazione grafica e l’immagine che avrebbero dovuto rappresentare il concetto di Musica Intorno, ci siamo detti che la semplicità sarebbe stata l’arma vincente: grafica minimale e logo accattivante.
Quanto pesano per voi i social nella divulgazione del vostro progetto? Fare comunicazione oggi significa appartenere a un mondo che corre veloce e si evolve rapidamente: concetti da veicolare attraverso parole significative e significanti e un’immagine che lasci il segno. Il tutto, confezionato ad hoc per le piattaforme social, che rappresentano la nuova terra di conquista mediatica.
Tra i social, quale trovate quello più efficace? Il buon caro vecchio Facebook, nonostante tutto, rimane ancora un social da sfruttare; contestualmente, però, in una civiltà che vive di immagine, come la nostra, risulta molto efficace pubblicare anche su Instagram, per raggiungere un altro target di fruitori con un linguaggio più giovane e immediato.
Chi è il direttore e qual è la linea che ha impostato in tema di musica? Il direttore editoriale di Musica Intorno è Gino Morabito, già abitante delle redazioni musicali e habitué della scrittura creativa. L’unica regola che si è dato – e che continua a seguire scrupolosamente – è scrivere di musica con passione e in profondità, curando ogni pubblicazione come un pezzo unico da collezione.
Che rapporto avete con gli uffici stampa? Alessandra Amoroso, Piero Pelù, Roberto Vecchioni, sono solo alcuni tra i profili delineati su Musica Intorno, frutto della stima crescente nei confronti di un magazine, che si avvale di una redazione qualificata che cura ogni singola pubblicazione riguardante un artista, facendo trasparire il suo lato umano, prima ancora del personaggio.
Esiste ancora la concorrenza tra testate? Se sì, come superarla?
Musica Intorno non si è mai interrogata sul senso della concorrenza tra testate, preferendo piuttosto dimostrare con la qualità altissima di ogni singola pubblicazione, quante competenza, passione e professionalità scendano in campo ogniqualvolta si metta online un testo.
Quali per voi, almeno due testate di riferimento per il vostro ambito/settore? Potremmo sembrare presuntuosi, ma abbiamo deciso di non guardare alle altre testate di settore per ridefinire, di volta in volta, gli orientamenti che il magazine Musica Intorno dovrà seguire per essere vincente.
Stefano Duranti Poccetti è il direttore del Corriere dello Spettacolo: lo abbiamo incontrato per farci raccontare il progetto della sua testata.
Titolo della testata: Corriere dello Spettacolo
Tipologia: Si tratta di un quotidiano web
Pubblico a cui si rivolge: pubblico variegato, trattando la cultura nelle sue innumerevoli sfaccettature.
Che spazio viene dato alla musica?
La musica è trattata in modo consistente.
Musica di tutti i tipi o qualche genere in particolare? In particolare, musica colta, ma c’è spazio anche per tutti gli altri generi.
Perché avete scelto di trattare solo la musica italiana o internazionale o perché entrambe? Trattiamo la musica sia italiana sia internazionale perché è importante avere un’apertura a 360 gradi sul mondo.
Come si esprime l’unicità della testata? Quali le caratteristiche che la rendono unica? Credo che la nostra unicità sia espressa dal nostro stesso motto: “In quanto uomo posso fallire, ma la mia idea la devo esprimere”. Vogliamo dire che non esiste una verità oggettiva ma esistono tante verità soggettive, quindi, la cosa fondamentale è quella di essere leali verso noi stessi.
Da quando esiste la testata? E’stata creata nel 2011.
Qual è stato il percorso di crescita? Abbiamo iniziato come blog per poi diventare testata giornalistica nel 2012. All’inizio eravamo pochissimi a scrivere, ma poi, sono stati molti i collaboratori ad aderire da tutta Italia. Nell’arco degli anni ci siamo fatti conoscere nell’ambiente e spero che riusciremo a farlo sempre di più.
Come descrivereste la vostra immagine e impostazione grafica? Per immagine intendi il nostro logo? Si tratta di un teatro stilizzato, che credo centri con pienezza i nostri obiettivi. Dal punto di vista grafico, nel 2016 il sito del giornale è stato rifatto completamente, perché potesse avere uno stile più professionale e perché si potessero inserire più sezioni.
Quanto pesano per voi i social nella divulgazione del vostro progetto? Hanno pesato molto all’inizio, nel 2011. A quel tempo eravamo veramente in pochi a utilizzarli per fini professionali e quindi funzionavano alla grande. Poi però le cose sono cambiate e adesso ormai vengono utilizzati da tutti. È per questo che ultimamente li stiamo un po’ tralasciando.
Tra i social, quale trovate quello più efficace? Sicuramente Facebook, l’unico sistema veramente aperto; gli altri sono circuiti chiusi.
Chi è il direttore e qual è la linea che ha impostato in tema di musica? Il direttore è Stefano Duranti Poccetti, che è anche la persona che finora ha risposto alle vostre puntuali domande. Io personalmente sono molto legato alla musica colta, poi si sono uniti anche collaboratori interessati anche ad altri tipi di musica e così il tutto è diventato più variegato.
Che rapporto avete con gli uffici stampa? Un ottimo rapporto, anche se purtroppo non possiamo accontentarli tutti (se vedessi la mia casella email capiresti) e questo mi dispiace. Però se possiamo collaboriamo volentieri.
Esiste ancora la concorrenza tra testate? Se sì, come superarla? Non credo esista la concorrenza tra testate, anche se qualcuna ci ha tirato dei colpi un po’ sleali; una in particolare, per esempio, si è posta un nome molto simile al nostro… in ogni caso andiamo avanti e per quanto mi riguarda non abbiamo delle rivalità con nessuna testata.
Quali per voi, almeno due testate di riferimento per il vostro ambito/settore? Non abbiamo testate di riferimento. Io nasco come critico e non ho mai letto gli articoli degli altri prima di scrivere il mio. Quando ho detto questo ad alcuni critici, ci sono rimasti male e la cosa gli è parsa strana, ma per me è così: bisogna cercare di rimanere il più puri possibile.
Patrizia Simonetti è entrata nel mondo del giornalismo dalla porta della radio, sua grande passione da sempre, iniziando da un’emittente di quartiere ai tempi delle dediche, passando poi per Radio Roma e Radio Radio fino a Isoradio Rai e Rai Radio 3, per un’agenzia di stampa radiofonica e per testate cartacee come L’Adige, Il Fatto Quotidiano e La Sicilia. Oggi dirige la testata online SpettacoloMania.it occupandosi di musica, cinema, TV e teatro. Da quando ha preso in mano la videocamera non l’ha più mollata e se qualcuno la vede senza, si preoccupa… Collabora con Voci.fm e saltuariamente con Radio Antenna 1 e Italia On Air. Si occupa anche di Ufficio Stampa.
Scrivere di musica, cosa vuol dire per te?
Veicolare una passione che ho da sempre e far conoscere artisti che hanno qualcosa da dire, quando ne hanno.
Qual è stata l’intervista musicale che più ti ha dato soddisfazioni?
A parte quella con Samuele Bersani di cui ero un po’ invaghita come molte ragazze dell’epoca – parliamo del 1994 e come si vede dalla foto eravamo entrambi giovanissimi – sicuramente l’intervista a Ligabue, Piero Pelù e Jovanotti in occasione de Il mio nome è mai più, pezzo del 1999 contro le guerre, i cui proventi andarono ad Emergency. Un tema che sentivo e sento tutt’ora molto; e poi trovarmi davanti tre artisti di quel calibro, tutti insieme, fu davvero emozionante. Ma anche l’ultima, quella con Eros Ramazzotti che a dispetto delle aspettative si è rivelato molto simpatico e disponibile.
Quale la situazione ideale per intervistare un artista?
Dipende da che tipo di intervista devi fare: se è una video, diventano importanti la luce, lo sfondo e naturalmente l’inquadratura e non dovrebbe esserci troppa confusione intorno, così come per un’intervista audio. Se invece l’intervista uscirà scritta, l’ideale è un bel divano dove poter parlare con calma e tranquillità. In ogni caso più tempo hai a disposizione, migliore sarà l’intervista.
Quali sono i segnali che ti fanno capire che l’intervista che stai facendo sta procedendo bene? Il feedback più importante ti arriva direttamente da chi stai intervistando, dalle sue espressioni: se vedi che sorride o “perde tempo” per darti risposte articolate mostrando interesse per la tua domanda, hai fatto centro.
Ci sono delle situazioni che in un’intervista ti indispongono?
Quando – ad esempio – chiedo una cosa e mi rispondono altro. Oppure se mentre sto realizzando l’intervista, passa qualcuno e l’intervistato/a si ferma, si gira, saluta, si mette a parlare e quasi si dimentica di me. Lo trovo scortese e irrispettoso nei confronti del nostro lavoro. Ma capita.
Come scegli un servizio giornalistico?
Cerco sempre di considerare il target della testata a cui lo propongo, così come faccio anche per SpettacoloMania.it. E poi colgo le occasioni. Ma di solito si tratta sempre di temi e di persone che mi piacciono. Vabbè, quasi sempre…
La tua telecamera non ti abbandona mai: come scegli le immagini migliori per confezionare il servizio?
Bella domanda… Mi piacerebbe poter scegliere sempre anche in base a una certa estetica, come ti dicevo prima, ma spesso bisogna accontentarsi perché le situazioni in cui riprendo non sempre sono ideali. Scelgo però i momenti più salienti o divertenti dell’evento, considerando anche l’audio che dev’essere buono; l’immagine non può mai sostituire in toto le parole e quindi il senso del tutto.
Quale il tuo rapporto con gli uffici stampa?
Anche qui dipende; con alcuni molto buono, con altri burrascoso. Ma da quel che sento è così un po’ per tutti i colleghi. A volte non capiscono che fai qualcosa per te ma anche per il personaggio o l’evento che loro stanno promuovendo, anche se non sei il Times, per intenderci.
C’è un personaggio in particolare che vorresti intervistare?
Musicalmente parlando, Vasco Rossi. Non sono mai riuscita ad incontrarlo a tu per tu. E, con un grande salto di generazione, i Maneskin: credo che siano davvero un fenomeno.
Siamo prossimi al Festival di Sanremo: che sentori hai? La nuova “Riforma Baglioni” come ti sembra?
Parli della categoria unica? Sinceramente non saprei dirti se il fatto che i ragazzi selezionati da Sanremo Giovani competano con i big possa essere un vantaggio per loro oppure no; poi dipende anche dai big che ci saranno. Credo comunque che perdano visibilità perché al Festival saranno soltanto due e dubito che le serate di Sanremo Giovani siano seguite come la kermesse di febbraio.
Quale consiglio daresti a un giovane che oggi sceglie di intraprendere la strada giornalistica?
So bene che dovrei consigliargli di non aspettarsi troppo, di ricordargli che il settore è in crisi e che non sempre i sogni si realizzano. Invece gli direi semplicemente di seguire la sua passione e di mettercela tutta, ma soprattutto di non accettare di lavorare gratis per nessuno in cambio di “visibilità”: oggi per quella basta aprirsi un sito, un blog o dire qualcosa di interessante sui social. Il lavoro va pagato, sempre: è una questione di dignità, umana e professionale.
Oltre alla musica, quali sono i settori di cui ti occupi?
Di cinema, TV, teatro e doppiaggio; seguo proiezioni, presentazioni ed eventi, persino i red carpet dove però fare una buona videointervista è davvero un’impresa!
Amadeus spegne trenta candeline
La musica classica al passo con i tempi moderni.
Un autorevole mensile con trenta anni di vita che ha avuto molteplici momenti di crescita e di adeguamenti ai tempi che via via imponevano nuove strategie di selezione sia dei repertori proposti, sia dei contenuti redazionali.
Da un periodo iniziale in cui il cd era da poco sul mercato, fino al momento che ha visto nascere un’agguerrita concorrenza che aveva, Amadeus ha individuato un mercato e un canale di vendita favorevole.
L’edicola si è rivelata per molti, compresi i quotidiani, un facile veicolo di diffusione, non solo di musica, ma di qualsiasi genere di prodotto legato al mondo della cultura. Ne abbiamo parlato con il direttore del mensile, Gaetano Santangelo.
Un mensile instancabile: quale la decisione redazionale di uscire ad agosto e con quali tematiche fate fronte a un mese così delicato? Una redazione come quella di Amadeus, aveva (e ha) un costo anche nei mesi meno favorevoli e solo con la presenza in edicola è possibile far quadrare i conti.
Il collezionista rimane tale anche quando è in vacanza e, in ogni caso, è disposto a qualsiasi sacrificio per non perdere l’oggetto della sua passione. Per il musicofilo, agosto è un mese come un altro.
A quali lettori si rivolge Amadeus? Il lettore di Amadeus non è solo un appassionato e un melomane, ma deve possedere quel tanto di curiosità per la musica e per la sua storia da non ritenere soddisfacente la sua collezione di cd perché gli manca proprio l’ultimo pubblicato da Amadeus.
Ecco perché da molti anni a questa parte i cd di Amadeus sono tutti inediti e realizzati in esclusiva per la rivista.
Su quali basi strutturate il piano redazionale di un anno? Un mensile di cultura musicale deve compensare e far convivere storia e attualità. Siamo quindi attenti alle ricorrenze importanti e a quanto si produce musicalmente a livello nazionale e internazionale.
I nostri collaboratori sono in genere attenti osservatori di quanto avviene nei teatri e nelle sale da concerto e sono prodighi di suggerimenti.
Salvo quindi per gli inevitabili appuntamenti dati dalle ricorrenze, il mensile nasce mese per mese e non ha un piano redazionale, almeno per quello che riguarda i servizi. Altro discorso se parliamo delle rubriche, che costituiscono lo scheletro del giornale e ne caratterizzano, mese dopo mese, i contenuti.
Ma di questo potrebbe essere più precisa Paola Molfino, capo redattore di Amadeus
12 cd allegati per 12 numeri: come scegliete le produzioni? Tutta musica classica? Per poter far quadrare il bilancio mensile della nostra produzione discografica dobbiamo porci dei limiti che solo salvo rare eccezioni possiamo eludere:
evitare repertorio soggetto a diritti d’autore (ed è un limite grave per le nostre scelte);
evitare che si ripeta lo stesso periodo storico, strumentale, ecc.
In sintesi…
…variare il più possibile il repertorio. Se prendiamo in considerazione la sequenza del 2018 abbiamo: Brahms(orchestra e solisti), Mozart (Ciccolini), Tartini(Orchestra e solista), Bruckner (Orchestra) ecc.
Poi abbiamo alcuni cd cameristici e musica barocca. Tutto ciò può sembrare casuale, ma è frutto di attente ricerche che effettuo con l’aiuto del responsabile artistico Andrea Milanesi.
Che futuro hanno i cd nel repertorio classico? Non sentono la crisi? Quando ci preoccupiamo del futuro della musica significa che abbiamo perso di vista il vero motivo della crisi, che riguarda il sistema di riproduzione, il supporto: sarà ancora il cd o tutto confluirà nella rete e sarà quindi disponibile con nuovi e forse inediti sistemi di riproduzione?
Di cosa si occupa la monografia “Speciale Amadeus”? Gli speciali Amadeus, che sono stati in passato un autentico supplemento del mensile e con i quali abbiamo prodotto incisioni indimenticabili e di grande successo come
L’estro armonico di Vivaldi,
la Petite Messe di Rossini,
la Selva Morale e Spirituale di Monteverdi fino all’integrale della musica per pianoforte di Ravel e le Sonate e Partite per violino di Bach, sono stati sospesi per evidenti ragioni legate alla crisi che ha colpito l’editoria e, in generale, la musica riprodotta.
Come considerate le contaminazioni della musica classica? Noi abbiamo un profondo rispetto pere i nostri lettori.
Preferiamo che il percorso che ci allontana dai generi non nasca da imposizioni, ma sia frutto di una maturazione. Ma quando l’occasione si presenta ed è qualitativamente inattaccabile allora un piccolo atto d’imperio ce lo permettiamo e invitiamo il lettore ad uscire dal suo guscio legato prevalentemente al genere cosiddetto classico e a fare nuove esperienze.
Ecco allora che lo invitiamo all’ascolto di Paolo Fresu che propone il Laudario di Cortona rivisitato in chiave jazz. La sorpresa è data dal fatto che è stato particolarmente gradito dai lettori, che hanno così dimostrato di essere stati sottovalutati.
Avete delle sezioni per trattare la musica non propriamente definita “classica”? Fin dal primo numero abbiamo dedicato una rubrica al jazz, curata da Fanco Fayrenz, e successivamente una alla musica che appartiene al mondo del pop, rock e alla canzone d’autore, curata da Riccardo Santangelo.
Quali i progetti di sviluppo futuro di Amadeus? Il futuro, anche a causa dell’età, non mi appartiene. Il futuro è della musica di cui, come disse Duke Ellingtion, conosco due soli generi: quella bella e quella brutta.
La musica, secondo te, è in crisi? Non credo si possa parlare di crisi della musica, che secondo me gode di ottima salute.
Amadeus: solo cartaceo o anche in web? Amadeus è in rete con un sito particolarmente vivace e seguito da molti appassionati.
Amadeus Factory: un talent della musica classica? Di cosa si tratta? Amadeus Factory è un talent che grazie alla fervida fantasia e determinazione del nostro collaboratore Biagio Scuderi ha trovato uno spiraglio libero e ha saputo rinnovare la tradizione del concorso nell’ambito classico prendendo a prestito modalità presenti nel mondo della musica pop e inserendoli abilmente nel contesto più tradizionalista della musica classica.
Giancarlo Passarella è l’anima di Musicalnews
Il Babbo dei fan club e delle fanzine in Italia…
Sul profilo Twitter di Giancarlo Passarella, trovate scritto: ”Il babbo dei fan club in Italia … Il biografo della saga dei Dire Straits… Il re del gancio… Lo speggio… L’assessore rock alle cantine d’Italia… “: sarebbe bello avere il tempo di analizzare la storia che sta dietro ad ognuna di queste qualifiche. Nel frattempo, collegatevi a Musicalnews per scoprire “Le notizie che gli altri non hanno”.
Qual è il percorso che ha portato Musicalnews a diventare quello che è oggi?
Difficile riassumere in qualche battuta un percorso di ben 4 lustri; diciamo che anche oggi (come ai nostri inizi) manteniamo fede allo spirito che ci muove. Infatti Musicalnews.com è l’emanazione comunicativa di tutta la nostra casa madre ovvero l’associazione culturale (senza scopo di lucro) Ululatidall’Underground, fan club & fanzine meeting of Italy.
Nella nostra pagina redazionale compare infatti l’atto notorio che sancisce ogni nostra iniziativa, oltre ovviamente i recapiti dei nostri associati che scrivono su questa realtà comunicativa assai anomala. Infatti non abbiamo pubblicità…
Notizie in tempo reale o approfondimenti?
Entrambe le realtà! Cerchiamo di essere aggiornati sia con le news (ma queste le possono avere anche altre testate), sia con articoli che vanno a fondo su uno specifico aspetto musicale. Per questo le rubriche di maggior successo sono le interviste e le recensioni.
Attorno a Musicalnews, quali azioni si muovono?
Di solito l’indotto diventa evidente con le media partnership, quando il nostro logo compare su iniziative che riteniamo interessanti, come i festival, le tournée o anche gli incontri ed i workshop.
Quale spazio hanno gli emergenti su Musicalnews?
Con orgoglio ti dico, quasi il 50%: cerchiamo di trattare un artista famoso accanto ad uno che ci sembra meritorio anche se giovane, alternativo o sconosciuto.
Sei il precursore dei fanclub e delle fanzine: come si è modificata la loro azione nel tempo?
Essendo espressione della comunicazione, anche loro hanno seguito/anticipato il modus operandi di ogni nuova generazione, ma purtroppo è andata svanita la scintilla iniziale e lo spirito underground.
Un esempio…
Nei bei tempi andati, chi voleva costituire un fan club lanciava l’appello e sperava che qualcuno rispondesse, costituendo così il nucleo iniziale di un fan club.
Poi ci si cominciava a muovere, si stampava una fanzine e si sperava che l’artista trattato ti considerasse e volesse incontrarti.
Ora il termine fan club, al 90% è una misera operazione commerciale che nasce dallo staff dell’artista e che concede ai fan veramente poco margine di manovra e di amore reciproco.
Essere dentro un fan club con questa tipologia ed avere solo la possibilità di entrare prima ad un concerto, mi sembra veramente poca cosa.
Un tempo i fanclub si riunivano in veri e propri raduni: oggi?
Purtroppo siamo sullo stesso terreno della risposta di prima! Sono pochi i raduni istintivi, fatti da fan e che non siano invece da classificarsi come operazioni commerciali.
Quali sono oggi, secondo te, i fanclub più attivi?
Trovo ancora interessante il lavoro di Bar Mario (dedicato a Ligabue), ma soprattutto i ragazzi de I Lupi di Ermal mantengono ancora vivo lo spirito primordiale del nostro movimento. Non è stata la Mescal (la casa discografica di Ermal Meta) ad organizzarli, ma sono nati spontaneamente.
Conosci realtà di fanclub attivi e operativi anche su realtà artistiche più piccole?
Qualcosa c’è, ma ahimè non a sufficienza per poter dire che il movimento sia ancora qualcosa di interessante sul fronte aggregazione o che possa interessare (come ai tempi andati) studiosi di sociologia.
Cosa vuol dire per te essere un punto di riferimento nel mondo della musica?
Beh, la cosa mi inorgoglisce, ma contemporaneamente mi responsabilizza! Io però continuo a vivere a Firenze, fuori dai “giri” importanti romani e milanesi e quindi un po’ sono penalizzato.
Ma allora esisti fisicamente? Il racconto…
Voglio raccontarti un episodio recente: parte il tour nuovo di Claudio Baglioni e alla tappa fiorentina (che rappresentava l’inizio di tutto) viene accreditata qualche decina di giornalisti, con tanto di cena pre concerto ed incontro con l’artista a fine show a notte inoltrata.
Un’esperienza interessante e nei due momenti ho notato che tutti gli altri giornalisti facevano gruppo, perché si vedevano costantemente, dal Festival di Sanremo ai vari showcase. Quando mi sono presentato, qualcuno mi ha salutato (perché eravamo in contatto telematicamente, ma non ci eravamo mai visti prima) mentre altri hanno fatto delle battute dal retrogusto agrodolce del tipo ”Ma allora esisti fisicamente? Non ti vediamo mai! …Ragazzi, venite qui: vi presento un’istituzione del nostro mondo!”
La tua partenza professionale è stata con la Radio: quali i tuoi ricordi?
Devo alla radio l’occasione che mi ha fatto vincere la timidezza, ma sono grato alla radiofonia perché da quella strada sono entrato (a gamba tesa) nello showbiz.
Il 20 Giugno del 1976 (a soli 17 anni) ho fatto il mio esordio all’allora Radio Sondrio, mentre in Rai ho esordito (grazie a Luca De Gennaro e Serena Dandini) il 14 Febbraio 1986, parlando su RadioUno ovviamente di fan club, fanzine e demotape.
Sei anche autore di libri: quale il tuo capolavoro ad oggi?
Ho scritto 7 libri musicali, di cui uno sulle migliori 30 canzoni di Ligabue e gli altri sui miei amati Dire Straits e spero che tu sappia che era logico che lo facessi, dato che dall’Ottobre del 1983 dirigo Solid Rock, il fan club a loro diretto.
Negli ultimi 4 anni invece ho pubblicato due libri sul legame tra mondo medico e musica, tra i benefici che crea una canzone e la nostra vita sociale.
Tutto questo partendo da quell’intuizione del filosofo C.G.Jung che è la sincronicità, poi fatta proprio da Sting con l’ultimo disco dei Police.
Pensi di aver scoperto qualche artista in particolare?
Nel mio secondo anno a RadioUno, mandavo in onda dei brani tratti dai demotapes che gli artisti mi mandavano: li citavo anche nei resoconti che davo alla Siae e quindi qualche soldo gli è pure arrivato.
Tra i tanti che il pubblico voleva risentire, c’erano i Goppions (con una 17enne Irene Grandi a cantare), i rodati ORAZERO (ed il Liga in primo piano) e gli E.S.P. ed i Crazy Mama, dove si muovevano quelli che adesso sono conosciuti come Bandabardò: mi piace poi ricordare che in quelle trasmissioni erano molto apprezzati Lino e i Mistoterital, con i quali poi ho collaborato nel loro demenziale esordio discografico, intitolato Bravi.. ma basta.
Oltre al biennio 1986/87, con RadioUno ho collaborato più recentemente: come presidente della giuria che operava nei vari tour in giro per l’Italia a sostegno del programma “Demo” (con Michael Pergolani e Renato Marengo), ho conosciuto,apprezzato e sostenuto un buon numero di giovani artisti che ora fortunatamente hanno un po’ di visibilità come Ermal Meta, Tenedle, Marydim, Simone Cristicchi, Katres, Nathalie, Puntinespansione. Due di loro hanno sfondato, ma anche gli altri meriterebbero…
Progetti futuri?
Il mio problema è riuscire a vivere di tutto quello che faccio. Infatti, ore ed ore al giorno sono dedicate ad Ululati dall’Underground (compreso Musicalnews.com) e quindi sono non profit.
Non ho mai avuto uno stipendio e quindi ogni giorno devo crearmi consulenze che mi diano la possibilità di contribuire al bilancio familiare… sennò le bollette le paga solo quella santa donna di mia moglie!
Su cosa sono basati i workshop con cui giri l’Italia?
Raccontano i vari aspetti del nostro mondo, così da far capire ai giovani come si muove la discografia, la radiofonia e la stampa in genere: riuscire ad intuire come lo showbiz lavora, può fortificare un cantante esordiente nel fare i giusti passi e non perdere tempo (e soldi) in strade e persone inutili.
Sei notoriamente critico verso realtà famose…
Apprezzo il fatto che tu abbia usato il termine “critico” e non quello di polemico, perché la critica porta dentro anche la disponibilità a collaborare per migliorare. Per questo sono orgogliosamente critico verso alcune fiere dove si millanta l’aiuto ai giovani musicisti; non apprezzo alcuni talent show e sono veramente arrabbiato nei confronti di certe programmazioni tv e radiofoniche…
Cos’è Il Re del Gancio?
Prodotto sempre da Ululati dall’Underground, è un format radio che conduco dall’Ottobre 2007 e che regalo alle piccole radio che me lo chiedono: 10 minuti quotidiani in un cui aggancio una rockstar ad un esordiente. La gente canticchia il primo brano (da Vasco Rossi ai Pink Floyd, dai Led Zeppelin ad Emma Marrone) e poi ascolta il brano dell’artista giovane che voglio segnalare: così agendo, il programma non va in onda in orari impossibili, ma in prime time. Attualmente le radio che lo mandano in onda sono un centinaio, di cui 5 all’estero.
U.d.U. Records: cos’è?
U.d.U. è l’acronimo di Ululati dall’Underground ed è l’etichetta discografica della nostra associazione: è ovviamente non profit e quindi noi facciamo promozione a quel disco, dando gli utili esclusivamente all’artista giovane coinvolto. Ovviamente la usiamo solo quando una bella produzione non trova sfogo in una vera etichetta e quindi decidiamo di pubblicare il disco come U.d.U. Records facendo così girare l’artista che altrimenti resterebbe sconosciuto.
Aretha Franklin, la voce di un’epoca
Un’eroina musicale dei giorni nostri.
La vocazione è qualcosa che non si può spiegare: arriva e basta. Può palesarsi presto oppure più in là nel tempo ma in ogni caso è parte di un destino non scritto, capace di condizionare la vita di una persona.
Non a caso, spesso e volentieri, chi si trova protagonista della cosiddetta “chiamata” non può far altro che lasciarsi trovare pronto e accettare il susseguirsi degli eventi.
Lo sapeva benissimo Clarence LaVaughn Walker, predicatore battista famoso a livello nazionale, che nel corso della sua vita riuscì a ritagliarsi un posto di tutto rispetto nell’America della seconda metà del ‘900 e che cavalcò con grande passione la sua vocazione religiosa.
Vocazione che tramandò alla figlia Aretha, partecipe – insieme alle sorelle – della vita religiosa del padre, cosa che le portò ad essere di sovente coriste durante le celebrazioni sacre e le funzioni clericali.
Ma se quella del padre fu una vocazione con un fine più sacro, quella che colpì la figlia Aretha Louise Franklin fu una vocazione artistica e, ancor più, musicale.
Destinata a diventare una delle icone indiscusse della musica Soul, R&B e Gospel, Aretha Franklin ha da sempre nutrito una profonda passione per il canto, cosa che la condusse tra gli anni ’60 e gli anni ’80 a diventare la vera ed unica Queen of Soul (La Regina del Soul) di tutti i tempi.
Un talento che l’ha resa unica nel panorama mondiale tanto da farle vincere addirittura 21 Grammy Awards di cui 8 consecutivamente, tanto da definire per quel decennio il premio come “Aretha Award”.
Una personalità ed un carisma che fin dalla giovane età furono insite nella natura della cantante che, grazie all’aiuto del padre, iniziò ad incidere i suoi primi dischi all’età di 14 anni.
Se dobbiamo però analizzare la lunga linea cronologica della carriera di questa fenomenale artista ci sono alcuni momenti significativi capaci di definire al meglio quella che poi diventerà una delle icone musicali di maggior successo.
Il 1967 è l’anno della prima vera svolta, ovvero il passaggio dalla Columbia Records alla Atlantic Records, cosa che segnò indelebilmente la sua carriera, grazie anche alla fiducia datagli dai produttori Jerry Wexler e Arif Mardin che la vollero vedere incidere suonando anche il pianoforte.
Gli anni ’60 furono un decennio musicalmente florido per la cantante natia di Memphis, oltre alla celebre Respect, che è diventata la sua canzone simbolo, tra i singoli di successo. Di quegli anni si ricordano Chain of Fools, (You Make Me Feel Like) A Natural Woman, Think e Baby I Love You.
Gli anni ’70 furono un periodo non facile; la emergente disco music stava prendendo il sopravvento e anche se Aretha Franklin col suo timbro e la sua potenza vocale risultava grandiosa, il successo di critica e di pubblico scivolavano lentamente.
La rinascita però era alle porte e negli anni ’80 risalì in classifica grazie a numerose collaborazioni con artisti del calibro di George Michael (I Knew You Were Waiting (For Me)) o George Benson (Love All the Hurt Away) e ancora con Sisters Are Doing for Themselves in duetto con gli Eurythmics.
Quella che entrò maggiormente nella storia di questo periodo fu la sua partecipazione al film The Blues Brothers nei panni della moglie de Matt “guitar” Murphy e l’esecuzione del suo successo Think.
Ma dove possiamo ritrovare la potenza di questa donna? Perché oggi possiamo felicemente definirla icona?
Partendo dalla situazione socio-politica degli anni ’60 e la costante lotta all’apartheid, Aretha Franklin diventa simbolo di questa lotta, anche grazie al rifacimento della canzone di Otis ReddingRespect, a cui viene allargato il significato alle minoranze afro-americane e a tutti gli statunitensi.
Una donna “eroina” musicale capace di stravolgere il concetto di canto con la sua voce potente e la sua impareggiabile estensione vocale, cosa che la portò ad avere la possibilità di modularla raggiungendo sia note basse che acuti inarrivabili.
Aretha Franklin era una accanita fumatrice e questo provocò un’alterazione delle sue tonalità vocali negli anni ’80 che da una parte le permisero di avere un tono più grave e dall’altro le impedirono di raggiungere quella tanto amata estensione vocale che era il suo marchio di fabbrica negli anni ’60.
Quello che ancora oggi stupisce è quanto la fama di questa artista sia ancora oggi incommensurabile e quanto celebri cantanti e artisti l’abbiano presa a modello, come esempio di vita e di musica; basti pensare a Anastacia, Alicia Keys, Beyoncé, Mary J. Blige, Usher, Giorgia ed Elisa che hanno tratto ispirazione dalla Regina del Soul.
Un’icona che mancherà tanto al mondo della Musica ma che, come se il suo destino fosse stato scritto, certamente verrà ricordata e onorata sempre per l’apporto che ha saputo dare al mondo intero.
Una Donna con la D maiuscola che è stata in grado di catalizzare su di sé il sentire di quegli anni ’60 trasformandoli in arte e, grazie alla sua voce è entrata con pieno diritto a far parte della vita musicale dell’intera popolazione mondiale.
a cura di Victor Ventureelli
Quanto guadagna l’artista?
Passaggi in radio: orientamento per gli addetti ai lavori.
Ti sei mai chiesto come vengono ripartiti i diritti sui passaggi in radio del tuo brano?
Nella pratica, dare una risposta a questa domanda non è semplicissimo: esistono dei criteri ben precisi in base ai quali possiamo fare due calcoli.
Prima di tutto va fatta una distinzione tra emittenti nazionali (RTL 102.5, Radio Deejay, Radio 105) e l’infinito mondo delle emittenti locali.
Le emittenti nazionali…
Forniscono alla Siae dei report analitici in base ai quali è possibile controllare quali pezzi siano stati messi in onda e in base alla fascia oraria, alla durata del passaggio e a come il brano sia stato effettivamente utilizzato dall’emittente.
Vengono applicati dei coefficienti.
Operativamente, la Siae, per tutte le emittenti nazionali, monitora le singole utilizzazioni di ogni Opera per determinarne la durata; il “coefficiente 1” è costituito dal valore attribuito alla fascia oraria di trasmissione dell’opera mentre il “coefficiente 2” rappresenta il valore attribuito alla funzione più o meno protagonista della musica.
Il prodotto di questi due fattori corrisponde al valore della singola utilizzazione che, sommato a quello delle altre utilizzazioni della stessa opera, ne determina il valore complessivo per l’emittente.
In sintesi è un calcolo sia sul singolo utilizzo sia sui complessivi messi in onda.
Tale valore viene rapportato agli incassi complessivi dell’emittente, ottenendo il cosiddetto “punto radiofonia” che, moltiplicato per il valore della singola utilizzazione darà finalmente il “maturato”, cioè il quantum dei diritti d’autore da corrispondere agli aventi diritto, al netto di una percentuale, detta “aggio“, pari a circa il 14% di quanto raccolto, che la Siae tratterrà per sé a copertura delle spese amministrative.
Come vedi, il discorso è piuttosto tecnico!
Per le emittenti locali…
ll discorso è leggermente diverso, in quanto, nonostante sia stato di recente introdotto l’obbligo di monitoraggio anche per queste emittenti, non tutte si sono ancora adeguate. La procedura viene in gran parte – ancora – effettuata dalla Siae attraverso il sistema del fingerprinting audio, ovvero un sistema di rilevamento automatico delle musiche, trasmesse da un campione rappresentativo di emittenti locali italiane.
Se è vero che questo sistema è oggettivamente incapace di fornire una rappresentazione fedele di ciò che viene effettivamente trasmesso in Italia, sappi che viene largamente utilizzato in gran parte del mondo.
Sono certo che tale sistema venga utilizzato anche per le web radio, di cui parlerò prossimamente in un approfondimento dedicato.
Ti chiarisco che se speri di battere cassa grazie ai passaggi radiofonici, hai sbagliato mestiere perché concretamente, il guadagno netto per un Artista sul singolo passaggio è davvero minimo.
Quello che potrebbe aiutarti è la frequenza con la quale il tuo brano viene trasmesso. Questo perché per la Siae, il brano di un emergente vale esattamente quanto il brano del più grande cantante italiano.
La differenza sui profitti sta, appunto, esclusivamente nel numero di passaggi.
Se vuoi saperne di più, puoi controllare i dettagli sulle modalità, i criteri e le tempistiche di ripartizione degli incassi, in un documento chiamato Ordinanza di Ripartizione, che trovi sul sito www.siae.it e che ogni anno viene deliberato.
A cura di Giuseppe Della Mura
Andrea Spinelli: il Rock è la mia passione
Più Stones che Elvis, più Zeppelin che Beatles.
Andrea Spinelli scrive di musica e, all’occorrenza, anche del resto. Attualmente collabora con il Quotidiano Nazionale (Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino), con Il Mattino, anche se nel suo curriculum ci sono almeno venticinque altre testate tra quotidiani e periodici. Oltre a scrivere di spettacolo ha realizzato numerosi reportage di carattere storico-culturale in diversi angoli del pianeta.
Quando hai scoperto che il giornalismo sarebbe diventato il tuo lavoro? Quando ho capito che avrei potuto vivere raccontando le cose. Nel frattempo, però, i tempi sono cambiati e oggi, mantenersi con il lavoro giornalistico indipendente come il mio è diventato più difficile di un tempo.
Come nasce la tua passione per la musica? Al liceo, con i compagni. Poi nelle prime radio libere degli anni Settanta. Ma in casa mia, di (buoni) dischi ce ne sono sempre stati.
Quali sono i criteri che usi per scegliere un servizio? Di solito sono i servizi a farsi scegliere. Spesso per una serie di dettagli da cui arriva poi l’idea su cui costruire il pezzo.
Hai un genere musicale prediletto? Il mio primo articolo parlava di Umbria Jazz e il jazz è rimasta una componente importante della mia formazione. Ma la passione è sempre stata il rock. Più Stones che Elvis, più Zeppelin che Beatles.
Cosa non manca mai nelle tue interviste? La voglia di raccontare le cose senza farmi condizionare più di tanto dagli interlocutori o dalle situazioni.
C’è un’intervista in particolare di cui conservi un ricordo indelebile? Facendo questo mestiere da 35 anni, molte. McCartney che ti chiama a casa e ti dice “Hi, it’s Paul”, o gl’incontri con Keith Richards, David Bowie, Bruce Springsteen, George Harrison, Fabrizio De André, Lucio Dalla. All’inizio il mio grande sogno era quello d’intervistare tutti e quattro i Pink Floyd. Quando ci sono riuscito, mi sono detto: e adesso che faccio?
Sei per l’intervista preparata e studiata o sei solito andare a braccio? Studiata e (quando possibile) preparata come si deve. Puoi andare a braccio in un’intervista televisiva, dove basta avere una qualche cognizione, tanto c’è il supporto delle immagini, ma non in una per la carta stampata.
Qual è il luogo o la situazione più congeniale per fare un’intervista? Ritrovarsi faccia a faccia con l’intervistato in una situazione di relax senza stringenti vincoli di tempo. E avere la fortuna di trovarlo in buona giornata col desiderio di mettersi in gioco per davvero. Facendo numerose interviste la settimana, pure da parte mia è importante essere nello stato giusto.
Come definisci il tuo stile di scrittura, quello che ti rende riconoscibile? Cerco, per quanto possibile, di mettere nel pezzo delle notizie, di dare dei dati e delle informazioni in modo non troppo convenzionale, magari indugiando sui legami che un dato progetto ha con altre forme artistiche o culturali. Perché nello spettacolo tutto è uno.
Web e carta stampata: com’è cambiato oggi il giornalismo? Quale prediligi? A mio modo di vedere il compito del web e delle radio dovrebbe essere quello di lanciare le notizie, mentre la carta stampata dovrebbe spiegarle. Siamo, infatti, bombardati da news (a volte fake) ma poco abituati ad approfondirle, ad ordinarle e a trovare il filo che unisce une alle altre.
Quali ritieni siano le testate musicali di maggiore riferimento? Apprezzo Amadeus, ma anche Rolling Stone, per i legami con l’edizione americana. Sul web Jam ha contenuti spesso interessanti.
Cosa ti aspetti dagli uffici stampa che ti contattano quotidianamente? Professionismo. Di dilettanti in giro ne sono già abbastanza. Non ci si improvvisa giornalisti e tanto meno uffici stampa.
Siamo prossimi al festival di Sanremo, seconda edizione di Baglioni: come lo immagini? Più del direttore artistico, in Riviera conta il livello delle canzoni presentate. Baglioni ha dimostrato di saper scegliere, ma la partita è nelle mani dei compositori. Sono loro, infatti, che portano al Festival una o più canzoni capaci di farsi ricordare. Quindi, da questo punto di vista, non resta che augurarsi una buona annata.
Che consiglio dai ai giovani che oggi vogliono approcciare al giornalismo? Pensateci bene. La passione è una componente importante per iniziare a fare questo mestiere, ma poi serve pure il resto. Bisogna tenere sempre vive la curiosità, l’attitudine ad unire i puntini, l’obbligo morale a verificare le cose senza timore di diventare una voce critica. Tutti scrivono, infatti, ma il blogger è altra cosa rispetto al giornalista, che ha delle regole da rispettare e degli obblighi verso chi lo legge.
Andrea Spinelli è social? Piuttosto asocial, direi. La mia presenza su FB o Instagram è decisamente irrilevante. Su Twitter ho 1.100 follower e vorrei tanto capire il perché, tenuto conto che in vita mia ho fatto solo 5 tweet (tre dei quali a Tom Petty per aggiornare un’intervista). Vallo a capire.
Scrivere di Musica su Famiglia Cristiana
Eugenio Arcidiacono e le sue passioni, diventate lavoro.
Nato orgogliosamente a Torino nel 1975, Eugenio Arcidiacono ha iniziato a fare il giornalista per il settimanale Piemonte Sportivo e per il settimanale di cronaca La nuova periferia. Dopo la laurea in scienze della Comunicazione, ha frequentato il Master in giornalismo dell’Ifg di Milano e ha collaborato con Tv Sorrisi e Canzoni, prima di approdare a Famiglia Cristiana, con cui ha realizzato due inchieste che gli hanno permesso di vincere il premio “Vergani” Cronista dell’anno nel 2008 e nel 2017. Si ritiene molto fortunato perché è riuscito a trasformare le sue due più grandi passioni, il cinema e la musica, nel suo lavoro. Oggi suona il pianoforte in un gruppo jazz e la chitarra per far addormentare ogni sera il suo bambino.
Come nasce la tua passione per la musica? Da bambino mio zio mi faceva sentire fino allo sfinimento le canzoni di Lucio Battisti. Da lì è nata una passione per lui che dura tuttora. Ma soprattutto mio papà decise di iscrivermi a una scuola di pianoforte. L’idea era di fare di me un pianista classico. Invece a 16 anni mi sono ritrovato in una band heavy metal. Da allora ho sempre continuato a suonare in gruppi frequentando tutti i generi. Attualmente suono in un quartetto jazz e mi diverto tantissimo. Per quanto riguarda la musica, nel mio lavoro, è un elemento importante, ma per fortuna non l’unico. A Famiglia Cristiana, infatti mi occupo di spettacoli in generale, spaziando dalla musica, al cinema, alla Tv. Anche se la mia specializzazione, in realtà, è il giornalismo d’inchiesta. Sono fortunato, ripeto, perché lavoro in un giornale che mi consente di coltivare tutte queste mie passioni.
Quale musica ascolti? Per me non esistono generi musicali, ma solo musica bella o brutta. Se però devo fare alcuni nomi di artisti che mi porterei sull’isola deserta dico Lucio Battisti e Fabrizio De André tra gli italiani, i Beatles, i Led Zeppelin, i Pink Floyd e i Radiohead tra gli stranieri, Miles Davis e Bill Evans per il jazz, Bach e Beethoven per la classica.
Come scegli le ”storie di musica” da raccontare? La scelta è legata al giornale per cui lavoro. Non siamo una rivista specializzata, ma un familiare e quindi ci interessano gli artisti che abbiano una storia particolare da raccontare sotto questo profilo o perché nelle loro canzoni affrontano tematiche a noi care come il rispetto dei diritti umani. Oppure siamo interessati a esplorare fenomeni che ai nostri lettori più anziani possono risultare poco comprensibili, come il successo del rap.
Qual è la situazione ideale per fare un’intervista? Senza alcun dubbio dal vivo, meglio ancora in un luogo a cui l’artista è legato come potrebbe essere casa sua. Ciò perché essendo appunto interessato solo marginalmente all’aspetto puramente artistico, cerco il più possibile di fare emergere il lato umano. Ricordo per esempio con grande affetto un intero pomeriggio trascorso con Antonello Venditti a Roma con lui che mi faceva da “cicerone” sui luoghi a lui cari, alcuni dei quali gli hanno ispirato delle canzoni, e poi a casa sua, ricca di foto, di premi e un’enorme televisore in cui guarda le partite della Roma con il suo grande amico Carlo Verdone.
Sei solito preparare l’intervista o vai a braccio? La preparazione dell’intervista è la parte che in assoluto richiede più tempo nel mio lavoro, ma credo che poi sia quella che faccia la differenza. Ovviamente poi non seguo mai la scaletta delle domande, ma improvviso a seconda di quello che l’intervistato mi dice; ma cercare di saperne il più possibile su di lui credo sia doveroso per chi fa il giornalista, non solo musicale.
C’è un elemento che non manca mai nelle tue interviste? Come dicevo prima, cerco di fare emergere il lato umano dell’artista: i suoi ricordi d’infanzia, i suoi sogni, le sue paure, senza tuttavia mai scadere nel puro gossip. Se poi non stona nel contesto della conversazione, gli faccio anche qualche domanda sul suo rapporto con la fede, dal momento che lavoro per Famiglia Cristiana. Ma non è assolutamente obbligatorio.
Ti è mai capitato di fare una domanda che non avresti dovuto fare? Come hai rimediato? Tante volte. Per quanto uno cerchi di prepararsi, la gaffe è sempre in agguato. Ricordo per esempio di aver chiesto a una cantante il rapporto con suo padre e lei mi ha detto che era morto da poco… In questi casi, chiedo scusa e vado avanti.
Qual è l’intervista che ti ha regalato più emozioni? In campo musicale, quella a Franco Battiato prima di un suo concerto: in questi casi, gli artisti, di solito hanno poca voglia di parlare, tanto più me l’aspettavo da lui che aveva la fama di burbero. Invece ho trovato un uomo spiritosissimo e disponibilissimo, soprattutto quando ha capito che conoscevo le sue canzoni e la sua vita. Ecco perché è necessario prepararsi bene a un’intervista: è la chiave per aprire un po’ il “cuore” di chi ti sta davanti ed evitare le risposte preconfezionate che purtroppo si leggono molto spesso. Ma l’intervista che forse mi ha regalato più emozioni è stata quella con Massimiliano Pani negli studi di Lugano dove registra sua madre Mina. Eravamo solo io e lui e ogni cosa, gli strumenti, le foto, persino le sedie, parlavano di lei, tanto che avevo l’impressione che uscisse fuori da un momento all’altro.
Qual è il tuo rapporto con gli uffici stampa degli artisti? In genere buono: loro fanno il loro lavoro e io il mio e se c’è collaborazione alla fine sono tutti soddisfatti. Gli unici che non mi piacciono sono quelli che non sanno minimamente con chi stanno parlando: come fai a proporre il disco di un cantante noto per i suoi attacchi alla Chiesa a un giornale come Famiglia Cristiana? Potrebbe anche essere interessante, perché noi siamo aperti a tutto, ma mi devi far capire che sai per chi lavoro. Oppure al contrario mi è capitato di essere chiamato varie volte “don Eugenio”, dimostrando la non conoscenza del fatto che a Famiglia Cristiana, direttore a parte, i giornalisti sono tutti laici.
Quali sono secondo te le migliori testate musicali sul mercato? Devo confessare che non leggo giornali specializzati: dovendomi occupare un po’ di tutto e dovendo scrivere per un giornale generalista cerco di leggere il più possibile i quotidiani, dal Manifesto a Libero. Se però devo fare un nome, dico il sito Ondarock: le recensioni di solito sono fatte molto bene.
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