Intervista al giovane cantautore e producer romano, fuori con il nuovo singolo “Eterno”

Matteo Costanzo
Matteo Costanzo si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del singolo “Eterno”

Dopo aver collaborato con Wrongonyou, Ultimo e Leo Gassmann, per Matteo Costanzo è arrivato il momento di tornare a proporre la sua nuova musica. “Eterno” è il titolo del singolo rilasciato lo scorso 15 gennaio, un brano che mette in evidenza le sue doti da autore e produttore.

Quale significato attribuisci alla parola “eternità”?

Quello che non ha una fine né un inizio. Gli dei per esempio sono eterni, e ci invidiano, perché tutte le nostre esperienze hanno una fine e quindi un valore inestimabile

In un momento storico delicato come questo, l’amore può essere realmente una cura? 

Sicuramente è l’assenza di contatto umano ciò che ci sta facendo più male, il distanziamento sta creando dei danni più gravi dell’emergenza stessa, a mio avviso. L’amore, almeno per me, è l’unico rapporto vero che ancora mantengo.

Matteo Costanzo 1
La copertina di “Eterno”

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone?

La creazione, quando inizio un brano non so mai cosa succederà, ogni volta è una sorpresa ed è quello che più amo: prima c’è un silenzio e poi qualcosa di “Eterno”.

A livello di ascolti, ti reputi abbastanza onnivoro oppure tendi a cibarti di un genere in particolare?

La musica per me si divide in bella o brutta. Potenzialmente mi piace tutta, non c’è un genere che non mi piace.

In un’epoca in cui siamo inondati di musica e l’attenzione del pubblico pare diminuita, quali caratteristiche deve possedere una canzone per non essere “skippata”? 

Non saprei, purtroppo non credo che questa velocità faccia bene alla musica. La musica, come tutte le arti, ha bisogno di tempo. Anche le emozioni hanno bisogno di tempo. In generale nessun escamotage rende un brano un successo, magari si può avere una leggera esposizione, ma non è quello di cui ha bisogno chi ascolta veramente.

Se dovessimo definire la tua musica con un’emozione o uno stato d’animo, quale sceglieresti?

Direi: istinto

Intervista a Pamela Rovaris, fotografa per professione, ma anche e soprattutto per passione

Pamela Rovaris
Pamela Rovaris si racconta ai lettori di Musica361, dalla passione per la musica a quella per la fotografia

Ci sono persone che non solo sanno stare al proprio posto, ma il ruolo che ricoprono lo onorano con impegno, passione e professionalità, tutti i santi giorni. Il talento per la fotografia di Pamela Rovaris si coniuga perfettamente con la sua umanità, dando vita a scatti autentici, espressivi, luminosi ed estremamente comunicativi. Abbiamo il piacere di approfondire la sua storia, ospitandola in questo ottavo appuntamento della rubricaProtagonisti in secondo piano“.

Partiamo dal principio, com’è nata la tua passione per la fotografia?

Non è molto poetico… a differenza di quello che dicono tutti, tipo “l’ho sempre saputo” o “l’ho sempre sognato”, nel mio caso sono arrivata un po’ tardi alla fotografia. Ho cominciato per caso verso i quattordici-quindici anni, frequentando una scuola di grafica, ma ancora non sapevo bene cosa avrei voluto fare, Poi, mi è capitato di andare ad un concerto e fare delle foto per mantenere un ricordo. Lì mi sono resa conto che era uscito qualcosa di più di quello che potessi pensare, così ho pensato che valesse la pena continuare.

Negli anni ti sei specializzata nei concerti, ma ci sono anche altri tipi di soggetti che ti piace immortalare?

In realtà mi sono molto focalizzata sui live, forse per una mia ostinazione. Negli ultimi anni, invece, mi sono resa conto che mi piace anche altro e mi sono buttata sulla ritrattistica, ma anche sul reportage. Anche se non mi ritengo ancora specializzata in questi ambiti, mi piace molto confrontarmi e imparare cose nuove.

In qualche modo sei riuscita ad unire due tue passioni, quella per la fotografia e quella per la musica…

Sì, mi è sempre piaciuto seguire concerti, sono sempre stata una grande ascoltatrice di musica. Prima ancora di farlo per lavoro, tutto è nato per passione. Anche perchè, parliamoci chiaro, all’inizio i guadagni sono quelli che sono, con gli anni riesci a costruirti piano piano una tua credibilità. Ho impiegato anche io stessa un po’ di tempo per crederci, tutt’oggi la vivo ancora come una bella gavetta. La passione, forse, ti aiuta a non farti mai sentire affermato, trasmettendoti la voglia e l’entusiasmo per cercare di fare sempre le cose al meglio.

Lo affermi più per la precarietà di questo settore o per tua insicurezza?

Un po’ entrambe le cose (sorride, ndr), è un settore che non ti darà mai delle certezze, specie dopo un momento come questo.

Sai, sei una delle persone che ho frequentato di più in questi ultimi anni, pur non essendoci mai dati un appuntamento. Cioè, ci siamo visti per caso un sacco di volte in giro. Hai mai fatto una media dei concerti e degli eventi a cui hai partecipato pre-pandemia?

Almeno tre alla settimana sicuri, poi c’era il periodo più intenso dove magari ne seguivo anche due in una sera, passavo dal Forum di Assago all’Arci Ohibò, correndo da una parte all’altra. Calcola che ho iniziato nel 2015, fatti un po’ i conti tu (ride, ndr).

Ma lavorando riesci a godertelo lo stesso un concerto?

Naturalmente meno, quando hai un committente e le fotografie hanno una destinazione, te lo godi sicuramente molto meno. Il segreto è seguire anche eventi per pura passione, perchè mi incuriosisce tanto ascoltare artisti emergenti, non mi baso solo sul mercato o sulle richieste. Vado lì, scatto come sempre le foto, se viene fuori qualcosa di bello tanto di guadagnato per me e per l’artista, altrimenti mi sono goduta un pochino di più un concerto. A fare solo le cose che mi chiedono, forse, perderei anche un po’ il gusto.

Poi è arrivato il Coronavirus e tutto si è fermato. Alcune mansioni si possono svolgere comunque da remoto, ma nel caso della tua categoria immagino sia difficile reinventarsi, no?

Eh sì, noi ci siamo praticamente fermati, dopo Sanremo si è interrotto tutto. La scorsa estate qualche concerto c’è stato, si è avvertita la speranza di poter ricominciare, ma a settembre purtroppo si è ribloccato tutto. Collaborando con Radio Italia ho la fortuna di aver fatto qualcosa in più grazie ai Radio Italia Live, che si svolgono in studio senza pubblico, con lo staff tamponato e in pieno rispetto delle norme di sicurezza.

Capisco che si tratta di una situazione che nessuno poteva prevedere, per questo cerco di non andare nel panico, però è anche vero che non si vede la fine di questo tunnel. Siamo fermi da oltre un anno ed è impossibile reinventarsi. Anche volendosi spostare dalla musica, provare in altri ambiti, la maggior parte degli eventi sono bloccati, dalle sfilate di moda ai matrimoni. Personalmente sto cercando di utilizzare tutto questo tempo a disposizione per studiare, approfondire la conoscenza della ritrattistica.

Io e te andiamo d’accordo perchè non ti ho mai vista sbuffare, lamentarti anche nelle situazioni di estrema stanchezza, tipo a Sanremo. Si vede che ami ciò che fai..

Mi continua a piacere tantissimo quello che faccio, anche quando qualcosa mi convince meno cerco di trovarci del buono. Non considero costruttivo lamentarsi e criticare di continuo, anche perché mi sento comunque una privilegiata. Personalmente cerco di non dare mai per scontato un accredito o una commissione, per me sono degli attestati di stima. Quando mi hai proposto questa intervista, stavo per consigliarti di sentire qualcuno più bravo e conosciuto perché, francamente, io non mi sento nessuno.

Proprio per questo ho voluto te, perchè sei brava e perchè questa rubrica vuole raccontare le storie professionali di chi lavora dietro le quinte anche se, spesso e volentieri, molti addetti ai lavori scalpitano per passare davanti alle quinte…

Sfondi una porta aperta. Per quanto mi riguarda, non smetterò mai di ringraziare le persone che mi concedono queste possibilità, perchè nulla è dovuto nella vita e non ci si può sentire mai arrivati. Sono grata di lavorare con grandi professionisti e di affiancare persone che stimo molto, a cominciare da Francesco Prandoni, a lui sarò per sempre grata. Stessa cosa vale per l’intero il team di Radio Italia. Tutto bello e tutto assolutamente non scontato.

Cosa ti manca di più dei concerti e del tuo lavoro?

Sai, in una situazione complessa come questa si rischia di abituarsi ad una determinata condizione. Mi è capitato di vedere recentemente su YouTube dei video di un live di un gruppo che adoro, il tutto proiettato su schermo gigante in televisione. Ho sentito qualcosa che non saprei nemmeno spiegarti, ho realizzato che non era solo una questione lavorativa e che i concerti mi mancano per davvero. Non sono brava a descrivere le cose, ma le sensazioni che si provano durante un live non sono replicabili da nessun’altra parte. E’ uno star bene che equivale quasi a fermare il tempo. Quando si potrà tornare a godere liberamente di tutto questo, avremo modo non solo di riabbracciarci tra di noi, ma di riabbracciare anche la bellezza.

Intervista al talentuoso giovane cantautore, al suo esordio discografico con “Trailer del paradiso”

Aenea: "La mia carezza senza filtri"
Aenea si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Linda Ludovisi

Si intitola Trailer dal paradiso il singolo che sancisce il debutto discografico di Aenea, disponibile in radio e negli store digitali a partire dallo scorso 15 dicembre. Un brano che convince sin dal primo ascolto, dunque un ottimo biglietto da visita.

Più che una semplice canzone, la tua è una carezza, un’emozione senza filtri. In un momento particolare come questo, quanto è importante per te esordire con un pezzo così autentico e onesto?

Sono felice sia arrivata come una carezza senza filtri, non era importante, era imprescindibile. Non potevo fare altrimenti e non lo farò neanche in futuro. Ogni canzone che scrivo vive nella sua purezza incontaminata, se così non fosse non esisterebbe Aenea.

Aenea: "La mia carezza senza filtri" 1
La copertina di “Trailer del paradiso”

Dal punto di vista musicale, “Trailer del paradiso” è un brano suonato, un approccio forse meno utilizzato negli ultimi anni. Qual è il tuo pensiero a riguardo?

Sono fiero di questa scelta, siamo circondati da musica di plastica che a volte è segno di avanguardia e spesso è sintomo di superficialità. Io amo la musica e mi piace sentirla suonata sia dal vivo sia nei dischi. Ho avuto la fortuna di lavorare con Leopoldo Lanzoni, Matteo Gabbianelli, Walter Pandolfi, Gianmarco Cannone e Fabio Garzia, professionisti incredibili ed è stata un’esperienza meravigliosa, sarebbe una follia perdersela per qualche suono in digitale. Aenea è cuore, passione e verità. Che ci sia verità anche nella musica.

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

È un miracolo ogni volta che nasce una canzone. Mi piace il flusso d’incoscienza che mi accompagna mentre la scrivo, vado quasi in trance e quando torno a terra è ancora più bello. Mi affascina anche lavorare con Leopoldo, mio fido compagno di viaggio, spesso viviamo insieme la fase creativa ed è bello vedere quando i nostri occhi brillano perché sentono di aver fatto una cosa bella. Io voglio vivere così.

Hai dei modelli di riferimento? Artisti a cui ti ispiri?

L’unico modello che sento di avere è Morgan, mio idolo dell’adolescenza. Sono milioni gli artisti a cui mi ispiro, però se dovessi dire 3 nomi ti direi Elton John, Vasco Rossi e Lucio Dalla.

Venendo all’attualità, pensi che da questa complicata situazione la stiamo imparando qualcosa?

Spero che si sia appreso il ruolo fondamentale della musica nella nostra società e spero che quando ripartirà tutto venga rispettata e incentivata maggiormente.

A proposito di insegnamenti, qual è la lezione più importante che pensi di aver appreso, fino ad oggi, dalla musica?

Non saprei però una cosa che ho capito ancora di più è che dobbiamo essere grati molto di più di quanto lo siamo alla musica. È la forma d’arte più trascendente che c’è. Dovremmo venerarla e rispettarla tutti di più.

A tu per tu con Riccardo Nocera, personal & tour manager per grandi artisti, responsabile di produzione e organizzatore di eventi

Riccardo Nocera
Riccardo Nocera si racconta ai lettori di Musica361, una vita in perfetta simbiosi con la musica

Passione e professionalità, con queste due parole potremmo definire Riccardo Nocera, responsabile di produzione e organizzatore di eventi, nonché personal & tour manager per grandi artisti. Nel mondo della musica ci è nato, seguendo sin da piccolo le orme del padre Antonio, discografico e storica figura di riferimento dell’intero settore. Abbiamo il piacere di approfondire la sua storia, ospitandolo in questo settimo episodio della rubrica “Protagonisti in secondo piano“.

Più che chiederti come ti sei avvicinato alla musica, considerati i vari ruoli che ha ricoperto tuo papà negli anni, ti chiedo com’è stato nascere e crescere in questo ambiente?

Un privilegio, perchè questo è un mondo che sembra grande, ma alla fine è molto piccolo e non da spazio a tanta gente. Io ho avuto la fortuna di nascerci, con gli anni ho fatto il massimo per meritarmi questo posto, questo onore.

Che ricordi hai di quando eri bambino?

Ricordo mio papà che era sempre via, guardavamo da casa il Festival di Sanremo attaccati al televisore aspettando che lo inquadrassero. La sua scrivania era sempre piena di cassette e di cd, sono cresciuto così… circondato dalla musica, ma quando sei piccolino non te ne rendi conto più di tanto. Essendo il più irrequieto di tre fratelli, mia mamma chiedeva a mio papà di portarmi ogni tanto con lui in ufficio o in giro. Un paio di volte sono stato a Verona al Festivalbar, per cui mi sento davvero un privilegiato ad aver potuto vedere e sentire tante belle cose sin da bambino.

Riccardo Nocera 2C’è stato un momento in cui hai capito che questo era quello che avresti voluto fare anche tu da grande?

Dopo la morte di mia mamma volevo lasciare la scuola, così mio papà per punizione, per castigo, mi aveva mandato a lavorare in un tour estivo con RTL 102.5, convinto che a settembre sarei tornato a studiare. Invece lì mi sono ritrovato nel mio habitat naturale, anche se non è stata una passeggiata, perchè a quei tempi si facevano una cinquantina di date in giro per l’Italia in due mesi. Era un viaggio continuo, ogni giorno bisognava montare e smontare, sotto il sole, nelle piazze. Tutto abbastanza impegnativo, però in quel momento ho capito che quello era il mio mondo.

Come si è evoluto il tuo mestiere negli anni?

Ho continuato per quasi quindici anni a lavorare per RTL, facendo la mia gavetta seguendo i più grossi eventi italiani. Da Sanremo al Pavarotti and Friends, passando per lo sport, dal calcio alla Formula 1, lo sci, il ciclismo, ma anche il Motor Show e la Mostra del Cinema di Venezia. Lavoravo come schiavo generico (ride, ndr), nel senso che facevo di tutto, perchè comunque eravamo in pochi e c’erano tante cose da fare.

Nel 2005 il mio capo dell’epoca Giampaolo Mazzolini, decise di seguire un’altra strada, la famiglia Suraci mi propose di prendere il suo posto come responsabile di produzione, ruolo che ho ricoperto fino al 2013. Non essendo mai a casa, avendo avuto in quel periodo due gemelli, mi sono ritrovato a prendere una scelta, buttandomi nel mondo dei concerti. Andavo e venivo, ma non stavo via per tanto tempo come prima. L’obiettivo era comunque quello di rimanere in questo ambiente, perchè ci sono nato e penso ci morirò (sorride, ndr).

Stando al tuo percepito, com’è cambiato negli anni il mondo della musica?

E’ cambiato tanto, negli anni è diventato sempre più un business. Ti parlo da ascoltatore, perchè oltre ad averci a che fare per mestiere, mi reputo un grande appassionato di musica. Il problema numero uno è rappresentato dall’avvento di internet, dello streaming, che ha veicolato il messaggio sbagliato che la musica sia gratis. Per fare un disco occorre il lavoro di un sacco di persone, non c’è soltanto l’artista che ci mette la voce e la faccia. I guadagni non sono più quelli di una volta, di conseguenza non c’è un grosso budget per poter investire in nuovi progetti. Si è capovolta la frittata, prima i cantanti venivano pagati per fare musica, mentre oggi sembra quasi che debbano pagare loro per farsi ascoltare. E’ un circolo vizioso che sta distruggendo tutto.

Venendo all’attualità, appartieni anche alla scuola di pensiero di chi sostiene che non si sia fatto abbastanza per tutelare gli operatori dello spettacolo da parte delle istituzioni?

Assolutamente sì, non è che non si sia fatto abbastanza.. si è fatto zero! Considerando il calo delle vendite dei dischi negli ultimi vent’anni, i guadagni si erano spostati sui live. Questa situazione pandemica ha bloccato tutto, lasciando a casa un sacco di gente. L’unica soluzione è tornare a suonare al più presto, ovviamente occorre ridimensionarsi, un po’ come si è fatto la scorsa estate. I big sono quelli che pagheranno di più questa situazione, perchè uno come Vasco Rossi che nell’ultimo tour ha radunato 300.000 persone, quando potrà riuscirci di nuovo? Naturalmente ci sarà anche la paura da parte del pubblico, difficilmente si tornerà a riempire in tempi brevi uno stadio o un palazzetto, sarà una cosa graduale. L’importante è ricominciare presto con la dovuta attenzione, sono fiducioso per la prossima bella stagione.

Riccardo Nocera 1A seconda dei ruoli, c’è chi ha potuto in qualche modo reinventarsi in questo ultimo anno, lavorando ad esempio anche in televisione…

Sì, come categoria noi ci siamo sempre rimboccati le maniche su più fronti, per cui qualcuno è riuscito a reinventarsi. Per quanto mi riguarda, con i live fermi mi sono buttato più sulla sicurezza e sulle trasmissioni televisive. Il problema è che, secondo me, tanta gente cambierà mestiere una volta finita questa emergenza. Ci sarà un ridimensionamento del personale, sperando che rimangano i buoni, i tanti professionisti che nobilitano con il loro impegno l’intero settore. Parliamo di persone che hanno investito la propria vita in questo lavoro e che vedono sfumare interi anni di sacrifici.

Tu che ne hai visti tanti, cosa ne pensi di Sanremo e del gran parlare che si sta facendo attorno alla scelta di confermare le date già in programma? 

Sanremo per me è una seconda casa, lì ci sono i ricordi più belli della mia vita lavorativa. Ventidue edizioni non sono poche, ne ho fatte davvero di cotte e di crude (sorride, ndr). Quest’anno non sarà lo stesso, perché il festival non è solo la trasmissione televisiva, ma è il ritrovo di tutti gli addetti del settore. Sarà tutto limitato, come è giusto che sia, perché siamo in piena emergenza Covid e il pericolo non è da sottovalutare.
Vedremo… ma per me sarà sempre grande, perché Sanremo è Sanremo.

Cosa ti manca di più dei live e cosa davamo, secondo te, per scontato?

Per tutti noi era normale andare ad un concerto, al punto che la maggior parte delle persone passava il tempo con il telefonino in mano, senza godersi lo spettacolo. Adesso che non c’è la possibilità di assistere ai live, ci rendiamo conto che guardare un vecchio video sullo smartphone non è la stessa cosa. All’inizio hanno un po’ provato con i concerti in streaming, ma ci siamo resi subito conto che non funzionano, perchè viene a mancare la forza, la potenza e l’energia sprigionate dal vivo.

Intervista alla talentuosa cantautrice lucana Angelina Mango, al suo esordio discografico con “Monolocale”

Angelina Mango: "La musica restituisce un senso, un motivo, un racconto alla vita"
Angelina Mango si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita dell’Ep “Monolocale”

La sperimentazione come chiave d’accesso al mondo di Angelina Mango, cantautrice classe 2001 che stiamo imparando a conoscere con Monolocale, Ep d’esordio rilasciato lo scorso 13 novembre. Otto canzoni che mettono in risalto le sue velleità artistiche, un viaggio in un mondo fatto di fragilità e consapevolezze.

Quali elementi arredano il tuo “Monolocale”?

Ho l’abitudine, o il vizio, di spostare gli elementi, ribaltare le cose molto spesso, ma è solo un modo per vedere sempre con nuovi occhi le stesse cose: istinto, trasparenza, fragilità e amore.

Nel disco c’è tanta ricerca, che significato attribuisci alla parola “sperimentazione”?

Nel mio approccio alla musica la sperimentazione è l’unica possibilità di esprimermi. Esistono già tante cose bellissime, sarebbe uno spreco di tempo per me creare a tavolino musica conforme alla classifica.

Qual è l’aspetto che più ti affascina durante la fase di composizione di una canzone?

Quando scrivo è come se tutto quello che penso fosse l’unica cosa giusta da fare. È naturale come addormentarsi e sognare, che poi ti svegli, ascolti, e non sai cosa sia successo. È una sensazione bellissima, quando riascolto quello che è nato e non so spiegarmi come. 

Angelina Mango: "La musica restituisce un senso, un motivo, un racconto alla vita" 1
La copertina di Monolocale

Coltivi altre passioni oltre la musica? 

Io scrivo tanto e ballo tanto, e poi sto meglio. Quindi non so se queste, insieme alla musica, siano passioni o cure (sorride, ndr).

Come valuti il tuo rapporto con i social network e quanto incidono, secondo te, oggi in un progetto discografico?

Uso Instagram né più né meno dei miei amici. Mi piace condividere quello che faccio, e credo che i social incidano su un progetto discografico, perché sono un canale promozionale molto utile.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

È un filo conduttore, che restituisce un senso, un motivo, un racconto, alla vita che spesso è solo un insieme di nodi in gola e colpi di scena!

A tu per tu con il produttore milanese, per parlare della sua attuale attività legata all’editoria digitale, un settore in piena crescita

Francesco Ferrari
Francesco Ferrari si racconta ai lettori di Musica361, dall’esordio musicale all’impegno nell’editoria digitale

Il segreto per poter analizzare al meglio le cose è guardarle da più punti di vista, in questo il percorso professionale di Francesco Ferrari ci offre vari spunti di riflessione. Audiobook & music producer di mestiere, con un passato nel mondo della musica, come frontman della rock band milanese di Grandi Animali Marini, e un presente nell’ambito dell’audio e nell’editoria digitale con il suo Frigo Studio. Abbiamo il piacere di ospitarlo in questo sesto episodio della rubrica “Protagonisti in secondo piano“.

Come ti sei avvicinato alla musica e in cosa consiste oggi il tuo mestiere?

Attualmente svolgo un mestiere completamente diverso da quello con cui ho iniziato, mi occupo di audio professionale, faccio prevalentemente audiolibri, podcast e materiale per l’editoria scolastica. Venendo dalla musica, continuo a dedicarmi anche a pochissime produzioni musicali, perchè si tratta della mia prima passione. In realtà, in passato sono stato un lavoratore dello spettacolo, ma per un discorso pratico e brutalmente economico non lo sono più. Oggi ho un ruolo diverso, mi muovo in altri ambiti, anche se il mondo di provenienza è quello dell’audio.

Come si è evoluto di preciso il tuo ruolo nel tempo?

Prima facevo l’artista, poi per un po’ di tempo il produttore, mentre adesso ho un ruolo tecnico e imprenditoriale. Il mio lavoro, di fatto, si divide tra la produzione concreta e un compito più amministrativo, mandando avanti la società che ho fondato. Mi occupo sia del contenuto che della parte formale e burocratica, con gli anni sempre più del mio tempo lavorativo è occupato dalla gestione dell’attività.

Come artista hai partecipato insieme alla tua band, i Grandi Animali Marini, tra le Nuove Proposte di Sanremo 2007. Cosa ti stava stretto di quel mondo?

Ero un autore, un cantante, il frontman di una band. Nel mio progetto artistico mettevo tutto me stesso, la mia vita. Non è mai stato facile per me uscire da quel modus operandi e cominciare a lavorare per gli altri, ci ho provato, ma lì ho capito di avere un limite, perchè per me la musica è un’espressione artistica che devo sentire in prima persona. C’è stato un momento in cui ho pensato di poter campare con questa passione, ma dopo è diventato tutto troppo complicato, troppo meccanico. Ho deciso di lasciare alla musica uno spazio nel cuore, ma non nel lavoro, nel senso che non ho voglia di entrare in dinamiche discografiche, che ho conosciuto a sufficienza e che non mi hanno mai particolarmente appassionato.

Stando al tuo percepito, in che termini è cambiata la musica rispetto ai tuoi esordi?

Tantissimo e in molti sensi. Quando suonavo io c’era già la crisi discografica, i cd si vendevano poco, ma adesso la situazione si è completamente trasformata, perchè con l’avvento dello streaming sono cambiati profondamente i meccanismi di produzione e di fruizione. I nativi digitali hanno una visione completamente diversa rispetto a quella che potevo avere io negli anni ’00. Sono sempre stato legato al concetto di album, mentre oggi si ragiona a singoli. Che dire? Un mondo completamente diverso, non dico che sia un bene o un male, i cambiamenti si vivono e si accettano, non esprimo un giudizio su questa cosa, certo è che mi sento un dinosauro… questo sì (sorride, ndr).

Francesco Ferrari: "Nei momenti di difficoltà occorre reinventarsi"
frigostudio.it

Si parla tanto in questo momento di doversi adattare, centinaia di operatori dello spettacolo sono costretti a cambiare mestiere. La tua invece è stata una scelta consapevole, presa in tempi non sospetti…

Ho semplicemente sfruttato altre capacità e abilità che scoperto di avere, essendomi fatto una certa esperienza nell’audio, sapevo come far funzionare uno studio. In qualche modo avevo già delle skills giuste per potermi incanalare in un settore che, nel giro di poco tempo, è esploso. Questa è stata una grande fortuna, perchè il mercato in cui opero è recentissimo, oltre che in continua crescita. E’ stata una scommessa, ho corso più di un rischio. Fondamentalmente sono dell’idea che nella vita ci sia sempre qualcosa da imparare, bisogna stare attenti a quello che accade intorno, cercare di capire cosa fare e cosa interessa.

In un momento complicato come questo, l’editoria digitale è un settore che gode di una serie di vantaggi. Abbiamo avuto una fortuna sfacciata, potrei anche bullarmi di scelte intelligenti, ma la verità è che si è trattato di un caso. Ci siamo fermati al massimo per una decina di giorni durante il primo lockdown, dopodiché abbiamo ricominciato a lavorare più di prima, naturalmente da remoto. Non abbiamo avuto flessioni da nessun punto di vista, mentre per tantissimi non è assolutamente così, purtroppo. Sono molto vicino all’ambiente dello spettacolo e della produzione musicale, sono aggiornato sulla situazione, ho molti amici e persone a cui voglio bene che fanno parte di quel settore.

Quello degli audiolibri e dei podcast è un settore che non ha subito flessioni a causa della pandemia, anzi, negli ultimi dodici mesi c’è stato un vero e proprio incremento…

Sì, perchè con lo smartphone orami facciamo davvero di tutto, non ce ne separiamo mai. In più l’offerta è molto variegata, quindi puoi ascoltare ciò che più ti interessa mentre guidi, cammini o vai a correre. Si passa da un libro letto da una grande voce ad un podcast di intrattenimento, con una miriade di contenuti che toccano davvero qualsiasi argomento. In più, rispetto al mondo della discografia ci sono decisamente costi più bassi, per produrre un’intera serie di un podcast è necessario un budget minore rispetto a quello che occorre per realizzare un album.

In un periodo complicato come questo, che pensiero ti senti di rivolgere a chi si trova davanti a un bivio, in una situazione in cui bisogna saper reinventarsi e prendere decisioni per salvaguardare il proprio futuro?

Guarda, personalmente ho cominciato da tempo a dividere la passione dal lavoro, poi c’è gente che riesce a coniugare le due cose. Non lo so, se uno si trova davanti a un bivio vuol dire che ha due scelte, restare sulla stessa strada o cambiarla. Io sono dell’idea che già nel momento in cui ti poni questo dubbio, se ti ritrovi nella condizione di dover scegliere tra il vecchio e il nuovo, è bene optare per il cambiamento, all’occorrenza reinventarsi.

Di sicuro non è facile, perchè si tratta anche di farsi un bell’esame di coscienza, di chiedersi se quella cosa è davvero la più giusta per te. Nella mia microcarriera artistica ho conosciuto troppe persone che credono di essere grandi artisti e non lo sono per niente, perchè mancano di dedizione e di abnegazione. Molti pensano che sia facile, oppure di essere già arrivati quando praticamente non hanno fatto ancora nulla. In questo l’autoanalisi può essere utile per imparare a guardare in faccia e dirti onestamente chi sei.

A tu per tu con il gruppo musicale degli Shakalab, in uscita con il nuovo singolo “Giganti”, prodotto da Shablo e impreziosito dalla partecipazione di Alborosie

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Gli Shakalab si raccontano ai lettori di Music361 in occasione dell’uscita di “Giganti”

Doppia prestigiosa collaborazione per gli Shakalab, che tornano in rotazione radiofonica con “Giganti”, arricchito dalla duplice esperienza di Shablo e di Alborosie. Considerata come una delle più interessanti e storiche reggae-band italiane, abbiamo il piacere di ospitare tra le nostre pagine il collettivo siciliano.

Ciao ragazzi, benvenuti. Iniziamo da “Giganti”, un brano importante, cosa vi rende più orgogliosi di questo pezzo?

Sicuramente aver collaborato con due artisti di assoluta caratura internazionale ci inorgoglisce molto. Siamo soddisfatti di cosa è uscito fuori, ne eravamo sicuri. Il pezzo parla di amicizia, e in un periodo come questo, ci rende fieri produrre qualcosa che può fare sentire, anche solo per un paio di minuti, meno soli. Di questo ne siamo fierissimi.

Un singolo prodotto da Shablo e impreziosito dal featuring con Alborosie, cosa hanno aggiunto al pezzo questi due grandi artisti?

Hanno sicuramente dato ancora più credibilità al progetto. Ma hanno anche aggiunto talento puro.
Albo e Shablo sono due fuoriclasse, sono sicuramente dei punti di riferimento per la scena della black music. Sotto l’aspetto prettamente artistico, Albo ha dato una componente di melodia al pezzo che non ci aspettavamo, una nota sentimentale, quasi struggente, che si inserisce perfettamente nell’atmosfera della canzone.

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La copertina di “Giganti”

L’amicizia ai tempi del Covid, un valore che secondo voi ne esce scalfito dal distanziamento e dall’impossibilità frequentarsi come prima?

Beh, sicuramente il periodo che stiamo vivendo mette a dura prova i legami. La barriera che ha innalzato la pandemia ha provocato una sorta di distacco empatico, anche con gli amici. Abbiamo imparato a vivere i legami in un modo totalmente inedito, ma paradossalmente penso, che il valore dell’amicizia, nonostante l’attacco subìto, ne esca addirittura rafforzato.

Dal punto di vista musicale, la canzone è ricca di sfumature e contaminazioni. Come siete arrivati a questo tipo di sound?

Ognuno di noi proviene da ambienti musicali diversi, che si intersecano, ma sicuramente diversi. La matrice é comune. La black music. La black music é una sorta di meticciato artistico, quindi la contaminazione é intrinseca al genere stesso. Personalmente In “giganti” sento neo soul, rap, reggae, musica elettronica, pop, jazz. La produzione di Shablo é una sintesi perfetta di tutto questo.

“Giganti” è solo l’assaggio del vostro nuovo disco, cosa dobbiamo aspettarci a riguardo?

Il disco che uscirà nel 2021, sará pieno di featuring. Siamo riusciti a collaborare con artisti che stimiamo e che portano all’interno dello stesso, un mix di stili e generi diversi. Noi Shakalab d’altronde lo abbiamo sempre fatto, abbiamo sempre mischiato le carte in tavola. Continueremo a farlo. Cercheremo di stupirvi un’altra volta ancora!

E voi… cosa vi aspettate da questo 2021?

Ci aspettiamo semplicemente di tornare a fare quello che abbiamo sempre fatto. Tantissimi concerti. Il live è la nostra dimensione naturale, quella in cui ci sentiamo più a nostro agio. É una cosa che ci manca troppo e da troppo tempo. Quindi incrociamo le dita affinché si possa tornare sui palchi a breve. Shakalab é la famiglia.

A tu per tu con la violinista milanese Elsa Martignoni, per parlare del suo impegno professionale e delle difficoltà che hanno colpito il settore della musica dal vivo

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Elsa Martignoni si racconta ai lettori di Musica361, dall’impegno musicale allo stop forzato causa Covid

Il violino, strumento dell’anima. Attraverso le sue corde vibrano le emozioni e si riflettono i nostri stati d’animo più reconditi. Tra le musiciste che meglio esaltano l’ecletticità di questo strumento, troviamo Elsa Martignoni, di formazione classica ma di attitudine sperimentale, che ha saputo coniugare tradizione e innovazione grazie al suo inseparabile violino elettrico. Abbiamo il piacere di ospitarla in questo quinto episodio della rubrica “Protagonisti in secondo piano.

Come e quando ti sei avvicinata alla musica?

Da bambina, avevo cinque anni, i miei genitori erano grandi appassionati di musica classica. Il primo approccio è stato col pianoforte, per poi iniziare con il violino. Negli anni ho portato avanti lo studio di entrambi gli strumenti fino all’ammissione in Conservatorio, per poi abbandonare il pianoforte tra il primo e secondo anno, concentrandomi sul violino che consideravo più nelle mie corde.  Sai, fin da piccolissima, in realtà, volevo fare la ballerina classica, un discorso che ho comunque sviluppato negli anni suonando, perchè con il violino elettrico sono fondamentali i movimenti, per cui mi esibisco danzando, riuscendo ad esprimere in simultanea le mie due grandi passioni.

Cosa possiedono in più quelle quattro corde e quell’archetto che tutti gli altri strumenti non hanno?

Bellissima domanda. In effetti, da quelle quattro corde puoi tirar fuori un universo, un mondo di melodie e di suoni. Nonostante sia uno strumento monodico, il violino può anche essere polifonico, con più accordi, in questo un grande maestro è stato Bach. Con l’archetto si possono trovare soluzioni diverse, sfumature e colori incredibili. Secondo me, il violino è uno strumento magico, versatile ed eclettico, perchè abbraccia tutti i generi possibili: dal classico al blues, passando per il jazz, il country, il folk. Personalmente ho suonato anche pop, R’n’B, electro house, rock, davvero di tutto. Negli anni ho scoperto per caso di saper improvvisare, prendendo ad orecchio la nota, come una specie di freestyle.

Oltre a toccare vari generi, il violino attraversa sicuramente anche stati d’animo diversi. Erroneamente si pensa che sia uno strumento triste, mentre invece non lo è affatto…

Assolutamente, il violino può abbracciare tutti gli stati d’animo e far vibrare le nostre emozioni, non a caso viene chiamato lo strumento dell’anima. I grandi compositori sono riusciti a sottolineare questa flessibilità. Pensiamo a Paganini, che ha saputo esaltare le capacità tecniche e interpretative di questo strumento, oppure allo stesso Bach che cercava di dare equilibrio alle emozioni attraverso l’arco. Certo, la filmografia forse non aiuta, mi viene in mente il tema centrale della colonna sonora di “Frankenstein Junior” (sorride, ndr), ma il violino può rappresentare davvero tutti gli stati d’animo del mondo.

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Come si è evoluto il tuo lavoro nel tempo? 

Dopo il diploma, sono entrata subito a far parte di un’orchestra sinfonica. Per una decina di anni ho proseguito la mia carriera classica. Ad un certo punto, per puro caso, una mia amica organizzatrice di eventi mi ha convinta ad esibirmi in una discoteca, buttandomi letteralmente sul palco del Propaganda, un noto locale che c’era qui a Milano, in mezzo ad un casino bestiale, un sacco di gente. Tutti mi guardavano con delle aspettative enormi, io non sapevo esattamente cosa fare. Il deejay ha iniziato a suonare un po’ di house, all’improvviso ho cominciato ad accompagnarlo, in maniera molto naturale. Da quella sera mi si è aperto un mondo.

Così hai cominciato ad avere una specie di doppia vita, di giorno alla Scala e di notte all’Alcatraz…

Esattamente (ride, ndr), per qualche anno sì. Finivo il concerto in teatro alle 10.30 e andavo in discoteca a suonare fino alle 5.00. La direzione dell’orchestra dove lavoravo non amava molto questa mia seconda attività diciamo, sotto molti punti di vista in Italia siamo molto indietro, c’è un rigore che da una parte può sembrare giusto, ma dall’altra eccessivo. Ad un certo punto mi sono ritrovata davanti ad un bivio, non ti nascondo che è stata una scelta piuttosto sofferta, perchè per me una cosa non escludeva l’altra, amo allo stesso modo sia il violino classico che quello elettrico. Alla fine della fiera, nel 2010 ho lasciato l’orchestra sinfonica, una decisione di cui non mi sono mai pentita.

Negli anni hai calcato i palcoscenici dei teatri più prestigiosi del mondo, tra questi ce n’è uno meno blasonato di altri, ma che per noi italiani ha un grande valore affettivo. Mi riferisco all’Ariston di Sanremo, hai suonato nell’orchestra del Festival nel 2018 e nel 2020. Ci racconti com’è andata?

Dopo tanti anni sono tornata a suonare in un’orchestra, sicuramente è un’esperienza per me molto importante, anche se molto stancante. Calcola che le prove partono più di un mese prima a Roma, i musicisti vengono convocati negli studi Rai, per circa dieci ore al giorno. Tra le canzoni in gara, quelle degli ospiti, le cover, gli stacchetti… sono stati circa duecento i pezzi da preparare per l’ultimo festival. E’ molto bello vedere l’evoluzione dei cantanti dalle prove alla messa in onda. Quest’anno mi hanno molto colpito Levante, Piero Pelù, Tosca, Irene Grandi, poi mi hanno sconvolto Rita Pavone per la sua grinta e Marco Masini per la sua precisione e preparazione, lui è un fonico mancato.

Il Festival di Sanremo è un po’ una liturgia, a livello di forma ogni anno è sempre uguale, tutto è programmato fino all’ultimo dettaglio, c’è una scaletta, voi sapevate esattamente cosa fare e a che ora di preciso. Poi però, raramente, a volte accade l’imprevisto, proprio come lo scorso anno. Sai a cosa mi sto riferendo… cioè, tu eri a pochi metri dal palco, cosa hai pensato in quel preciso momento?

Non puoi capire, in un nano secondo mi ha scritto chiunque! Guarda, io all’inizio non suonavo, nella canzone i violini entravano dopo, per cui ho realizzato subito cosa stesse accadendo. Mi sono accorta immediatamente che Morgan stesse cambiando il testo, però ero convinta che ce l’avesse con noi orchestrali, ho pensato che ci volesse offendere pubblicamente dopo la questione legata all’arrangiamento della cover del giorno prima. La sua stesura era ineseguibile, per cui ha dovuto rifare la partitura più volte. Così ho pensato che, i versi del suo testo modificato, fossero indirizzati a noi che, magari secondo lui, non siamo stati “capaci” di eseguire il suo spartito.

Ovviamente, io e il mio compagno di leggio ci siamo guardati con gli occhi sgranati, tipo cartone animato giapponese (ride, ndr). Poi quando Bugo se n’è andato via e il direttore ha fermato l’orchestra, lì mi è venuto un crampo allo stomaco, siamo rimasti col fiato sospeso fino a quando è entrato Fiorello e ci ha fatto sorridere. Insomma sì, è stato un interminabile minuto di panico. Il brutto è stato quando Amadeus, da regolamento, ha dovuto annunciare la loro eliminazione dalla gara. E’ stato avvilente, non dovrebbe mai accadere una cosa del genere quando si parla di musica, di arte e di spettacolo.

Elsa Martignoni

Venendo all’attualità, il Covid non lo stai soltanto subendo, come tutti, ma lo hai pure avuto. Quindi, ti chiedo come stai affrontando questo momento sia dal punto di vista personale che professionale?

Sì, ho preso il Covid esibendomi ad un matrimonio agli inizi di ottobre, facendo il mio mestiere. Era da mesi che non avevo la possibilità di lavorare, perché poco dopo Sanremo c’è stato il lockdown e tutti i lavori che avevo in programma sono saltati. Ho ripreso a fare qualcosina d’estate, fino a quando il Covid mi ha fermata. Insomma, sono stata male, soprattutto all’inizio, per fortuna non sono andata in ospedale, non ho avuto problematiche respiratorie, però è stata dura, non avevo forze, non riuscivo ad alzarmi dal letto. In più è stata lunga, fisicamente ne sono uscita dopo circa un mese, ma sono rimasta positiva per cinquanta giorni, dopo aver fatto più tamponi. Tutt’ora non ho olfatto e gusto, questa cosa mi fa sentire un po’ strana.

Dal punto di vista professionale, invece, essendo freelance non ho un fisso mensile, per cui star fermi è un danno enorme per chiunque si trovi nella mia stessa situazione. La nostra categoria di musicisti è molto penalizzata perchè non abbiamo modo di reinventarci, se non cambiando completamente mestiere. E’ dura, suonare dal vivo per me è tutto, l’idea di non potermi esibire per chissà quanto altro tempo è straziante. E’ necessario sostenere la musica, perchè un Paese senza arte è un Paese ferito. Sarò impopolare ma, ragazzi, non può esistere solo il calcio. L’Italia è considerata da secoli la culla della cultura agli occhi del mondo, mentre oggi non si legge e non si va più nei musei. Ti giuro, sono letteralmente atterrita.

Cosa ti manca di più dell’attività live e del contatto con il pubblico?

Incrociare lo sguardo di persone emozionate dal mio violino, lo considero un vero e proprio linguaggio, perché mi esprimo suonando. Rendere felici gli altri è la cosa più bella che posso realizzare nella vita, questo mi manca tantissimo. Sai, durante il primo lockdown ho realizzato diverse dirette, ma alla fine non ce la facevo più a suonare davanti al mio iPhone. Spero con tutto il cuore di poter tornare presto ad esibirmi dal vivo.

Intervista al gruppo musicale rock-elettronico, in occasione dell’uscita dell’EP intitolato “Human Electro”

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Gli Humana si raccontano ai lettori di Music361 in occasione dell’uscita di “Human Electro”

Umanità elettronica, testi profondi che si amalgamano con un sound energico e accattivante. Così potremmo sintetizzare il lavoro degli Humana, che hanno da poco rilasciato l’EP intitolato Human Electro, frutto della collaborazione internazionale con Chris Gehringer, intendere del suono statunitense  che ha rivisitato per l’occasione sei tracce del repertorio della band. Abbiamo raggiunto telefonicamente il frontman del gruppo Daniele Iudicone, per approfondire la conoscenza di questo lavoro.

In cosa consiste questo vostro progetto?

L’EP, in realtà, è una rimasterizzazione dei nostri brani, alcuni dei quali presenti nel primo album pubblicato sette anni fa, altri inclusi nel secondo lavoro “Karma”, rilasciato due anni fa. Sostanzialmente, abbiamo ripreso le canzoni che erano piaciute di più e riproposte con un nuovo suono pop-elettronico. Insieme al produttore Chris Gehringer, che ha collaborato con un sacco di artisti di fama internazionale, abbiamo ricreato questa atmosfera diversa rispetto alle versioni originali. Lo stesso sound che riproporremo nel nostro terzo album, attualmente in fase di preparazione, che vedrà la luce nel 2021.

In scaletta sono presenti sia vostri brani che cover, come convivono all’interno di questo lavoro?

Devo dire molto bene, perchè anche le cover sono nate in maniera molto spontanea. “Rock ‘n’ Roll Robot”, il rifacimento del famoso pezzo di Alberto Camerini degli anni ’80, è il pezzo che ha fatto partire il progetto degli Humana, mentre “Punk prima di te” di Enrico Ruggeri è un brano che piace molto dal vivo, uno di quelli che non può mancare in scaletta nei nostri tour. Insieme ai brani editi, anche le cover stanno avendo il loro positivo riscontro a livello di ascolti all’interno dell’EP.

A cosa di deve la scelta del vostro nome d’arte?

Nasce dal nostro stile di scrittura molto introspettivo, attraverso i testi vogliamo dare voce alle nostre parti più recondite, più nascoste. Una modalità di scrittura abbastanza spontanea, dove mettiamo in campo quello che viviamo, situazioni che accadono e che ci lasciano un segno all’interno. Per cui abbiamo voluto sottolineare in maniera profonda questo concetto che, unito alla musica rock e alla musica elettronica, riesce ad esprimere al meglio il nostro messaggio.

Vi sentite rappresentati dall’attuale scenario musicale italiano?

Molto poco, i nostri riferimenti sono principalmente esteri, lo si può intuire anche solo pensando alla scelta delle due cover che, seppur in lingua italiana, strizzano l’occhio a un approccio più internazionale. Siamo molto appassionati del mondo anni ’80 e ’90, un mood che ha influenzato parecchio il nostro stile di scrittura. Anche se, nell’album attualmente in preparazione, c’è una forte influenza contemporanea, on qualche modo vicino al mondo dei Linkin Park, soprattutto quello dei loro primi album. In questo ultimo periodo abbiamo sperimentato parecchio.

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La copertina di “Human Electro”

Sicuramente la vostra band nasce un po’ dalle “ceneri” di grandi gruppi del passato, visto e considerato il vostro approccio suonato, come state vivendo questo momento di stop dei live?

Questo è per noi un momento molto sofferto, nel 2020 era previsto il nostro ritorno sulle scene, dovevamo partecipare a diversi Festival di musica indipendente, vetrine che ci hanno sempre entusiasmato. Nonostante questo, siamo molto fiduciosi, a breve torneremo in sala prove sperando che la prossima estate si possa ricominciare a suonare in giro, sempre con le dovute cautele. Intanto ci prepareremo e faremo un concerto in streaming ad aprile. Non sarà la stessa cosa, ma è un modo per iniziare a sfogare un po’ la nostra energia.

Quali sono i punti di forza del vostro gruppo, le caratteristiche che più vi contraddistinguono?

Sicuramente l’aspetto live appena citato, il nostro gruppo rende tantissimo dal vivo, ci divertiamo parecchio e tutto è molto coinvolgente. Il nostro habitat naturale è il palco, la missione è realizzare performance e fare concerti. Un’altra caratteristica che ci contraddistingue molto è lo studio, la voglia di sperimentare nuove sonorità e nuove modalità di suonare. Non ci fossilizziamo su un determinato punto, ma esploriamo parecchio.

A tu per tu con la cantante e artista di strada Marina Madreperla, il suo appello a favore dell’intera categoria

Marina Madreperla
Marina Madreperla si racconta ai lettori di Musica361, dall’impegno musicale allo stop forzato causa Covid

Milanesi e turisti sono abituati a vederla cantare per le vie della città Marina Madreperla, cantante di mestiere e artista di strada per vocazione. La sua voce, la sua simpatia e la sua inconfondibile macchinina illuminata, rappresentano una costante per tantissime persone che passeggiano o attraversano il centro del capoluogo lombardo. Abbiamo il piacere di ospitarla in questo quarto episodio della rubrica “Protagonisti in secondo piano“.

Come ti sei avvicinata alla musica e come si è evoluto negli anni il tuo mestiere?

Ho cominciato studiando canto in una scuola privata, per poi esibirmi nei pianobar, in lotta continua con i miei genitori che non volevano. Con gli anni sono passata alla musica da ballo, suonando in varie orchestre, fino a fondarne una mia insieme al mio ex compagno, con cui sono rimasta ancora oggi in ottimi rapporti. Nel frattempo lavoravo nel settore bancario, fino a quando mi sono sono ritrovata davanti ad un bivio e ho scelto di dedicarmi completamente alla musica. Non so se questa decisione sia stata dettata dall’incoscienza o da un eccesso di autostima. In parallelo, una serie di coincidenze mi hanno portata ad occuparmi anche di un’agenzia di eventi.

Inizialmente andava tutto bene, ma dopo sono arrivati anni più difficili dal punto di vista economico, i pagamenti dei clienti arrivavano sempre in maniera più diluita. Per una concatenazione di situazioni, ho deciso di tirare fuori dal cassetto un sogno che avevo già da diverso tempo: fare l’artista di strada. Più volte mi era venuta voglia di provarci, ma alla fine avevo sempre desistito, disincentivata dalle persone che mi circondavano, perché la forma mentis italiana, rispetto a quella europea e internazionale, è molto ristretta. Si tende a generalizzare, a pensare che si tratti di elemosina, il che sarebbe comunque molto dignitoso. Diciamo che la realtà della strada, che ho intrapreso circa sette anni fa, mi ha insegnato tanto.

Un pregiudizio tutto italiano, soprattutto se consideriamo che anche un talento come Ed Sheeran ha cominciato esibendosi come artista di strada. Da cosa deriva, secondo te, questo preconcetto?

Manca sicuramente un’azione di sensibilizzazione da parte delle autorità, perchè in Paesi come l’Inghilterra o la Germania l’arte di strada è ampiamente riconosciuta. Ad esempio, Londra è stata l’antesignana dell’utilizzo del POS, proprio perchè si tratta di un tipo di professionalità universalmente riconosciuta. L’Italia è ancora indietro perchè si tende a pensare che in strada ci si finisce non per scelta, ma per necessità. Ci sono colleghi che hanno fatto il percorso contrario, hai appena nominato uno dei più celebri, ma tanti altri artisti sono partiti così. La strada è una specie di talent show, quale miglior pubblico dei passanti? Se riesci a convincerli a fermarsi hai vinto! Personalmente ho fatto una scelta di vita diversa, prendendomi cura dei miei cani non posso spostarmi più di tanto, altrimenti avrei preso un bel camper e mi sarei fatta un bel giro, sia in Italia che all’estero.

A proposito di mezzi di trasporto, la tua vettura non passa di certo inosservata, anzi è molto fashion, dotata di lucine colorate e di una serie di optional, ovvero l’attrezzatura che ti serve per esibirti…

Beh, in effetti (sorride, ndr). Avendo sempre avuto un po’ la fissa dei costumi di scena, girare con un baule pieno di abiti e con l’attrezzatura era impensabile. Per cui ho acquistato questo scooter elettrico a quattro ruote e l’ho trasformato in quella che molti ragazzi che mi vengono ad ascoltare chiamano “la papamobile”. Da allora è stata la mia compagna di avventure, oggi non potrei prevedere di farne a meno.

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Cosa ti ha dato e insegnato la strada?

Mi ha dato tanto a livello artistico, non solo personale e interiore, diciamo che mi ha completata. Rispetto al successo che in passato avevo un po’ rincorso, ho cominciato a sentirmi finalmente appagata. La strada ti cattura, è sia furba che ingenua, in più bisogna considerare che Milano non è una grandissima città, ci si incontra facilmente e si conosce quasi tutti, per cui si crea un cerchio di energia molto intenso.

Sicuramente in questi anni ne hai viste di tutti i colori, ma c’è un episodio che ricordi con particolare affetto?

Sì ed è accaduto anche di recente, qualche settimana fa in Darsena, quando ancora ci potevamo esibire. Non c’era quasi nessuno in giro, poi all’improvviso dopo la chiusura dei bar delle 18.00 sono arrivati circa duecento ragazzi. Chiaro, ero l’unica lì, non è che avessero questa grande alternativa, ma è anche vero che non faccio un repertorio vicino al loro target, non canto J-Ax. Questa cosa mi ha particolarmente emozionata, sono rimasti fino alla fine del mio turno, ci siamo divertiti, abbiamo cantato ma anche parlato tanto. E’ stata un’esperienza unica, impagabile.

Venendo all’attualità e alla pandemia, quali sono le principali criticità che hanno colpito la tua attività nell’ultimo anno?

Ci sono varie fasi che hanno caratterizzato il momento attuale. Partiamo dal presupposto che l’intera categoria dello spettacolo è ferma ormai da mesi, di conseguenza le persone non possono andare a vedere concerti, a teatro oppure a ballare. Quando a luglio abbiamo potuto riprendere, grazie all’intervento di Red Ronnie, abbiamo assistito al grande apprezzamento da parte della gente per la nostra presenza. Parlo al plurale perchè è un’esperienza che hanno vissuto anche tanti miei colleghi. Poi è arrivata la seconda fase pre-chiusura, dove il pubblico era molto presente, anche se c’era poca gente in giro, perchè si poteva uscire solo per andare a lavorare, ma le dimostrazioni di affetto erano molto profonde. Fino alla definitiva chiusura arrivata con la proclamazione della zona rossa e così è rimasto, anche dopo la riapertura delle attività commerciali.

Il nostro sindaco ha realizzato delle iniziative molto belle, tipo gli alberi che ci sono in giro per la città, ma ha messo la musica in un angolo. Questo è sbagliato, perchè si poteva procedere alla riapertura in totale sicurezza per le feste, perchè abbiamo vissuto un Natale purtroppo silenzioso. Questo è molto triste, non solo per noi cantanti, ma anche per i mestieranti, i ritrattisti e l’intera categoria. Lo dico in maniera serena e assolutamente non polemica ma, secondo me, a monte c’è un meccanismo politico. Chi amministra la città ha l’obbligo con la prefettura di far rispettare quello che è stato disposto, ma a Torino il sindaco e il prefetto si sono messi d’accordo riaprendo l’arte di strada, perché c’era la volontà di colorare il Natale. A Milano questa volontà non c’è, da una parte lo capisco pure perchè si temono assembramenti.

Sì, ma gli assembramenti ci sono lo stesso per l’accensione dell’albero di Natale, basterebbe vigilare e controllare. Tra l’altro vi esibite sempre in snodi centrali presieduti dalle forze dell’ordine, non in zone periferiche meno controllabili. Poi accade che le metro sono affollate e c’è ressa davanti ai supermercati per comprare un paio di scarpe. Qualcosa non quadra…

Hai perfettamente ragione, per me è un grande dolore non poter allietare i momenti degli amici milanesi in un periodo come questo. Calcola che comunque il resto della Lombardia è tutta aperta, potrei andare ad esibirmi tranquillamente a Busto Arsizio, oppure a Bresso. Alcuni miei colleghi lo stanno facendo, per me è più complicato spostarmi con la mia macchinetta cablata, dovrei smontare tutto e andarci con l’auto. In più, fortunatamente, in questo periodo sto lavorando facendo consegne, mi sono dovuta reinventare. E’ un’attività che oggi a Milano funziona parecchio, anche se c’è comunque tanta concorrenza.

Rispetto ai lavoratori dello spettacolo, ci sono delle associazioni che tutelano i diritti della vostra categoria?

A livello informale potremmo essere considerati anche noi lavoratori dello spettacolo ma, di fatto, non lo siamo. In primis perchè non siamo inquadrati, magari qualcuno di noi ha deciso di aprirsi una partita IVA, ma considera che il nostro reddito è davvero irrilevante, i nostri turni durano due ore, a parte alcune eccezioni rarissime. Funziona in questo modo: il comune mette a disposizione una piattaforma alla quale ci sono 1.300 iscritti. Ciascuno sceglie una delle circa 250 postazioni in giro per la città e la prenota per massimo due ore, gli orari sono fissi: 11.00-13.00, 14.00-16.00, 17.00-19.00 e 20.00-22.00.

Di fatto, siamo una categoria a parte, anche se una volta ero anche io un’artista a cachet, quindi comprendo le numerose problematiche anche di quel settore. Per quanto ci riguarda, sono nate alcune associazioni per la nostra tutela, ma si trovano a fare i conti con l’ingestibilità dell’artista di strada che, per sua natura, è uno spirito libero. Questo porta ad un bassissimo numero di iscritti, considera che le tre associazioni presenti sul territorio, annoverano circa il 6% di tutti gli artisti milanesi. Per cui è ancora più difficile fare categoria.

Cosa ti manca di più del tuo lavoro e quale augurio ti senti di rivolgere a tutti noi per il 2021?

Sicuramente mi manca il contatto con pubblico, mi manca la strada. L’augurio è che tutto possa riaccendersi al più presto, che questo incubo possa finire. Quello che chiedo dal punto di vista lavorativo è una possibilità, come ce l’hanno gli ambulanti che vendono le bibite, perchè anche attorno al loro baracchino potrebbero verificarsi assembramenti. Noi non vendiamo niente, che fastidio da una radiolina accesa? A cosa serve spegnere la musica anche per strada?

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