A tu per tu con la giovane band milanese vincitrice della 63esima edizione della kermesse rivolta alle voci nuove

Watt
I Watt si raccontano ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del nuovo singolo “Fiori da Hiroshima”

Si è appena conclusa l’edizione 2020 del Festival di Castrocaro, ad aggiudicarsi il titolo sono stati i Watt, giovanissimo gruppo milanese composto da Greta Rampoldi, Matteo Rampoldi, Luca Corbani e Luca Vitariello. A convincere la giuria, oltre all’esecuzione delle cover di Rolls Royce di Achille Lauro e Vacanze romane dei Matia Bazar, è stata l’interessante performance che li ha visti proporre l’inedito Fiori da Hiroshima.

A chi dedicate questa vittoria?

Dedichiamo questa vittoria a tutti coloro che hanno sempre creduto in noi, ai nonni, genitori e amici che ci hanno sempre supportato e… anche a chi non ci ha mai creduto, ce l’abbiamo fatta!

Che ruolo gioca la musica nella vostra vita?

Sembra una banalità, ma la musica è la nostra vita. Dedichiamo 24 ore su 24 alle prove, alla composizione, ai concerti, non solo abbiamo deciso di voler fare i musicisti di mestiere, ce l’abbiamo nel sangue e non potremmo vivere un giorno solo senza suonare.

Quali pensate siano i vostri punti di contatto e i vostri punti di forza?

Prima di tutto il sound, ci piace spaziare e lasciare che la nostra musica venga influenzata da qualunque genere, senza pregiudizi. Poi la coesione tra di noi, che è fondamentale quando si ha un obiettivo così grosso in comune.

Watt, intervista ai vincitori del Festival di Castrocaro 2020
La copertina di “Fiori da Hiroshima”

Il mercato discografico di oggi, secondo voi, è ancora in grado di individuare e valorizzare il talento?

A volte si, a volte no, come sempre del resto. A noi, però, piace pensare che siano i consumatori, alla fine, a dare il vero valore al talento di chi fa musica.

Prendendo spunto dal nome della vostra band e dall’energia che portate con voi sul palco, quali sensazioni e quali stati d’animo provate suonando insieme?

Prima di tutto appagamento. Quando ci troviamo nella nostra sala prove a suonare viviamo le prove come un momento catartico, è la nostra droga. Ma non solo, per noi la musica è anche una terapia, quando siamo assieme cancelliamo tutto il male che ci circonda e siamo davvero felici.

La vittoria di Castrocaro vi consente l’accesso di diritto a Sanremo Giovani, quali sono le vostre aspettative a riguardo?

Non abbiamo aspettative, solo obiettivi, e il nostro obiettivo è di andare là e spaccare tutto, a prescindere da quale sarà l’esito.

Quale messaggio vi piacerebbe riuscire a trasmettere attraverso la vostra musica?

Ci piacerebbe trasmettere unità, la stessa che c’è tra di noi mentre suoniamo può esserci tra amici, in famiglia, in una comunità di individui.

Intervista all’ispirato cantautore veneziano, al suo esordio discografico con “Sogni di carta”

Vin Martin
Vin Martin si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del suo album d’esordio

Si intitola Sogni di carta l’album che segna il debutto discografico di Vincenzo Della Puppa, in arte Vin Martin, giovane e interessante talento della scuderia Krishna Music Group. Il progetto, disponibile negli store digitali e sulle piattaforme streaming a partire dallo scorso 30 giugno, è stato anticipato dal singolo Come se fossi roccia, un viaggio all’interno dei nostri sogni più reconditi.

Trasformare il sogno in realtà, facile a dirsi. Da dove si comincia?

Penso che i sogni partano sempre da figure, persone, luoghi esistenti e a noi conosciuti. A me succede spesso di sognare ciò che vorrei mi succedesse nella vita reale, ma il più delle volte non ho il coraggio per far sì che si realizzi. Comincerei dal trovare quel coraggio, senza aver paura delle conseguenze, esattamente come nei sogni. Affrontare le proprie paure, le proprie insicurezze, i propri dubbi, i propri sentimenti nascosti.

La musica per te è più una valvola di sfogo o un’isola felice su cui rifugiarti?

L’ho sempre vista più come una valvola di sfogo. Ci sono così tante cose che mi tengo dentro, che vorrei urlare al mondo, pensieri e desideri che non dovrei avere di cui mi libero nei testi che scrivo. Una vera e propria medicina.

Vin Martin 1
La copertina di “Sogni di carta”

“Sogni di carta” racconta gli anni del liceo, sulla copertina hai voluto raffigurare la tua adolescenza come un palloncino rosso, come mai?

Il palloncino rappresenta tutto ciò che ho imparato fino a questo punto della mia vita, ogni insegnamento e ogni passione coltivata. Sono sempre stato un ragazzo sicuro delle proprie idee, della propria strada e delle proprie scelte, non rimpiango nulla. Ho sempre deciso con la mia testa, ascoltando i consigli ma mai facendomi condizionare da altre persone. Nella copertina ho deciso di raffigurarmi con quel palloncino nella mano, come a voler dire che ciò che ho fatto ed imparato lo terrò sempre stretto, non lo lascerò volare via. La scelta del rosso, molto semplicemente, perché è il mio colore preferito, dopo il nero ed il bianco.

Che bambino sei stato?

Sono stato un bambino sempre pieno di idee e un grande sognatore. Sono cresciuto con la passione per la musica, per la scrittura, per il video editing e per i videogiochi. Scrissi la mia prima canzone a otto anni, cominciai a scrivere un romanzo nello stesso periodo, ma mai completato, ho avuto un canale youtube per tre anni, con il quale mi sono allenato nel montaggio video, e ho sempre messo i miei amici e il mio stare bene in primo piano rispetto allo studio, nonostante andassi molto bene a scuola. Non ho mai avuto particolare voglia di praticare uno sport seriamente, nonostante mi piaccia molto giocare a calcio, ho sempre preferito il mondo dell’arte, e questo mi ha portato ad essere il ragazzo che sono ora. Come ho detto anche prima, non rimpiango nulla, sono fiero e felice del percorso di crescita che ho avuto.

Che uomo ti immagini tra dieci anni?

Mi immagino lo stesso spirito libero di adesso, sempre sorridente, circondato da persone meravigliose, sempre con una gran voglia di cantare, suonare e trovarsi con gli amici. Mi immagino più sicuro, concentrato e maturo… e spero più paziente. Ma come dico sempre non mi va di pensarci troppo, mi piace vivere nel presente, godermi ogni momento e non smettere mai di imparare.

Chiudi gli occhi e immagina per un attimo la tua vita senza musica, cosa vedi?

Vedo solo metà della mia vita, ma fortunatamente è allo stesso modo ricca di soddisfazioni e passioni. Mi vedo a capo di un bar tutto mio dove posso coltivare la mia seconda grande passione, ovvero quella per i cocktail, che mi ha aiutato a trovare lavoro ad inizio anno. Mi diverte da matti ma la prendo molto seriamente allo stesso tempo. Imparerete ad accorgervi di molti elementi legati al mondo dei drink nei testi delle mie canzoni.

L’incontro con il giovane artista emiliano, in uscita con il singolo “Weekend” feat. I Desideri

Marco Filadelfia,
Marco Filadelfia si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del singolo “Weekend”

Tempo di nuova musica per Marco Filadelfia, cantautore classe ’97 attualmente in rotazione radiofonica con il singolo “Weekend”, impreziosito con il featuring con I Desideri. In occasione di questo lancio, abbiamo incontrato l’artista per parlare delle sue passioni e delle sue varie inclinazioni artistico-lavorative.

Il weekend inteso come stato d’animo, quale esattamente?

La voglia di ripartire, ma al tempo stesso anche il desiderio di stare bene. Quando si è tranquilli, il weekend si percepisce nell’aria, diventa uno stato d’animo che può accompagnarti anche in un qualsiasi altro giorno infrasettimanale.

Quanto hanno inciso la tua terra e il trasferimento a Milano nella tuo lavoro?

Marco Filadelfia: "Io, la musica, il calcio e la comunicazione"
Marco Filadelfia e I Desideri

Incide tutto nella vita, l’intera esistenza è un insieme di percorsi che confluiscono in un’unica strada. L’influenza della mia città, Formigine in provincia di Modena, è sempre stata importante, perché quando arrivi da una piccola realtà tutte le cose ti sembrano più belle, più grandi.

Milano mi fa sognare, mi da la possibilità di andare oltre, di conoscere gente nuova con ideologie diverse dalle mie. Il contatto con la realtà e il sogno sono due aspetti che, se uniti, possono permetterti di realizzare grandi cose.

Tanto amore per la mia terra e per le mie origini, ritornare a Formigine da un senso a tutti i viaggi che faccio, però per me è importante rincorrere i miei obiettivi e il mio lavoro, muovermi e non restare fermo.

Ricopri il ruolo di centrocampista nella Nazionale Italiana Cantanti, come nasce la tua passione per il calcio?

Gioco sin da piccolissimo, ho fatto le giovanili nel Modena quando giocava in Serie B, ho avuto la fortuna di accompagnare più volte la prima squadra, collezionando presenze importanti e giocando con calciatori che tutt’ora militano in Serie A.

Pensa, una volta ho fatto anche goal a Donnarumma (sorride, ndr), immagina cosa vuol dire per uno che proviene da una famiglia di milanisti sfegatati come la mia. Infatti, non mi chiamo Marco a caso, bensì in onore di Van Basten.

Dopo il Modena ho giocato anche nel Carpi e nel Castelvetro, poi ho avuto la sfortuna di farmi male per ben due volte alle ginocchia, ho dovuto smettere, così ho avuto la possibilità di intraprendere nuovi percorsi, concentrando tutte le mie energie su quell’aspetto comunicativo.

Hai altre passioni oltre la musica e il calcio?

Marco Filadelfia: "Io, la musica, il calcio e la comunicazione" 1
La copertina di “Weekend”

Ne ho tante, amo lo sport in generale, mi piace passare il tempo libero camminando a stretto contatto con la natura. Andare a funghi o andare a castagne, insomma, stare all’aria aperta. Mi piace nuotare, fare pesca subacquea, di recente ho cominciato con l’equitazione e devo confessarti che sono davvero affascinato dal mondo dei cavalli.

Tra le varie attività, che ruolo ricopre la musica nel tuo quotidiano?

E’ la mia valvola di sfogo. Se dovessimo paragonarla a un ruolo calcistico, la musica per me gioca sicuramente in attacco. Quando riesci a costruire delle basi solide con altri progetti, hai la possibilità di far sì che qualunque forma artistica diventi realmente la parte creativa della tua vita.

Se mi fossi ostinato ad inseguire soltanto la musica, probabilmente, non sarei così spensierato. Bisogna lasciarle lo spazio che merita, lasciare che sia anche lei a prenderselo a volte, senza trasformare una passione in un’ossessione.

A tu per tu con il cantautore toscano, al suo ritorno discografico con il singolo “Le commesse”

Daniele Barsanti
Daniele Barsanti si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita di “Le commesse”

Partire dall’immagine di una commessa che ripiega una maglietta e costruirci una canzone intorno, succede spesso a Daniele Barsanti, artista classe ’90 capace di raccontare e sviluppare una realtà parallela, prendendo spunto da ciò che osserva nel suo quotidiano. “Le commesse” è il titolo del suo nuovo singolo, che anticipa l’uscita dell’album prodotto da Diego Calvetti. Lo abbiamo incontrato, ne è venuta fuori una chiacchierata piacevole, ma anche molto introspettiva.

Cosa ti affascina esattamente del raccontare storie?

Mi affascina il poter trovare degli appigli su cui aggrapparmi, di solito non mi metto a tavolino a cercare l’ispirazione, semplicemente mi guardo in giro e noto quello che mi sta attorno. Quando capisco che mi sta arrivando addosso qualcosa di potente, cerco di acchiappare e afferrare quelle sensazioni, costruendoci intorno il mio romanzo. La verità è sicuramente una parte importante, così come la capacità dell’autore di andare più in là di ciò che si è visto.

Detto così sembra più facile di quello che probabilmente è…

Non lo è, in più è una cosa che capita, che non puoi controllare. Con l’esperienza si imparano alcune tecniche di scrittura, ma la capacità di scrutare e di osservare è un requisito che devi avere di natura. Alcuni lo chiamano talento, alla fine è una sorta di sensibilità che puoi riuscire a sviluppare o meno, per me parte tutto dall’immaginazione.

Quanto incide la tua terra, la Versilia, nella tua musica?

Parecchio, poi ne “Le commesse” ha inciso tantissimo. Qua, come saprai, la vita ha una durata stagionale, anche i brevi contratti di lavoro sono fasi della vita. E’ come se d’estate il mondo si fermasse in una bolla temporale, per poi ricominciare a settembre. La canzone è stata ispirata proprio da questa mia riflessione, ma anche un po’ da una mia angoscia, sul tempo che scorre e non so come poter fermare.

Quindi, come descriveresti il tuo rapporto col tempo che passa? 

Drammatico, nonostante la mia età, perché penso spesso all’impossibilità di poterlo fermare, se non attraverso la scrittura delle canzoni. Lì si apre una realtà parallela perché, secondo me, le canzoni sono un posto dove si può andare ascoltandole o scrivendole. L’unico rifugio dalla concreta realtà, che a volte è un po’ troppo cinica e, personalmente, mi interessa meno.

A proposito di sole e di mare, come la valuti questa estate climaticamente uguale alle altre ma profondamente così diversa?

Questo clima un po’ più controllato si sente, perché alla fine siamo tornati ad una situazione di quasi normalità. Ovviamente c’è un’attenzione più alta, deve continuare ad essere così a mio avviso, perché non si può scherzare con una cosa del genere. Mi osservo intorno e mi rendo conto che questo non vale solo per il sottoscritto, ma per tante persone si tratta di un’estate strana, diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. Vedi, tutto torna sempre a questo argomento, perché per me tutto parte da lì, dall’osservazione della realtà.

A parte il “voyeurismo artistico”, hai altre passioni oltre la musica? 

Voyeurismo è una parola interessante (ride, ndr). Sì, mi piace molto disegnare, sin da quando ero bambino, adesso ho un po’ perso la mano, ma è una mia passione celata. Poi, d’estate sono un grande amante del beach volley, uno sport apprezzato anche da molti personaggi dello spettacolo. Quando vengono in Versilia mi diverto a giocare con loro e scommettere qualche punto SIAE sulle canzoni (sorride, ndr), naturalmente scherzo, ci limitiamo a divertirci. E’ una passione che ho ereditato dalla famiglia, mio babbo giocava e mi ha trasmesso questo interesse, ma sempre a scopo ludico, la musica è un’altra cosa.

Daniele Barsanti 1

Che bambino sei stato?

Un bambino molto pensieroso, che si faceva tante domande, una specie di piccolo filosofo. Calmo, tranquillo, aperto alle conoscenze. Penso di aver vissuto l’adolescenza in modo diverso e di aver ritrovato i tratti somatici della mia infanzia dopo i vent’anni. Da adolescenti ci si nasconde un po’ per paura di esporsi di fronte agli altri ed essere diversi, col tempo ti accetti e ti racconti per quello che sei davvero.

Come ti descriveresti oggi?

Una persona più consapevole, rispetto anche solo a cinque anni fa, che ha sempre voglia di fare le sue zingarate, perché non si cresce mai del tutto. Una parte di me osserva la realtà con gli occhi di un bambino, ma con la consapevolezza che il tempo scorre e che nulla torna indietro. Mi ritengo una persona abbastanza concreta, però eternamente sognante. Un bel dualismo diciamo.

Come ti immagini tra dieci anni?

Forse con qualche capello bianco in più, ancora a bere Gin Tonic, soddisfatto per aver scritto una canzone più bella di quella del giorno prima. Sai, non riesco a vedere il futuro così lontano, tendo a vivere giorno per giorno, non amo le scadenze troppo lunghe. Lo sa bene chi lavora con me, ma è così anche per le relazioni amorose, se mi dici “stiamo insieme per cinque anni” scappo come un cavallino imbizzarrito, se mi dici “oggi stiamo insieme e domani si vedrà” mi freghi per vent’anni.

Chiudi gli occhi e pensa per un attimo alla tua vita senza musica, cosa vedi?

Vedo un ragazzo che fa un lavoro che gli piace poco, che non ha trovato ancora la sua strada e che non ha il coraggio di domandarsi cosa vuole davvero. Ovviamente dentro di me, come in ognuno di noi, vive una certa insicurezza, per cui diventa fondamentale trovare una valvola di sfogo, una passione che ci aiuti a coordinare le nostre idee e le nostre energie. Perché vedi, c’è veramente un filo sottilissimo tra gioia e dolore, io ci vivo costantemente in mezzo e ho imparato a stare bene in equilibrio, questo mi aiuta a scrivere e vivere proprio come voglio io.

Quattro chiacchiere con il giovane performer mantovano, fuori con il singolo “Sesto senso”

Raim
Raim si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del nuovo singolo intitolato “Sesto senso”

“Sogna ragazzo sogna” cantava Roberto Vecchioni, una canzone che sembra scritta per Raimondo Cataldo, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Raim, sognatore incallito che fa della propria passione per la musica la sua bussola. Sesto senso è il titolo del nuovo singolo, un brano che lo rappresenta e lo descrive sia caratterialmente che artisticamente.

In un’epoca in cui facciamo quasi fatica a percepire gli altri cinque, cos’è per te il “sesto senso”?

L’istinto, infatti in questa canzone ho voluto raccontare una mia condizione, la stessa che mi ha spinto ad ascoltare il mio sesto senso in un momento molto particolare della mia vita. Ho voluto tagliare le radici con il mio passato artistico, perché ho all’attivo un precedente percorso con il mio reale nome. Ad un certo punto ho voluto cambiare, prendere in mano le redini della mia vita, cambiare produzione e dare vita al progetto Raim.

Coniugare la tecnica vocale con l’aspetto comunicativo, quanto lavoro c’è dietro l’interpretazione?

C’è un lavoro lunghissimo, direi interminabile. Ho sempre cantato, sin da bambino, ma ho cominciato con convinzione verso i quindici anni, iniziando un percorso di studio che, ovviamente, si basava molto sulla tecnica. Col tempo ho sviluppato l’aspetto comunicativo, portandomi ad avere una forte capacità interpretativa, al punto da essere diventata una caratteristica fondamentale del mio canto.

Quando e come hai intuito che cantare era qualcosa di più di una semplice passione e di un passatempo?

L’ho capito durante la mia prima esibizione in un saggio scolastico, dovevo cantare “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero. Le emozioni che ho vissuto in quel momento mi hanno fatto intuire che poteva diventare qualcosa di importante, al punto da decidere di voler vivere di musica. Non è semplice, non lo è mai stato e in alcune situazioni non lo è ancora. Mi ritengo molto fortunato nel poter concentrare tutte le mie forze in ciò che mi piace fare.

Coltivi altre passioni oltre la musica?

Sì, ho altre passioni, ad esempio mi piace tantissimo leggere. Mi affascina il mondo della moda, tutto ciò che riguarda gli abiti e le scelte stilistiche. Mi diverte selezionare gli outfit per le mie esibizioni o per i videoclip. Poi il cinema, guardo tantissimi film e moltissime serie tv, mi piace cucinare, amo viaggiare, infatti quando ho tempo libero prendo e parto.

A parte i tortelli di zucca, cosa ti lega alla tua terra?

Guarda, ho delle forti radici che si dividono tra Mantova e Napoli, nel senso che i miei genitori sono entrambi di Torre del Greco, si sono trasferiti negli anni ’80 insieme ai miei fratelli più grandi, infatti sono l’unico della famiglia ad essere nato qui. Mi sono sempre sentito un nomade, perché negli anni ho anche cambiato diverse case, quindi non avverto un’appartenenza ad un luogo ben specifico, però Mantova è il posto a cui sono più legato, perché mi ricorda l’infanzia e la mia adolescenza.

Prendendo spunto dalle immagini animate del tuo nuovo videoclip, ti chiedo: che bambino sei stato?

Sono stato un bambino ultra vivace, molto curioso, per certi versi anche molto timido. Ho sempre cercato di conservare le mie emozioni e miei sentimenti, poi, crescendo ho capito che non è sempre giusto, in questo la musica mi ha cambiato tantissimo. Sai, sul palco hai la voglia, il bisogno e la necessità di far vivere le emozioni alle persone che ti ascoltano.

In che modo ti descriveresti oggi?

Oggi sono un ragazzo solare, cerco sempre di mostrare la mia positività, una dote piuttosto innata, che mi riconoscono sia amici che collaboratori. In qualsiasi tipo di situazione viene fuori questo mio voler cercare sempre il buono. Ho imparato a ragionare e pensare di più, mi reputo una persona curiosa della vita in generale, aperta al cambiamento.

Infine, come ti immagini tra dieci anni?

Spero di continuare a vivere della mia passione a livelli sempre più alti, sono contento di quello che ho, ma voglio continuare a sognare. Tra dieci anni mi vedo immerso totalmente nella mia musica, magari con un pubblico un po’ più vasto, a guardarmi indietro e rivivere le esperienze che mi hanno portato a quella determinata condizione. Il resto non saprei, soprattutto per quanto riguarda la mia sfera personale, l’unica certezza e l’unica cosa che riesco ad immaginare nel mio futuro è la musica.

Intervista alla giovane cantautrice romana Giulia Penna, fuori con il singolo estivo intitolato “Bacio a distanza”

Giulia Penna: "Io, la musica, i social e le mie più grandi passioni"
Giulia Penna si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del singolo “Bacio a distanza”

Simpatia e talento, queste due delle doti di Giulia Penna, artista classe ’92, idolo del web che vanta ben 1,3 milioni di follower su Instagram e 1,2 milioni su Tik Tok, oltre 18 milioni di views su YouTube e 1,6 milioni di stream su Spotify. Numeri da capogiro per la bella e talentuosa cantante romana, in uscita con il singolo “Bacio a distanza”, la giusta colonna sonora per questa inedita e strana estate.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

La musica mi accompagna sempre, tutti i giorni, a seconda del mio umore ascolto un determinato tipo di canzoni. E’ l’unica cosa che riesce realmente a rendermi felice. Perché? Non lo so.

Parte del tuo successo lo vedi alla rete, in modo particolare a Tik Tok che in questo momento è diventato un po’ il social di riferimento. Come spiegheresti in cosa consiste esattamente questa piattaforma ad un cosiddetto “boomer”?

Devo dire che è complicato, di primo acchito si può pensare che Tik Tok sia soltanto mosse, transition e cambi look, in realtà non è altro che una piattaforma di video, ciascuno pubblica ciò che più lo rappresenta. Naturalmente funziona molto il comedy, ma anche l’interpretazione è fondamentale, non conta solamente il sync. A parer mio, qualsiasi videomaker potrebbe sfruttare un canale di questo genere, perché permette di creare un vero e proprio portfolio. Infine ci sono delle challenge ufficiali alle quali chiunque può partecipare, questo credo sia molto stimolante dal punto di vista creativo.

C’è un artista che senti particolarmente vicino e che reputi per te un riferimento?

Mi piace un sacco Carl Brave, sono davvero in fissa con le sue canzoni, infatti tra i miei sogni nel cassetto c’è quello di poter realizzare un featuring con lui. Ha una scrittura molto fotografica, pur vivendo da qualche anno a Milano, ascoltandolo riesce a farmi riassaporare la mia amata Roma.

Coltivi altre passioni oltre la musica?

I social sono comunque una mia passione, anche se c’è un bel lavoro dietro, rimane fondamentalmente un grande divertimento per me. Poi mi piace lo sport, cerco di tenermi sempre in allenamento, quando posso leggo e sto imparando anche a suonare la chitarra. Ho una passione sfrenata per gli animali, adoro passeggiare all’aria aperta con la mia cagnolina Viola.

Viola che compare anche nel tuo ultimo videoclip, come descriveresti il tuo rapporto con lei?

Amo tutti gli animali, per strada mi prendono per pazza quando mi fermo a salutare e parlare con qualsiasi cane. Viola è un po’ la mia mascotte, non è il primo videoclip in cui appare, bensì il terzo, aveva già girato con me “Sempre bene” e “Shake”. E’ il mio amuleto, il mio porta fortuna, ho scelto di chiamarla così proprio per esorcizzare l’idea che si ha di questo colore, soprattutto nel mondo dello spettacolo.

L’idea di aprirle un profilo Instagram (che tra l’altro ha più follower del mio) come ti è venuta in mente? 

In realtà (ride, ndr) proprio per questa mia grande passione per le foto e per i social, Viola è un personaggio, mi fa troppo ridere, sono arrivata anche a farle recitare delle scenette. Con lei mi diverto davvero un sacco.

Romana di nascita e milanese di adozione, cosa ti manca di Roma e cosa ti piace di Milano?

Di Roma mi mancano la mia famiglia, l’atmosfera e la cucina, in particolar modo i supplì. Di Milano mi piace tanto il fatto che puoi incontrarti con chiunque facilmente, perché c’è meno traffico e le distanze sono minori. Mi sento veramente libera perché posso fare tante cose nell’arco della stessa giornata.

“Bacio a distanza” ci accompagnerà per tutta questa strana estate, quali sensazioni e quali stati d’animo ti piacerebbe trasmettere a chi lo ascolterà?

La voglia di rialzarsi e di ricominciare, una forza che troviamo all’interno di noi stessi ma che percepiamo anche dalle persone che ci circondano e che ci amano. E’ un brano di rilancio che trasmette un po’ di spensieratezza, dopo il difficile periodo che abbiamo vissuto direi che può solo farci bene.

Quattro chiacchiere con l’artista italo-congolese, al suo ritorno discografico con il singolo “Ballo”

Mudimbi
Mudimbi si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita di “Ballo” © foto di Roberto Graziano Moro

Due anni: ventiquattro mesi, centoquattro settimane, settecentotrenta giorni… un lasso di tempo importante, che Mudimbi ha deciso di investire per se stesso e, di riflesso, per la propria musica. Una pausa presa dopo la fortunata partecipazione al Festival di Sanremo 2018, dove si è classificato al terzo posto tra le Nuove Proposte con Il mago. Una scelta che lo ha portato ad abbandonare momentaneamente i social network, recuperando uno stile di vita più umano e meno digitale. “Ballo” è il titolo del singolo che segna il suo ritorno, per la prima volta in veste sia di cantautore che di produttore.

In cosa senti di essere cambiato in questi ultimi due anni?

Probabilmente sono ancora più consapevole, non che prima non lo fossi, ma ho voluto prendermi questi due anni per conoscermi un po’ meglio. Un privilegio di questi tempi, un lusso che mi sono voluto concedere. Sono riuscito a ponderare meglio alcuni aspetti di me stesso, che poi si riflettono nella mia musica, sviscerando ancora meglio la motivazione che c’è dietro. Adesso sono molto più sereno e sicuro di quello che sto facendo e, soprattutto, del perché lo sto facendo.

Quanto pensi sia cambiato il mondo patinato e luccicoso della musica?

Non posso darti un feedback, perché sono stati due anni in cui mi sono veramente estraniato da tutto e da tutti. Non ho la reale percezione di come siano cambiate le cose. Spero onestamente che si sia mosso qualcosa perché, in generale, tutto il mondo patinato dello spettacolo, non solo quello della musica, non è un qualcosa di totalmente onesto e trasparente, bensì costruito. Non so quale sia la situazione attuale, magari adesso mi faccio un giro nel mondo della discografia e poi ti faccio sapere.

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Mudimbi © foto di Roberto Graziano Moro

Hai sviluppato e coltivato altre passioni in questo periodo?

Un po’ sì, mi sono concentrato sulla scrittura, un esercizio che esula dalla musica, in più sto provando a rimettermi a disegnare, cosa che non faccio da anni. In generale, anche il lockdown è stato un periodo di riscoperta continua, un’epifania dietro l’altra. Sto provando a rimettermi in gioco, ma sono ancora al livello basic.

Appartieni anche tu al club di coloro che si sono dati alla panificazione e ad altre attività di questo genere?

Assolutamente no, diciamo che la maggior parte della quarantena l’ho passata a leggere e giocare alla PlayStation, non volevo diventare troppo intelligente e, quindi, ho abbassato il livello (ride, ndr).

Come trascorrerai questa particolare estate?

La passerò giù da me a San Benedetto del Tronto, devo ammettere che ero molto più preoccupato subito post-lockdown, perché immaginavo che la vita non sarebbe ricominciata così presto. Musicalmente parlando, invece, non so davvero ancora cosa aspettarmi.

Cantautore e produttore, come convivono in “Ballo” queste due anime?

Fondamentalmente è andato tutto di pari passo, ricordo di aver pensato al ritornello già con la strumentale. Mi sono messo a scrivere parole imparando contemporaneamente a comporre musica, ad arrangiare. Questo mi ha riacceso un entusiasmo che forse non avevo dai miei diciotto anni, perché è stato come rimettermi in gioco in un terreno inesplorato. Aver trovato il coraggio di farlo per la prima volta è stato incredibile e divertente, questo mi ha permesso di creare “Ballo” in tempi record, almeno per me, perché quando si è mossi dall’entusiasmo le idee vanno da sole a una velocità incontrollabile.

L’incontro con la talentuosa artista classe ’98, per parlare del nuovo singolo “Kill Bill”, prodotto da Diego Calvetti

Ciao sono Vale
Ciao sono Vale si racconta ai lettori di Musica361 in uscita del singolo “Kill Bill” © foto di Luca Pipitone

Vivere la musica come sfogo, questa la mission di Valeria Fusarri, in arte Ciao sono Vale, giovane cantautrice lombarda della scuderia Honiro Rookies. “Kill Bill” è il titolo dell’inedito che sancisce l’inizio del sodalizio artistico con il producer Diego Calvetti. Un brano originale e spontaneo, la fusione perfetta tra acustica ed elettronica, recitato e cantato.

Nel testo dici: “qui nessuno sa cosa sia l’etica e predica, chi giudica solo per sentito dire”. Penso tu abbia fotografato un po’ la nostra epoca in settantacinque caratteri, spazi inclusi. Cosa ti ha ispirato questo tipo di riflessione?

Grazie per aver sottolineato questa frase, ci tengo veramente molto e credo sia la frase in assoluto più significativa del brano. Una cosa mi ha sempre fatto incazzare: la gente che parla per dare aria alla bocca, quando in realtà di concreto non ha nulla da dire se non parole scritte/dette a caso senza darci nessun peso. Mi riferisco a tutte queste persone che non fanno altro che cercare di mettere in cattiva luce gli altri solo perché sono insoddisfatti della loro vita!

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La copertina del singolo “Kill Bill”

Cosa aggiunge “Kill Bill” al tuo percorso? Soprattutto rispetto al disco d’esordio “SOS” pubblicato lo scorso gennaio

Credo un bel passo avanti. Sto lavorando molto sulle parti cantate, gli incisi e l’espressione della mia voce quando canto e cerco di raggiungere certe note che non avevo mai nemmeno sfiorato.

Vista la citazione cinematografica di tarantiniana memoria, quali sono le tue pellicole preferite e i generi di film che prediligi?

Sono sincera e ammetto di essere molto più legata a certe serie TV rispetto ai film. Mi piacciono comunque gli horror, thriller o con una trama da seguire importante, ad esempio, come serie TV che adoro, c’è “VIS A VIS”.

Coltivi anche altre passioni oltre la musica?

Sinceramente no, sono praticamente negata in tutto (ride, ndr).

Che bambina sei stata?

Timida, chiusa, paurosa e insicura.

Come ti immagini tra dieci anni?

Sempre uguale ma sono sicura, al 100%, che avrò trovato un altro look che possa stare bene con la mia bandana!

Chiudi gli occhi e immagina la tua vita senza musica, cosa vedi?

Non è possibile. Niente!

A tu per tu con il cantautore lucano, al suo esordio discografico con “Rio Nero”

Michelangelo Vood
Michelangelo Vood si racconta ai lettori di Musica361 in uscita dell’Ep “Rio Nero” © foto di Nicola Leonardi.

Tra i nomi più interessanti della nuova scena cantautorale nazionale troviamo Michelangelo Paolino, in arte Michelangelo Vood, vincitore della settima edizione del concorso per autori Genova per voi. “Rio Nero” è l’Ep che segna il suo debutto discografico, un titolo che contiene al suo interno un duplice significato, il primo è un omaggio a Rionero in Vulture, la sua cittadina d’origine situata in Basilicata, il secondo verte sull’etimologia latina “fiume nero”, intesa come il fluire dell’ispirazione che ha portato alla nascita di questo lavoro. Sei le tracce in scaletta tra cui spiccano i singoli apripista Ruggine”, “Van Gogh” e “Paris, più le tre canzoni inedite Triplete”, “Atollo” e “Le cose belle.

In “Rio Nero” racconti la tua vita sviscerandone ricordi e momenti, come in un album di fotografie di famiglia. Ci sono delle pagine che hai voluto lasciare fuori, custodire gelosamente, o pensi di esserti aperto al 100%?

Sì, assolutamente, c’è sempre qualcosa da raccontare. Anzi, mi è capitato proprio in questi giorni di tirare fuori dei ricordi che avevo rimosso, che mi erano sfuggiti e che sto provando ad inserire in qualche nuova canzone. Rio Nero racconta gran parte di quello che è stato per me un momento di transizione, la storia di un ragazzo che all’età di ventiquattro anni si sposta dal monte su cui è nato per trasferirsi in una grande città. E’ stato difficile ma, al tempo stesso, super entusiasmante.

Quanto ha influito nella tua musica il passaggio da una realtà rurale come quella del tuo Paese a quella di una metropoli come Milano?

Moltissimo, perché cambiano un sacco di cose, se uno non lo vive non lo percepisce. L’impatto con Milano è stato inizialmente un po’ brusco, nel senso che non avevo nemmeno il tempo di fermarmi a pensare a quanto stesse accadendo. Ad un certo punto mi sono accorto che i sensi cominciavano a percepire cose diverse dall’esterno, ovvero colori, odori e suoni completamente diversi. I primi mesi non sono stati facili, non ti nascondo che sono andato in crisi, la musica è stata una cura, una forma di autoanalisi. Ultimamente sto imparando a prendere, a piccole dosi, i lati positivi di entrambe le realtà.

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La copertina di “Rio Nero”

Ambientalista e milanese d’adozione, come convivono in te queste due anime?

Guarda, qui a Milano c’è parecchio senso civico, mentre giù mi accorgo che è più latente, probabilmente perché l’essere immersi nella natura ti porta a dare quasi per scontato tutta quella bellezza. Ti faccio un esempio, il Paese dal quale provengo si chiama Rionero e sorge ai piedi del monte Vulture, un posto magico perché era un vulcano, pensa che i due crateri sono diventati i bellissimi laghi di Monticchio. Un luogo incredibile che, se fosse situato in Texas, con ogni probabilità verrebbe sfruttato e valorizzato al massimo. Confido nelle nuove generazioni, ultimamente molti giovani stanno mostrando interesse nei confronti di questi temi ambientali così attuali e importanti.

Come canti in “Atollo”, molleresti tutto per andartene in posto sperduto nell’Oceano Pacifico?

Sì, anche domani. Non so se lo farei per sempre, però per un periodo mi piacerebbe. Conoscendomi credo che dopo un po’ tornerei indietro, semplicemente per poter proseguire il mio discorso artistico. La musica per me ha senso se condivisa, cantarmela e suonarmela da solo, come per tanto tempo ho fatto nella mia cameretta (sorride, ndr), non è che mi affascina tantissimo.

La musica è sicuramente una compagna di vita, ti ha dato tanto ma, al tempo stesso, ti ha mai tolto qualcosa?

Non lo so, non c’ho mai pensato. Forse mi ha tolto un po’ di spensieratezza, nel senso più adolescenziale del termine. Ho cominciato a fare musica a quindici anni, con i miei migliori amici avevamo fondato una band punk/rock, ci divertivamo ma non l’ho mai vissuta come un gioco. La mia forma mentis è sempre stata quella di fare le cose al meglio delle mie possibilità, questo mi ha portato ad essere sempre molto concentrato, a darmi delle priorità, ma con questo non significa che mi abbia tolto qualcosa, anzi, la musica è sempre stata per me una grande ricchezza, un plus.

Debutto discografico per il giovane cantautore e producer lombardo Francesco Sacco, fuori con l’album “La voce umana”

Francesco Sacco
Francesco Sacco si racconta ai lettori di Musica361 in uscita del disco “La voce umana” © foto di Federica Sasso

Un bagaglio artistico importante quello di Francesco Sacco, influenzato dalla musica classica, dal blues e dal rock, ispirato a livello narrativo da ciò che ci circonda, raccontato in maniera fedele ma autobiografica, puntuale e sensibile. La voce umana è il suo album d’esordio pubblicato lo scorso 29 maggio, il cui titolo è un riferimento all’omonima opera teatrale di Jean Cocteau, al personale concetto di interlocutore riassunto in forma canzone.

Tanto per cominciare posso chiamarti collega?

Ora non più (sorride, ndr), ho fatto il giornalista musicale per un paio di anni, ho scritto per Rolling Stones. Vivevo a Milano da poco e scrivere di musica è stato un po’ il mio “piano b”, uno stratagemma per pagarmi l’affitto e iniziare a muovermi nell’ambiente, per poi tornare ad occuparmi in prima linea dell’aspetto artistico. Ho lavorato con il teatro e la moda firmando colonne sonore, successivamente ho prodotto diversi dischi per altri, soprattutto cantanti donne, fino ad arrivare a questo album.

“La voce umana”, un disco intimo, introspettivo e sincero. Da quali pensieri e da quali stati d’animo è stato concepito?

Questo lavoro è nato in modo abbastanza inconsapevole, dopo essermi trasferito per un periodo a Venezia, seguendo mia moglie Giada per motivi di lavoro. Mi sono ritrovato a staccare dai mesi precedenti piuttosto intensi, per certi versi in una realtà parallela. Inizialmente mi sentivo un po’ destabilizzato, anche solo, poi ho colto l’opportunità e ho iniziato a scrivere canzoni molto autobiografiche e malinconiche. Ho buttato giù concetti parlando con me stesso, il riferimento a Jean Cocteau è stata una successiva intuizione.

Questo esordio è arrivato esattamente come te lo immaginavi?

Per quanto riguarda il periodo di pubblicazione no, perché è arrivato un qualcosa che nessuno poteva prevedere o aspettarsi. L’uscita era in programma in questi mesi, con il mio editore Riccardo Vitanza e il resto del team ci siamo chiesti se pubblicarlo comunque, abbiamo deciso di farlo perché credo che l’arte non sia un accessorio da utilizzare solo quando le cose vanno bene. Alla fine un disco, come qualsiasi opera d’arte, è una forma di comunicazione tra te e un interlocutore che non conosci. In un periodo di sensibilità collettiva estrema, leggere messaggi di persone che mi ringraziano per averli aiutati in un momento per loro difficile, ha un valore emotivo ancora più forte.

Un album che custodisce al suo interno una sua forza e una sua verità, lo consideri un po’ il manifesto della tua musica che verrà?

Sì, certo, sono d’accordo, lo considero un punto di partenza su cui poter sviluppare un percorso. Personalmente ho una quantità di influenze molto vasta, avendo studiato musica classica da piccolino e suonato da adolescente tantissimo blues e tantissimo rock. Ho cercato di mettere assieme tutte queste esperienze e, contemporaneamente, sento di aver scoperto un registro nuovo. Il potere del pop, se fatto bene, è quello di arrivare al pubblico senza troppi intellettualismi, parlando potenzialmente a tutti. Per cui sì, mi piacerebbe che “La voce umana” fosse una solida base di partenza sui cui costruire il mio futuro.

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La copertina dell’album “La voce umana”

La voce umana – Tracklist

1. Intro

2. La voce umana

3. L’invenzione del blues

4. Berlino Est

5. Piove a Nagasaki

6. Maria Maddalena

7. A te

8. Il Lido di Venezia

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