Intervista al giovane artista calabrese, talento completo e ispirato che veicola attraverso la recitazione e il canto

Carlo Belmondo
Spazio Emergenti: Carlo Belmondo si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Reduce dalla visibilità ottenuta con la trasmissione televisiva “Colorado”, Carlo Belmondo fa il suo esordio discografico con il singolo Non illudermi, prodotto da Massimo Di Cataldo per Dicamusica e distribuito da Believe Digital.

Canto e recitazione, quali analogie hanno per te queste due forme d’arte?
Camminano insieme ma per me l’arte in generale, sotto ogni forma, è collegata. Sicuramente il canto aiuta nel giocar meglio con la voce durante l’interpretazione di un personaggio come lo studio della recitazione ti aiuta a dare più peso alle parole che canti e di conseguenza farle arrivare maggiormente.

Come ti sei trovato a lavorare con Massimo Di Cataldo?
Benissimo, ho avuto la fortuna di collaborare con un professionista. Oltre a produrmi mi ha dato molti consigli e sicuramente tanti insegnamenti che custodirò gelosamente. Piccoli segreti sulla scrittura, sulla musica, sul come trasformare una canzone con la chitarra in un brano da far ascoltare e arrivare agli altri.

Un momento che reputi fondamentale per la tua carriera?
La chitarra presa in mano a 15 anni, tutto ebbe inizio da lì. Il resto è venuto da sé con sacrifici, voglia di mollare, costanza, perseveranza, studio e incontri fortuiti.

Con quale spirito ti affacci al mercato discografico?
Con la curiosità di un attore che ha composto un brano, quindi sto lì a bussare piano piano per non offendere chi lo fa di mestiere. Il mercato discografico mi piace molto perché le etichette indipendenti stanno facendo conoscere al pubblico molti ragazzi validi che altrimenti non avrebbero avuto spazi.

In conclusione, cosa vuoi fare “da grande”?
Seguire quello che mi arriva. Ho conseguito un diploma in recitazione quindi la mia priorità rimane quella ma non escludo altri campi. Ho da poco confezionato un altro brano ed altri sono in costruzione, credo di essere in un buon periodo creativo quindi lo sfrutto finché dura.

La giovane cantautrice toscana raccoglie il meglio della musica al femminile nell’album “Le favorite”

Spazio Emergenti: Giulia Mutti si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Gianna Nannini, Nada, Carmen Consoli e Arisa, queste le artiste scelte da Giulia Mutti per il primo volume de Le favorite, Vol 1, progetto che arriva a pochi mesi dalla sua partecipazione a Sanremo Giovani.

Il titolo si ispira al film “La favorita”, cosa ti ha colpito di questa storia?
Pur essendo ambientata nel ‘700, la pellicola racconta ruoli e giochi di potere molto attuali, ho riscontrato parecchie analogie con il mondo di oggi. La trama ruota attorno alle protagoniste femminili, gli uomini sono quasi completamente assenti, relegati quasi a fare le comparse, questo mi è piaciuto molto (sorride, ndr).

Nell’EP è presente l’inedito “Acciaio”, nato in un periodo di sofferenza. È una regola oppure le canzoni possono arrivare anche in momenti di felicità?
Non credo che ci siano situazioni emotivamente più proficue per comporre musica, l’ispirazione può arrivare con qualsiasi stato d’animo, molto dipende dal tipo di messaggio che si vuole lanciare. Essendo una cantautrice, ogni istante della mia vita influenza le cose che scrivo, sia direttamente che attraverso quello che mi capita intorno.

Cosa ti ha spinto a metterti in gioco anche come interprete?
Il coraggio di mostrare un lato diverso di me. Le cover rappresentano sempre un rischio, perché devi riuscire a rispettare le versioni originali pur aggiungendo qualcosa di nuovo. Il paragone c’è sempre, soprattutto quando si parla di artiste dotate di qualità vocali così particolari, per cui il confronto è inevitabile.

Cosa accomuna le artiste che hai voluto omaggiare?
Il fatto che siano tutte donne lungimiranti, da cui ho attinto per migliorarmi e per scoprire mondi differenti dal mio. Si tratta di realtà diverse l’una dall’altra, trovo che il fil rouge che accomuna queste straordinarie cantautrici sia la coerenza, ciascuna è riuscita a restare fedele al proprio stile e alla sua inconfondibile timbrica.

A tu per tu con il giovane cantautore toscano, attualmente in radio e negli store digitali con il singolo “Rotelle”

Zic, l'importanza di preservare il bimbo che è in noi
Spazio Emergenti: Zic si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Tempo di nuova musica per Lorenzo Ciolini, meglio conosciuto come Zic, artista classe ’97 che abbiamo apprezzato nel corso della diciassettesima edizione del talent “Amici” di Maria De Filippi. Edito dall’etichetta Bonshakara e distribuito da Believe Digital“Rotelle” è il titolo di questo suo nuovo singolo, dal testo sognante ma consapevole, evocato dal lato più spensierato e fanciullesco che alberga nel profondo del nostro animo.

Quanto è importante preservare il bimbo che è in noi?
Preservare il bimbo che è in noi è vitale, per poter essere sempre pronti a lasciarsi stupire. 

Che tipo di bambino sei stato?
Sono stato un bambino che cercava di essere normale. 

Il tuo nome d’arte, infatti, si ispira al personaggio di un cartoon. Quali erano le tue serie animate preferite?
Si. Zic era il nome del protagonista di uno dei miei cartoni animati preferiti, si chiamava “Monster Allergy”Ero innamorato dei vecchi cartoni: “Capitan Harlock”, “Le corse pazze”, “Conan”, “Tekkaman”, “Dragon Ball” e tanti altri. Per non parlare dai classici Disney, per quelli ho ancora oggi un debole.

Cosa aggiunge “Rotelle” al tuo percorso artistico?
Non so di preciso cosa aggiunga, o forse semplicemente non spetta a me dirlo. Io faccio musica e la mia musica inevitabilmente cresce insieme a me.

Quando hai scoperto di non poter fare a meno della musica e quali ascolti ti hanno particolarmente segnato?
Non so se c’è un momento preciso, ero piccolo. La mia vita è stata scandita dalla musica, tanta musica. Non credo di avere degli idoli particolari, ho tratto un sacco di insegnamenti da innumerevoli artisti diversi. 

Qual è la tua personale formula per comporre una canzone?
Io scrivo ciò vivo. 

A tu per tu con il giovane artista genovese classe ’98, in uscita con il nuovo singolo “Cristo”

Spazio Emergenti: Cromo si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

A circa un anno di distanza dal lancio del suo disco d’esordio “Oro cromato”, torniamo a parlare di Matteo Cerisola, meglio noto con lo pseudonimo Cromo, talentuoso rapper genovese molto legato alla tradizione, seppur dotato di un grande spirito di innovazione come dimostra nel suo ultimo singolo.

Perché “Cristo”?
Il brano esprime metaforicamente un senso di rinascita, un nuovo punto di partenza, perché bisogna sempre rinnovarsi e puntare a crescere. Questo singolo rappresenta la mia svolta, un cambiamento sia personale che artistico.

Che significato attribuisci alla parola “resurrezione”?
Penso che la vita sia una serie altalenante di successi e fallimenti, un susseguirsi di delusioni e soddisfazioni, scontrandoti con te stesso riesci a tirar fuori il meglio. Ho vent’anni, sono giovane, sto crescendo, ogni giorno cerco di maturare, “resurrezione” è il termine più adatto per descrivere il mio attuale stato d’animo.

Cromo: “Se Fabrizio De Andrè fosse nato oggi sarebbe un rapper”
Matteo Cerisola, in arte Cromo

Tra credibilità e sperimentazione, dove ti collochi?
Mi colloco esattamente al centro. Il problema di molti artisti della mia generazione è quello di trovare una formula basilare e ripeterla fino allo sfinimento, il mio obiettivo è fare la musica che mi piace con le dovute innovazioni, senza restare ancorato ad un unico linguaggio. Sono convinto che se Fabrizio De Andrè rinascesse oggi sarebbe sicuramente un rapper, perchè il codice è cambiato ma i valori del vecchio cantautorato sono riconducibili a molti pezzi della nuova scena hip hop.

Se avessi la possibilità di tornare indietro, che consiglio daresti a quel ragazzino di Molassana con il sogno di sfondare nella musica?
Di non essere troppo buono, è un mio problema, mi fido sempre tanto delle persone che mi circondano, questo aspetto può rappresentare a volte un ostacolo, ma anche un punto di forza nelle situazioni più importanti. Insomma, come si suol dire, è una questione di punti di vista.

L’incontro con la band milanese a poche ore dal concerto nel noto locale della loro città

Canova
Spazio Emergenti: i Canova si raccontano ai lettori di Musica361, approfondiamo la loro conoscenza

La voce e la penna di Matteo Mobrici, le chitarre e il carisma di Fabio Brando, il basso e l’energia di Federico Laidlaw, la batteria e il ritmo di Gabriele Prina sono i principali punti di forza dei Canova, gruppo musicale che ha da poco rilasciato il disco Vivi per sempre.

Caparezza canta che il secondo album è sempre il più difficile, siete d’accordo con lui?
Per quanto riguarda la nostra personale esperienza no, è stato un processo molto naturale, siamo fieri del risultato. Chissà magari per il terzo sarà più tosta e ci toccherà dargli ragione (sorridono, ndr).

Nel 2015 avete partecipato alle selezioni di Sanremo Giovani, adesso che i tempi sono più maturi vi piacerebbe ritentare il Festival?
Onestamente non lo sappiamo, non amiamo molte la competizioni e il concetto di mettere le canzoni sulla bilancia, ma siamo consapevoli del famoso detto della bicicletta e che, una volta inseriti in un certo tipo di mercato, ci tocca pedalare. Chissà, tutto dipenderà se avremo o meno il pezzo giusto.

Cosa vi è piaciuto dell’ultima edizione?
Sicuramente è stato un Festival multiforme, c’era un po’ di tutto. Ci siamo sentiti ben rappresentati da Motta, Ex-Otago e Zen Circus, al punto da tifare spudoratamente per loro.

Da milanesi doc, cosa ne pensate dell’evoluzione della città negli ultimi anni?
A parte il discorso dell’Area B, che riteniamo una scelta coraggiosa e importante, anche se per alcuni di noi sarà motivo di disagio, dobbiamo ammettere che Milano negli ultimi anni è migliorata, le persone che l’hanno amministrata sono state attente e scrupolose, andando oltre la propria fede politica.

Il prossimo 20 marzo suonerete all’Alcatraz, siete carichi?
Carichissimi, i live ci stimolano parecchio perché rappresentano il momento in cui le canzoni e il pubblico si conoscono di persona, faremo il possibile affinché questo incontro possa essere indimenticabile.

Modigliani è lo pseudonimo scelto da Francesco Addari per dare inizio al suo percorso da solista

L'importanza di chiamarsi Modigliani
Spazio Emergenti: Modigliani si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

“Canzoni indie” è il brano d’esordio di Francesco, promettente cantautore sardo che ricordiamo per la sua decennale esperienza come frontman dei Cheyenne. Oggi riparte da se stesso e da un curioso pseudonimo.

Come nasce il tuo nome d’arte?
Cercavo un nome che in qualche modo facesse parte della mia terra, che avesse un legame con Iglesias. Nelle campagne della mia città esiste una tenuta in cui ha vissuto la famiglia Modigliani, in particolare il nonno di Amedeo.

Pur non essendoci certezze storiche, è molto probabile che da bambino venisse qui a trascorrere le vacanze, tant’è che uno dei suoi primi ritratti lo realizzò ad una ragazza di nome Medea Taci, la figlia del proprietario di un noto albergo della zona. L’ho scelto perché suona bene ed è anche bello da veder scritto.

“Canzoni indie” è una sorta di dichiarazione di appartenenza?
No, non mi interessa più di tanto far parte di un genere in particolare, sicuramente l’indie negli ultimi anni ha prodotto parecchie cose interessanti. Per quanto mi riguarda scrivo canzoni, lascio che sia il pubblico a dare loro una collocazione.

Nel testo ho semplicemente analizzato un fenomeno, rappresentanti di quel filone che ottengono numeri importanti dal vivo ma non vengono minimamente considerati dalle radio.

Pensi realmente che le radio abbiano il monopolio oggi?
Assolutamente no, infatti ho voluto raccontare l’esatto contrario. Il web è diventato più influente delle radio e delle tv, il passaparola è tornato ad essere il miglior metodo di promozione, più efficace di qualsiasi campagna pubblicitaria.

Ti senti rappresentato dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in giro?
Direi di sì, in questi ultimi anni la musica italiana ha riacquistato l’interesse di un tempo. Stanno venendo fuori cantautori come Brunori Sas, che personalmente reputo un genio assoluto, e tante nuove realtà che fanno ben sperare.

L’artista pugliese canta l’insofferenza giovanile e la voglia di ribellarsi agli schemi imposti dall’attuale società

Serena De Bari
Spazio Emergenti: Serena De Bari si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Momenti difficili e momenti felici racchiusi in un disco, questo il contenuto dell’omonimo album d’esordio di Serena De Bari, artista che ricordiamo per aver partecipato ad Amici nel 2017. Forza di volontà e capacità autocritica, questi i segreti per sopravvivere alle difficoltà del mondo di oggi.

Tematiche e sonorità, cosa abbracci in questo disco?
La selezione delle tracce è stata fatta in pieno rispetto delle mie qualità vocali, artistiche ed emozionali. L’argomento principale è l’amore nelle sue molteplici forme, mentre le sonorità che prevalgono sono elettroniche.

C’è un genere in cui ti senti più a tuo agio?
Sì, principalmente il pop-rock, ma mi adeguo a qualsiasi stile perché amo sperimentare.

Quali artisti ti hanno ispirata?
Mina, Rita Pavone, Pink, Lady Gaga, Giorgia e tanti altri.

Cosa hai voluto gridare con il singolo “Urlo sul mondo”?
L’urlo di un’intera generazione, una brano che coinvolge tutti noi giovani al fine di poter allontanarci dalla monotonia quotidiana e vivere un momento di spensieratezza.

Come valuti il tuo rapporto con i social network?
Fondamentale, ascolto spesso i consigli di chi mi segue, mi aiutano a comprendere gli aspetti caratteriali che devo ridimensionare. Oggi mi sento più matura nelle mie scelte.

L’avvento del web ha portato più vantaggi o svantaggi?

Come ogni cosa ci sono i pro e contro. Se hai un po’ di creatività la rete di permette di promuovere la tua arte nel migliore dei modi, d’altra parte ti consente di leggere quello che le persone pensano realmente di te e non sempre sono messaggi carini e coccolosi.

Esprimi tre desideri:
L’affetto eterno del pubblico, ritornare in tv ed essere felice con l’amore personale e artistico.

Qual è il tuo personale augurio per il futuro?
Che la bella musica possa farci stare bene, facendoci dimenticare per pochi minuti i nostri problemi.

“Dire di no” è il grido di chi si ribella ai soprusi e denuncia qualsiasi forma di maltrattamento, sia fisico che psicologico

Matteo Camellini
Spazio Emergenti: Matteo Camellini si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

“Giudicare è il punto forte di chi è debole, superare è l’arte di chi vuole vivere”, queste le parole usate da Matteo Camellini per raccontare tematiche attuali e vissute, in parte, sulla propria pelle. Reduce dall’esperienza di “Amici” del 2017, ritroviamo il giovane cantautore emiliano con il singolo Dire di no.

Da cosa nasce questa canzone?
Dal bisogno di parlare ai giovani di argomenti importanti quali il bullismo, il razzismo, l’omofobia e la violenza. È un brano che tengo davvero a cuore per il suo significato, composto insieme a Silver, Marco Baroni e il mio producer Alex Bagnoli.

Come sei riuscito a coniugare questi contenuti con una veste pop e leggera?
Le strofe hanno un sapore dark, sono musicalmente vuote per lasciare spazio alla voce narrante, mentre il ritornello arricchito da synth, cori e batterie elettroniche trasmette grinta, ribellione e un senso di rinascita.

Cosa raccontano le immagini del videoclip?
La storia di tre ragazze che si ribellano a tre situazioni differenti: la violenza fisica, il bullismo e la violenza psicologica sul posto di lavoro. In tutti questi casi è importante reagire e denunciare quanto accaduto. 

Che tipo di bambino sei stato?
Vivace e molto creativo, amavo disegnare montagne russe e insetti per farli vedere a tutti. Poi mi sono chiuso in me stesso, probabilmente come scudo di difesa verso il dolore per la morte di mia mamma e le prime prese in giro. 

Quando e come hai capito di essere più forte delle offese dei bulli?
La musica mi ha accompagnato in questi momenti, sia ascoltandola che componendola. Per circa dieci anni ho tenuto tutto dentro, scrivevo canzoni che non riuscivo a cantare. Una volta trasferitomi a Londra mi sono liberato e ho compreso che il bullismo è un fenomeno curabile con l’educazione e il rispetto.

Se ti guardi allo specchio, oggi, quale immagine vedi?
Vedo un ragazzo che continua a sognare di poter condividere la propria musica, che scalpita dalla voglia di fare e di creare, proprio come da bambino. Vedo un ragazzo che onora le sue cicatrici e le porta sul palco per far capire che si può/deve andare avanti, urlando “Dire di no”.

A tu per tu con la giovane artista romana classe ’91, divisa tra la passione per la musica, l’impegno televisivo e l’attività cinematografica

Carolina Rey
Spazio Emergenti: Carolina Rey si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Dopo averla apprezzata in diverse trasmissioni televisive, ritroviamo Carolina Rey sul grande schermo nel cast di Compromessi sposi, il nuovo film di Francesco Miccichè. Tra le varie velleità spicca la musica, che possiamo considerare un po’ come il suo primo grande amore, una passione trasmessa dalla madre cantante lirica. La giovanissima artista è protagonista della colonna sonora della commedia, come autrice ed esecutrice di ben due canzoni, la title track e “La parte più viva di me, dedicata a suo figlio.

Partiamo da “Compromessi sposi”, che ruolo interpreti?
Interpreto Carolina, avevano paura dimenticassi il mio nome (sorride, ndr). Lei è la testimone della sposa,  una ragazza un po’ verace, totalmente diversa da come sono io nella vita.

Com’è stato lavorare accanto a due mostri sacri come Vincenzo Salemme e Diego Abatantuono?
Meraviglioso.. ho imparato molto, e soprattutto ho avuto il piacere di scoprire che i grandi artisti sono anche persone splendide.

Non solo recitazione, nella pellicola sei protagonista anche per quanto riguarda la colonna sonora con ben due pezzi. Cosa rappresentano per te?
Una vittoria! Dopo “Sconnessi” non mi aspettavo di replicare con brani da film, invece ho scritto questi due pezzi con Daniele Grammaldo e li ho fatti sentire a Francesco Micciché che li ha apprezzati. Per me è stata una grande soddisfazione! “La parte più viva di me” in particolare è un brano a cui tengo molto perché l’ho scritto e cantato mentre aspettavo il mio bimbo.

Carolina Rey 1
© foto di Alessandro Bachiorri

Come riesci a coniugare musica, cinema, televisione e il ruolo di mamma con il tuo lavoro? C’è un segreto particolare?
Dietro c’è tanta organizzazione e dei nonni meravigliosi. Spero di fare tutto al meglio, mi impegno per riuscirci.

C’è un incontro che reputi fondamentale per la tua carriera?
Ci sono tante persone che vorrei ringraziare e che mi hanno aiutato ad aggiungere tasselli al mio percorso professionale. Sicuramente tutto è iniziato con Rai Ragazzi, è li che ho avuto il mio primo incarico professionale, ci tengo quindi a ringraziare Massimo Liofredi, Mussi Bollini e Lorenzo Didieco. Poi ringrazio tutti coloro hanno deciso di credere in me, il direttore di Rete 4 Sebastiano Lombardi, Fabrizio Palaferri che mi ha scelta per lo Zecchino D’Oro, la mia agenzia, il gruppo di lavoro meraviglioso che ho da anni e che mi sostiene sempre sia professionalmente che personalmente. Grazie A Tommaso Martinelli che è uno di questi.

Tra i tuoi prossimi obiettivi professionali c’è quello di realizzare un disco, cosa significa realmente per te la parola musica?
La musica è per me “libertà”,  la musica è parte della mia vita da sempre e non saprei farne a meno. Mi da modo di esprimermi e di scaricare le emozioni.

Hai guardato il Festival di Sanremo? Chi ti è piaciuto?
Certamente, ho molto apprezzato Enrico Nigiotti, Ultimo e Arisa. Sono meno amante dei trapper…

Come ti vedi tra dieci anni? In quale veste o ruolo ti immagini?
Mi immagino a condurre un programma di varietà con il mio bimbo, ormai cresciuto, insieme al papà nel backstage.

Se ti guardi allo specchio oggi, invece, quale immagine vedi?
Vedo una ragazza serena, che lotta ogni giorno per realizzarsi e costruirsi sempre di più.

A tu per tu con il giovane artista classe ’91, al suo secondo progetto discografico “Niente di me”, anticipato dal fortunato singolo “Oramai”

Ainè
Spazio Emergenti: Ainè si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Tra le uscite discografiche più interessanti di questa prima parte dell’anno, troviamo il nuovo album di Arnaldo Santoro, alias Ainè. A distanza di tre anni dal precedente esordio con Generation One, l’artista torna a dar sfoggio del proprio talento con Niente di me, negli store a partire dal 18 gennaio per Virgin Records / Universal Music Italia, progetto cantato interamente in italiano ed impreziosito dalla presenza di due featuring d’eccezione con Mecna e Willie Peyote.

Partiamo da “Niente di me”, che valore ha per te questo disco?
Questo nuovo progetto ha una particolare importanza perché rappresenta un nuovo inizio, contiene undici canzoni tutte in italiano, composte da me con l’aiuto della mia band, con la quale ho arrangiato e prodotto l’album. Credo che sia un disco molto diverso da ciò che facevo prima, all’interno troviamo sonorità più elettroniche e pop, ci sono maggiori influenze rispetto al passato.

Che valore hanno aggiunto le partecipazioni di Mecna e Willie Peyote a questo disco?
Sicuramente una spinta e una carica in più, a mio avviso le parti che hanno realizzato sono molto forti, hanno arricchito il pezzo con i loro rispettivi punti di forza e non posso che ringraziarli per aver accettato di far parte di questo progetto.

C’è un brano che più ti rappresenta e perchè?
Un brano sicuramente per me importante è “Ormai”, perché è stato il primo singolo che ha rappresentato una sorta di svolta nel mio percorso, poi ti direi anche “Niente di me” che, al contrario del titolo, racconta tutto di me stesso.

Come e quando hai scoperto il tuo amore per la musica?
Ho sempre ascoltato musica in casa, la mia famiglia mi ha trasmesso il gusto e la qualità. credo che l’ascolto sia molto importante e formativo per un artista, è un po’ come con le amicizie, ti condiziona esattamente come può farlo una comitiva. Questo aiuta a scrivere buone canzoni, in qualche modo la bellezza ti sprona a dare il meglio di te.

Quali ascolti hanno influenzato il tuo percorso?
Ray Charles, Prince, Miles Davis, Chad Baker, Stevie Wonder, Michael Jackson, Lucio Dalla, Lucio Battisti, Fabrizio De Andrè, Pino Daniele e tanti altri artisti che, al di là dei gusti personali, possiamo considerare universalmente dei colossi della musica.

Recentemente hai anche collaborato con Giorgia, com’è stato duettare con lei?
Qualcosa di indescrivibile. E’ il primo duetto che realizzo con una voce femminile, non potevo ambire di meglio, la considero la regina della musica italiana ed è stato un sogno per me.

Se ti regalassi la lampada di Aladino e avessi la possibilità di esprimere tre desideri, mi fai tre nomi di artisti con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?
Visto che mi dai questa opportunità sparo in alto: all’estero ti direi Justin Timberlake e Pharrell Williams, in Italia mi piacerebbe fare qualcosa con Jovanotti.

Qual è la lezione più importante che hai appreso dalla musica?
Che non bisogna mai dare nulla per scontato, trovo sia necessario essere sempre curiosi, ascoltare gli altri e non lasciarsi mai andare alla presunzione.

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