Intervista alla talentuosa cantautrice e producer milanese VV, fuori con il singolo “Pizzaboy”

VV - INTERVISTA
VV si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo “Pizzaboy”

Un linguaggio non scontato e un’interpretazione decisamente originale, queste le innovative skills di VV, artista dalla penna intima e stralunata. “Pizzaboy” è il suo nuovo tassello discografico, un pezzo che riflette la propria visione musicale.

Una canzone d’amore, a modo tuo. Quali riflessioni hanno ispirato questo brano?

Ho riflettuto su quanto in passato ho idealizzato le persone di cui mi sono innamorata; litigare così era drammatico, perché significava distruggere. Pizzaboy è un inno a quel tipo di amore che vive giorno per giorno, costruendo, in cui non ci si prende troppo sul serio, ma ci si accetta l’un l’altro con i pregi e i difetti.

“Il giusto”, “Collirio” e “Pizzaboy”, sono i primi tre tasselli del tuo percorso, cosa ti rende più fiera di questi tuoi di questo esordio?

Che ho saputo aspettare il momento in cui avevo davvero qualcosa di importante, urgente da comunicare. Ho fatto il pieno di esperienze prima di iniziare e ne farò tante ancora, spero, attraverso la musica.

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La copertina di “Pizzaboy”

Come prosegue il sodalizio artistico con Federico Nardelli e Giordano Colombo?

Molto positivamente, sono producers formidabili e non solo, con Federico spesso mi piace sviluppare le idee musicali che ho nella testa, capita di scrivere anche insieme.

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

Mi affascina il potere liberatorio della scrittura, scrivere mi aiuta a rielaborare, a volte a superare ciò che mi succede, a volte ancora a dire quello che non sono riuscita a dire al momento giusto.

Coltivi altre passioni oltre la musica? Se sì quali?

Amo lo sport e la natura, purtroppo due cose che visti i tempi non ho potuto sfruttare ultimamente; poi amo approfondire ciò che mi interessa, in passato è stata la psicologia, ora l’armonia e la composizione.

Qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica fino ad oggi?

Che non bisogna avere fretta, che il tempo che dedichi a qualcosa è prezioso, così come ogni piccolo progresso. La musica ti ama se tu la ami.

A tu per tu con l’arrangiatore e producer Mario Natale, per parlare del suo impegno professionale e del difficile momento che il mondo della musica sta attraversando

Mario Natale
Mario Natale si racconta ai lettori di Musica361, una vita spesa per la musica a 360 gradi

Professionalità e umanità possono e devono andare a braccetto, Mario Natale ne rappresenta un esempio calzante. Arrangiatore e producer, nel corso della sua carriera ha collaborato con numerosi artisti della scena nazionale e internazionale, come Loredana Bertè, Jovanotti, Nek, Patty Pravo, Gianluca Grignani, Toto Cutugno, Franco Fasano, i Ricchi e Poveri, Francesco Salvi, Fiorello, Matteo FaustiniAmii Stewart, Dee Dee Bridgewater, Randy Crawford, Papa Winnie e molti altri, arrivando a vincere per ben due volte il Festival di Sanremo come direttore d’orchestra, nel 2002 tra i Campioni con i Matia Bazar e nel 2005 tra le Nuove Proposte con Laura Bono. Abbiamo il piacere di ospitarlo in questo terzo episodio della rubrica “Protagonisti in secondo piano“.

Come ti sei avvicinato alla musica?

Sin da piccolo, i miei genitori mi iscrissero ad un corso di fisarmonica a sei anni e ci riprovarono qualche tempo dopo con delle lezioni di musica. La cosa buffa è che, in entrambi i casi, gli insegnanti ci dissero che ero negato, che la vivevo come una forzatura, che era meglio lasciar perdere. Pian pianino la passione ha cominciato a serpeggiare in me, fino a quando non ho capito autonomamente che se volevo far qualcosa dovevo approfondire.

Da lì ho cominciato a studiare e, finite le scuole superiori, a suonare in una band. Ci esibivamo nelle discoteche, negli anni ’80 si ballava ancora con la musica dal vivo, così mi sono ritrovato a riarrangiare un ingente quantitativo di successi in voga in quel momento. Parliamo di cento canzoni l’anno, calcola che l’ho fatto per circa un decennio. E’ stata una bella palestra, un’esperienza che mi ha portato, in maniera del tutto naturale, a dedicarmi successivamente da solo ai miei primi arrangiamenti.

Com’è cambiato negli anni il tuo lavoro considerando l’evoluzione tecnologica?

Ho cominciato a fare dischi nella seconda metà degli anni ’80, all’epoca non si poteva più di tanto lavorare in un contesto casalingo, perchè le attrezzature erano ingombranti, per registrare si usavano le ventiquattro piste con i nastri a due pollici. Tutto era anche meno economico rispetto ad oggi, pensa che un nastro dove ci stavano massimo tre canzoni costava 300.000 lire. Con l’avvento della tecnologia, tutto si è trasferito sul computer. Se per mettere in piedi uno studio una volta servivano almeno cento milioni del vecchio conio, oggi con 5.000 euro hai tutto a casa.

Produrre musica è diventato decisamente più accessibile, quali sono i pro e i contro? 

Credo che i pro siano tanti, perchè realizzare musica al computer ti permette di avere un preascolto di quello che andrai a fare con gli strumenti veri. Il tutto è accessibile a molta più gente, c’è più democraticità diciamo, chiunque può avere le attrezzature per realizzare una hit. Di contro c’è un’impressionante produzione di musica, che non penetra nell’attenzione dell’ascoltatore, è come buttare un bicchiere di coca cola in una vasca da bagno, vedi che l’acqua cambia un pochino di colore, ma sicuramente non ne senti il sapore.

Questo ha portato ad una crisi del settore, ancora prima del Covid. Quali sono state le principali cause?

La discografia non è più stata capace, secondo me, di tenere testa alla situazione. Ha iniziato a dipendere troppo dalle radio, poi ha cominciato a tagliare sul personale e sulle produzioni, soprattutto quando le vendite dei dischi sono calate. Mi riferisco in modo particolare alle multinazionali che, essendo aziende, hanno dei bilanci da far quadrare. Una volta i direttori artistici puntavano e investivano sui talenti, anche se i primi album non andavano bene, un esempio su tutti è Lucio Dalla. Oggi questa cosa non c’è più, l’etichetta discografica tende ad ingaggiare chi ha già comunque un suo successo, guardando ai numeri e ai follower. Non si rischia più, si va sul sicuro.

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Venendo all’attualità, invece, quali sono le reali criticità dell’intera filiera?

Fondamentalmente ci sono tanti operatori dello spettacolo che non possono lavorare, tutta una serie di musicisti e tecnici che non possono fare serate. L’intera macchina dei live è immobilizzata. Mia moglie Paola è una bravissima batterista, ha suonato con grandi artisti, quest’estate ha fatto un paio di concerti, dei trenta che erano in programma, poi tutto si è rifermato. Nonostante questo i mutui vanno avanti e le tasse vanno pagate, in più bisogna pur mangiare. Per quanto riguarda la mia attività da produttore, molti dei lavori che avrei dovuto realizzare sono tenuti a freno, rimandati a data da destinarsi.

Quindi il problema non è soltanto di chi lavora con i live, ma anche di chi produce in studio?

Beh sì, almeno per quanto mi riguarda, poi ci sono le grosse produzioni che vanno avanti, non è che Vasco Rossi si fa intimorire da questa situazione per realizzare un album. Certo è che, ormai da tempo, la produzione dei dischi e l’attività live non viaggiano più su due binari paralleli, le due cose sono strettamente legate. Sicuramente un rallentamento nella produzione discografica c’è, perchè far uscire troppe cose in un momento delicato come questo.. è un po’ come la coca cola nella vasca da bagno di prima.

Secondo te, cosa si potrebbe fare di concreto per risollevare questa complicata situazione? 

Sai che non so risponderti? C’è un mercato che fa sì che una persona anziché fare il ragioniere faccia il musicista, in un determinato momento storico della società. Quando repentinamente si alterano i meccanismi e la situazione viene ulteriormente gravata dalla pandemia, di colpo cambiano le regole. Tutte le persone che prima potevano avere delle possibilità professionali, si ritrovano ad essere messe in discussione. Da musicista patisco questa cosa, ma mi sento comunque un privilegiato, perchè sono ben altre le figure in difficoltà. Come fare non saprei, anche perchè non abbiamo mai vissuto una situazione del genere. Mi ritengo fortunato ad aver vissuto in un momento particolarmente florido, si respirava musica in maniera fantastica, mentre oggi questa cosa non lo sento, siamo presi da tante e troppe cose. Qual è la prima cosa che fai quando ti svegli al mattino?

Mi metto a scrivere, a lavorare…

Secondo me, prima ancora prendi il telefono e controlli le notifiche…

Beh sì, hai ragione, lo davo addirittura per scontato!

Ecco, infatti. Siamo incollati a quell’oggetto per davvero troppo tempo, mentre una volta tutto questo non c’era. Quando mi mettevo ad ascoltare un disco non avevo altre distrazioni, era davvero una fonte di gioia. Sono gli usi e i costumi che cambiano, dovremmo utilizzare la tecnologia come una un’opportunità, cercando di non lasciarci influenzare così tanto.

A tu per tu con l’intenso e misterioso cantautore, al suo esordio discografico con “Non siamo più bambini”

Alpaca
Alpaca si racconta ai lettori di Musica361 in occasione del suo debutto discografico

Si intitola Non siamo più bambini uno dei pezzi più emozionanti di questo 2020 così particolare. A firmarlo e cantarlo è Alpaca, artista di cui non si conoscono né il volto né l’identità. Di lui sappiamo soltanto che ci sa fare, sia con la musica che con le parole. Tutto questo non solo ci basta, ci invita a frequentare più spesso la sostanza, a familiarizzare con le nostre più intime profondità, a non restare ancorati ai retaggi di un’inconsistente superficialità.

Più che una semplice canzone, la tua è una carezza. In un momento come questo, quanto è importante riscoprire quella parte di fanciullo che alberga dentro ciascuno di noi?

E’ importante, principalmente per ritrovare le cose semplici che da bambini si facevano in modo naturale: non bisogna mai smettere di sognare tirando fuori questa parte fanciulla che a volte teniamo nascosta. In un momento storico come quello che stiamo attraversando la semplicità e la spensieratezza può alleggerire molte paure, di questo ne sono sicuro.

Da bambini vorremmo che il tempo scorresse più veloce, poi cresciamo e preferiamo l’esatto opposto. Come descriveresti il tuo rapporto col tempo che passa?

Il tempo è una variabile complicata, i ricordi ci fanno tornare a un passato che vorremmo sempre qui, dietro alla porta, ma in realtà non è così, il tempo passa in maniera ben diversa, l’importante è cercare sempre degli obbiettivi positivi nuovi, come da bambini, portare ogni giorno la mente a ricercare un desiderio nuovo da realizzare, come quando si attendeva qualcosa tanto atteso e il tempo sembrava non passare mai…

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

Io tendo in ogni canzone a scrivere parole e musica insieme, nello stesso istante, al pianoforte. Parto da un’idea che mi nasce in testa e poi viene tutto da sé. Ci sono canzoni che ho scritto in cinque minuti senza revisione di nessuna parola o accordo, nate e finite così, solo impulso! La cosa affascinante è poi riascoltarle e sentire che mi trasmettono le stesse sensazioni di quando le stavo scrivendo, anche a distanza di anni… questo è qualcosa di indescrivibile.

Hai deciso di mettere la musica davanti a tutto, prima del tuo volto, prima della tua identità. In una società ormai votata all’immagine, pensi che questa scelta controcorrente possa premiare il tuo intento?

Che possa premiare sinceramente non lo so, quello che sò è che la mia musica e le mie parole non hanno bisogno di un’ immagine che la sostenga. Tutto viaggia tra un pianoforte e una voce, il resto ha poco valore. Il mio desiderio è che mi chi ascolta possa prima di tutto apprezzare la mia arte, possa viaggiare con la mente ed essere libero di emozionarsi. La fantasia ognuno se la crea a modo suo. Io penso che chi ama la musica non guarda all’immagine ma alla sostanza. Ora come non mai c’è bisogno di fare un passo indietro, prima la canzone e poi tutto il resto.

Alla luce del momento che stiamo vivendo, quale augurio ti senti di rivolgere alla collettività? Come te lo immagini questo Natale?

Penso che questo Natale sarà un ritorno alla semplicità, lo immagino purtroppo con più solitudine ma con la positività che poi, passato il buio, torneremo con più forza di prima ad apprezzare le piccole cose a cui non davamo più tanta attenzione. Non ci saranno baci, abbracci, ma ci saranno tanti pensieri positivi rivolti alle persone lontane che non potremmo vedere. Sicuramente sarà un modo per riflettere di più sulle vere cose preziose che abbiamo e che davamo per scontato. “Non perdere mai il sorriso, vedere in tutta questa situazione un’opportunità di rinascita interiore”, questo è l’augurio più grande che posso fare per questo Natale.

Secondo te, da questa situazione qualcosa la stiamo imparando oppure no?

Sicuramente sì, stiamo imparando a vedere tutto da un’ altra prospettiva, nulla è più scontato. Ogni piccolo gesto recupera il senso che stavamo perdendo, ci vogliamo più bene, apprezziamo di più il valore della vita e, sebbene si parli sempre di distanze e solitudine, questo tempo ci sta avvicinando dentro, ci porta tutti ad essere piu solidali.

A proposito di insegnamenti, qual è la lezione più importante che pensi di aver appreso tu, fino ad oggi, dalla musica?

La musica mi ha fatto uscire da tanti momenti difficili, mi sta aiutando anche in questo momento, da sempre mi accompagna. Credo che aver studiato pianoforte dall’età di cinque anni mi abbia aperto la mente. Tutta la tecnica imparata mi ha portato poi ad esprimermi liberamente con le canzoni, avevo un’esigenza forte di scrivere e tutto si è realizzato in modo naturale. La musica mi insegna questo: mai smettere di imparare e mai smettere di esprimersi, le due cose si fondono per dare emozioni a se stessi e a chi ci ascolta…

Intervista al manager e promoter di Civitavecchia, per una panoramica sulla sua carriera e sull’attuale situazione in cui grava il settore della musica dal vivo

Mirko Tisato
Mirko Tisato si racconta ai lettori di Musica361, dall’impegno dietro le quinte allo stop forzato dei live

Passione ed entusiasmo, queste le due caratteristiche che contraddistinguono l’approccio professionale di Mirko Tisato, manager e promoter che abbiamo il piacere di ospitare in questo secondo appuntamento della rubricaProtagonisti in secondo piano“. Una lunga esperienza nell’organizzazione e nella distribuzione dei concerti, l’interlocutore ideale per approfondire una tematica così delicata e attuale.

Come ti sei avvicinato a questo settore e in cosa consiste sostanzialmente il tuo mestiere?

Mi sono avvicinato nel 2000, iniziando la collaborazione con Massimiliano Savaiano, storico manager di Claudio Baglioni, occupandomi di logistica. Il mio primo tour è stato “Crescendo”, poi, col tempo ho cominciato a seguire artisti emergenti, nel 2006 ho prodotto Luciano Panella, in arte Noor, insieme siamo arrivati alle semifinali di SanremoLab, ora AreaSanremo, mentre nel 2018 con i Fedrix & Flaw abbiamo partecipato alla finale di Sanremo Giovani. Parallelamente sono passato a fare il promoter, l’impresario, collaborando con i vari booking, organizzando le date estive di diversi artisti nazionali. Oggi continuo a occuparmi di questo, oltre che del management de La Scelta, band romana che ha partecipato al Festival nel 2008, classificandosi al secondo posto tra le Nuove Proposte.

Quanto è cambiato negli anni il settore della musica live?

Dipende dal tipo di artista, già prima della pandemia c’erano più difficoltà per gli emergenti, ma avendo un buon booking alle spalle, gli spettacoli si riuscivano comunque a distribuire in piazze e in estiva, con ingresso a titolo gratuito, principalmente al centro-sud, mentre al nord meno, prettamente per un concetto culturale. Spesso si sottovaluta il potere dei concerti nelle piazze, naturalmente l’artista percepisce il proprio cachet direttamente dall’amministrazione comunale piuttosto che dal comitato, però, non essendoci un titolo d’ingresso, la differenza sta nel fatto che può venire ad ascoltarti chiunque, anche chi non ti conosce, non necessariamente un tuo fan. Una vetrina decisamente più trasversale.

Mirko Tisato: "Vogliamo tornare a saturare l'odore del palcoscenico"Quali sono le principali criticità del tuo settore? Sia prima che dopo il Covid

Prima del Covid, grosse problematiche non c’erano, il lavoro era piuttosto fluido. Una volta che hai costruito una base solida, instaurato rapporti con le istituzioni e i comitati locali, ti sei fatto conoscere e sei considerato un professionista serio, il resto viene da sé. Il roster di artisti che proponi viene valutato con attenzione. L’emergenza sanitaria, purtroppo, ha portato un fermo generale. Tutte le maestranze sono bloccate, conosco diversi amici che lavorano in service piuttosto importanti e che sono in seria difficoltà. In momenti come questi, però, non bisogna abbattersi, nel possibile reinventarsi. Personalmente mi sto dedicando al management, spingendo sugli artisti che seguo. Di certo non sto con le mani in mano, penso che nessun professionista lo stia facendo.

La discografia ha puntato molto sui live negli ultimi anni. Di certo nessuno poteva prevedere una situazione come questa, ma credi che sia avvantaggiato chi è riuscito a impegnarsi su più fronti?

Probabilmente sì. Sai, le major lavorano in forte sinergia con le principali agenzie di booking, soprattutto dopo l’avvento dello streaming, c’è stato un passaggio epocale. La discografia è cambiata, di conseguenza non si investe molto sugli artisti emergenti, proprio perchè a livello live hanno meno introiti dei big. L’unica eccezione, forse, oggi la fa il Festival di Sanremo, che vive di una propria forza, grazie alla sua storia e al suo potere è in grado, a volte, di scombussolare le leggi di mercato e di dettarne di proprie. Un tempo si presentava la classica canzone sanremese, oggi c’è più abitudine a presentare pezzi con qualsiasi contaminazione musicale. Il Festival resta la vetrina più importante, insieme ai talent show, il trampolino di lancio sia per un discorso discografico che per quanto concerne l’attività live. Mai come il prossimo anno avrà una grandissima rilevanza.

Appartieni anche tu alla scuola di pensiero di chi sostiene che non si sia fatto abbastanza, da parte delle istituzioni, per tutelare l’esercito di 570.000 operatori dello spettacolo?

Sicuramente, infatti sono iscritto e sostengo anch’io Bauli in Piazza, una bellissima iniziativa. Sì, le istituzioni ci hanno proprio dimenticato, lo posso dire tranquillamente. Il sostegno che noi professionisti avremmo voluto ricevere, non è elemosina e nemmeno beneficenza. Per esempio io sono contro il reddito di cittadinanza, ma in questo caso parliamo di un supporto per le persone che realmente non possono continuare a svolgere il proprio mestiere. Non si tratta di reintrodursi nel mondo del lavoro. Parliamo di lavoratori che fino a un anno fa svolgevano con esperienza e professionalità un ruolo funzionale e indispensabile nella grande macchina dell’intrattenimento, ma anche e soprattutto della cultura. Molti di noi svolgono la propria mansione per vocazione. Questo lavoro si fa per passione, non puoi dedicarti a questo tipo di mestiere se non hai un fuoco sacro dentro, perchè fai parte parte del comparto artistico, pur non essendo artista.

Anche perchè, diciamocelo, non ci diventi milionario… come anche nel mio caso, tra l’altro…

Esatto, anche tu fai il giornalista per vocazione e quando svolgi un mestiere con passione non ti interessa diventare ricco. Ti basta ricevere uno stipendio normale per poter vivere dignitosamente. Questo bisognerebbe sottolinearlo, perché nel nostro settore se si riesce a lavorare ci si vive. Alcuni possono pensare chissà quanti soldi possiamo aver racimolato negli anni e che, di conseguenza, possiamo campare di rendita. Non è così, riusciamo a vivere di una professione che, vuoi o non vuoi, abbiamo scelto non per necessità, bensì per inclinazione e coinvolgimento, ripeto: per passione e vocazione. A noi non è mai interessato diventare ricchi, altrimenti avremmo scelto un altro mestiere, quello che più ci manca è poter lavorare. L’attuale condizione ci rattrista più sotto il punto di vista motivazionale che economico, vogliamo tornare a saturare l’odore del palcoscenico.

Mirko Tisato: "Vogliamo tornare a saturare l'odore del palcoscenico" 1Se ne è parlato tanto all’inizio, qualcosa si è pure fatto, ma cosa ne pensi dei live in streaming?

Sì, come hai visto sono scemati, perchè hanno un effetto relativo, viene a mancare lo scambio fondamentale tra artista e pubblico. Il concerto in streaming lo considero molto asettico, bello poter sentire e vedere il tuo artista preferito in una situazione come questa, ma è come guardare un programma televisivo. Non arriva quello che deve arrivare, la musica è condivisione.

E’ anche vero però che, negli ultimi anni, chi più o chi meno, passavamo parte dei concerti con lo smartphone in mano. Quasi come a voler conservare un ricordo piuttosto che godere appieno di un momento…

Me lo auguro vivamente. A tal proposito ti racconto un aneddoto, riferito ad un concerto di Adele di qualche anno fa all’Arena di Verona. In prima fila c’era un ragazzo che riprendeva la sua esibizione, lei ha fermato la musica invitando quella persona a spengere il telefonino, perchè non si stava godendo lo spettacolo. Una cosa bellissima, anche perchè subito dopo c’è stata un’ovazione plebiscitaria da parte del pubblico. Ecco, penso sia una questione di abitudine, dopo un lungo stop come questo la gente avrà bisogno di ritrovare quel tipo di aggregazione, senza smartphone.

Intervista alla giovane Angelica Gori, in occasione dell’uscita del nuovo singolo “Domenica”, prodotto da Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari

Chiamamifaro: "Canto le contraddizioni per accettarle e interiorizzarle"
Chiamamifaro si racconta ai lettori di Music361 in occasione dell’uscita del singolo “Domenica”

Ci sono periodi della vita che possiamo considerare di transizione, ad esempio l’adolescenza, il momento in cui non ci sentiamo più bambini, ma nemmeno troppo adulti. Fotografa alla perfezione questo stato d’animo Angelica Gori, autrice e voce del progetto Chiamamifaro, co-fondato insieme ad Alessandro Belotti. Prodotto da Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari, il singolo “Domenica” segue il positivo successo riscosso dal precedente inedito d’esordio Pasta rossa.

Nel brano racconti il processo di disillusione nel diventare adulti, quali sono le principali contraddizioni?

Che non si è mai del tutto felici di dove si è, penso faccia parte della natura di essere umani. Da bambini si voleva essere adulti, da adulti ci manca essere bambini. Ho scritto questa canzone l’anno scorso in quel sottile spazio di tempo che divide l’essere bambini dall’essere adulti, e che non fa che ingrandire i dubbi.
È di questo che parla principalmente “Domenica”, riuscire ad avere consapevolezza di queste contraddizioni e in qualche modo accettarle e interiorizzarle.

“Pasta rossa” e “Domenica” sono i primi tasselli del vostro percorso, cosa vi rende più fieri di questo doppio biglietto da visita? 

Ovviamente ci rendono fieri i risultati che stanno pian piano raggiungendo queste che canzoni e che non ci saremmo immaginati. “Pasta rossa” ha superato proprio oggi il mezzo milione di streams su Spotify e “Domenica”, uscita da pochissimo, sembra stare andando anche meglio. Ma parlare solo di numeri è riduttivo. Siamo fieri di essere riusciti a portare al pubblico la nostra visione di musica, che canzone dopo canzone non può che arricchirsi. Ogni pezzo che esce svela una diversa sfaccettatura di Chiamamifaro, e non vediamo l’ora di pubblicare nuova musica, nuovi pezzi dell puzzle.

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

Mi intriga da morire il momento in cui arriva l’idea di una canzone e pensare che fino a qualche secondo prima quella cosa non esisteva. Come se dal cielo improvvisamente piovesse un mobile, puff. Mi piace pensare ai musicisti non tanto come poeti e artisti ma come artigiani, come persone che creano mobili ad esempio (ride, ndr). E poi altrettanto intrigante è vedere una canzone che dallo stato embrionale in cui nasce, grazie al lavoro metodico di rifinitura, arrangiamento e produzione che facciamo con il nostro team arriva ad indossare il suo abito da sera pronta per uscire dallo studio di registrazione e arrivare nelle cuffie di più persone possibili.

Coltivi altre passioni oltre la musica?

Certo che sì, anche se in alcune delle cose che amo fare sono piuttosto scarsa. Tra queste c’è sicuramente il giardinaggio, una mia passione che forse dovrei provare a farmi passare visto che ahimè combino solo danni. Poi c’è l’amore per la ginnastica ritmica, sport che ho praticato per tanti anni a livello agonistico e che ha instaurato tra me e il mio corpo un rapporto di ascolto e rispetto reciproco che dura nel tempo. Ad oggi amo usare il mio corpo per fare yoga e per danzare, attività nelle quali non mi reputo granché, ma che vanno comunque un po’ meglio del giardinaggio.

Come valuti il tuo rapporto con i social network e quanto incidono, secondo te, oggi in un progetto discografico?

Il rapporto con i social è un rapporto delicato: da una parte c’è il desiderio di volerne fare a meno, essere liberi ed indipendenti da questa cosa che invece nelle nostre vite è diventata invasiva e onnipresente; c’è peró anche la consapevolezza – e la consapevolezza è una delle chiavi per un uso sano e sensato dei social – che siano un elemento caratterizzante della società contemporanea e in quanto tale sarebbe anacronistico ignorarli.

Popper negli anni ‘90 aveva scritto il saggio “Una patente per fare la tv”, in cui la tesi era appunto quella di istituire una patente per assicurarsi che chi facesse tv fosse preparato nel suo ruolo; avrebbe senso fare un discorso analogo per i social. Per un progetto discografico sono sicuramente un mezzo molto efficace per la promozione e – prima ancora – per mostrarsi e farsi conoscere. Non utilizzarli probabilmente sarebbe un autosabotaggio anche se non saprei quantificarne i danni al momento

Qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica fino ad oggi?

Iniziando a lavorare più seriamente negli ultimi mesi alle canzoni, abbiamo conosciuto il fascino della precisione che richiede la musica. Tutti i dettagli che prima ignoravamo e che invece fanno la differenza e che dobbiamo ancora imparare a perfezionare. In contrapposizione all’ordine matematico richiesto in fase di arrangiamento e produzione, c’è invece la leggerezza che serve per avere l’idea da cui poi nasce tutta la canzone.

Per leggerezza non intendiamo tanto l’essere felici e spensierati, quanto il fatto che un’idea molto spesso arrivi in un momento in cui si sta facendo tutt’altro. Abbiamo constatato proprio che più siamo svincolati dalla teoria o da binari precostituiti più è facile che nascano spontaneamente queste stesse idee. Dopodichè si passa alla fase dell’ordine, è un ciclo e questa elasticità-rigorosa è la lezione più importante che abbiamo appreso al momento.

Chiamamifaro: "Canto le contraddizioni per accettarle e interiorizzarle" 1

Intervista allo show designer sul suo impegno professionale a 360°, degli spettacoli televisivi a quelli dal vivo, un settore fortemente gravato dalla pandemia

Francesco De Cave
Francesco De Cave si racconta ai lettori di Musica361, dai suoi primi passi allo stop forzato dei live

Inauguriamo il primo appuntamento della nostra nuova rubrica Protagonisti in secondo piano con un ospite d’eccezione che, nel giro degli ultimi vent’anni, ha collezionato prestigiose collaborazioni, dimenandosi in diversi ambiti legati al mondo dell’intrattenimento. Stiamo parlando di Francesco De Cave, show designer per professione e, soprattutto, per vocazione.

Come ti sei avvicinato a questo settore e in cosa consiste esattamente il tuo mestiere?

Mi sono avvicinato all’età di quindici anni, quando ho capito la strada da percorrere. Nelle mia mente c’è sempre stata la voglia di poter fare spettacolo, da bambino guardavo il Festivalbar osservando le luci, i microfoni, la scenografia. Ho iniziato facendo il disc jockey, le prime discoteche e le prime feste private, durante le quali mi ero organizzato con dei piccoli effetti, noleggiando vari strumenti, dai proiettori alla macchina del fumo. Insomma, facevo servizio completo.

Avevi intuito che anche l’occhio voleva la sua parte e che l’immagine era importante?

Assolutamente sì. Poi ho iniziato a collaborare con un service della mia zona, Tecnoluce di Nettuno, imparando tanto da Enzo Colaluca, proprietario dell’azienda. Da lì sono arrivate sempre cose più grandi, piano piano sentivo l’esigenza di dovermi allargare, ho incontrato persone che mi hanno portato in altri luoghi. Ho iniziato a lavorare a Roma con A.R.C.O. Due, collezionando esperienze professionali in televisione, partendo come elettricista. Un giorno serviva un operatore e così ho cominciato la mia carriera, collaborando in diverse trasmissioni.

Fino ad arrivare all’attività live, com’è avvenuto l’ingresso in questo altro settore?

Sapendo usare la console compulite, mi contattarono da Agorà per chiedermi se volessi entrare a far parte della loro squadra. Nel 2001 è arrivato l’incontro con Laura Pausini, il mio primo tour mondiale, mentre qualche anno dopo ho cominciato a lavorare direttamente per le produzioni. Il mio punto di forza è stato quello di portare nei concerti un’ottica televisiva: il fondo, il controluce e il frontale sempre ben assestati, il tutto impreziosito dagli effetti da me prodotti. Successivamente ho fatto l’esatto contrario, riportando la mia esperienza live in televisione.

Immagino che l’evoluzione tecnologica sia stata notevole, cosa è cambiato negli anni?

In realtà sono arrivato in un momento in cui si stava passando dall’analogico al digitale, con le primissime console più evolute. Effettivamente sì, la tecnologia si è molto evoluta. Ho sempre cercato di starle dietro per come ho potuto, con corsi di aggiornamento oppure acquistando direttamente gli strumenti per potermeli studiare a casa, arrivando a concepire soluzioni sempre innovative e, soprattutto, per maturare avere certa cognizione di causa. Più ne sai, più sei veloce e più sei obiettivo nelle scelte. Detto questo, bisogna saperne assolutamente di luci, di video e, magari, una piccola infarinatura di audio può aiutare nella fase di progettazione di un palco, per sapere dove posizionare al meglio tutti gli elementi e non farti trovare mai impreparato.

Spesso si parla degli operatori dello spettacolo in terza persona, come fossero entità astratte. Considerando tutto quello che sta accadendo a causa della pandemia, stando al tuo vissuto e al tuo percepito, quali sono le reali criticità?

Per quanto mi riguarda, non poter più riempire gli spazi delle uniche persone che ci permettono di vivere, ovvero gli spettatori. La reale criticità è l’assembramento, di conseguenza viene meno la possibilità di realizzare grandi spettacoli. A questo aggiungiamoci il fatto che non siamo una categoria tutelata, lo Stato conosce benissimo la nostra situazione, da sempre, e l’economia che si muove attorno a questo settore. Anche se bisogna precisare che noi operatori dello spettacolo non realizziamo direttamente l’indotto, lavoriamo e partecipiamo alla creazione di quell’indotto sviluppato dalle varie agenzie. Il problema è che tanti operatori, professionisti e tecnici specializzati, stanno cambiando mestiere, perchè non riescono a pagare le bollette e tirare alla fine del mese.

Essendo impegnato su più fronti, hai la fortuna di poter comunque continuare a svolgere il tuo mestiere, ma ci sono delle micro-categorie che in questo momento sono più penalizzate?

Più che categorie precise, in questo momento credo siano penalizzate le persone che si sono legate ad un singolo settore. Nella mia vita lavorativa ho sempre cercato di spaziare, perchè la luce serve ovunque, dalla televisione alle sfilate di moda, dalle convention agli eventi privati. Il problema, purtroppo, tocca soprattutto chi ha perseguito un unico percorso, legato strettamente alla musica dal vivo. Essendomi specializzato anche come direttore della fotografia, fortunatamente, questa esperienza mi sta permettendo di continuare a lavorare, aprendomi a nuovi orizzonti.

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Mi viene in mente l’RTL 102.5 Power Hits, il grande lavoro di luci che hai realizzato all’Arena di Verona lo scorso settembre, senza pubblico e con pochi elementi sul palco. Immagino si sia trattata di un’esperienza piuttosto inedita per te…

Immagini bene, molto inedita. Poter avere l’Arena di Verona a mia completa disposizione è stato bello da un lato, ma brutto dall’altro. Non poter contare sul calore e sul supporto del pubblico è una cosa bruttissima, orrenda, oscena. E’ vero, ho potuto fare tutto ciò che volevo, mettere fari ovunque, a 360° e a qualsiasi livello. Da parte della produzione e della radio mi è stata data carta bianca, per cui ho avuto veramente l’opportunità e la possibilità di sfogarmi. E’ stato appagante… però, alla fine, avrei preferito ci fosse stato il pubblico, l’effetto speciale più spettacolare che ci sia.

Elisa, una delle artiste con cui collabori da tempo, ha fatto il gesto più bello portando avanti la sua tournée estiva, permettendovi di lavorare. Laddove c’è stata la possibilità di ripartire, seppur con grosse difficoltà, non ha esitato. Al di là degli aiuti, dei supporti economici, credi che sia questa la vera risposta? Ripartire, in sicurezza e in maniera ridimensionata, ma non restare fermi…

Assolutamente sì. quello che ha fatto Elisa credo che rimarrà nella storia. Ormai è di pubblico dominio, posso parlarne, ma lei ha completamente rinunciato al suo cachet devolvendolo a noi collaboratori, permettendoci di continuare a svolgere il nostro lavoro. Spero che questo gesto possa essere d’esempio anche per altri artisti, perchè la ripartenza è la cosa più importante, naturalmente in totale sicurezza. Fare musica, dare una speranza a tutte le persone che da anni svolgono con impegno questo mestiere e che si trovano dietro un palco, dietro un mixer o dietro una chitarra.

Cosa ti manca di più dell’attività live?

L’adrenalina che mi sento scorrere nelle vene alla fine di ogni concerto, ci vogliono ore prima di smaltirla. Sai, amo viaggiare di notte, mi metto in macchina e parto, per un’altra location o per tornare a casa. Posso ritenermi soddisfatto del mio impegno televisivo, mi reputo molto fortunato ad avere la possibilità di lavorare in un momento come questo, ma durante uno spettacolo dal vivo ti trovi in mezzo alla gente, non in una cabina di regia. Finché continueranno a sudarmi le mani prima di iniziare un programma o iniziare un concerto, continuerò a fare questo mestiere.

francescodecave.it
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Intervista al giovane cantautore e producer romano, fuori con il debut album “Presente”

Emanuele Bianco 2
Emanuele Bianco si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita di “Presente”

Tempo di nuova musica per Emanuele Maracchioni, in arte Emanuele Bianco, al suo esordio discografico con Presente, lavoro in cui vengono fuori le skills acquisite nel corso di questi ultimi anni. Un talento che affonda le sue radici nella produzione, per poi aprirsi ed evolversi nel cantautorato pop.

“Presente”, un concetto importante, cosa ti ha affascina di questo termine e cosa ti ha spinto a sceglierlo come titolo?
Ho scelto “Presente” come titolo perché credo che sia veramente importante vivere con presenza, forse mai come ora. Bisogna ricordarsi che spesso la paura vive nel futuro e i sensi di colpa nel passato. Il presente, invece, è proprio il momento in cui possiamo decidere la direzione della nostra vita.

Emanuele Bianco: "Presente? Il momento in cui decidiamo la direzione della nostra vita"
La copertina di “Presente”

Come si è sviluppato il processo creativo di questo disco?
Come molte delle mie canzoni, alcune tracce le ho scritte piano e voce, altre sono partito dalla produzione.

Cantautore e pruducer, come confluiscono in te questi due approcci?
Sicuramente questo aspetto rende ancora più bello fare musica. Ho ancora più capacità di completare l’idea artistica che nasce nella mia testa, curandola dal testo alla musica. Adoro sia il mio lato cantautorale che da producer.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?
È la protagonista delle mie giornate lavorative. Spesso in passato aveva questo ruolo anche nella sfera personale, ma ultimamente sto riuscendo a bilanciare le due cose.

Qual è l’aspetto che più ti colpisce e ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
Forse la fase di scrittura del testo e della creazione della linea melodica, ma anche la scelta del sound e dei campioni in fase di produzione.

La musica ti ha dato tanto, ma ti ha mai tolto qualcosa?
Certamente sì, ma credo che bisogna rinunciare a qualcosa di importante per raggiungere un giorno qualcosa di più gratificante, perciò va bene così.

Parte la rubrica dedicata ai lavoratori di un settore profondamente gravato dalla pandemia. Le storie professionali di autentici protagonisti troppo spesso messi in secondo piano

Protagonisti in secondo piano, spazio agli operatori dello spettacolo
A partire dal 10 dicembre, racconteremo le storie professionali di dieci lavoratori del mondo dello spettacolo

Ci sono mansioni che non si possono svolgere in smart working, intere categorie di lavoratori costrette a star ferme, da mesi. Non è la trama di un film di Steven Spielberg, bensì quello che sta accadendo ed è sotto gli occhi di tutti a causa del Covid.

Tra le varie criticità e le numerose difficoltà, c’è un settore particolarmente gravato dalla pandemia, composto da oltre 570.000 operatori specializzati del mondo dello spettacolo. Tecnici, macchinisti, fonici e un sacco di altre figure professionali, impossibilitate a svolgere il proprio ruolo nella grande macchina organizzativa dell’intrattenimento.

Artigiani in continua evoluzione che si sono sempre rimboccati le maniche, forse, senza ricevere i dovuti riconoscimenti. Fabbricanti di emozioni a cui abbiamo chiesto di raccontare le proprie storie professionali, per comprendere al meglio le problematiche direttamente dalla loro voce. Senza filtri, senza strumentalizzazioni.

Spesso si tende a parlare dei lavoratori dello spettacolo in terza persona, come se fossero entità astratte. Si mobilitano associazioni e si spendono pareri autorevoli, ma senza ascoltare la testimonianza diretta di chi vive questa frustrazione sulla propria pelle. Una serie di mancanze e di tutele in realtà antecedenti a questo periodo storico, su cui è arrivato il momento di porre l’accento.

Protagonisti in secondo piano, così potremo definirli, lavoratori che con la loro professionalità educano la nostra fantasia, contribuendo a farci svagare, riflettere, sorridere e commuovere, in una sola parola: sognare. In secondo piano, sì, perchè non sono particolarmente avvezzi a mettersi in mostra, non soffrono di esibizionismo. Sono soliti svolgere la propria funzione in maniera defilata dietro le quinte, ma non per questo non esistono o non necessitano meritato plauso e del dovuto sostegno.

A partire dal 10 dicembre, per dieci giovedì consecutivi, dedicheremo questo spazio alle loro storie, al loro percorso di crescita professionale, raccontando in cosa consiste dettagliatamente il loro lavoro, parlando di come riescono a reinventarsi in un momento particolare come questo.

Un settore complesso, in continuo movimento, composto da persone con competenze ed esigenze differenti. Abbiamo deciso di addentrarci in questo mondo con passione e riconoscenza, con la dovuta delicatezza, immedesimandoci in un vissuto e in una situazione che ci riguarda tutti… perchè la vita è un grande spettacolo e ciascun ruolo va tutelato.

Appuntamento a giovedì 10 dicembre su Musica361!

Intervista al cantautore pugliese, al suo debutto discografico da solista con l’album “Amore doni, amore vuoi”

Forte
Forte si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del suo progetto d’esordio discografico

Si intitola Amore doni, amore vuoi” il primo album solista di Lorenzo Forte, in arte semplicemente Forte, cantautore classe ’88 con una solida gavetta alle spalle, fatta di live ed esperienze musicali a tutto tondo. Un progetto che riassume esperienze di vita traducendole in parole e note.

Cosa hai avuto l’esigenza di raccontare in questo tuo lavoro d’esordio?

Semplicemente storie che ho osservato da molto vicino o che ho vissuto in prima persona.

Sonorità vintage a supporto di un tematiche senza tempo, pensi che questo sia un disco in cui ci si possa facilmente immedesimare?

Non tantissimo, nel senso che, molti brani vanno ascoltati più di una volta prima di potercisi immedesimare, forse solo un paio sono molto più diretti e da primo ascolto.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano? Coltivi altre passioni?

Sono molto appassionato di cinema moderno, ma la musica è sempre stata al centro dei miei interessi fin da quando ho 13 anni. Mi ha sempre aiutato e ha sempre colorato le miei giornate in maniera indescrivibile.

Forte 1
La copertina di “Amore doni, amore vuoi”

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

L’arrangiamento, mi affascina tantissimo vedere come un memo vocale chitarra/voce registrato sul mio cellulare, possa diventare un lavoro completo con l’inserimento di altri strumenti, con partiture diverse fra loro, che colorano ed impacchettano il tutto. E’ magia.

Alla luce del momento che stiamo vivendo, cosa speri che questa situazione complicata possa insegnarci?

Spero che ci insegni a non dare più per scontato niente, uscire la sera, bere una birra con un amico, urlare ed emozionarsi ad un concerto! Quando tutto questo sarà finito apprezzeremo molto di più tutto ciò, anche se per poco.

A proposito di insegnamenti, qual è la lezione più importante che pensi di aver appreso tu, fino ad oggi, dalla musica?

Fai quello che piace a te e solo a te, chi vuole criticarti lo farà comunque e chi vuole elogiarti ti apprezzerà di più, puoi fare qualsiasi genere tu voglia ma tutto quello che fai deve essere reale, tu devi essere reale! Altrimenti sei una bugia e le bugie, da sempre, hanno le gambe corte.

A tu per tu con il cantautore romagnolo, in occasione dell’uscita del singolo “Il cane e la mia ragazza”

Braschi
Braschi si racconta ai lettori di Musica361 al suo ritorno discografico © foto di Paolo Crocenzi

Quotidianità e immaginazione, due elementi che trovano il giusto equilibrio nella musica di Braschi, cantautore che abbiamo imparato a conoscere nel corso della sua partecipazione a Sanremo 2017 e che ritroviamo in occasione di questa nuova interessante uscita. Il brano, intitolato “Il cane e la mia ragazza”, sviscera tutta una serie di stati d’animo che attraversano il percorso che dal buio porta alla luce.

Accettare una caduta e sapersi rialzare, quali sensazioni e quali riflessioni hanno accompagnato la nascita di questo pezzo?

È un pezzo a cavallo tra una dimensione onirica e una domestica. La vita di tutti i giorni che si mescola con la fantasia. È anche una sorta di preghiera laica o forse neanche troppo laica: “E se c’è qualcuno che mi protegga da chi sto diventando”.

Quali skills artistiche pensi di aver acquisito in questi ultimi anni di attività?

Ho imparato a cantare meglio, a dosare i “piani” e i “pianissimi”, ad avere più senso dello spazio sul palco, quando sul palco si poteva andare (sorride, ndr). Invece, per quanto riguarda la scrittura, cerco di non imparare nulla, è un esercizio che pratico spesso: appena sento che sto apprendendo qualcosa, provo a distruggerlo o a dimenticarlo per evitare di scrivere con il pilota automatico. 

Braschi e la vita di tutti i giorni che si mescola con la fantasia
La cover de “Il cane e la mia ragazza”

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

È il motivo per cui mi sveglio la mattina e il motivo per cui non dormo la notte. La salvezza e la miseria. 

Qual è l’aspetto che più ti affascina esattamente della fase di composizione di una canzone?

Il momento in cui l’hai appena scritta, te la canticchi sul divano e senti precisamente la sensazione di avere costruito qualcosa dal niente, che prima il foglio era bianco e ora non lo è più, insomma la sensazione di avere creato qualcosa che emoziona te prima di tutto.

Alla luce del momento che stiamo vivendo, quale augurio ti senti di rivolgere alla collettività? Cosa speri che questa situazione complicata possa insegnarci?

Penso che questo momento possa in parte salvarci dalla deriva e dalla miseria di una vita focalizzata solamente su sé stessi, sui propri obiettivi, sul nutrimento del proprio ego, almeno credo ci abbia insegnato qualcosa in questo senso. Come scrive Mariangela Gualtieri: “Adesso lo sappiamo quanto è triste stare lontani un metro”.

A proposito di insegnamenti, qual è la lezione più importante che pensi di aver appreso tu, fino ad oggi, dalla musica?

Credo sia qualcosa di vicino alla risposta precedente. A non dare per scontati gli altri esseri umani. Non sentirsi il centro del mondo, sentirsi parte di un tutto.

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