Il cantautore salentino alle prese con il lancio del suo nuovo singolo che arriva a due anni e mezzo di distanza dall’ultimo progetto

Antonio Maggio
Antonio Maggio si racconta ai lettori di Musica361, in occasione del lancio del singolo “Il maleducato”

Una festa come metafora del futuro, con questa idea precisa Antonio Maggio fa il suo ritorno sulle scene musicali, con la classe e l’irriverenza alle quali ci ha sempre abituato. Il maleducato è il titolo del brano che fa da ponte tra il suo recente passato e l’inizio di un nuovo percorso musicale.

Quindi, a che ora inizia questa festa?
In realtà vorrebbe essere h24 nei suoi intenti, perché rappresenta un modo di approcciare la quotidianità con una determinazione che, almeno per quanto riguarda la mia generazione, un po’ scarseggia. Negli ultimi tempi le speranze si sono tramutate in disillusioni.

Tra i cantautori che ti hanno ispirato, quale definiresti il più “maleducato”?
Credo Rino Gaetano, per il suo essere dissacrante e provocatorio, ha sempre portato avanti la propria opinione seppur in chiave ironica. Lo abbiamo perso troppo presto, avrebbe potuto regalarci altre pagine indimenticabili di musica italiana.

Credi nel valore dell’amicizia anche tra colleghi?
E’ molto rara ma, per quanto mi riguarda, sento di poter chiamare amico Ermal Meta, tra noi c’è un sincero affetto e una stima reciproca, e Pierdavide Carone, con lui abbiamo condiviso una tournée di recente, oltre che la stessa stanza in ritiro con la Nazionale Cantanti. Sicuramente posso nominare anche Morgan, a distanza di oltre dieci anni da quello che fu quel gioco simpatico di X-Factor, non ci siamo mai persi di vista.

Che rapporto hai con la bella stagione?
Non tanto bello, mi reputo un salentino atipico, tra le quattro è la stagione che amo di meno, nonostante sia nato l’8 agosto. La mia fortuna è che d’estate sono impegnato a suonare in giro, questo aiuta a soffrire di meno. Diciamo che mi identifico nella famosa canzone di Bruno Martino (sorride, ndr).

Come sarà la tua estate 2019?
Sarà un’estate promozionale, cercherò di portare in giro Il maleducato in più posti possibili, anche attraverso i live che restano il mio habitat naturale. Il 15 luglio parteciperò allo Slavianski Bazaar Festival in Bielorussia, una delle rassegne più importanti dei paesi dell’est Europa, così per qualche giorno mi rigenererò… al fresco.

“Punta da un chiodo in un campo di papaveri” è il titolo del nuovo album della cantautrice calabrese, addentriamoci nel suo appassionante mondo

Ylenia Lucisano
Spazio Emergenti: Ylenia Lucisano si racconta ai lettori di Musica361 – © foto di Daniele Borraco

Tra le giovani promesse del cantautorato al femminile troviamo Ylenia Lucisano, in uscita con la sua nuova fatica discografica. Punta da un chiodo in un campo di papaveri nasce da un sogno, da un fotogramma rimasto impresso nella mente dell’artista calabrese. Approfondiamo la sua conoscenza.

Che ruolo giocano nella tua vita i sogni?
Un ruolo importante, ho un quaderno dove li trascrivo come fossero appunti, cercando di fonderli con le situazioni quotidiane per metterli in musica. Non è facile ricordare i sogni, mi sono allenata molto, il segreto è non fare nulla non appena ti svegli, evitando di sovrapporre altri pensieri.

Ylenia Lucisano: "Io, i sogni, i gatti e il disegno"
Ylenia Lucisano, cover album

Quale frase ti rappresenta di più del disco?
“Tutto quello che passa è meraviglia”, perché tendo sempre a stupirmi di ciò che mi circonda, azzerando quello che conosco per ricominciare a sbalordirmi riscoprendo il valore delle cose, osservandole con più attenzione  e soffermandomi su ogni dettaglio.

Quanto contano le immagini nella musica?
Molto, quando scrivo faccio anche disegni, lasciandomi trasportare dall’ispirazione del momento. Per realizzare l’artwork del disco ho contattato Loputyn, una fumettista che mi piace moltissimo e che ha realizzato i fiori presenti in copertina.

Come nasce il tuo amore per i gatti?
Fino a qualche anno fa avevo paura degli animali, perché in casa non ne abbiamo mai avuti. Poi, per caso, sono capitata in un negozio di cuccioli e il proprietario, non sapendo della mia fobia, mi ha messo in braccio una gattina, non si è più staccata e da quel momento è venuta a vivere con me. Lella ha stravolto il mio stile di vita, al punto che vivrei in uno zoo (sorride, ndr), non mangio più carne e la mia dieta è priva di derivati animali.

Prendendo spunto dal tuo ultimo singolo, di cosa non ti potresti mai pentire?
Della scelta di vita che ho fatto nel dedicarmi completamente alla musica, anche se è un lavoro che non concede stabilità. A volte penso ad un piano B, ma non ce la faccio perché è l’unica cosa che mi rende veramente felice.

L’incontro con il giovane artista italo-tedesco classe 2003, in uscita con il suo album d’esordio intitolato “Cruisin”

Matteo Markus Bok: "La musica è la mia più grande compagnia"
Spazio Emergenti: Matteo Markus Bok si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Poliglotta e molto più maturo rispetto ai ragazzi della sua età, Matteo Markus Bok è una giovane promessa della scena pop internazionale, non solo di quella italiana. Frequenta il secondo anno di liceo all’American School di Milano e ha appena pubblicato Cruisin, il suo primo disco contenente otto brani inediti cantati in inglese e spagnolo.

Che ruolo ha la musica nella tua vita?
Mi mette in salvo da un mondo che, a volte, non è così felice. La solitudine mi piace ma non sopporto il silenzio, la musica rappresenta la mia più grande compagnia, sia nei momenti belli che in quelli più tristi. Piano piano è diventata il mio modo di esprimermi, il mezzo migliore per tirar fuori le mie emozioni.

Questo spirito lo avverti anche nei tuoi coetanei?
Sinceramente no, per questo mi ritengo molto fortunato. Avverto tanta sconforto nei loro occhi, trascorrono la stragrande maggioranza del tempo fissando lo schermo di uno smartphone o di un pc, senza godersi appieno le giornate.

Matteo Markus Bok: "La musica è la mia più grande compagnia" 2
“Cruisin”, il primo album di Matteo Markus Bok

E tu che rapporto hai con la tecnologia e i social?
Tutta questa virtualità un po’ la detesto, pur riconoscendo il grande valore comunicativo e, nel mio caso, promozionale. Per quanto mi riguarda non posso non tenerli aggiornati costantemente, sono diventati un mezzo, ma se avessi la possibilità di togliere la connessione internet al mondo intero per una settimana lo farei subito.

Hai altre passioni in particolare?
Prima di iniziare a cantare pensavo di avere una particolare predisposizione per lo sport. Ho praticato qualsiasi disciplina, dall’equitazione agonistica, dove ero campione regionale, al calcio come portiere in Serie A dei pulcini del Milan. Poi il tennis, lo snowbord, il surf, davvero di tutto. Tuttora l’esercizio fisico ha per me ha una componente fondamentale, ma lo vivo come puro divertimento.

Dove desideri arrivare con la tua musica?
Ad aiutare la gente a superare momenti difficili, conosco tante persone che non riescono a trovare una ragione per essere felici. La mia ambizione più grande è che la mia musica possa essere la loro uscita di sicurezza da ogni forma di tristezza.

Trionfa il talento della sedicenne campana, protagonista di una lunga cavalcata musicale cominciata dalle Blind Auditions

The Voice of Italy, Carmen Pierri è la vincitrice
Carmen Pierri, vincitrice della sesta stagione italiana del popolare talent show targato Rai Due

Tempo di verdetti per The voice of Italy che, nel corso della finalissima in scena martedì 4 giugno, ha eletto Carmen Pierri come vincitrice di questa sesta fortunata edizione, la prima ad avvalersi della travolgente conduzione di Simona Ventura.

Ad inaugurare la serata i Plunet Funk, che si sono esibiti insieme ai quattro finalisti in un medley dei loro più grandi successi. Tra gli altri ospiti di questa ultima puntata spiccano: il britannico Holly Johnson, (che ricordiamo con frontman dei Frankie Goes to Hollywood), la star giamaicana Shaggy insieme al giovane Alexander, la rapper statunitense Lizzo, il disc jockey belga Lost Frequencies e la nostra Arisa.

Buon lavoro da parte dei quattro coach, a cominciare da Gigi D’Alessio che ha portato alla vittoria la sua pupilla, seguito da Guè Pequeno e dalla seconda classificata Brenda Carolina Lawrence, terza Miriam Ayaba della scuderia di Elettra Lamborghini e quarto Diablo del team di Morgan.

Conosciamo meglio la vincitrice

Nata a Salerno, Carmen Pierri è una ragazza estremamente sorridente con la freschezza tipica dei suoi sedici anni ma, al tempo stesso, già molto matura. Inizia a muovere i primi passi nella musica all’età di sei anni, partecipando a diversi concorsi locali; per poi intraprendere il suo percorso di studi di canto e pianoforte. Appassionata del genere soul e del pop, i suoi ascolti passano da Alicia Keys a Amy Winehouse.

Considera la musica come una vittoria in un mondo di sconfitte”, mentre tra le altre passioni ama leggere, i suoi libri preferiti sono prettamente thriller e fantasy. Adora lo shopping sfrenato e, come un po’ tutti i suoi coetanei, trascorre ore sui social network, in particolare su Instagram e YouTube. A parte il sogno di affermarsi come cantante, le piacerebbe diventare medico, per poter aiutare le persone con problemi di salute.

Durante la sua galoppata, Carmen Pierri ha dato sfoggio della sua versatilità vocale cimentandosi in canzoni con stili differenti, a cominciare da “Fa che non sia mai” di Eramo & Passavanti presentata alle Blind Auditions,  passando per “Hola” di Marco Mengoni alle Battle, “Don’t call Me up” di Mabel e “Se piovesse il tuo nome” di Elisa ai Knock Out, “La notte” in duetto con Arisa e “Love on top” di Beyoncè nel corso della serata finale, fino ad arrivare al suo primo inedito, intitolato “Verso il mare”.

Alla scoperta di aneddoti, curiosità e chicche inedite della band marchigiana

In occasione dell'uscita del loro album "Nessuno segna da solo", approfondiamo la conoscenza di Daniele Incicco, William D’Angelo, Davide Fioravanti, Nacor Fischetti, Alessandro "Charlie" Mariani e Matteo Grandoni., alias i La Rua
In occasione dell’uscita del loro album Nessuno segna da solo, approfondiamo la conoscenza di Daniele Incicco, William D’Angelo, Davide Fioravanti, Nacor Fischetti, Alessandro “Charlie” Mariani e Matteo Grandoni., alias i La Rua

Ballo vs Canto 

Prima di concentrarsi anima e corpo sulla musica, Daniele racconta di essere stato un ballerino di danza standard. «A sedici anni ha vinto un campionato italiano. Poi la mia partner ha deciso di smettere perché si è innamorata e il suo ragazzo era troppo geloso», racconta.

Se non fosse stato per lui, probabilmente, oggi i La Rua non esisterebbero: «Amavo moltissimo il ballo e sarebbe stata comunque una bella vita», ci tiene a precisare il frontman del gruppo.

Affinità elettive

A parte la musica non ci sono particolari interessi comuni, ciascuno dei componenti ha le proprie passioni. A livello sportivo la maggioranza della band tifa Inter, solo il cantante è milanista. A parte la sera del derby, tra di loro c’è grande sintonia; parlano in dialetto marchigiano e si concedono grandi mangiate di pesce crudo nei ristoranti del litorale adriatico.

Piccole divergenze

Le principali discussioni sono dettate dal fatto che Daniele è molto esigente, irruento e perennemente concentrato sul lavoro. «Per gli altri componenti non è facile starmi dietro», ammette.

L’incontro con Cristina D’Avena

Quando la regina delle sigle dei cartoni animati li ha chiamati per invitarli a cantare in Duets, i ragazzi hanno pensato si trattasse di uno scherzo, dopo cinque minuti di totale incredulità Cristina è riuscita a convincerli della propria identità.

La scelta di realizzare È quasi magia Johnny è stata dell’artista, loro hanno accettato con entusiasmo perché il pezzo si prestava al proprio sound. L’arrangiamento è stato realizzato dai La Rua in una sola giornata per via dei tempi ristretti: «Per fortuna non c’è stato bisogno di rimetterci le mani, a lei è piaciuto subito».

Amicizie musicali

Secondo Daniele, i legami in ambito lavorativo possono esistere: «Ci sono persone vere ed altre più riservate, meno propense alla condivisione, a cui il successo ha intaccato il lato umano. Nek, Fabrizio Moro, Elisa ed Emma sono persone alla mano che hanno saputo mantenere intatta la propria semplicità».

L’incontro con il giovane cantautore romagnolo classe ’93, fuori con l’album d’esordio “Non pensarci”

Federico Baroni
Spazio Emergenti: Federico Baroni si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

E’ partito lo scorso 18 maggio da Napoli lo Street Tour di Federico Baroni, un ritorno alle origini e alla sua coinvolgente attitudine da artista di strada, un viaggio che passerà il prossimo 25 maggio da Rimini, il 1° giugno da Bologna, l’8 giugno da Roma e il 15 giugno da Milano. Nel corso di questi appuntamenti, il cantautore proporrà alcuni estratti dal suo album d’esordio Non pensarci, pubblicato lo scorso 5 aprile da Artist First.

Quali sono le tue principali passioni oltre la musica?
In realtà ne ho tante, mi piace molto viaggiare e pratico sport sin da quando ero piccolo, anche a livello agonistico.

Federico Baroni: la musica, i viaggi e lo sport
Federico Baroni, classe ’93

Quali sport pratichi?
Ho iniziato con il basket all’età di otto anni, poi sono passato al pugilato, una passione trasmessa sia da mio padre che da mio nonno, un nome abbastanza conosciuto nel settore. La boxe mi ha svoltato la vita, all’epoca ero sovrappeso, mi ha aiutato e formato molto, sotto tutti i punti di vista. In più faccio pesca subacquea, amo tantissimo il mare.

E per quanto riguarda i viaggi?
Di solito approfitto dell’estate per viaggiare, anziché starmene in spiaggia per intere settimane preferisco visitare posti che non conosco, non riesco molto a stare fermo. Il mio viaggio più bello è stato quello della maturità, l’interrail in giro per l’Europa durato un mese, che cerco di ripetere non appena posso. Mi piacciono le situazioni un po’ all’avventura, zaino in spalla, camminare tutto il giorno, conoscere gente per caso, lo trovo bellissimo e stimolante.

Musica, viaggi e sport: cosa hanno in comune queste tue tre passioni?
Sicuramente il fatto di perseguire un obiettivo, cercare di puntare sempre alla meta, prendendosi le proprie responsabilità, avere degli orari e delle regole ma, al tempo stesso, la libertà di poterle stravolgere ed esprimere al meglio se stessi. Sono tre forme d’arte differenti, da cui ho attinto e imparato tanto.

Alla scoperta della band romana che ha collezionato un’importante esperienza live a livello internazionale

WakeUpCall
Spazio Emergenti: i WakeUpCall si raccontano ai lettori di Musica361, approfondiamo la loro conoscenza

Risvegliare l’interesse del rock nelle nuove generazioni, questa è la missione dei WakeUpCall, realtà fondata nel 2010 dai fratelli Forni, dal cantante Tommaso e dal chitarrista Oliviero. Dopo aver lavorato in studio con il noto producer americano Beau Hill, il gruppo ha trovato la propria dimensione dal vivo, collezionando concerti in tutta Europa.

Quanto è cambiata la realtà live con l’avvento del web?
Notevolmente e non in positivo. A livello underground è molto più difficile riempire un locale rispetto al passato, per quanto riguarda il mainstream non si va più ad un concerto per ascoltare un artista, ma per far vedere sui social di esserci stato. Per godersi appieno un concerto, il cellulare andrebbe spento o lasciato direttamente a casa.

Vi sentite rappresentati dall’attuale scenario musicale?
Quasi per niente, abbiamo sempre voluto fare un percorso alternativo, di quelli che si facevano una volta, la cosiddetta gavetta. Oggi come oggi i talent show sembrano essere rimasti l’unica via percorribile per chi desidera arrivare ad un pubblico più vasto e non restare relegati per l’eternità nell’hinterland discografico.

I vostri brani sono cantati in inglese, scelta o istinto?
Per noi è naturale, il rock nasce in inglese, ma ultimamente stiamo scrivendo anche in italiano. Una volta superati i primi ostacoli mentali, ci siamo buttati con entusiasmo in questa nuova sfida, alla fine la lingua è solo un canale, quello che conta è il messaggio.

A chi dice che il rock sia morto, cosa rispondete?
Che ha quasi ragione (ridono, ndr), viaggiando spesso all’estero abbiamo riscontrato che la questione non riguarda soltanto l’Italia, purtroppo è una situazione globale. Noi confidiamo nel riciclo continuo della musica e nelle nuove generazioni che, magari, possono avvicinarsi al rock anche attraverso personaggi come Achille Lauro o i Måneskin, appassionandosi al genere fino ad arrivare a scoprire, ad esempio, Bruce Springsteen. Sembrerà assurdo, ma potrebbe essere il giusto modo per riaccendere la curiosità nei giovani.

L’incontro con la cantautrice pugliese, romana d’adozione, in uscita con il suo quarto lavoro in studio intitolato “Mia”

Valeria Vaglio
Spazio Emergenti: Valeria Vaglio si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Molti la ricorderanno sul palco dell’Ariston in concorso a Sanremo 2008, oggi Valeria Vaglio è una donna probabilmente diversa, appagata e serena, che non ripone tutte le sue aspettative nella musica, bensì la utilizza come valvola di sfogo e canale artistico di comunicazione. Mia è l’album che ce la restituisce in piena forma creativa.

Torni dopo cinque anni di silenzio, come mai ci sono solo sei tracce in scaletta?
Per un motivo molto semplice: sono canzoni in cui credo fortissimamente, non avevo bisogno di riempire l’album con altri pezzi che avevo nel cassetto, ho voluto inserire quelli che reputo per me più importanti in questo momento della mia vita.

Cosa significa esattamente per te la musica?
Da una parte una fortuna dall’altra una condanna, qualcosa di cui non posso né liberarmi né farne a meno.

Ti ha aiutato?
Tantissimo, è stata il modo per canalizzare al di fuori tutta una serie di situazioni che, se fossero rimaste dentro di me, avrebbero provocato un’implosione.

Valeria Vaglio 1
© foto di Silvia Buccino

Hai altre passioni oltre al canto?
Da qualche anno sono diventata una video producer professionista, questo mi ha permesso di vivere la musica molto più serenamente, senza più ansie da prestazione o con il pensiero di dover pagare la bolletta a fine mese, questo è un aspetto fondamentale perché ti mette nella condizione tale di avere la massima libertà, di non riempire il foglio bianco a tutti i costi anche quando manca l’ispirazione.

Cosa ha aggiunto il video design al tuo percorso?
Vestire delle scene visive con la musica mi ha fatto capire come queste due arti possano andare di pari passo, viaggiando sulla stessa lunghezza d’onda, quasi all’unisono.

Qual è il tuo personale bilancio di questi anni di carriera?
Positivo, tutto il percorso che ho fatto lo rifarei, esattamente nello stesso modo, gli step sono stati fondamentali, mi sono evoluta e mi sento assolutamente serena delle mie scelte.

Tutti i desideri dell’artista romano espressi nel singolo “Stella cadente”, manifesto visionario e fiducioso dai nobili intenti

Joe Balluzzo, il piccolo principe della musica italiana
Spazio Emergenti: Joe Balluzzo si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Romantico e sognatore, così si definisce Joe Balluzzo in occasione della pubblicazione del singolo Stella cadente (etichetta Ultratempo), brano che strizza l’occhio a chi tenta quotidianamente di perseguire i propri obiettivi con dedizione e coraggio.

Cosa hai voluto raccontare?
Il momento in cui da bambino esprimevi un desiderio guardando una stella cadente, quando bastavano cose più semplici per essere felici, mentre da grandi ci complichiamo un po’ troppo la vita perché puntiamo sempre ad avere di meglio e non apprezziamo quello che già abbiamo.

Joe Balluzzo, il piccolo principe della musica italiana
Joe Balluzzo © foto di Jereymy Daniel Crouch

Quali desideri hai espresso da bambino? 
Cose semplici, nulla di materiale. Il desiderio ricorrente era quello di vivere di musica e diventare un cantante, posso svelarlo perché l’ho eseguito e giorno dopo giorno continua a concretizzarsi, altre cose non posso dirtele altrimenti non si avverano (ride,ndr).

Nel brano rendi omaggio a Il piccolo principe, cosa ti colpisce di quella storia?
E’ un romanzo che ho letto in varie fasi della mia vita e ogni volta mi ha lasciato qualcosa di diverso, a seconda dell’età il percepito cambia, è un libro che cresce insieme ai propri lettori. Da sempre mi colpisce la semplicità con cui vengono descritti gli affetti, che poi credo sia la chiave di tutta la nostra esistenza, perché complicarsi le cose non serve a nulla, rende tutto solamente più confuso.

Che ruolo ha la musica nella tua vita?
Ha ruoli molteplici: riesce a calmarmi, caricarmi, farmi riflettere e molto altro ancora. La scrittura mi aiuta a esprimere quello che sento, credo che un artista abbia il dovere di raccontare il proprio punto di vista su ciò che gli accade intorno.

Dove desideri arrivare con “Stella cadente“?
Semplicemente al cuore delle persone, perché la musica è un linguaggio universale che unisce popoli di culture e ideologie diverse. Mi piacerebbe lavorare anche all’estero, essendo laureato in interpretariato e traduzione parlo perfettamente l’inglese e molto bene lo spagnolo, sarebbe bello portare le mie canzoni anche fuori, senza limiti e confini.

Reduce dal successo di “Cherofobia”, la giovanissima artista romana è pronta a debuttare con il suo spettacolo dal vivo

Spazio Emergenti: Martina Attili si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Partirà il prossimo 4 maggio dall’Auditorium Parco della Musica di Roma il “Cherofobia Tour”, di Martina Attili, show che andrà in scena anche il 9 maggio al Teatro Concordia di Torino e il 13 maggio al Teatro dal Verme di Milano.

Che spettacolo hai in serbo?
Il live avrà due anime, una piano-voce e l’altra più dinamica con un corpo di ballo guidato dal coreografo Patrizio Ratto, ci sarà spazio sia per le canzoni del mio primo EP che per diverse cover.

Come descriveresti l’esperienza di X Factor?
Una bella panoramica che mi ha aperto gli occhi su quelle che sono le caratteristiche di questo mestiere, i pro e i contro che caratterizzano la vita di chi canta.

Quale insegnamento ti ha lasciato Manuel Agnelli?
Di restare me stessa, mi diceva sempre di non perdere la follia che mi contraddistingue, di questo consiglio ne farò sempre tesoro.

Come ti spieghi il successo di “Cherfobia”?
A parte l’inciso molto orecchiabile e la verità espressa attraverso il testo, credo che abbia contribuito molto il titolo, un termine che ha incuriosito le persone fino a diventare una delle parole più ricercate sul web in tutto il 2018. Se il brano si fosse chiamato in un altro modo non avrebbe avuto lo stesso riscontro.

Sogni nel cassetto per il futuro?
Non ho mai nascosto il mio desiderio di partecipare a Sanremo, sono molto determinata e lavorerò sodo per riuscire un giorno a calcare il palco dell’Ariston.

Hai seguito l’ultima edizione del Festival?
Si, mi è piaciuta parecchio. Ho tifato per Simone Cristicchi, sul podio avrei visto bene anche Loredana Bertè e Irama.

Se ti guardi allo specchio, oggi, quale immagine vedi?
Una ragazza propositiva che ha imparato a convivere con se stessa, che ha fatto pace con i propri difetti e che, piuttosto che lamentarsi, si sforza di fare il possibile per migliorarli e migliorarsi.

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