Intervista al giovane artista di Bassano del Grappa, fuori con il nuovo EP intitolato “Imperfetto”

"Imperfetto", il manifesto generazionale di Thomas
Thomas si racconta ai lettori di Musica361 in occasione della pubblicazione del suo nuovo progetto discografico

Tempo di nuova musica per Thomas Bocchimpani, meglio conosciuto semplicemente come Thomas, in uscita con l’EP Imperfetto, anticipato dai singoli Ne 80 e Contro verso. Prodotto da Giordano Colombo e Federico Nardelli, il disco  mette in risalto le velleità artistiche del giovane performer vicentino.

“Imperfetto” come…
… come il nostro tempo, come ciascun essere umano, come me stesso, come la mia percezione della realtà e dei sentimenti. “Imperfetto”, come sento di raccontarmi adesso.

Cosa pensi dei social network?
A livello culturale hanno un grande potere, d’altra parte sono spesso fuori controllo, nel senso che sono alla portata di chiunque e in qualsiasi posto del mondo. Penso che bisognerebbe imparare a dosare il loro utilizzo.

Thomas: "Imperfetto? Come sento di raccontarmi adesso"
La copertina dell’EP “Imperfetto”

In un’epoca fatta anche di immagini, quanto conta la presenza scenica?
Essendo cresciuto sia come cantante che come ballerino, avendo studiato danza per dodici anni, io sento di raccontarmi attraverso entrambe queste due meravigliose forme d’arte. Sicuramente l’immagine conta, a me piace curare la mia, l’importante è che la musica arrivi a prescindere dall’estetica.

Hai altre passioni oltre la musica e la danza?
Sì, molte, in particolare il nuoto, al punto che starei ore ed ore in acqua, amo passare il tempo con la mia famiglia, stare con gli amici, mi piacciono le belle ragazze (sorride, ndr). Avendo vissuto in posto paesaggisticamente meraviglioso come Bassano del Grappa, sono molto affascinato dalla natura, dalla sua armonia, dalla sua purezza e dall’equilibrio che si instaura tra le creature.

A tal proposito, cosa pensi di questa positiva ondata ambientalista che coinvolge molti tuoi coetanei nel mondo?
E’ importante che se ne parli e che si ponga rimedio a questo pericolo incombente che sta rovinando il nostro pianeta, trovo positivo che questa sensibilizzazione parta proprio dai giovani. Spero vivamente che questo risveglio collettivo di coscienze porti a qualcosa di buono, nel minor tempo possibile.

Intervista al giovane cantautore bresciano, in gara tra le Nuove Proposte di Sanremo 2020 con “Nel bene e nel male”

Matteo Faustini
Matteo Faustini si racconta ai lettori di Musica361 in attesa di debuttare sul palco del Teatro Ariston

Nel bene e nel male” comunque vada sarà un successo, non soltanto un modo di dire nel caso di Matteo Faustini, artista classe ’94 che impareremo a conoscere nel corso della 70esima edizione di Sanremo e che, a giudicare da quel bel biglietto da visita musicale, sembra essere arrivato per restare. Subito dopo il Festival uscirà per Dischi dei Sognatori con distribuzione Warner Music Italia, il suo primo album di inediti Figli delle favole, disponibile dal 7 febbraio.

Che messaggio ti piacerebbe lanciare tra le righe della tua canzone?
Vorrei che il pubblico percepisse l’amore con cui ho scritto questo pezzo. I legami sono difficili da costruire, spesso sono instabili e trovare un equilibrio è davvero complicato. Le cadute nella vita capitano, l’importante è avere delle basi solide, dei rapporti e delle certezze che ti aiutino a rialzarti. Non conta quante siano, meglio poche ma buone. Esserci prima per noi stessi e poi per gli altri, nel bene e nel male.

Hai altre passioni oltre la musica?
Il cibo, in particolare il sushi, poi amo Netflix con tutto me stesso (sorride, ndr). Sono un appassionato di scienza, molto affascinato dallo spazio, e poi mi piace pensare. Mio padre scrive di filosofia, mi ha trasmesso un po’ questa attitudine che mi spinge a ragionare su vari temi, anche sugli errori che servono a migliorarci. Certo, a volte mi faccio troppe domande, ma mi trovo bene tra i miei pensieri.

Quali sono gli aspetti che più ti affascinano di questo mestiere?
La cosa che mi piace più della musica è che riesce a comunicare dei messaggi, dare delle visioni diverse, può far piangere o sorridere, oppure semplicemente anche solo far ballare. Una delle cose più belle che mi sono successe dopo l’annuncio del mio passaggio a Sanremo riguarda la mia famiglia. In tutte le parentele ci sono degli screzi, dopo anni di allontanamenti e divergenze, la cosa che mi ha commosso è che tutti i Faustini si sono riuniti per tifare per me.

C’è qualcosa che invece ti piace di meno?
Sì, ovvio, dico sempre di essere fatto per la musica ma non per il mondo che le ruota attorno. Ho avuto esperienze molto negative, sono successe tante cose, brutte e pesanti. Ho incontrato tanti vampiri energetici, persone che hanno finto di credere in me per doppi fini. Dopo tanto vagare, ho finalmente trovato persone di cui potermi fidare, un team straordinario e questo non ha prezzo.

Hai una canzone di Sanremo a cui sei particolarmente legato?
Sì, “Di sole e d’azzurro” di Giorgia, ancora adesso tra le mie preferite. Durante quel Festival avevo sei anni e mi ricordo che è stato il primo pezzo che mi ha letteralmente folgorato, ogni volta che l’ascolto mi sento davvero bene.

Intervista al rapper romano, in gara tra le Nuove Proposte di Sanremo 2020 con il brano “Per sentirmi vivo”

Fasma
Fasma si racconta ai lettori di Musica361 in attesa di debuttare sul palco del Teatro Ariston con “Per sentirmi vivo”

Mancano pochi giorni e potremo assistere al debutto sanremese di Tiberio Fazioli, in arte Fasma, artista classe ’96 che si presenta in gara tra le Nuove Proposte della 70esima edizione del Festival della canzone italiana con il brano Per sentirmi vivo, composto a quattro mani con Luigi Zammarano.

Un pezzo che racconta una piccola storia, autobiografica ma al tempo stesso universale…
Esattamente, l’esperienza forgia. “Per sentirmi vivo” per me ha un valore importante perché da peso si trasforma in leggerezza, diventando qualcosa di puro, qualcosa di bello.

Che un messaggio ti piacerebbe trasmettere attraverso questa canzone?
Che i sogni esistono e non bisogna mai smettere di coltivarli, io stesso sono partito da zero e adesso sono a Sanremo. A darmi speranza è sempre stata la musica, non bisogna mai smettere di crederci.

Hai altre passioni oltre la musica?
Sì, ma direi che sono comunque riconducibili alla musica. Abbiamo aperto un’etichetta discografica e produciamo i nostri amici, appena ho avuto l’occasione ho cercato di trasmettere questa speranza anche ad altri, perché non mi dimentico di certo da dove arrivo. Poi vabbè sono malato di film, adoro il cinema.

Un titolo di un film che ti ha particolarmente colpito e che consigli ai nostri lettori?
Me ne vengono in mente duemila, ma uno che ho rivisto da poco e che mi ha fatto molto riflettere su un po’ di cose è “Le ali della libertà“. Pensa che sul sito IMDB è primo nella classifica dei duecentocinquanta migliori film di tutti i tempi, davvero molto bello.

C’è una canzone o un ricordo di Sanremo a cui sei particolarmente legato?
Ad essere sincero non ho mai guardato troppa televisione, di conseguenza il Festival l’ho sempre visto con gli occhi dell’italiano medio. Sicuramente mi sento rappresentato da questo tipo di manifestazione, soprattutto negli ultimi anni in cui c’è stato un forte ricambio generazionale.

L’episodio che mi ha fatto decidere di provare a partecipare a Sanremo è stato quando mi hanno raccontato che Vasco Rossi è arrivato ultimo. Alla fine ciò che conta è avere la possibilità di mostrare se stessi, alla lunga paga.

Intervista alla giovane sedicenne, in gara al prossimo Festival con il brano “8 marzo”

Dai banchi di scuola a Sanremo, la favola di Tecla Insolia
Tecla Insolia si racconta ai lettori di Musica361 in attesa di ritornare all’Ariston dopo la vittoria di Sanremo Young

8 marzo, questo il titolo della canzone presentata in gara da Tecla Insolia al prossimo Festival di Sanremo, Composto da un team di prestigiosi autori e musicisti (Piero Romitelli, Rory Di Benedetto, Emilio Munda, Rosario Canale, Marco Vito) e prodotto da Diego Calvetti, il brano porta sul palco dell’Ariston una messaggio di sensibilizzazione per un costante e maggiore rispetto verso le donne.

Che messaggio ti piacerebbe lanciare tra le righe del tuo brano?
Credo sia giusto che ognuno recepisca dalle canzoni ciò che ritiene opportuno, perché il bello della musica è la soggettività, mi piace che ci sia libera interpretazione. Alla fine il mio brano si spiega da solo, il messaggio è aperto ma anche abbastanza esplicito, vorrei spingesse ad una riflessione uomini e donne.

Hai altre passioni oltre la musica?
Assolutamente sì, tantissime, ad esempio disegnare, leggere e un sacco di attività che cerco di svolgere nel tempo libero. Di sicuro amo la recitazione, l’ho studiata sin da piccola. A tal proposito, sono felice perché dal 23 febbraio partirà su Rai Uno una fiction, che si chiama “Vite in fuga”,  dove interpreto la figlia del protagonista. L’ho girata subito dopo l’esperienza di Sanremo Young e non vedo l’ora che venga trasmessa.

A proposito di Sanremo Young, che tipo di emozione pensi di ritrovare sul palco dell’Ariston?
Penso che ritroverò la stessa emozione, se non più grande visto che si tratta del vero Festival della canzone italiana, che ha una sua valenza storica molto importante.

Come riesci a far combaciare l’impegno scolastico con quello musicale?
E’ difficile, per fortuna studiare mi piace, naturalmente ci sono materie che mi riescono meglio come Storia dell’arte, Grafica, Italiano, Storia, Biologia e Inglese, altre meno come la matematica (sorride, ndr). Diciamo che sto provando a far conciliare tutto.

Hai una canzone di Sanremo a cui sei particolarmente affezionata? 
Sai che non ci avevo mai pensato? Nel senso che in famiglia abbiamo sempre seguito il Festival, ma non c’è un pezzo che amo più di altri. Il primo che mi viene in mente è un brano di Al Bano e Romina, di recente ho ritrovato un filmino di quando avevo tre anni e cantavo “Felicità” (sorride, ndr). Ecco, ti direi quella.

Intervista al gruppo musicale, in gara tra le Nuove Proposte di Sanremo 2020 con il brano “Tsunami”

Eugenio in Via Di Gioia, Sanremo? Un lascia passare per la Nazionale Cantanti
La band si racconta ai lettori di Musica361 in attesa di debuttare sul palco del Teatro Ariston il prossimo febbraio

Energici e simpatici, questo e molto altro ancora sono gli Eugenio in Via Di Gioia, gruppo composto dal cantante Eugenio Cesaro, dal tastierista Emanuele Via, dal batterista Paolo Di Gioia e dal bassista Lorenzo Federici. Tsunami è il titolo del brano con cui partecipano alle 70esima edizione del Festival di Sanremo, in programma dal 4 all’8 febbraio.

Ragazzi, siete a Sanremo! Come state vivendo l’attesa?
Benone. E’ davvero incredibile, pensa che in passato lo guardavamo tutti insieme, passavamo le serate davanti alla tv a prendere in giro chi non ci piaceva e supportare quelli che ci andavano a genio.

Avete un ricordo o un aneddoto che vi lega al Festival?
Sicuramente lo scorso anno, tifavamo per Mahmood, ci piaceva parecchio la sua canzone. La cosa pazzesca è stata che stavamo per uscire con il nostro album e uno dei singoli ripeteva nel ritornello “i soldi non esistono li hai inventati tu”. Da una parte era il nostro beniamino, dall’altra temevamo ci potesse “rubare” il tema, cosa che è ampiamente accaduta (ridono, ndr).

Avete altre passioni comuni oltre la musica?
Il calcio, infatti uno dei nostri sogni è il motivo per cui abbiamo iniziato a suonare: entrare a far parte della Nazionale Cantanti. Questo è uno dei nostri sogni in comune.

Tifate per una squadra in particolare?
Siamo simpatizzanti del Toro e della Ternana, ma dopo lo scandalo calciopoli lo abbiamo seguito in maniera meno assidua. Tendenzialmente ci piace giocarci, girando in tournèe è anche pratico perché basta portarsi dietro un pallone.

Un appello al presidente Paolo Belli per farvi prendere in rosa lo vogliamo fare?
Caro Paolo, siamo tutti e quattro molto bravi, competitivi il giusto, ma soprattutto collaborativi, nel senso che se ci fosse bisogno di fare autogol per il bene della squadra avversaria noi ci siamo! Saremmo degli ottimi compagni per Morandi, il capocannoniere Barbarossa, Ramazzotti, Benji e Fede. Di sicuro non faremmo tunnel a Nedved, questo ci sentiamo di poterlo garantire!

Mi scappa da chiedervi se avete un altro sogno nel cassetto dello stesso tenore…
Certo, un’altra passione che abbiamo in comune sono Aldo, Giovanni e Giacomo, ci piacerebbe un giorno conoscerli, andare a cena con loro, anche in vacanza se possibile e poi, ovviamente, poter lavorare alla colonna sonora di un loro film… ma qui ci stiamo allargando!

Intervista al cantautore romagnolo, in gara tra le Nuove Proposte con il brano “Due noi”

Fadi, dall'Emilia-Romagna al Festival di Sanremo
Fadi si racconta ai lettori di Musica361 in attesa di debuttare sul palco del Teatro Ariston il prossimo febbraio

Farà parte del cast delle Nuove Proposte di Sanremo 2020 il giovane Thomas O. Fadimiluyi, alias Fadi, artista italo-nigeriano nato a Reggio Emilia e cresciuto a Riccione. Due noi è il titolo del suo brano prodotto da Antonio Filippelli, un pezzo che verte sulla scrittura e sulle particolari caratteristiche vocali del talentuoso cantautore.

Un brano sentito e autobiografico, cosa racconta?
Parla del mio periodo universitario, ho scritto questa canzone nella tratta che và da casa mia a Riccione a Bologna. Questa canzone vuole essere un omaggio a quegli anni, alle persone che ho conosciuto e a quei posti fantastici.

Cosa ti lega così tanto alla tua terra?
Eh… ci sono nato (ride, ndr), ho tutto lì: dai rapporti familiari agli amici, il carattere delle persone, il loro modo di fare, l’ospitalità. Calcola che mia madre è albergatrice e fino a poco tempo fa facevo il tuttofare.

Che ricordi conservi di quel periodo?
Tutto, è stata un’esperienza che mi ha aiutato tantissimo, molte delle mie canzoni sono nate mentre aggiustavo una tapparella, imbiancavo o mi occupavo di adempiere a piccoli lavoretti.

Hai altre passioni oltre la musica?
Vivo di mille passioni che mi fanno stare bene, mi piace viaggiare, andare a pescare e adoro i motori. Pensa che mio padre venne sù dal West Africa per imparare questo mestiere, lui è preparatore e pilota di auto storiche, così ha trasmesso questa passione sia a me che a tutta la famiglia.

Aspettative per Sanremo?
Solitamente tendo a non farmene, per me è già una grande vittoria poter calcare il palco dell’Ariston. Francamente non so cosa aspettarmi, il mio obiettivo personale è quello di cercare di preservare il più possibile lo spirito genuino che contraddistingue sia me che i miei conterranei (sorride, ndr).

Intervista al cantautore siciliano, al suo quarto lavoro discografico intitolato “Ho bisogno di dirti domani”

Nicolò Carnesi
Nicolò Carnesi si racconta ai lettori di Musica361 – @ foto di Stefano Masselli

Si intitola Ho bisogno di dirti domani il nuovo album di Nicolò Carnesi, cantautore siciliano tra le penne più raffinate e ispirate dell’attuale firmamento musicale italiano. Dopo aver rilasciato Gli eroi non escono il sabato” nel 2012, “Ho una galassia nell’armadio” nel 2014 e Bellissima noia” nel 2016, torna con un album contenente dieci nuovi brani inediti, tra cui i bei singoli Spogliati e Borotalco.

Si tratta del tuo quarto disco in studio, in cosa si distingue dai precedenti?
Sicuramente c’è stato un cambiamento personale, quello più evidente penso sia nelle sonorità, che variano anche nel modo stesso di cantare. I tratti comuni, invece, sono i testi perché ho cercato una sorta di continuazione di discorsi che avevo già affrontato, in maniera completamente diversa. Questa volta ho sentito il bisogno di legare le tracce tra loro con un unico concept: il tempo, inteso come l’ingranaggio attraverso il quale scorre la nostra vita.

Hai sentito l’esigenza di riprendere in mano dei concetti?
Sì, mi viene abbastanza naturale, crescendo porto comunque avanti una mia visione delle cose, allo stesso tempo cerco di farlo in maniera sempre diversa. In questo caso, ad esempio, ho scritto tutto il disco al piano, cosa che non avevo mai fatto in passato. Uno stimolo anche per me stesso, per fare qualcosa di nuovo e coinvolgente.

Hai altre passioni oltre la musica?
Guarda, ho una passione forte quanto quella musicale anche per il cinema. Sono un accanito fruitore di pellicole, anche in  maniera patologica (sorride,ndr), riesco a vedermi fino quattro o cinque film al giorno quando sono libero e in vena. Non ti nego che un giorno mi piacerebbe realizzare una colonna sonora o addirittura un film, anche se so che è molto difficile.

Tra le due passioni, come ha fatto la musica a spuntarla?
Ha scelto la musica, a 16 anni ti avrei risposto che avrei voluto fare il regista. A farmi cambiare idea è stato il fatto che le canzoni possono essere scritte in solitudine, senza l’aiuto di nessuno. Tuttora compongo principalmente da solo, col tempo ho imparato a lavorare con altre persone, soprattutto negli ultimi due dischi, vedremo in futuro se riuscirò ad aprirmi ancora di più.

Conosciamo meglio il giovane rapper milanese, in uscita con il singolo “Mai”

È di moda: Giaime
Giaime si racconta ai lettori di Musica361 in occasione della pubblicazione del singolo Mai

Prendete una hit estiva come Vamos a bailar di Paola e Chiara, mettetela nelle mani di uno dei più promettenti astri nascenti della musica trap come Giaime, mescolateci la sapiente produzione di Andry The Hitmaker e, come tocco finale, aggiungete il doppio featuring con Lele Blade e Fred De Palma. Il risultato? “Mai”, un fresco e originale cocktail dalle sonorità interessanti e contemporanee.

Quanto sono importanti le contaminazioni nella tua musica?
Credo che sia un qualcosa d’inconscio, più musica ascolti e più contamini. Nel senso che non ti rendi nemmeno conto quando vai a scrivere e comporre insieme al prodcer, tutto ciò che assimili ti torna utile e ti resta nel cervello.

Qual è l’aspetto che più ti affascina del tuo mestiere?
Non saprei, sono sincero, forse l’emozione che hai quando senti cantare le tue canzoni. Al di là dell’ego personale, in questo momento è sicuramente la cosa che più mi piace.

C’è qualcosa che, invece, non sopporti e che cambieresti?
Ci sono tantissime cose che cambierei del sistema discografico di oggi, veramente troppe. Un po’ come accade per il Paese in cui abitiamo, ci sono tantissimi aspetti che non ti vanno giù, però poi vivendoci te li fai piacere.

Quale significato attribuisci alla parola “trap”?
Niente di più e niente di meno del significato reale, ricavare del denaro da attività illecite per reinvestirlo nella musica, questo porta ad un atteggiamento un po’ arrogante, un po’ “criminale”, un po’ di strada. Dal punto di vista musicale, invece, il sound non è nient’altro che un’evoluzione del rap.

Coltivi altre passioni oltre la musica?
Passioni tanto quanto la musica no, però mi piace molto il mondo del cinema, guardo tanti film, sono appassionato di serie televisive. Quella è la cosa che più mi piace fare quando non faccio musica.

Hai un featuring dei tuoi sogni?
In questo momento sicuramente Bad Bunny. Perché? Perché “scassa”!

Quattro chiacchiere con il cantautore calabrese, attualmente impegnato nella fase di scrittura delle sue nuove canzoni

Scarda
Scarda si racconta ai lettori di Musica361 in occasione della sua ultima tournée – @ foto di Marta Tosto

Reduce dal successo del suo FineTormentone Tour, ritroviamo con piacere Domenico Scardamaglio, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Scarda, artista classe ’86 che si è già fatto notare per la sua poetica fuori dal comune, come uno dei rappresentanti del nuovo cantautorato.

Dopo aver inaugurato la sua tournée lo scorso 26 ottobre da Pistoia e aver proseguito il proprio viaggio live da Bari, Rende (CS), Milano, Perugia e Santa Maria a Vico (CE), il 2019 del cantautore calabrese si concluderà con ultime tre imperdibili date, in programma il 12 dicembre al Covo di Bologna, il 13 dicembre allOff Topic” di Torino ed il 14 dicembre dal Monk di Roma.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?
Sono uno che ascolta parecchia musica, ma che non ha iniziato prestissimo, bensì dalla terza media in poi. Da lì è diventata una costante, parte integrante delle mie giornate.

Quale è stato il primo disco che hai acquistato?
Quasi mi vergogno a dirlo (ride, ndr) era “Hit Mania Dance ‘99”. Naturalmente col tempo ho preferito altre cose, da Ligabue al rock più classico dei Pink Floyd e dei The Doors, passano per i Nirvana e i Radiohead. Poi, ai tempi dell’università ho scoperto il cantautorato.

Hai altre passioni oltre la musica?
Mi piace leggere, di sicuro mangiare… ma anche cucinare. Mi diverte ricreare, sempre a livello abbastanza amatoriale, i piatti che sono diventati dei “classiconi”, dall’amatriciana alla carbonara.

Un piatto e un libro che consiglieresti ai nostri lettori?
Come libro mi sento di consigliare “Non si muore tutte le mattine” di Vinicio Capossela, un flusso di coscienza continuo che ho trovato bellissimo da leggere. Una ricetta, invece, è più difficile perché me ne piacciono di diverse, te ne dico uno random: spaghetti con le vongole.

In che direzione andrà la tua musica?
Non lo so, sicuramente continuerà questo flusso un po’ elettronico assunto con l’ultimo disco. Allo stesso tempo non vorrei neanche che fosse qualcosa troppo modaiola, bensì che avesse uno spessore.

Intervista al giovane artista romano, nuova promessa del cantautorato made in Italy

Emanuele Bianco
Emanuele Bianco si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del singolo “Sotto la Torre Eiffel”

Si intitola Sotto la Torre Eiffel” il nuovo inedito di Emanuele Maracchioni, in arte Emanuele Bianco, reduce dalla duplice apertura del concerto di Fabrizio Moro, sia a Roma che a Milano. Segnatevi il suo nome, perché ne sentirete parlare. Conosciamolo meglio.

Come nasce e come si sviluppa questo pezzo?
L’ho scritto di getto lo scorso agosto, il grosso lavoro è stato fatto sulla produzione. Sono molto soddisfatto del risultato, siamo riusciti a dosare bene la melodia con l’elettronica.

Come riesci a far convivere l’animo cantautorale con quello da producer?
Negli Stati Uniti sempre più artisti della nuova generazione si occupano anche di produzione. A seconda del tipo di canzone è bello sia lavorare in team, tipo catena di montaggio, che assecondare il proprio lato da musicista. Quando compongo ho già il beat in testa, nessuno meglio di me può riprodurlo fedelmente.

Un brano che parla di mancanza, in un’epoca così social la lontananza esiste ancora?
Sicuramente il web ha abbattuto tantissime barriere, ma quando ti manca davvero una persona non ti basta sentirla su WhatsApp, come canto nel brano. Oggi tendiamo a volere tutto e subito, si è persa un po’ di magia, mentre nelle mie canzoni c’è uno spirito che va oltre l’epoca attuale, un’attitudine un po’ più retrò se vogliamo.

Emanuele Bianco
Emanuele Bianco

Sei un estimatore di Tiziano Ferro, hai avuto già modo di ascoltare “Accetto miracoli”?
Certo! E’ un disco che va sentito più volte, lo apprezzi sicuramente col tempo. Sia i testi che le linee melodiche non ti entrano subito in testa e questo è un bene, perché vuol dire che è un lavoro più ricercato e maturo. Mi ha molto colpito il pezzo con Jovanotti, ma anche “Come farebbe un uomo” e “Amici per errore”.

Coltivi altre passioni oltre la musica?
Sono molto appassionato di tecnologia, impazzisco per la domotica. Come sport adoro la boxe, l’ho praticata per circa quattro anni, poi ho scelto la musica, perché entrambe le discipline richiedono grande sacrificio. Per riuscire al meglio, ad un certo punto ho dovuto prendere una decisione, così mi sono dedicato completamente alle mie canzoni.

Cosa hai imparato dal pugilato? Quali insegnamenti hai riportato nella tua musica?
Calcola che il mio maestro era Guillermo Mosquera, detto Pantera, campione del mondo di pesi leggeri, che purtroppo non c’è più. La prima cosa che ho imparato è vedere le cose in maniera facile, così anche le imprese più complicate possono sembrarti una passeggiata. Sia la boxe che la musica mi hanno insegnato l’importanza della disciplina, soprattutto in quest’epoca in cui anche noi cantanti avremmo bisogno, oltre che del classico vocal coach, anche di un vero e proprio mental coach.

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