Quattro chiacchiere con Stefano Lentini, alla scoperta della sua ispirata visione di vita e di musica

Stefano Lentini
Stefano Lentini si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Roberta Krasnig

Talento e conoscenza, queste potrebbero essere le prime parole da utilizzare per descrivere Stefano Lentini, compositore e polistrumentista di fama internazionale, che ha da poco rilasciato la colonna sonora della seconda stagione della serie Mare fuori 2, disponibile negli store digitali a partire dallo scorso 17 novembre.

Come si è svolta la fase compositiva di questa tua nuova colonna sonora?

“Mare Fuori” è una serie che per sua natura possiede un forte impianto musicale, i suoi protagonisti infatti hanno a che fare con la musica in prima persona, due di essi suonano il piano, in modi diversi ma complementari. Uno è un pianista classico con una formazione accademica, l’altra, un’autodidatta dal talento smisurato, poi c’è un paroliere rap spontaneo e selvaggio e infine un ingegnoso creativo.

La composizione è nata dunque da questo primo aspetto diegetico della musica, nel tentativo di dare una voce autentica a tutti i personaggi con delle musiche originali. Poi c’è la colonna sonora vera e propria, fondata in parte sull’idea di trasferire su un piano quasi sacro, universale, il dramma delle azioni sbagliate, violente. Qui si è innestato il microcosmo delle voci bianche accompagnate ad un’orchestrazione asciutta e austera. Poi c’è la dimensione più epica della narrazione, quella dello scontro tra bene e male, del tormento esistenziale, del timore e del coraggio.

Cosa ti affascina di preciso di questo connubio tra musica e immagini?

E’ sempre un terreno sconosciuto l’approdo finale tra musica e immagini. Quando inizio a lavorare ad un progetto, tutto è opaco e poco delineato, poi lentamente la connessione prende forma finché si crea una relazione inattesa che talvolta stupisce anche me.

Sei un musicista di fama internazionale, com’è concepita oggi la nostra arte nel mondo?

Arte e Mondo sono parole troppo grandi perché io possa darti una risposta sensata. Tuttavia non credo che l’autenticità dell’arte abbia confini nazionali, sono gli uomini che la fanno e la fruiscono. Poi ci sono le mode, i generi, le  culture, le lingue, ma guardo alla musica e al cinema come ad un processo per metà globale e per metà interiore, un processo a cui si può prendere parte a prescindere dalle proprie origini geografiche.

Quali sono gli elementi e le caratteristiche che ti rendono orgoglioso delle opere realizzate finora?

Ci sono progetti che hanno per scopo l’intrattenimento e altri che arrivano in altri luoghi della comunicazione tra gli individui. Sono felice quando la mia musica riesce a toccare le coscienze in modo bello, positivo, costruttivo. Poi c’è l’aspetto della tecnologia che mi coinvolge molto, la qualità della registrazione, la resa finale è un aspetto su cui lavoro molto.

Qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?

Che il mistero è dietro l’angolo, che la testa può spiegare solo lo smalto delle cose, che la tecnica deve essere la servizio di visioni immaginarie, che riconoscere il talento degli altri è un atto di forza interiore.

Intervista al cantautore salentino Cortese, fuori con il suo nuovo album intitolato “Amore e gloria”

Cortese e la sincerità nel racconto di "Amore e gloria"
Cortese si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Federica Signorile

Si intitola “Amore e gloria” il nuovo progetto discografico di Michele Cortese, meglio conosciuto semplicemente come Cortese. Disponibile negli store a partire dallo scorso 29 ottobre, il disco descrive le varie sfaccettature e declinazioni di tutto ciò che nella vita facciamo per la gloria dell’essere e dell’anima: amare e sognare. A tredici anni di distanza dalla vittoria della prima storica edizione italiana di X Factor insieme agli Aram Quartet, approfondiamo la conoscenza del talentuoso cantautore salentino.

Che sapore ha per te questo album?

Ha il sapore romantico e nostalgico di una giornata uggiosa unito all’odore forte della brace e il profumo leggero di un residuo d’estate. 

Quanto lavoro c’è stato dietro la ricerca del linguaggio e del sound?

Tanto e tutto concentrato in un periodo denso di ascolti, scrittura, sperimentazione e realizzazione.

In che termini la musica influenza le tue giornate?

Posso dire che sono le mie giornate ad influenzare la musica in realtà perché non esagero se dico che sostanzialmente vivo dentro e intorno a lei, con lei e per lei. 

Qual è l’aspetto che più ti colpisce e affascina nella fase di composizione di una canzone?

Mi affascina il fatto che per qualche momento ci si senta in un’altra dimensione con un’atmosfera rarefatta e il tempo dilatato fino all’ultima parola, fino all’ultima nota. 

Nel tuo lavoro ti reputi più un professionista o un creativo?

Che domanda bellissima e complessa! Probabilmente un creativo che poi si è educato al professionismo. La prima cosa non te la può insegnare nessuno, mentre la seconda, volendo, la si impara. 

Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica? 

Mi piace molto cucinare e mangiare ovviamente. 

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network e quanto credi siano importanti per il lancio di un progetto discografico oggi?

Il mio rapporto coi social network è quello di una persona di 36 anni assolutamente attiva dal punto di vista dei social per via del mestiere che faccio, perché ritengo appunto che per la promozione di un progetto artistico e discografico oggi sia assolutamente indispensabile quel tipo di comunicazione, ma che ben ricorda, a volte con non poca nostalgia, l’epoca pre-social network quando ci si dedicava e affezionava di più ai progetti perché bisognava scoprirli davvero per amarli e, nel bene o nel male, non era così facile e gratuito come un ascolto di 15 secondi su una storia e poi uno swipe up. 

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di un album come “Amore e Gloria”?

La sincerità nel racconto e il sound che c’è dentro, scoprire dai primi riscontri che ciò che ritenevo intimamente mio in quelle canzoni è così tanto condiviso da altre vite. 

Quattro chiacchiere con Caravaggio, cantautore e polistrumentista dall’ispirata visione artistica

Caravaggio: "In musica conta usare il cuore in maniera efficace"
Caravaggio si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del singolo “Le donne di Botero”

E’ disponibile dallo scorso 26 novembre “Le donne di Botero”, il nuovo singolo di Andrea Gregori, meglio noto con lo pseudonimo di Caravaggio. Reduce dalla positiva esperienza di Musicultura, abbiamo incontrato l’artista per ripercorrere con lui questo suo proficuo e soddisfacente 2021.

Cosa hai voluto raccontare con questo nuovo brano?

Questo brano ha un’anima dissidente, vuole essere un invito a pensare con la propria testa e a non uniformarsi ciecamente al pensiero dominante. Botero nella sua arte sfida i canoni estetici e ci mostra la meraviglia di corpi aggraziatamente oversize, in totale controtendenza con l’attuale stereotipo di bellezza. Trovo tutto questo splendidamente eretico e sano.

Quali sensazioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la fase di composizione di questa canzone?

Il brano è nato durante il primo periodo pandemico e subisce un po’ l’influenza del senso di smarrimento di quei giorni. Per me la libertà di movimento e di pensiero sono fondamentali e devo ammettere che il periodo dei lockdown fu un vero e proprio incubo. Ancora una volta la musica mi venne in soccorso, la creatività mi ha sempre salvato la vita.

A livello musicale, che tipo di sonorità hai scelto di abbracciare?

L’arrangiamento creato dal mio producer Oniq per questa song ha un sapore squisitamente indie-funk. Il percorso che portiamo avanti da un po’ punta dritto all’essenzialità. Vogliamo creare delle piccole opere minimali ma di spessore. Credo che questo brano sia ad oggi la cosa migliore che abbiamo mai prodotto.

In percentuale, quanto cuore e quanta tecnica ci vogliono per comporre un’opera musicale?

Mettiamola giù così, c’è voluto molto lavoro e tanto tempo affinché imparassi a dimenticare la tecnica e a usare il cuore in maniera efficace. Se dovessimo parlare in termini di percentuali direi 70% cuore e 30% mestiere. 

Il 2021 ti ha dato sicuramente tante soddisfazioni, qual è il tuo personale bilancio di questo ultimo anno?

Nonostante il momento storico surreale che stiamo vivendo devo ammettere che quello appena trascorso è stato un anno positivo per la mia arte. Lo zenit è stata la vittoria a Musicultura 2021, dove sono arrivato fra i 4 finalisti con un brano per nulla catchy. La canzone era “Le cose che abbiamo amato davvero”, accolta con grande calore dal pubblico e dalla critica, al punto da ricevere anche il premio AFI come miglior progetto discografico. Un oceano di soddisfazioni.

Desideri e obiettivi per il 2022?

Caravaggio sta crescendo, brano dopo brano, in termini di ascolti e di seguito. Continuerò a lavorare con passione e determinazione come ho fatto negli ultimi anni e se arriverà la “hit che cambia la vita” mi troverà pronto. Mi piacerebbe suonare tanto dal vivo, ho una splendida band e uno show che è una bomba.

Caravaggio: "In musica conta usare il cuore in maniera efficace" 1 

Quattro chiacchiere con la giovane Muriel, alla scoperta della sua visione di vita e di musica

Muriel: "La musica evoca emozioni e le fa riaffiorare una ad una"
Muriel si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del singolo “L’amore arriva solo di domenca”

Tempo di nuova musica per Muriel, fuori con il singolo “L’amore arriva solo di domenica”, brano firmato da Roberta Faccani che racconta di una relazione amorosa ostacolata dalla routine quotidiana. Scopriamone ogni dettaglio insieme all’artista perugina.

Ci racconti la genesi e il processo creativo di questo brano?

Il brano è nato circa un anno fa, proprio durante la pandemia. Ricordo ancora la prima volta che Roberta Faccani, autrice del brano, mi ha fatto ascoltare il pezzo e mi ha fatto leggere il testo (perché io di questo brano sono solo l’interprete). Mi sono subito rispecchiata nella protagonista della canzone, l’ho sentita immediatamente mia e  l’ho interpretata come se fosse stata scritta appositamente per me, era esattamente come un vestito cucito addosso! Tendo a precisare che canto solo ed esclusivamente canzoni che rispecchino il mio vissuto, passato e presente, e in questo pezzo la protagonista della canzone ero esattamente io qualche anno fa, come vivevo la quotidianità. Una donna presa da mille impegni, oberata dal tran tran giornaliero, super indaffarata, con un lavoro impegnativo come il mio di cantante, che non c’era mai per il suo compagno e se andava bene rilegava le giuste attenzioni solo la domenica. Penso anche che non sono la sola a rispecchiarmi in questo brano, ma tantissime altre coppie. Abbiamo dato loro un chiaro e forte messaggio e uno spunto di riflessione, ovvero di non trascurare ciò che conta davvero per noi. Rallentiamo e diamo più spazio ai sentimenti, quelli veri, che sono fatti di presenze e non assenze, di abbracci, baci e carezze, e non di messaggini e chiamate. Disintossichiamoci anche un po’ da questi social che hanno preso il sopravvento nella vita di oggi. E a chi mi dice “Il mondo è cambiato” io rispondo “I sentimenti, quelli no”!

Com’è nato l’incontro con Roberta Faccani?

Ho conosciuto Roberta Faccani ad agosto 2020, proprio durante la pandemia. Io, come altri artisti, ero ferma nel lavoro, così pensavo “Cosa posso fare ora? A cosa posso dedicarmi?”. Sono una persona, e con il mio carattere irrequieto, non esibirmi e non cantare è stata una grande sofferenza, ma nonostante lo stop forzato dalle serate, in questo difficile momento ho conosciuto questa grande Donna che io seguivo già dai tempi in cui lei cantava nei Matia Bazar. Grande artista e oggi mia grande amica, mia vocal coach e produttrice (con la sua etichetta discografica Bandidos Records) che mi ha aiutato in un grande percorso di crescita musicale grazie alla sua accademia “la Fabbrica del cantante attore”, arricchendomi professionalmente e dandomi il suo valore aggiunto come artista. Abbiamo legato da subito, che tra donne e colleghe non è facile né scontato, eppure con lei lo è stato. Così, tra una lezione di canto e l’altra, è nato il progetto, che porta la sua firma insieme a quella di Giordano Tittarelli per la parte musicale e di Giovanni Versari per il mastering audio.

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?

Muriel è il mio vero nome. Essendo un nome alquanto artistico e originale non potevo non usarlo anche come nome d’arte! Era destino anche questo!

Quando e come ti sei avvicinata alla musica?

Io dico sempre che sono nata per cantare, che ho ricevuto un dono e ho avuto la possibilità di metterlo a frutto. Dobbiamo tornare un po’ indietro negli anni, ovvero nei primi anni ’90, quando a soli 4 anni i miei genitori mi vedevano già come una bambina prodigio. Cantavo sempre e volevo esibirmi in casa con gli amici o alle feste. Così mi fecero fare il mio primo baby provino: conoscevo a memoria tutte le canzoni dei cartoni animati, e allora mi iscrissero in una scuola di canto e nel coro Perusino dei bambini della mia città. Ho continuato tutto questo percorso musicale di studio pop (ma studiando anche altri generi come il jazz con la maestra e jazzista Claudia Cantisani e musica d’insieme) fino a che, diventata appena maggiorenne, ho iniziato a seguire la mia carriera di cantante. Avevo le basi e le carte giuste per dedicarmi al mestiere serio del cantante, cosi ho iniziato la mia carriera come solista e duo “Muriel live show” nel 2006, che mi ha portato ovunque sia in Italia che all’estero a esibirmi per eventi, centri commerciali, feste, resorts oltre a diverse apparizioni tv e concorsi nazionali .Volevo fare esattamente questo, non sarei mai riuscita ad immaginarmi in un altro lavoro, sono nata per fare la cantante e nel mio piccolo sono riuscita a dar luce al mio talento. Poi, grazie a Roberta e alla sua Fabbrica del cantante attore, mi sono rimessa a perfezionarmi grazie al suo vocal coching, aiutandomi a raggiungere un livello ancora più alto di preparazione e tecnica vocale.

Coltivi altre passioni a parte il canto? 

Mi definisco un’artista, amo lo spettacolo, mi è sempre piaciuto sperimentare varie forme di arte come il cinema, la recitazione, l’animazione e l’intrattenimento. Sono una persona “affamata di sapere, di conoscenza e di studio, amo imparare sempre cose nuove e perfezionarmi proprio perché non mi sento mai arrivata e, essendo stata sempre molto ambiziosa, tendo a migliorarmi sempre e a essere preparata soprattutto tecnicamente. Proprio per questo ho passato tutta la mia vita a studiare musica, canto e adesso vocal coaching con la stessa Roberta Faccani. Per diletto ho fatto qualche esperienza  cinematografica come attrice e in piccoli ruoli al cinema e in trasmissioni TV, ma al mio primo posto per me c’è solo la musica! Dico ancora che da grande voglio fare la cantante, quindi continuerò sempre in questa direzione!

Credi nel potere terapeutico delle canzoni?

Certamente, per me la musica è vita, è tutto! Mi esprimo cantando, mi emoziono ed emoziono gli altri quando canto. La musica ha il grande potere di emozionare, di suscitare forti emozioni, di far piangere o ridere. Con una canzone ci possiamo rispecchiare e interrogare sulla nostra vita e sulle nostre relazioni, andando a scavare e andando fino in fondo all’anima e all’inconscio. Certi brani musicali scuotono le anime perché sono legate a momenti significativi della nostra vita, quindi per me, tra tutte le arti, la musica è quella più capace di evocare emozioni e farle riaffiorare una ad una.

Progetti e sogni nel cassetto per il futuro? 

Assieme al mio staff stiamo lavorando alla promozione fino a fine anno de “L’amore arriva solo di domenica“, posso però anticiparvi che contemporaneamente stiamo portando avanti un altro importantissimo progetto discografico che vedrà la luce ad inizio dell’anno prossimo. Un progetto che mi sta veramente a cuore e al quale mi ci dedicherò con tutta me stessa perché sarà veramente importante per la mia carriera artistica! Vi conviene seguirmi…!

A tu per tu con la band IrreAle, in uscita con il loro album d’esordio intitolato “Sono lì”

IrreAle
Il gruppo IrreAle si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Valerio Pennisi

Si intitola “Sono Lì” l’album che segna l’esordio della band IrreAle, fondata dalla cantautrice Irene Burratti e dal chitarrista Alessandro Usai. Approfondiamo la loro conoscenza.

Che sapore ha per voi questo progetto?

Per noi questo progetto ha tantissimi significati. È ciò che siamo riusciti a creare partendo da un’idea, da un concetto di fiducia e da una collaborazione molto importante. Sicuramente è il sapore di un’idea concretizzata. Un progetto anche ambizioso e diverso che speriamo possa essere ascoltato e apprezzato.

Quali sensazioni e quali stati d’animo vi piacerebbe trasmettere a chi ascolterà questo lavoro?

Il disco è nato da una forte esigenza narrativa, provare a mettere nelle canzoni parte del nostro vissuto. Le riflessioni che ci hanno ispirato sono quelle della vita e delle esperienze attraversate. Ogni traccia è una riflessione su qualcosa di realmente visto e interiorizzato; il nostro messaggio primario è la sincerità di espressione, lontano da ogni obiettivo non strettamente artistico.

A livello sonoro, a cosa si deve la scelta di sonorità acustiche e di questo spirito analogico?

Abbiamo deciso di mantenere un sound acustico perché ci è sembrato coerente con i contenuti narrativi ed effettivamente più vicino al concetto di intimità che abbiamo cercato. Le chitarre acustiche dialogano molto fra loro e il pianoforte lega tutta la musica. Inoltre, la scelta di includere il vibrafono e le percussioni rende tutto un po’ sognante e sottolinea le diverse atmosfere.

Quali skills, quali abilità, pensate di aver sviluppato lavorando a questo progetto?

IrreAle è stato un grande esempio di fiducia e collaborazione musicale. Abbiamo scelto il primo pezzo da creare insieme, e da lì abbiamo poi composto tutti gli altri brani. Andando avanti è stata sempre di più una sorpresa. Credo che i nostri processi di creazione si siano compensati, a volte sono stati consequenziali ma spesso uno influenzava l’altro e viceversa. Dopo la prima stesura del brano “Sono lì” sono arrivati tutti gli altri pezzi, in maniera naturale e sempre con lo stesso processo di fiducia. Ognuno rispettava e stimava il lavoro dell’altro. Questa è una grande skills e una grande abilità per noi.

Che ruolo gioca la musica nel vostro quotidiano?

La musica per noi è qualcosa di naturale e sempre presente. Ci sentiamo, da quando siamo nati, avvolti da una colonna sonora che, partendo da quella dei nostri genitori, si è evoluta e sviluppata in tanti ascolti di diverso genere.  La musica accompagna gli anni che passano e sottolinea le diverse età, le diverse ere dell’esistenza. Lei sa educare la nostra sensibilità e sa insegnarci come relazionarci con gli altri. Se è sincera trasmette realmente ogni giorno delle regole di vita, dei consigli e la speranza per andare avanti.

Tra di voi, coltivate altre passioni comuni oltre alla musica? 

Credo che una passione in comune tra me e Alessandro sia viaggiare, come anche stare a contatto con gli animali e la natura. Tutte queste cose sono, inoltre, una grande fonte comune di ispirazione.

Dove vi vedete tra dieci anni?

Il nostro obiettivo è di poter portare in giro nei prossimi anni il nostro disco attraverso i live e continuare a raccontare questo nostro progetto dal vivo. Ci farebbe molto piacere poter aggregare in un futuro una nicchia di persone che abbiano davvero voglia di ascoltare e cogliere ogni nostra attenzione sonora e verbale.

Intervista al giovane cantautore milanese New Ocean, in occasione dell’uscita del singolo “Che bella storia

New Ocean
New Ocean si raccontano ai lettori di Musica361 © foto di Simone Nicolaci

Impulsività e istintività, queste le cifre stilistiche che caratterizzano la musica di Alessandro Di Bella, alias New Ocean. Si intitola Che bella storia il suo nuovo singolo, pubblicato da BBRG Family con distribuzione ADA Music Italy lo scorso 22 ottobre. 

Che sapore ha per te questo pezzo?

“Che bella storia” è un’esperienza che io in primis ho vissuto, sviluppata e rielaborata come connubio tra realtà e fantasia. Questa canzone è per me un inno all’unicità e alla libertà, che ci sprona a dedicare più tempo per scoprire chi siamo e cosa vogliamo dalla vita, per autorealizzarci come individui.

Cito un passaggio del brano: “Sei uno sbaglio che ora farei, Che bella storia, sei tutto ciò che voglio e non dovrei, è un’altra storia”. Per me, questo significa andare a prendere ciò che si vuol davvero dalla vita.

In questo caso io ho parlato di una relazione d’amore un po’ “tossica” e difficile, che comunque desidero con tutto me stesso, ma vorrei che ciascuno, ascoltando il brano, si immedesimi nelle parole del testo e che siano di motivazione per superare una sfida in particolare, davvero importante per noi. Questo è il vero sapore di “Che bella storia”.

Quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la fase di scrittura?

Io scrivo nella completa solitudine, chiuso nella mia stanza, luci neon soffuse, silenzio attorno e musica oltre il volume massimo nelle mie cuffie. Amo farlo di notte, quando tutti dormono, mentre gli unici a restare svegli sono i pensieri più profondi, che poco alla volta prendono forma.

E’ come se fossero scene di un film che mai nessuno ha girato, dalle quali prendo ispirazione per creare un testo tanto realistico, quanto speciale. Quindi ho scritto a cuor leggero qualcosa di legato al mio passato, in particolar modo alle relazioni d’amore nelle quali ho pensato tra me e me: “vorrei, ma non posso… che bella storia!”.

A livello musicale, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare?

“Che bella storia” è stata prodotta da Gamuel Sori, un produttore di musica House, certamente aperto e versatile verso tutti i generi, ma che comunque proviene dal mondo dei DJ: infatti questa è una canzone così ricca di energia da essere tranquillamente ballabile in discoteca.

Poi ho voluto aggiungere la mia influenza Punk, che ha dato un tocco di personalità al brano, rappresentando anche molto bene l’attitudine del progetto New Ocean, e anche di Alessandro, cioè io oltre la musica.

Ed infine si sente il Pop, la componente leggera; mi permette di parlare di una tematica difficile, in questo caso l’amore tossico, che si cela molto bene dietro alle sembianze di un brano che appare semplice e molto spensierato.

Qual è l’aspetto che più ti colpisce e affascina nella fase di composizione di una canzone?

Fin dalla prima stesura di un nuovo brano si crea un momento magico, che inizia nella totale intimità dei miei pensieri, quando mi chiudo in cameretta e scrivo; quest’emozione unica continua durante le session in studio con il mio produttore e i miei collaboratori, per diventare infine una canzone fatta e finita.

Potrei sembrare quasi poetico: spesso mi chiedo se anche gli ascoltatori e i fan riescano ad immedesimarsi nel “viaggio” che faccio durante la realizzazione della musica. E se così fosse, sarebbe davvero bellissimo.

Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica? 

Mi piace molto il cinema e leggo spesso fumetti americani o manga giapponesi. Uso queste passioni per distrarmi dal resto, specialmente quando ho bisogno di concedermi un momento di relax. Le storie e i personaggi, sia del cinema che dei fumetti, sono per me di grande ispirazione anche quando lavoro sulla musica (che è la mia più grande passione).

Nel tuo lavoro ti reputi più un professionista o un creativo?

Decisamente un creativo. Non mi reputo un professionista, nonostante io sappia bene che per vivere di musica è importante esserlo a tutti gli effetti. Ma c’è da dire che non realizzo la musica per ottenere un risultato sistematico, come invece dovrebbe fare un professionista.

Nella musica metto ambizioni, paure, sentimenti, momenti bellissimi e distruttivi, che ritrovo ogni giorno nella mia vita. Sicuramente faccio il possibile affinché tutto questo, che di razionale ha ben poco, divenga una canzone il più possibile orecchiabile e “normale”, per il pubblico. Ma essendo io un’anima libera, faccio un po’ come dice il mio istinto, e chissà che qualche volta non ci azzecchi!

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di “Che bella storia”?

Con questo singolo sono felice di esser riuscito a parlare di una tematica molto personale e delicata, con la leggerezza di un brano radiofonico Pop.

A pensarci bene, la canzone scorre dritta come un treno, ed è talmente immediata che al primo impatto sembra quasi frivola e senza un messaggio di fondo. Ma il messaggio è più che presente; è solo nascosto dietro l’essenza di un brano che, rivolgendosi un po’ a tutti, vuol essere un inno alla libertà.

Intervista al musicista e produttore emiliano Giovanni Amighetti, in occasione dell’uscita del progetto “PLAY @ ESAGONO VOL.1

Giovanni Amighetti
Giovanni Amighetti si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Luca Fabbri

E’ disponibile dallo scorso 6 ottobre il disco “PLAY @ ESAGONO vol.1” realizzato dal produttore e compositore world music Giovanni Amighetti e dal chitarrista Luca Nobis. Il progetto è accompagnato da video, realizzati dal regista Luca Fabbri, disponibili sul canale Youtube di Esagono Dischi.

Come sono nati questo lavoro e la collaborazione con Luca Nobis?

La collaborazione con Luca Nobis nasce dall’aver partecipato entrambi ad “Incontri sul palco” dell’Ahymé Festival 2020. Giornata ripresa in un docu-film alla quale io e Luca abbiamo pensato di dare un seguito artistico, visto che non ci era stato possibile in quel frangente collaborare.

Un disco che si sviluppa anche visivamente, grazie ai video curati da Luca Fabbri. Credi nel principio di trasversalità dell’arte?

Sì assolutamente, anche se abbiamo notato che alcune musiche più vitali sono molto adatte al video e viceversa in alcune è bene che quanto porti al risultato sonoro resti un po’ misterioso, magari sono frasi adatte al completamento della tavolozza sonora ma poco spettacolari a video. In sostanza la stessa opera artistica può essere trasversale ma c’è bisogno di alcuni accorgimenti perché renda al meglio nelle varie discipline. La multimedialità aiuta molto alla spettacolarizzazione degli eventi live soprattutto quando si va su capienze oltre le 1000 persone.

Cosa ti affascina di preciso di questo connubio tra musica e immagini?

La musica rende meglio al buio, senza riferimenti visivi. Così acquisisce tridimensionalità nell’ascoltatore. Però oggidì il mezzo che più utilizziamo per comunicare ed informarci è chiaramente il computer, o dispositivi mobili che sono piccoli computer. Quindi è lo schermo a divenire centrale, da cui perché qualcosa “esista” c’è bisogno abbia un’immagine che arrivi a tali dispositivi. Come abbiamo realizzato “play@esagono vol.1” ci ha permesso di riprendere nell’immediato anche tutta la parte video, video che quindi sono molto “veri”, sono un documento di quanto viene composto e registrato in quell’esatto momento. Diverso il discorso del live, dove l’utilizzo di immagini, video e CG diviene puramente artistico a completare la resa emozionale dell’opera.

Qual è l’aspetto che più ti colpisce durante la fase compositiva?

Sono sempre colpito dalla sensazione che la musica “ispirata” non sia realizzata da noi in modo conscio, bensì arrivi in un certo senso da lontano. Come se noi compositori fossimo tramite di un qualcosa che noi stessi non comprendiamo ma concretizziamo. In questo lavoro diviene doppiamente interessante visto che la fase compositiva è immediata e ripresa quindi sia dall’audio che dal video. Viene documentata quindi.

Quali sono gli elementi e le caratteristiche che ti rendono orgoglioso di un progetto come “PLAY @ ESAGONO VOL.1”?

Sicuramente l’aver superato le diverse difficoltà che un progetto di questo tipo comporta. Sia l’inserire i video direttamente in studio di registrazione, e qui sono stati molto bravi sia Luca Fabbri che i tecnici dello studio Stefano Riccò e Francesco De Nisco, sia tutta la parte di creazione artistica empatica che ha permesso la realizzazione di questi brani. L’intesa con Luca Nobis ma anche con i fiati di Jeff Coffin, Moreno “il biondo” Conficconi e Fiorenzo Tassinari, le percussioni e n’goni di Petit Solo Diabaté, i violini di Angele Benelli e Giulia Chiapponi, il basso di Valerio “Combass” Bruno. E’ un metodo compositivo che supera le barriere di genere ma anche di tradizione musicale etno-geografica e porta a risultati molto “veri”. Non si tratta di mettere in bella copia composizioni ed arrangiamenti bensì di far sentire, e vedere, all’ascoltatore il momento della composizione stessa!

Quattro chiacchiere con la giovane e talentosa GIOIA, alla scoperta della sua ispirata visione di vita e di musica

Gioia
GIOIA si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del singolo “Pink Cadillac”

Tempo di nuova musica per GIOIA, al suo ritorno discografico con l’inedito “Pink Cadillac”, disponibile per Sugar Music a partire dallo scorso 22 ottobre. Un brano pop con influenze r&b, co-prodotto da Bias, già al lavoro con Madame e Sangiovanni. Conosciamo meglio la giovane e talentosa artista.

Cosa racconta “Pink Cadillac”?

“Pink Cadillac” parla di un rapporto indefinito da cui ci si aspetta un lieto fine, pur sapendo che, in fondo, non ci potrà essere. Per tutta la durata del brano io vivo in un sogno vivido, sono in una Cadillac rosa, circondata da palme, oceano… un’immagine paradisiaca, ma la storia di sottofondo è completamente in contrasto con tutto ciò.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgogliosa del risultato finale di questo pezzo? 

Il fatto di aver scritto il testo subito dopo aver visto per puro caso una foto di una Cadillac rosa. Ho scritto le parole “Pink Cadillac” su un foglio e da lì ci ho costruito un testo. Per me è incredibile come si sia creato un mondo da una cosa così piccola e naturale. Ogni suono è come se mi trasportasse nell’immaginario che ho creato nella mia testa. Ascolto il pezzo ed è come se fossi fisicamente lì.

In che termini la musica influenza le tue giornate?

Inutile dire che penso alla musica ogni secondo. In casa sono circondata da strumenti musicali, dischi, casse e amplificatori; quando esco di casa, invece, vado alla ricerca di qualcosa, o qualcuno, che possa ispirare la musica che faccio. 

Gioia 1
La copertina di “Pink Cadillac”

Nel tuo lavoro ti reputi più una professionista o una creativa?

Assolutamente una creativa. Non mi piace limitarmi alla musica, mi interesso a tutto quello che la circonda, dalle cover, ai video, allo styling… Ho sempre delle idee ben precise e dettagliate, le organizzo sempre in modo grafico e faccio delle presentazioni. Purtroppo, o per fortuna, sono una perfezionista.

Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica? Se sì quali?

Amo l’arte in generale e mi piace fare di tutto. Adoro disegnare (ad esempio, ho fatto la cover di “Pink Cadillac”!), fotografare, creare grafiche, fare video per documentare, cucinare. Ho un interesse spiccato per la moda, che è un altro canale in cui mi esprimo. Amo il cinema, l’architettura, l’arredamento, le piante e i gatti.

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network e quanto credi siano importanti per il lancio di un progetto discografico oggi?

Non amo particolarmente i social network, o meglio, non li considero di vitale importanza. Al contempo, però, se non fossero esistiti, io non sarei qui a fare questo lavoro. Tramite un social network la mia musica ha raggiunto le persone con cui ora lavoro, perciò credo sia essenziale curare sempre tutto ciò che si decide di condividere. Oggi le opportunità sono dietro l’angolo, bisogna saperle cogliere. Certe connessioni che si creano tramite i social network possono essere davvero fondamentali per il lancio di un progetto. 

Qual è l’aspetto che più ti colpisce e affascina nella fase di composizione di una canzone?

L’incognita di come possa diventare. Si può partire da una parola, da un rumore, da un paio di accordi… mi è capitato spesso di canticchiare un testo inventato, che poi ha preso un senso logico ed è diventato una canzone. Da lì nascono dei mondi. Ho scoperto delle cose che non sapevo nemmeno di avere dentro di me. È terapeutico.

A tu per tu con la giovane e talentuosa cantautrice HU, in uscita con il nuovo singolo “Millemila”

HU: "A parlare deve essere la musica, io vengo dopo di lei"
HU si racconta ai lettori di Musica361, all’indomani dell’uscita del suo nuovo singolo “Millemila”

Tutta la sensibilità di Federica Ferracuti, meglio conosciuta con lo pseudonimo di HU, vive ancora una volta nella sua musica. Millemila è il titolo del suo nuovo singolo, disponibile per Warner Music Italy a partire dallo scorso 22 ottobre. Approfondiamo la sua conoscenza.

Come si è svolto il processo creativo di “Millemila”?

Era marzo: l’ho scritta in 5 minuti, senza neanche pensarci troppo e l’ho parcheggiata lì. L’ho ripresa neanche un mese fa e mi sono ritrovata in studio con Tom Beaver, Michael Tenisci e Flavio de Carolis, squadra grazie al quale sono riuscita a dargli quello che gli mancava a renderla la “Millemila” che è oggi.

Quale pensi sia la dimensione ideale per suonare e ascoltare questo pezzo?

La dimensione ideale di ascolto può essere qualsiasi: in un teatro, in un club, nelle cuffie o anche in macchina con i finestrini abbassati, il vento addosso e un volume da derby a San Siro.

HU: "A parlare deve essere la musica, io vengo dopo di lei" 1
La copertina di “Mille Mila”

Coniugare la tecnica vocale con l’aspetto comunicativo, quanto lavoro c’è dietro l’interpretazione di un brano di questo spessore?

In realtà, il lavoro che c’è dietro è quotidiano su me stessa come essere umano e come artista. A livello interpretativo c’è poco da dire, quando canto, scrivo, produco, eseguo, salto su un palco, non mi preparo a tavolino: seguo il flusso di quello che ho davanti, delle sensazioni che provo, di dove voglio arrivare e di come mi sento fisicamente.

Qual è l’aspetto che più ti colpisce e affascina nella fase di composizione di una canzone?

Come mi sento quando succede.

Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica? Se sì quali?

Assolutamente sì: lo spazio e l’astronomia, la cucina, mi piace il design e l’arredamento. Seguo spesso mostre d’arte e leggo editoriali di moda indipendente. Amo pulire, è la mia guilty pleausure. A parte gli scherzi, studio tantissimo, non mi fermo mai. E vado fino in fondo a qualsiasi cosa accende la mia curiosità.

Nel tuo lavoro ti reputi più una professionista o una creativa?

Mi reputo una creativa che tratta con professionalità il “lavoro” in sé, il rapporto con le persone e il mio mindset quotidiano.

Dopo “Occhi Niagara”, “End” e “Millemila”, che traiettoria prenderanno le tue prossime produzioni?

Che sorprese che vi aspettano. Per ora non dico niente. Dico sempre che è la musica che deve parlare. Io vengo dopo di lei.

Intervista al cantautore pugliese Reietto, in occasione dell’uscita del singolo “Katy Perry

Reietto
Reietto si raccontano ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del singolo “Katy Perry”

Un linguaggio originale, contemporaneo e anticonvenzionale, queste le caratteristiche alla base della poetica di Valerio Vacca, alias Reietto, poliedrico cantautore classe ’91, appassionato del rap e della sua forza comunicativa. Katy Perry è il titolo del suo nuovo singolo, disponibile dallo scorso 7 ottobre per ADA Music Italy.

A cosa si deve la scelta del tuo pseudonimo?

Il mio pseudonimo è legato al periodo adolescenziale. Mi sono sempre sentito l’emarginato del gruppo, un po’ perché mi emarginavo io, un po’ perché venivo emarginato. Diciamo che il mio unico pensiero era quello di scrivere brani dato che, essendo molto emotivo, non riuscivo a raccontarmi a parole e quindi venivo sempre visto come quel bravo ragazzo robusto e strambo che si isolava e che veniva preso di mira proprio perché troppo altruista. Ho deciso quindi di utilizzare una parola negativa come nome d’arte proprio per darmi forza e ricordarmi che ero molto di più di un semplice reietto.

Hai subito in passato episodi di bullismo?

Sì, ho sempre definito il periodo scolastico come il mio medioevo personale. Per fortuna sono momenti che ho superato ed ora li ricordo con un sorriso. Penso che, nonostante la sofferenza provata in quegli anni, alla fine sono eventi che col tempo o dimentichi o ti fortificano così tanto che impari a riderci su e magari ti insegnano ad accettarti e soprattutto ad accettare che, dietro quella gente che all’epoca ti sembrava cattiva, c’era solo un’altra persona incompresa e reietta che cercava l’appoggio degli altri con l’uso della forza. Non giustifico ovviamente tali comportamenti. Io magari sono stato così forte da uscirne illeso, o quasi, altri potrebbero arrivare a gesti sconsiderati. Pertanto, quello che posso consigliare è non chiudersi a riccio come ho fatto io all’epoca, ma parlarne con qualcuno e venirne fuori.

Chi è o cosa rappresenta la Katy Perry che canti nel tuo nuovo singolo?

Katy Perry per me è la sensualità e l’autoironia fatta persona. Nel mio brano, oltre a voler omaggiare la famosa cantante pop utilizzando il suo pseudonimo come titolo, ho praticamente raccontato di un’ipotetica serata con una ragazza che poi si spinge nei tabù più nascosti che comprendono la sfera sessuale. Per me è molto importante sdoganare questi dogmi che ci siamo autoimposti da secoli e cercare di vivere liberamente la sessualità. Il brano infatti si apre con la frase “quelle calze che ti strapperei”, che si riferisce alla sensualità delle gambe e dei piedi femminili. Ognuno deve essere libero di vivere i propri feticci, pensando che sia qualcosa di assolutamente normale.

Reietto 1

Credi nel valore terapeutico della musica? Ti capita di sentire delle canzoni che ti fanno stare meglio?

Assolutamente sì. Penso che come molti, sono una di quelle persone salvate dalla musica. La musica mi ha aiutato molto durante il periodo adolescenziale e continua ad aiutarmi tuttora. Ogni mia canzone è come la pagina di un diario segreto che non ho mai scritto e mi aiuta a raccontare parti di me che magari non riesco a dire di persona. Poi sono molto emotivo, quindi cerco sempre quel lato terapeutico nella musica che nei giorni no, mi porta a star sereno. Nel mio secondo singolo “fuori”, parlo proprio della mia disfagia. Volevo utilizzare una mia canzone come mezzo per far conoscere questa patologia a chi ne è ancora all’oscuro e, ovviamente, cercare di dar forza a me e chi come me si trova nella stessa condizione.

Coltivi altre passioni o interessi oltre la musica? 

Sono un pilota di droni, ma non ho un drone, assurdo vero? Mi definisco un nerd. Sono un super appassionato di serie tv, action figures, manga, videogames e tutta la roba tecnologia che può interessare a Sheldon Cooper, ad esempio. La mia saga preferita? Assassin’s Creed, ho anche il tatuaggio della confraternita degli assassini, ma hei, non ho mai ucciso nessuno.

Nel tuo lavoro ti reputi più un professionista o un creativo?

Mi trovo al centro. Penso che la parte creativa sia la parte più emozionale e che ti invoglia a far tutto il resto. Ti fa viaggiare in luoghi che neanche sapevi di poter raggiungere, fino alla realizzazione di un’idea che poi verrà concretizzata con la parte professionale del lavoro. Secondo me ci deve essere un perfetto equilibrio tra l’essere professionista e l’essere creativo perché l’essere troppo professionali uccide la creatività e l’innovazione. L’essere troppo creativo, alcune volte, può portare a risultati belli ma troppo criptici per poi portarli alla comprensione di tutti. Vero, la creatività è anche questo, ognuno deve aver libera interpretazione di ciò che sta ascoltando, vedendo ecc., ma, se vuoi arrivare ad un’altra persona, anche la semplicità e la professionalità a volte pagano e ti appagano, per questo mi trovo nel centro.

Qual è l’aspetto che più ti colpisce e ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

Mi piace tantissimo creare la linea melodica, penso che il ritornello e la melodia siano le fondamenta stabili di una canzone. Devi cercare uno slogan, lanciare un messaggio e musicarlo affinché rimanga nella mente dell’ascoltatore. È proprio così che comincio un brano, se noto che il ritornello lo canto per tutta la giornata, sono sulla strada giusta.

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