Quattro chiacchiere con Brugnano+Nazo, in uscita con l’ep intitolato “Contrasti”

Brugnano+Nazo si raccontano ai lettori di Musica361 © foto di Kwsk Ninjia

E’ disponibile dallo scorso 29 aprile il nuovo EP realizzato dai fratelli Gianluca e Antonio Brugnano, insieme al producer Valerio Nazo. Si intitola Contrasti ed è stato anticipato dal singolo Mal di te, impreziosito dal featuring con il rapper napoletano ‘Ntò. Approfondiamo la loro conoscenza.

A cosa si deve la scelta del titolo “Contrasti”?

Il titolo “Contrasti” ci è sembrato il più giusto per questo disco che risente tantissimo di molte contaminazioni musicali, ma anche dei mille contrasti interiori con cui ognuno combatte. Il contrasto genera sempre in qualche modo evoluzione, il disco infatti rappresenta un momento di evoluzione molto importante per noi, l’unione dei diversi stili e diversi percorsi di tutti e tre ci ha portato in una strada del tutto nuova.

Quali riflessioni e quali stati d’animo hanno accompagnato la fase di scrittura di queste sette canzoni?

Ci siamo immersi totalmente in lunghissime sessioni che a volte duravano anche giorni interi, cercando di scavare molto a fondo dentro di noi, di unire il “sentire” sulla stessa lunghezza d’onda. Di base abbiamo condiviso insieme la stessa condizione sentimentale abbastanza “devastata” (ridono, ndr).

Come vi siete conosciuti con Nazo e cosa vi ha spinto a pensare di lavorare insieme?

Gianluca ha conosciuto Nazo quasi 10 anni fa perché lavorarono insieme al disco di NTO’ “Il Coraggio Impossibile”, da circa tre anni suonano nella band con Rocco Hunt e spesso ci trovavamo tutti e tre insieme in studio ad ascoltare musica, a condividere idee…e una sera nacque in modo naturale e fluida “Mal Di Te” il primo singolo del disco in feat. con NTO’, da lì non ci siamo più fermati, divenne quasi un’esigenza vedersi per scrivere, comporre, suonare.

Qual è l’aspetto che più vi affascina nella fase di composizione di una canzone? 

Forse il veder prendere forma un concetto o un’immagine che ci piace fermare con la musica, quando tutto collima, tutto si incastra, l’armonia, la melodia, il testo ed il sound di tutto il brano, quella è una sensazione stupenda, che ti porta a volerlo riascoltare e stare bene nel rivivere sempre quella emozione.

Credete nel valore terapeutico della musica?

Assolutamente, la musica riesce a guarire, ha il potere di farti vedere le cose da altre angolazioni, apre la mente e ti può far viaggiare in qualsiasi posto del mondo anche stando fermi sul proprio letto. 

In un momento delicato come quello attuale, quale può essere secondo voi il vero ruolo dell’arte?

Sicuramente la musica è arte e l’arte è cultura, la musica unisce, è condivisione, al di là del colore della pelle, dei confini geografici e delle idee politiche. Ci ricorda che siamo tutti uguali, che abbiamo tutti le stesse emozioni, che la guerra è l’aspetto più infimo e triste dell’esseri umani, il potere non sente ragion ed il mondo soccombe. La musica è vita, un inno alla vita, è forse una delle invenzioni più alte e belle dell’essere umano.

Quattro chiacchiere con Svegliaginevra, per approfondire la sua ispirata visione musicale a 360 gradi

Svegliaginevra
Svegliaginevra si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita di “Pensieri sparsi sulla tangenziale”

Si intitola Pensieri sparsi sulla tangenziale il secondo progetto discografico di Ginevra Scognamiglio, in arte Svegliaginevra, cantautrice campana che un anno fa aveva debuttato sulla scena musica con l’album Le tasche bucate di felicità. Approfondiamo la sua conoscenza.

“Pensieri sparsi sulla tangenziale”: da quali riflessioni sei partita e a quali conclusioni sei arrivata? 

Sono partita dall’idea di scrivere, sperimentare e mettermi in gioco più di quanto avessi fatto con il primo. Avevo bisogno di dire quello che non ero riuscita a dire finora, di tirar fuori nuove parti di me. Il tour, i concerti, le persone che ho incontrato e le esperienze dell’ultimo anno hanno sicuramente stimolato moltissimo le mie idee e la continua ricerca dei suoni, delle parole mi ha portato al risultato finale di cui vado molto fiera. La conclusione è che non voglio più smettere di fare dischi, sto già pensando al terzo (ride, ndr).

Hai scelto il titolo dell’album prendendo spunto da una frase di una canzone, pensi che rappresenti e sintetizzi al meglio l’intera narrazione?  

Assolutamente sì. Volevo che questo disco arrivasse come un viaggio. Un flusso di pensieri che scorre mentre siamo con lo sguardo rivolto al finestrino, in attesa di arrivare alla meta del viaggio. E poi, mi piace la mia tradizione di prendere una frase di una delle canzoni e renderla il titolo del disco. Anche con Le tasche bucate di felicità avevo fatto così. C’è sempre una canzone che alla fine contiene una frase che può rendere bene il concetto comune a tutte le tracce. 

Dal punto di vista sonoro, che tipo di lavoro c’è stato dietro la scelta del sound?

L’intenzione era quella di trovare l’ambiente sonoro migliore per il significato di ogni canzone, che è una cosa che ho sempre fatto. Ma stavolta, volevo estremizzare ancora di più l’idea che ogni genere musicale ha delle caratteristiche per cui una canzone può essere valorizzata meglio. Ho studiato tantissimi artisti grandi e piccoli, italiani e stranieri che potessero ispirarmi. Sono passata dal soul della Motown al folk di Bob Dylan, dal pop di Dua Lipa al cantautorato di De Gregori e Dalla. Ci sono diverse citazioni nascoste e non, omaggi alla musica che da sempre accompagna la mia vita.

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

L’aspetto che più mi affascina nella composizione è quello della creazione. La fase secondo me più misteriosa, perché dopo grazie allo studio ci sono le risoluzioni armoniche, gli incastri delle parole, ma non mi spiego mai quando l’ispirazione prende il sopravvento e la melodia arriva da sè. Credo sia quella la parte più affascinante.

A livello di ascolti, tendi a cibarti di un genere particolare oppure ti reputi piuttosto onnivora? 

Ascolto di tutto. Dipende dal periodo, dalla fase della mia vita, dalle scoperte del momento ma ho sempre ascoltato tutto. Un pò perché aver studiato musica, e tutti gli artisti che hanno fatto la storia,  mi ha educato all’ascolto e aiutato ad apprezzare le caratteristiche e gli aspetti più belli di ogni stile. Ci sono sicuramente generi ai quali sono più legata come l’alternative rock, il folk e il soul ma poi non è vero, sono legata anche ad altri. Per un motivo o per un altro mi piace ascoltare, in base al mood, il tipo di musica di cui ho bisogno in quel preciso momento della mia vita.

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network e quanto credi siano importanti per il lancio di un progetto discografico oggi?

Il mio rapporto con i social è, diciamo, normale. Non mi espongo troppo perché non riesco più di tanto a condividere la mia vita privata. Preferisco focalizzare tutto sulla mia musica, che è il motivo per cui lo utilizzo. Mi piace molto avere la possibilità di parlare con le persone che mi seguono, di seguire gli artisti che seguo a mia volta. La fortuna di essere artisti in un epoca come questa ti permette di avere un contatto diretto con il tuo pubblico, di poter condividere i momenti più importanti con le persone che amano quello che fai, con e oltre la musica. Ma potessi scegliere, amo molto di più creare quel tipo di rapporto e magia ai concerti, lì capisco veramente come arrivano le mie canzoni e cosa posso migliorare e fare di più.

A chi si rivolge, oggi, la tua musica e a chi vi piacerebbe arrivare in futuro?

La mia musica è per chi come me vuole capire i propri sentimenti, vuole ballare, piangere, urlare a squarciagola, sentirsi libero e capito, per chi pensa di essere solo quando invece la musica può far compagnia in qualsiasi momento. Spero di arrivare a loro.

A tu per tu con il giovane cantautore toscano Danu, fuori con il nuovo singolo intitolato “Kenshiro”

Danu
Danu si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Marco Mannini

E’ disponibile dallo scorso primo aprile “Kenshiro” (distribuito da ADA Music Italy), il nuovo singolo del giovane e talentuoso cantautore toscano Daniele Nunziata, in arte semplicemente Danu. Approfondiamo la sua conoscenza.

Ciao Daniele, benvenuto. Partiamo da “Kenshiro”, cosa racconta?

“Kenshiro” è un viaggio: parte da un ricordo di una relazione, continua con un ammissione di colpa e finisce con una presa di coscienza e speranza nel futuro. Ognuno di noi, chi più chi meno, si troverà a dover combattere contro dei mostri per riuscire a stare meglio, accettare il passato e andare avanti. Per questo ho voluto mettere come titolo Kenshiro (guerriero manga), perché siamo tutti dei combattenti. 

In un’epoca come quella attuale, secondo te, siamo più forti o vulnerabili?

Sono due cose che a mio avviso possono andare di pari passo, sicuramente questo periodo ci ha messo in difficoltà e ci ha resi vulnerabili, abbiamo dovuto passare cose mai affrontate prima. Allo stesso tempo però ci renderà più forti per il futuro, superare momenti di debolezza ci porterà ad essere meno vulnerabili dopo. 

A livello musicale, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare?

Amo molto spaziare e testare nuove sonorità nei miei brani. In “Kenshiro” ho voluto unire una produzione lo-fi ad un testo indie accompagnato da melodie pop (come nel ritornello). 

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

La musica ha un ruolo importante sia attivamente che passivamente. Ascoltare alcune canzoni mi riporta all’esatto momento in cui le ho ascoltate la prima volta, causandomi le stesse sensazioni, è una cosa che solo la musica riesce a fare. La mia musica invece è costantemente influenzata dal quotidiano.

A livello di ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti reputi piuttosto onnivoro?

Durante la mia vita ho ascoltato tantissima musica diversa, partendo dal cantautorato italiano, passando per il rap e arrivando all’attuale panorama Indie (che ormai è il nuovo pop). La musica che più ascolto in assoluto però è il pop americano di nicchia, uno su tutti Jeremy Zucker.

Hai un featuring dei sogni? Un artista con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?

Mi piacerebbe molto riuscire un giorno a collaborare con Coez, Frah Quintale o Mecna. Poi visto che stiamo sognando, un feat internazionale proprio con Jeremy Zucker!

A chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?

Sicuramente adesso ho un pubblico molto giovane, grazie anche ai social. Parlo quasi sempre di amore, ed è un sentimento che non passa con l’avanzare dell’età, quindi spero in futuro, di vedere ad un mio concerto sia un/a 16enne che un/a 40enne. 

Quattro chiacchiere con Marco Guazzone, per approfondire la sua ispirata visione di vita e di musica

Marco Guazzone 1
Marco Guazzone si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Silvia Tofani

L’arte di saper cogliere i propri errori attraverso la scritta, un processo terapeutico che rappresenta per Marco Guazzone un vero e proprio flusso di coscienza. “Al Posto Mio” è il titolo del suo ultimo singolo, pubblicato lo scorso gennaio e che riscopriamo in questa versione speciale realizzata insieme alla prestigiosa Orchestra Di Roma, due volte premio Oscar per “Il Postino” e “La Vita è Bella”.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di “Al Posto Mio”?

Sicuramente la scrittura, che rappresenta per me un nuovo percorso. Una sincerità e una schiettezza che prima, forse, non avevo il coraggio di avere. Il testo della canzone nasce come un lunghissimo messaggio di WhatsApp che per fortuna non ho mai inviato, anche se poi è uscito e in qualche modo è arrivato a destinazione (sorride, ndr). L’altro elemento che mi rende orgoglioso, è aver avuto la possibilità di raccontare questa verità con l’Orchestra di Roma. Per un musicista è un sogno che si avvera.

C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso del brano?

Sì assolutamente, senza ombra di dubbio il finale: “Adesso sai vorrei chiederti… ma tu, mi hai mai amato?”. Perché quando finisce una storia importante e ci si vede sostituito, è innegabile che faccia male. Quando ripercorri tutte le tappe attraverso le foto e i ricordi che ti sono rimasti, la domanda che riassume tutto il dolore e la rabbia è proprio questa.

Un romano trapiantato a Milano, hai riscontrato delle particolari differenze tra le due città?

Milano è una città a misura d’uomo, ho scoperto che è grossa quanto un quartiere di Roma. Mi piace tantissimo perché giro in bici tranquillamente in pianura, a differenza della Capitale che ha sette colli. Faccio delle passeggiate bellissime, arrivo in centro in una decina di minuti. E’ una città che funziona, la più europea che abbiamo in Italia. Di Roma mi mancano i tramonti, quella luce che illumina i monumenti, le strade, il Tevere e una serie infinita di paesaggi bellissimi.

Infatti, so che ti piace girare per la città in bicicletta. Non ti piace prendere i mezzi?

L’abbonamento ce l’ho, ma è scaduto (ride, ndr). Mi è sempre piaciuto girare in bici, poi ovviamente la metro la prendo se devo andare dall’altra parte della città. Mi piace tantissimo il tram, in particolare la linea numero 10, che mi porta a casa della mia cara amica Alessandra Flora, autrice con cui ho scritto proprio “Al Posto Mio”. Adoro questi tram un po’ vintage, dove al di sopra non si riesce a far nulla, né parlare al telefono né ascoltare la musica, perchè sferragliano tantissimo, ma sono bellissimi perchè danno la sensazione di restare sospesi nel tempo.

“Dimmi dell’India” recitava una famosa canzone di Samuele Bersani… di recente sei stato protagonista del concerto a Mumbai di Matteo Bocelli, che esperienza ha rappresentato per te?

E’ stato bellissimo, per me è stata la prima volta in India. Poter girare il mondo per la musica mi era già capitato in piccolo con i tour realizzati dopo Sanremo per presentare in Europa i miei progetti. Arrivare così lontano con la musica mi ha reso la persona più felice del mondo, accompagnare al pianoforte Matteo in alcuni concerti piano e voce, dove c’eravamo solo io, lui e il pubblico che impazzisce per la melodia italiana. Ho avuto la possibilità nei momenti di pausa di girare un po’ ed è stato un viaggio che mi ha cambiato la prospettiva su diverse cose, ho visto una povertà mai incontrata, ma vissuta con una positività e un sorriso che mi hanno veramente segnato. Credo di essere tornato arricchito da tantissimi colori e profumi, dall’altra parte anche alleggerito da una serie di problemi inesistenti che spesso pensiamo di avere. Mi ha riportato un po’ al nucleo di tutto.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

Direi che pesa per circa il 90% della mia vita, cerco di tenermi dei momenti comunque per me. La musica è il filtro con cui racconto ciò che vivo, ciò che mi succede esce fuori attraverso parole e note. Le canzoni sono i miei occhiali per vedere meglio le cose, non solo per raccontarle meglio, ma proprio per vederle meglio io in prima persona.

Intervista al giovane Loomy, alla scoperta del suo ispirato mondo musicale

Loomy
Loomy si racconta ai lettori di Musica361, in occasione del suo disco d’esordio “Loomyltà”

Si intitola “Loomyltà” il progetto che segna il debutto discografico di Lorenzo Lumia, in arte Loomy, artista che abbiamo imparato a conoscere nel corso della sua partecipazione alla decima edizione italiana di X Factor. L’album, disponibile sulle piattaforme digitali a partire dallo scorso 25 marzo, è stato anticipato dall’uscita dei singoli America”, “Il quinto dei Beatles e “Non piove mai”.

Quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante il processo creativo di “Loomyltà”?

C’è di tutto, dall’emozione più brutta a quella più bella. Ma c’è anche frustrazione e inadeguatezza, dato che sono una persona che si mette in discussione anche troppe volte. C’è stato un miscuglio di emozioni, tra l’altro è un progetto che nasce in pieno lockdown, dal chiuso per respirare fuori. Spero che questa cosa possa arrivare.

Quanto conta il fattore imprevedibilità nelle tue produzioni?

Tanto, forse troppo. E lo dico perché siamo in un’era in cui se non fai una determinata cosa è difficile posizionarsi. Da quando ho iniziato ho sempre detto “non voglio fare una cosa che ho già fatto” e se lo fa qualcuno che ha già successo può andare ma se lo fa qualcuno agli inizi forse fa ancora più fatica ad emergere. A me piace molto essere imprevedibile, odio l’idea che qualcuno ascoltando un pezzo sappia già cosa sta per accadere. Ogni volta che faccio una canzone cerco di ragionare con questo obiettivo.

In che termini la musica influenza le tue giornate?

Tanto ma a tratti. Alcune volte le influenza troppo, altre invece non riesco ad ascoltare nulla, un rapporto di amore e odio come quello in “Montagne Russe”. È dura a volte riuscire a trovare le motivazioni per andare avanti.

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network e quanto credi siano importanti per il lancio di un progetto discografico oggi?

Il mio rapporto con i social network è come quello con la musica (ride, ndr). A volte ci passo molto tempo, ma sono convinto possano essere molto pericolosi nel momento in cui la vita degli altri ti sembra sempre migliore della tua. Soprattutto per chi fa musica, questo può condizionarti tantissimo l’umore. Comunque per un qualsiasi lancio è molto importante l’utilizzo dei social, ma non essendo una mia roba cerco di usarli sempre con intelligenza.

Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica? 

Sì, faccio molto sport, gioco a calcio da vent’anni e mi piace molto cimentarmi in progetti di grafica. Diciamo quindi in generale arte e sport.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di un disco come “Loomyltà”?

Il totale menefreghismo di dimostrare. Avrei potuto fare dei pezzi molto più tecnici, ma in questo progetto mi sono detto solo di far musica come voglio io. Se deve arrivare all’ascoltatore, penso che arrivi.

Quattro chiacchiere con i Whiteshark, in uscita con il nuovo singolo intitolato “Cachet”

Whiteshark
I Whiteshark si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Edoardo Novati

E’ disponibile dallo scorso 11 marzo il nuovo singolo dei Whiteshark, al secolo Daniele Scavetta (in arte “Scave”) e Simone Filipazzi (in arte “Simoroy”). Si intitola Cachet il brano che segue l’uscita dei precedenti Stavolta no e Non risponderò”. Approfondiamo la loro conoscenza.

Che sapore ha per voi questo brano?

È un brano molto importate per noi perché è la prima traccia dove nel video di YouTube si vede la nostra vera identità e personalità, oltre al nostro brand “Whiteshark”.

C’è una frase che rappresenta e sintetizza al meglio il senso di questa canzone?

Sicuramente il ritornello, da un segnale forte e chiaro. Nonostante il messaggio sia il “voler arrivare all’obiettivo” e quindi non averlo ancora in tasca, l’energia positiva e la convinzione che trasmettiamo fa capire la determinazione con cui vogliamo sbranare il futuro, come lo squalo bianco con la propria preda. 

A livello sonoro, che tipo di lavoro c’è stato dietro la scelta del sound?

È stato un super lavoro del nostro produttore, il beat calza alla perfezione. In questo brano siamo diretti, cinici, con strofe calcate e volevamo che il sound avesse la funzione di alleggerire il contesto per far uscire il giusto equilibrio tra interpretazione e mood.

Come vi siete conosciuti e quando avete avuto l’idea di unire le forze e di proporvi come duo?

Ci siamo conosciuti durante battaglie freestyle nei vari locali e, avendo percepito entrambi un feeling speciale, abbiamo subito deciso di beccarci in studio. Da lì abbiamo capito che le due nostre visioni, simili quanto opposte, insieme potevano diventare magia e fare la differenza.

Quali sono gli ascolti e i vostri punti musicali in comune? 

Noi ascoltiamo davvero di tutto, anche altri generi. Questo inconsciamente ci permette di essere originali sempre.

Quanto c’è di Milano nelle vostre produzioni?

Abbastanza, ma non c’è solo Milano. Ci sono tante sfumature nella nostra musica.  

A chi si rivolge, oggi, la vostra musica e a chi vi piacerebbe arrivare in futuro?

Noi pensiamo di non avere un target preciso, anche in base a quello che percepiamo sui social. Può essere un’arma a doppio taglio ma siamo fiduciosi… stiamo costruendo qualcosa di grosso!

Intervista al giovane cantautore romagnolo Gobbi, fuori con il suo nuovo singolo intitolato “Una tenda”

Gobbi
Gobbi si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Salvatore Samuele

E’ disponibile dallo scorso 11 marzo “Una tenda” (distribuito da ADA Music Italy), il nuovo singolo del giovane e talentuoso cantautore romagnolo Giuseppe Gobb, in arte semplicemente Gobbi. Prodotto da Tiziano Colombo ed Emiliano Baragiola, il brano è una ballata d’autore, un pezzo decisamente importante nel percorso dell’artista.

Partiamo dal tuo nuovo brano, cosa racconta?

“Una tenda” tra tutte le mie canzoni è forse quella che descrive di più il mio stato d’animo rispetto a tante altre. Soprattutto descrive lo stato d’animo di quando ormai 6 anni fa mi sono trasferito a Milano: impaurito, solo e alla ricerca di riparo. Sono riuscito a trovare il mio ruolo cominciando a scrivere canzoni e suonandole nei club.

Ci si può dunque straniare dalla cronaca e provare a condurre una vita diciamo normale?

La sensibilità con cui mi piace scrivere è la stessa che mi pietrifica di fronte a notizie che non vorremmo mai sentire, per cui penso si normale mettere tutto in secondo piano quando accadono fatti gravi che nonostante la distanza entrano a casa di ognuno di noi

La musica ha ancora il potere di esorcizzare determinate situazioni che si protraggono nel tempo?

Credo di sì, ci sono alcuni artisti e canzoni che utilizzo come terapia per i momenti difficili. Ci sono altre circostanze per cui invece purtroppo non basta una canzone e la miglior colonna sonora è il silenzio.

A livello musicale, che tipo di sonorità avete voluto abbracciare con i producer Tiziano Colombo ed Emiliano Baragiola?

Questa canzone ha fatto un percorso particolare. In fase di produzione tempo fa provammo a renderla più esplosiva e satura, poi invece abbiamo scelto di far emergere il lato intimo e romantico, infatti come potete sentire l’arrangiamento fa si che possano risaltare bene le parole senza tradire quindi l’intenzione originale con cui è stata scritta. Abbiamo fatto una selezione di suoni per premiare solo quelli che trasmettessero il giusto compromesso tra ironia e solitudine, sono soddisfatto del lavoro svolto perché con Tiziano ed Emiliano c’è stata l’intesa giusta per creare una sonorità che si attenesse al mood del pezzo.

Qual è l’aspetto che più ti colpisce e affascina nella fase di composizione di una canzone?

Per quelli che sono i miei gusti trovo affascinante vedere come una canzone prende il suo senso un po’ alla volta, a scrittura in corso, senza prefissare già dall’inizio un argomento o un obiettivo finale. Mi diverte scrivere in questo modo e trovo che la spontaneità porti sempre ad ottimi risultati. La preferisco ad una tecnica di scrittura più forzata.

A chi si rivolge la tua musica, oggi, e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?

La mia musica si rivolge a persone di tutte le età, nello specifico a chiunque abbia voglia di ascoltare, e di interpretare la realtà a proprio modo. Non c’è una data di scadenza per questo percorso.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di un brano “Una tenda”?

Sono orgoglioso di poter mettere in rima le debolezze, farne un punto di forza e rendere tutto questo uno stile di vita. Il “me” adolescente non si sarebbe mai immaginato di raggiungere questa consapevolezza e che le persone lo avrebbero apprezzato. Ne parlo perché sicuramente invece c’è chi vive ancora alla mia età con la paura di esprimersi, a me questa cosa ha portato amicizie, autostima e canzoni. Per cui non posso non consigliare a chiunque di togliersi le auto-censure e mettersi in gioco.

Quattro chiacchiere con Acinorev, per approfondire la sua ispirata visione musicale a 360 gradi

Acinorev
Acinorev si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del brano “Libera”

Si intitola “Libera” il singolo che segna l’esordio discografico di Acinorev, catanese di nascita e milanese d’adozione. Un brano che prende spunto dalla sua vita, un racconto intimo, la storia di un rapporto nato per caso diventato indissolubile.

Che sapore ha per te questo brano?

Il sapore dell’amore che è il sentimento più importante di cui oggi si sta perdendo il valore perché la società tende a un modello sociale sempre più improntato all’egoismo. Amore per me significa cooperare per il benessere comune.

Dal punto del sound, che tipo di lavoro è stato insieme ai producer Stefano Ferrari e Ale Porro?

Stefano e Ale mi hanno inizialmente fatto incidere la linea melodica senza le parole e attraverso questa spinta iniziale hanno indirizzato il singolo verso un sound accurato tra etnicità ed elettronica.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

Il canto per me è fonte di benessere ed equilibrio. Cantare per me è come dissetarmi, non potrei vivere senza. Fossi stata la Sirenetta della Disney non sarei stata in grado di patteggiare con Ursula mettendo in gioco la mia voce. Canto dalla mattina alla sera in modo spontaneo e naturale da quando sono piccola. E ascolto tanta musica, soprattutto del passato.

Eppure non ti definisci una cantante e nemmeno una cantautrice, bensì un’art singer. Come mai?

Lo faccio perché non riesco a etichettarmi solo con la musica. Essere una cantautrice per me non significa solo scrivere e cantare ciò che sento intensamente facendomi aiutare dalla recitazione, ispirandomi alla poesia e alla storia dell’arte, ma pensare anche al videoclip, ai costumi, alla scenografia, stile di inquadratura etc.

A livello di ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti consideri piuttosto onnivora?

Ci sono dei generi che preferisco, l’r&b, il jazz e il rock. Onestamente il genere che non è molto nelle mie corde è il trap, ma da musicoterapeuta ascolto un po’ di tutto perché ritengo sia molto interessante capire cosa c’è dietro un brano, il sound, la linea melodica, tutto in musica deve essere ben calibrato come in una ricetta di cucina e ha un suo perché, anche con riferimento al contesto storico in cui viviamo.

Qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica fino a oggi?

Che la musica mi rende libera di esprimermi e di essere me stessa. 

Intervista a Cyrus Yung, alla scoperta della sua ispirata visione di vita e di musica

Cyrus Yung
Cyrus Yung si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del singolo “Cartier”

Tempo di nuova musica per Cyrus Yung, a poche settimane di distanza dal successo ottenuto con il precedente De-Generazione, il giovane artista romano classe ’97 torna con il singolo “Cartier”, una sorta di rappresentazione di un amore di altri tempi.

Quali riflessioni ti hanno ispirato durante la scrittura di “Cartier”?

Credo sia una canzone che parla di un momento della mia vita in cui cercavo l’amore, sapendo quanto può essere subdolo, incostante, però…. muove tutto l’amore, cioè senza quello il mondo si ferma, muore. 

In che termini la musica influenza le tue giornate?

Influenza la mia vita, sono costantemente a lavoro, da quando apro gli occhi a quando li chiudo, penso tanto e il fine ultimo del mio pensare è migliorare la mia musica. 

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network e quanto credi siano importanti per il lancio di un progetto discografico oggi?

Personalmente odio i social e credo abbiamo rovinato e rovineranno tutto, poi certo diranno tutti che è evoluzione però boh, se apro Instagram mi vengono i brividi delle volte. Sono fondamentali ma non li uso, metto solo cose che riguardano la mia musica. 

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?

Cyrus è il nome di mio padre (Ciro) e anche il nome di Ciro il grande, imperatore Persiano, che sono le origini di mia mamma. E Yung perché sono un piccolo Ciro.

Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica? Se sì quali?

Sport e Motori. Però vorrei essere in grado di farli, ma tipo sono sicuro che nella vita avrei fatto o il calciatore o il pilota, più il pilota. 

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di un brano come “Cartier”?

Semplicemente ascoltarlo e rendermi conto che ho messo un altro mattoncino indelebile del mio percorso di vita.

Quattro chiacchiere con Miglio, al suo debutto discografico con l’album “manifesti e immaginari sensibili”

Miglio: "La mia musica libera da qualsiasi etichetta"
Miglio si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Martina Platone

E’ disponibile dallo scorso 20 gennaio l’album d’esordio di Alessia Zappamiglio, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Miglio. Si intitola “manifesti e immaginari sensibili” il suo primo progetto discografico rilasciato da Matilde Dischi e distribuito da Artist First.

Come si è svolto il processo creativo di “manifesti e immaginari sensibili”?

Avevo già un po’ di brani scritti in quel periodo, un paio erano anche più vecchi e manifesto invece ricordo di averlo ultimato mentre eravamo già in studio a registrare gli altri pezzi. In quel periodo ho conosciuto il mio produttore Marco Bertoni, gli ho fatto ascoltare i provini e da li abbiamo iniziato a lavorare a queste canzoni per un po’ di mesi, è stato un processo importante caratterizzato da diverse fasi di lavorazione dei brani.

Quali skills pensi di aver acquisito durante la lavorazione di questo progetto?

Mi ha sicuramente insegnato molto, sono senza dubbio cresciuta e credo che questo lavoro mi abbia cambiata.  Oggi riesco ad approcciarmi alla scrittura e alla lavorazione dei brani in maniera più ampia rispetto a tempo fa.

Credi con questo disco di essere riuscita a raggiungere il giusto equilibrio tra chi sei e chi, a livello artistico, vorresti essere?

Si, direi di sì, nonostante io mi senta spesso in evoluzione e per il futuro, ma anche per il presente immagino già di andare oltre e di sperimentare il più possibile.  

Ti senti rappresentata dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in giro?

Non saprei rispondere con esattezza a questa domanda. Nella mia ipotesi sarebbe bello ascoltare più cose diverse tra di loro e non per forza troppo simili, e io nel mio personale lavoro quotidiano cerco di trovare un mio modo di comunicare e scrivere.

I tuoi precedenti singoli sono balzati nelle principali playlist indie nazionali, ma personalmente collochi la tua musica in un genere particolare oppure la ritieni libera dalle etichette?

Assolutamente libera da ogni etichetta.

In un momento di grande paura e confusione come quello che stiamo vivendo, credi nel potere terapeutico dell’arte?

Si, certamente, ci credo nonostante non sia sempre facile.    

Se dovessimo definire “manifesti e immaginari sensibili” con uno stato d’animo, quale sceglieresti?

Forse con un solo stato d’animo mi risulterebbe un po’ difficile, ne utilizzerei due: malinconico e felice.

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