Quattro chiacchiere con il giovane cantautore calabrese Barreca, alla scoperta della sua visione di vita e di musica

Barreca
Barreca si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del singolo “Tempo da aspettare”

Nuova musica per Domenico Barreca, in arte semplicemente Barreca, artista classe ’86 in uscita con il nuovo singolo “Tempo da aspettare”. Il brano, disponibile dallo scorso 17 settembre, racconta l’attitudine di chi è capace di mettere in atto l’arte della contemplazione e di chi sapientemente abbraccia la dilatazione del tempo, sempre più concepita come motivo di angoscia e non di quiete.

Che sapore ha per te questo pezzo?

“Tempo da aspettare” lo considero un inno alla vita, descrive quanto sia importante al giorno d’oggi riuscire a dilatare il tempo, a scoprire anche il senso dell’attesa. Il famoso “sabato del villaggio” mi ha sempre affascinato. Tuttavia, nasconde un sapore agrodolce perché ha quel mix di nostalgia in cui mi rifugio spesso e che non mi dispiace perché mi fa ritornare a momenti dell’adolescenza, di quando tutto era più spensierato. La considero una canzone che mi descrive in maniera totale.

Cosa aggiunge questo pezzo al tuo percorso rispetto alla tuo ultimo album “Dall’altra parte del giorno”?

“Tempo da aspettare” mi sembrava la chiusura di questo cerchio. Un anno fa, insieme a questo viaggio incredibile pieno di incognite, la nascita e l’uscita del primo singolo, l’album e il tour, è qualcosa che mi ha dato una nuova consapevolezza, un nuovo modo di aprirmi al mondo. La prima cosa che ho ritrovato è stato il confronto con le persone, con le anime belle, sono riuscito a raccontarmi e ad ascoltare le storie degli altri. Questa cosa mi ha portato u po’ a voler a tutti i costi far uscire un brano che mi rappresentasse in tutto e per tutto.

A cosa si deve la scelta di sonorità retrò?

Dal punto di vista musicale c’è tanta coerenza con ciò che. È uno di quei brani musicali che poteva suonare soltanto così, era già ben definito al primo colpo. C’è quell’omaggio alle sonorità degli anni 90, ma si va un po’ anche nella canzone d’autore degli anni ‘70 e ‘80. Il mondo vintage mi è sempre appartenuto come gusto personale, quindi diciamo che era doveroso riuscire a dare, ad un brano come questo, questo tipo di vestito.

Come descriveresti il tuo rapporto con lo scorrere degli anni e con il tempo che passa?

Per anni l’ansia mi ha completamento annientato. Ero chiuso in un limbo in preda all’apatia, per molto tempo. Non provavo emozioni. So cosa significa essere attanagliati dall’ansia. Grazie alla musica, a questo album e a queste canzoni, a questo anno per me una sorta di psicoterapia, sono riuscito a capire quanto sia fondamentale riuscire a dilatare il tempo, a godersi le cose e a godersi il senso dell’attesa. Questo grazie a due armi, che possono sembrare semplici ma allo stesso tempo invincibili e difficili da conquistare, e sono il sorriso e la gentilezza. Al giorno d’oggi possono essere considerati davvero un gesto rivoluzionario.

Coltivi altre passioni oltre la musica? 

Si, mi piace perdermi tra le pagine di un buon libro. Rifugiarmi, soprattutto d’inverno, nel mio mare. Poi c’è quella completa trasformazione dell’amore, quello viscerale, per il gioco del calcio. Ci ho giocato fin da ragazzino e sono un tifoso appassionato. Appena posso vado allo stadio, seguo le trasferte. Sono un appassionato della Regina, fin da bambino. Questa sorta di amore per questo sport mi porta veramente a vedere qualsiasi tipo di partita, anche delle altre squadre, durante la settimana o appena posso.

Quanto incide la tua terra nelle tue produzioni?

Non so se abbia inciso completamente. Io in questo album ho raccontato un po’ il mio viaggio interiore, quello che mi accade, quello che vivo. Sicuramente c’è una forte consapevolezza, che è stato bello realizzare il tutto nel mio territorio, riuscendo a coinvolgere tanti musicisti e riuscendo a fare un lavoro bellissimo. È una risposta, perchè anche qui in Calabria le cose si posso fare e anche in maniera dignitosa.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso del tuo percorso e di quanto realizzato fino ad oggi?

Sono giorni in cui sto ripensando a tutto quello che è successo, la cosa che mi rende più orgoglioso è l’essere riuscito a portare le mie innumerevoli fragilità a dei punti di forza. L’ho fatto mettendomi completamente a nudo, raccontandomi senza filtri, e questo veramente mi faceva sentire in un mondo ideale, soprattutto nei live, nei concerti. Quindi la consapevolezza di non vergognarsi di sentirmi come un giorno di fine estate, con la malinconia che mi ha sempre attraversato. La consapevolezza soprattutto di essere sempre me stesso e di riuscire a raccontare attraverso la cosa che ho sempre amato e che ho sempre messo al centro di tutto, la musica.

A tu per tu con il cantautore The Leading Guy, in uscita con il nuovo singolo “Solo musica”

The Leading Guy: "La musica mi ha insegnato il dono della sintesi"
The Leading Guy si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Emiliano Bechi Gabrielli

Tempo di nuova musica per Simone Zampieri, meglio conosciuto con lo pseudonimo di The Leading Guy, in uscita con il singolo “Solo musica”, impreziosito dalla speciale collaborazione con Vinicio Capossela. Il brano, disponibile sulle piattaforme digitali a partire dallo scorso 17 settembre, rappresenta un assaggio di una nuova fase artistica. Approfondiamo la sua conoscenza.

“Solo musica” è il titolo del tuo nuovo singolo, ci racconti la genesi e il processo creativo di questo brano?

Il pezzo nasce un anno e mezzo fa, é stato il vero esordio del mio nuovo percorso in italiano. È una dichiarazione d’amore per la musica, la musica nel senso più bello e puro del termine, la musica che non viene usata male dalla grande industria musicale, che non viene masticata e sputata in poco tempo, la musica della gente. L’ho scritta in un momento in cui provavo malumore e frustrazione, per poi alla fine rendermi conto che ciò che avevo messo nero su bianco era un forte grido di speranza.

Com’è nato l’incontro con Vinicio Capossela e com’è stato lavorare con lui?

Il mio management, Concerto Music, è l’agenzia che trent’anni fa lo lanciò con il suo primo lavoro, “All’una e trentacinque circa”. Abbiamo inoltre in comune lo stesso produttore, Taketo Gohara, quindi ho avuto la fortuna di fargli ascoltare il brano. A Vinicio è piaciuto molto e ha deciso di prendermi per mano ed accompagnarmi in questo viaggio. 

A livello di ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti reputi piuttosto onnivoro?

Cerco di ascoltare vari generi musicali per pura curiosità, ma finisco sempre per rifugiarmi negli ascolti che mi fanno stare bene. 

Credi nel potere terapeutico della musica?

Qualcuno ha detto che la musica è solo la colonna sonora di qualcosa di più importante come la vita. Credo però che possa essere una via di fuga nei momenti in cui sentiamo il bisogno di stare soli e sentire una voce che ci porti altrove.

Coltivi altre passioni a parte il canto? 

Il mio grande sogno era fare lo scrittore e forse un giorno è quello che finirò per diventare. I libri sono, da sempre, la mia grande passione e cerco di portare un po’ di letteratura nelle canzoni che scrivo.

“Solo Musica” rappresenta la prima tappa di questa nuova fase del tuo percorso artistico. Cosa dobbiamo aspettarci dalle tue prossime produzioni?

Dal punto di vista musicale sono canzoni che si ispirano alla tradizione cantautorale, all’orchestrazione dolce che accompagna delle parole spesso grevi e pesanti, che vogliono lasciare un segno.

Quale lezione pensi di aver imparato fino ad oggi dalla musica?

La musica mi ha insegnato il dono della sintesi. Spesso attraverso la musica riesco a comprendere come mi sento veramente. Scrivendo riesco a mettere a fuoco i miei desideri.

Intervista al duo toscano dei Cécile, in occasione dell’uscita del loro EP d’esordio intitolato “La fine della festa”

Cécile
I Cécile si raccontano ai lettori di Musica361 © foto di Davide Battistoni

Una dimensione sospesa tra realtà e sogno, tra presente e ricordo, così i Cécile descrivono il loro EP d’esordio La fine della festa, un viaggio nel loro mondo fatto di influenze e di esperienze di vita vissuta. Loro sono Tommaso Mori e Stefano Sestani, rispettivamente classe ’97 e ’98, conosciamoli meglio.

C’è un filo conduttore che unisce queste cinque canzoni?

«Stilisticamente abbiamo cercato di dare un’identità precisa all’insieme, con la scelta dei suoni e dell’arrangiamento. Sotto questo punto di vista ci riteniamo abbastanza soddisfatti ma, come è giusto che sia, ogni brano alla fine si differenzia in modo netto dagli altri. Sicuramente il grande elemento di continuità è il sax, che infatti è presente in ogni brano, come una seconda voce esterna che fa da commento al cantato. A livello testuale invece, come si intuisce dal titolo, i due notturni che aprono e chiudono l’EP si possono considerare come due momenti catturati all’interno della stessa storia».

Dal punto di vista narrativo, cosa avete avuto l’urgenza o il bisogno di raccontare?

«Dentro ai brani dell’EP c’è sicuramente un bisogno di raccontare esperienze nostre, attimi di vita vissuta però sempre rielaborati e sfrondati da eccessi di personalismo, così da poter essere fatti propri e interpretati da chiunque. Dall’altro lato però c’è anche una necessità evasiva, che tramite suoni e testi immaginifici cerca di evadere la realtà di tutti i giorni».

Ne “La fine della festa” viene fuori tutto il vostro stile. Pensate di aver trovato la vostra identità sonora oppure vi considerate in continua evoluzione?

«A noi non piace guardare alle due cose come alternative l’una all’altra, crediamo che si possa benissimo avere un’identità sonora precisa pur spaziando tra diversi generi e atmosfere. Sicuramente la nostra evoluzione e ricerca sonora non si è conclusa con questo EP, sarebbe terribilmente noioso se così fosse. Continueremo a sperimentare nuovi suoni e mescolanze di generi, sperando comunque di rimanere fedeli a una nostra identità musicale che ci renda riconoscibili. É una sfida non da poco lo sappiamo ma d’altra parte ci piace complicarci la vita».

Qual è il vostro pensiero sull’attuale scena musicale italiana? Vi sentite rappresentati da ciò che si sente oggi in giro?

«Parlando di musica in senso stretto sono davvero poche le realtà che sentiamo veramente affini a noi come stile e sound, probabilmente su tutti i Baustelle sono quelli che ci hanno influenzato di più. Certo è che ci sono al momento tanti artisti in Italia che ci piacciono e con cui condividiamo un certo tipo di approccio alla musica. Progetti come quelli di Iosonouncane, Nu Genea o Cosmo in questo senso ci affascinano molto».

Coltivate altre passioni oltre la musica? 

«In realtà no, e forse è una fortuna dato che passiamo veramente tante ore in studio insieme e ci sarebbe il rischio di finire per non sopportarsi più. Quindi passioni separate assolutamente! Io in Mountain Bike e Stefano sul divano con le serie tv. A pensarci bene una c’è, ovvero è la nostra sconfinata passione per Sorrentino».

A cosa si deve la scelta del nome della vostro gruppo?

«Cécile è un nome che nasce un pò a caso un pò da solo. Venuto fuori in un periodo in cui ascoltavamo Cecil Taylor, riflette in parte il suo approccio libero alla musica. Poi ciò che conta più di tutto è il fatto che ci suonava estremamente bene: sarà che il suono della lingua francese ci ha sempre affascinato molto».

Infine, cosa vi piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà “La fine della festa”?

«Chi ascolta “La fine della festa” ci piacerebbe che riuscisse ad essere trasportato in un’atmosfera sospesa tra realtà e sogno, tra presente e ricordo, come se si trovasse davvero alla fine di una festa, appena prima dell’alba, su una terrazza fino a qualche ora prima gremita di persone. Ma in fondo ognuno percepisce e reinterpreta le canzoni a modo suo, provando emozioni e sensazioni diverse ed è questo il bello. L’importante in ogni caso è bere sempre del buon vino».

Quattro chiacchiere con la giovane cantautrice sarda Manuella, in uscita con il suo EP d’esordio intitolato “Giostra”

Manuella Giostra
Manuella si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita dell’EP “Giostra”

Debutto discografico per Manuela Manca, in arte semplicemente Manuella, cantautrice classe ’90 che si presenta al grande pubblico con il suo biglietto da visita discografico intitolato Giostra, extended play disponibile negli store digitali e sulle piattaforme in streaming dallo scorso 27 agosto.

“Giostra”, quali pensieri e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la fase creativa di questo progetto?

Più che i pensieri, in questo progetto mi hanno accompagnata il desiderio di fare ordine dentro me stessa e la necessità di riconnettermi alla mia anima. Ma anche un forte senso di appartenenza alla Sardegna e allo stesso tempo il desiderio di “superarne il confine”. Lo stato d’animo dovuto a questa mia condizione da isolana, che mi porta ad avere un piede nella mia isola e l’altro nel mondo, si riflette in tutto l’EP. 

Quanto contano le radici nella vita e nella tua musica?

Ho capito che per me contano tantissimo, letteralmente mi tengono in piedi. Se non fossi rientrata a casa, dove le mie radici affondano, probabilmente non sarei riuscita a completare “Giostra”.

Hai viaggiato parecchio, quali sono i luoghi che ti piacerebbe visitare non appena possibile?

Tutti quelli dove è possibile vedere l’aurora boreale.

Coltivi altre passioni oltre la musica? 

La mia infinita passione per la natura. Poi amo praticare yoga, ma non sono ancora un’esperta (ride, ndr). 

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?

Mia nonna paterna mi ha sempre chiamata così, io mi chiamo Manuela ma lei non riesce a pronunciarlo bene, con una sola elle, perciò, Manuella! Inoltre, le mie amiche mi chiamano così nelle situazioni più “pazze”.

Un disco o una canzone che ti ha cambiato la vita? O che ti emoziona particolarmente ogni volta che l’ascolti…

La canzone che ha cambiato la mia vita è “Sceti Tui”, l’intro del mio EP. É il brano che ha realmente iniziato a sciogliere le mie paure, la prima canzone in assoluto che ho cantato in pubblico. Prima di allora, la paura di far risuonare la mia voce di fronte ad altre persone mi terrorizzava. “A Song For You” di Donny Hathaway cantata da Ray Charles mi fa sciogliere, da sempre.

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

L’energia e la sinergia che si creano in studio quando un brano prende forma, mi piace chiudere gli occhi e assaporarne ogni istante.

Intervista al giovane talento sardo Bandito, reduce dalla positiva esperienza del Festival di Castrocaro 2021

Bandito
Bandito si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del singolo “Romantico cronico”

Si è fatto notare prendendo parte alla 64esima edizione del Festival di Castrocaro, aggiudicandosi il prestigioso Premio SIAE per la sua performance. Stiamo parlando di Antonio Meleddu, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Bandito, cantautore classe 2002, che ha da poco rilasciato il singolo inedito “Romanico cronico”. Conosciamolo meglio.

Come ti sei trovato a condividere questa avventura con gli altri ragazzi? Che clima si respirava dietro le quinte di Castrocaro 2021?

I miei compagni di avventura sono stati meravigliosi, i migliori che potessi desiderare. Siamo entrati subito in confidenza diventando un gruppo molto unito e affiatato, dove regnava il rispetto, la curiosità e la voglia di crescere insieme. Anche nei momenti meno belli siamo riusciti a supportarci e la musica, le risate, le chiacchierate e le giocate a briscola hanno fatto di noi una grandissima squadra.

Sei soddisfatto della tua performance?

Devo ammettere di essere contento della mia performance, ma sono convinto che ci sia sempre qualcosa da migliorare. Tuttavia non mi sono preoccupato più di tanto sopra il palco, ho lasciato che la musica e l’adrenalina mi guidassero, me la sono goduta e sono felicissimo di aver cantato insieme ad una band eccezionale e davanti a così tante persone e, riascoltandomi, ritengo di aver fatto una buona performance. Poi mi è stato conferito il Premio SIAE per la miglior performance quindi, anche se a caso, qualcosa devo averlo azzeccato.

“Romantico cronico” è l’inedito che hai presentato, quali sono i feedback che più ti hanno fatto piacere sul brano?

I feedback sono stati numerosi e devo ammettere che non mi aspettavo che il brano potesse essere apprezzato da così tante persone. Qualsiasi messaggio di apprezzamento e supporto che ho ricevuto e ricevo mi fa un piacere immenso, e tutto ciò mi dà un’enorme motivazione per andare avanti. Se però c’è una cosa che mi gasa tanto è sapere che ci sono persone che “non vedono l’ora di ascoltare nuove canzoni”. Per me è meraviglioso che ci sia qualcuno tanto interessato alla mia creatività.

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network?

Onestamente non sono un tipo molto social: non li uso praticamente mai se non per restare aggiornato su news di artisti che seguo, apprezzare un po’ di arte e gatti e niente più. Tuttavia riconosco l’importanza del ruolo che giocano nella vita di una persona che vuole fare della musica il suo lavoro, la sua vita. Perciò mi sono messo come obiettivo di imparare ad usarli meglio e con più costanza.

Coltivi altre passioni oltre la musica?

Coltivo tante altre passioni oltre alla musica, tra cui quella per la natura, nella quale ho la fortuna di immergermi per bene data la meraviglia ambientale della Sardegna (in questi giorni sto scrivendo una canzone che mi è stata ispirata da una quercia millenaria ai piedi della quale mi sono seduto un po’ di giorni fa, esperienza intensa). Mi piace molto studiare e approfondire i più disparati argomenti, ma la mia vocazione principale è per la filosofia, che voglio continuare a studiare nel mio futuro prossimo. In più credo di essere dipendente dai video del canale YouTube di Kurzgesagt e JustMick, non posso restare senza. Però la mia più grande passione sono sos culurgiones de patata (ravioli di patate) di mia madrina.

Obiettivi e sogni nel cassetto per il futuro?

Banalmente il mio obiettivo principale è quello di convertire la mia passione per la musica in un lavoro, nel flusso continuo della mia vita. E per questo ho intenzione di impegnarmi a fondo, dato che non è un mondo facile, ma è anche questo il bello. Ho anche degli altri piccoli obiettivi da realizzare, tra cui andare con mio babbo sul Kilimangiaro e vedere la Cappella Sistina con mamma.

La musica per te è più una valvola di sfogo o un’isola felice su cui rifugiarti?

La musica è tutto ciò e molto altro. La meraviglia risiede proprio qui: può diventare tutto, basta che tu lo voglia. Ci sono momenti in cui mi sfogo con la musica, altri in cui ho semplicemente voglia di svagarmi, oppure ancora di mettere alla prova le mie capacità. E’ una crescita continua, una realtà concreta di cui l’essere umano, ne son convinto, non può proprio fare a meno. La musica scorre dentro tutti noi, sin dall’alba dei tempi.

A tu per tu con il giovane cantautore torinese Simo Veludo, vincitrice della 64esima edizione della kermesse dedicata alle voci nuove

Simo Veludo
Simo Veludo si racconta ai lettori di Musica361, all’indomani della sua partecipazione a Castrocaro 2021

Si è appena conclusa l’edizione 2021 del Festival di Castrocaro, ad aggiudicarsi il titolo è stato Simo Veludo, cantautore classe ’95 di Moncalieri, in provincia di Torino. A convincere la giuria (composta quest’anno da Ermal Meta, Noemi, Boosta e Margherita Vicario), oltre all’esecuzione della cover di “In alto mare“ di Loredana Bertè e di una speciale versione della sigla di “Willy, il principe di Bel–Air” realizzata con la loop station, è stata soprattutto l’interessante performance che lo ha visto proporre il suo inedito “Mutande”. Approfondiamo la sua conoscenza.

A chi dedichi questa vittoria?

Questa vittoria è dedicata a Federica, a Giacomo, alla mia famiglia, a tutte le persone che lottano tutti i giorni per realizzare quello che vogliono fare nella vita e che dopo tanti anni, credono ancora nelle favole (sorride, ndr).

Cosa ha rappresentato per te questa esperienza?
Ha rappresentato un percorso di crescita in cui ho capito, rapportandomi con una squadra enorme di professionisti, tante cose su di me che prima non avevo capito. Rappresenta inoltre una speranza, un bagliore di luce, perchè tutti quelli che mi conoscono mi hanno sempre detto: “senza pagare o senza le spinte giuste non vai da nessuna parte”. Io spero di essere la speranza che il duro lavoro, ogni tanto, paga.

Che ruolo gioca la musica nella tua vita?

Il ruolo di una maledizione, perchè non riesco a farne a meno. Non mi fa stare bene, perchè diciamocelo, scavarsi dentro, mettersi a nudo e confrontarsi sempre con le proprie emozioni peggiori a volte fa davvero male, ma allo stesso tempo è una catarsi e non riesco a farne a meno: la musica è la cosa che mi fa svegliare tutte le mattine e mi dà la forza di lottare contro tutto.

Quali pensi siano i tuoi punti di forza e le caratteristiche che possono farti contraddistinguere nel mondo della musica?

Penso che la gavetta e l’esperienza giochino un ruolo fondamentale: non ho mai snobbato niente, mi sono messo in gioco in tutti i concorsi possibili, dal peggiore di paese al migliore su Rai Due, ho suonato un miliardo di volte per strada a Torino, in Liguria, a Bologna, tante volte prendendo insulti dai passanti, dei quali ricordo benissimo parole e alcune facce, ho fatto esperienza in diverse rock band, suonando in tutti i locali possibili.

Senza contare l’esperienza in studio passando centinaia, migliaia di ore a imparare a produrre musica da solo. Oltre a questo, penso di essere molto poliedrico, so fare tante cose: spesso passo dal beatbox più crudo allo scrivere una canzone cantautorale, dal flow di un hip hop classico all’assolo dei Megadeth su una chitarra elettrica.

Secondo te, il mercato discografico di oggi è ancora in grado di individuare e valorizzare il talento?

Lo spero. Ci sono tantissimi artisti in classifica che reputo dei mostri a livello artistico: ThaSupreme, Blanco, Frah Quintale, Mahmood, solo per citarne alcuni. Penso che il talento faccia rumore e che, alla lunga, un grosso baccano non può essere più ignorato (sorride, ndr).

La vittoria di Castrocaro ti consente l’accesso diretto alle audizioni di Sanremo Giovani, quali sono le tue aspettative a riguardo?

Sanremo è un sogno che si realizza. Ci ho provato tante volte, passando da Area Sanremo, e non sono mai riuscito ad andarci così vicino. Non ho grosse aspettative per ora, perchè è una cosa più grande di me, ma allo stesso tempo lavorerò duro per un bel faccia a faccia con l’Ariston quando sarà ora.

Quale messaggio ti piacerebbe riuscire a trasmettere attraverso la tua musica?

Diversi messaggi, ma tutti quanti positivi: in alcuni brani, come in Ascesa, cerco di far capire  quanto sia speciale essere sè stessi, con le proprie debolezze e particolarità che, proprio perchè uniche, sono le cose che ci rendono davvero speciali. In altri, come in “Mutande”, il messaggio è di rispetto assoluto verso un’anima che vale molto di più del suo corpo. Penso che l’amore sia importante, soprattutto se poggia su dei valori. In altri ancora, come “Torino Metropolitana”, mi prendo qualche rivincita sarcastica nei confronti di chi si è comportato male con me in questi anni!

Intervista al cantautore milanese Emanuele Patti, in occasione dell’uscita del singolo “Mare Mercurio”

Emanuele Patti
Emanuele Patti si racconta ai lettori di Musica361 all’indomani dell’uscita del singolo “Mare Mercurio”

Un invito a viaggiare e a lasciarsi alle spalle un periodo difficile, potremmo definire così l’ultimo singolo di Emanuele Patti, intitolato “Mare Mercurio”, disponibile in radio e sulle piattaforme digitali per Senape Dischi a partire dallo scorso 23 luglio.

Cosa racconta questo nuovo brano?

“Mare Mercurio” esprime la voglia di respirare un pò di magia e di sorpresa, a volte diamo tutto per scontato, le cose che abbiamo, le cose che vogliamo e le persone che amiamo. Questa canzone vuole rompere il muro di silenzio tra due che viaggiano senza parlarsi o fanno le cose senza slancio.
Il viaggio nel caso specifico di questa canzone, rappresenta il tempo e la macchina é la nostra vita, con alla guida noi, le persone che portiamo con noi e tutti i nostri bagagli.

Quando il “motore” si rompe é perché qualcosa non sta andando come dovrebbe o come vorremmo e spesso questa cosa dipende solo da noi. L’invito che faccio o che provo a fare con questa canzone più che quello di viaggiare é quello di godersi il viaggio davvero e di portarsi dietro solo le persone giuste.

Un invito a viaggiare e a lasciarsi alle spalle un periodo difficile, quali riflessioni ti hanno ispirato questo pezzo?

Tendenzialmente scrivo di getto ed è stato così anche per questa canzone, quello che posso dirti è che stavo viaggiando in macchina e la radio non riusciva a sintonizzarsi ma continuava a “sputare pezzi di canzone”, forse è stato questo l’imput, l’immagine da cui è scaturito tutto.

Emanuele Patti 1
La copertina di “Mare Mercurio”

A livello musicale, che tipo di sonorità avete scelto di abbracciare con il producer Sveno Fagotto?

Per questa canzone abbiamo deciso di fare un arrangiamento con delle sonorità spiccatamente pop, fresche ed estive, con un sound incalzante in cui la chitarra acustica si sposa con l’elettronica, trascinando l’ascoltatore. L’atmosfera è resa ancora più magica dalla voce unica di Deborah Grandi, una cantante che ho fortemente voluto, i suoi vocalizzi sono parte integrante e fondamentale dell’arrangiamento.
Parlando in generale, invece, ogni canzone è a sé, così anche il “vestito”, l’arrangiamento che decidiamo volta per volta e che può essere sempre diverso. L’unico filo conduttore sono i miei testi e la mia voce.

Quando e come ti sei avvicinato alla musica?

Mi sono avvicinato alla musica intorno all’età di 12 anni. All’inizio scrivevo testi per cantanti e gruppi e solo intorno ai 25 anni ho iniziato ad interpretare io stesso le mie canzoni.

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato la tua crescita?

I cantanti che amo sono per lo più i cantautori italiani, in particolare Lucio Battisti (sono un grande fan dei suoi dischi che vanno dal 1982 al 1994), Franco Battiato, Lucio Dalla, Vasco Rossi, Enzo Carella, Fabri Fibra, Caparezza. Ho ascoltato tanto anche David Bowie, The Cranberries e John Lennon.

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network e quanto credi siano importanti per il lancio di un progetto discografico?

Con i social vivo un rapporto di odio e amore, non ti nascondo che più di una volta ho eliminato i miei profili Instagram e Facebook, dovendo poi ricominciare da capo per una questione, ahimè, puramente promozionale. Sono, infatti, fondamentali per chi vuole far ascoltare e conoscere la propria musica e arrivare a più gente possibile. 

Quanto incide Milano nelle tue produzioni?

Milano è la mia città, nelle mie canzoni e nel mio stile si sente. Le storie che vedo intorno mi ispirano, ho dedicato un disco al mio quartiere e di riflesso alla mia città, così piena di storie, cose da fare e opportunità. Soprattutto in ambiente musicale non potrei pensare di fare quello che faccio altrove.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso del tuo percorso e di quanto realizzato fino ad oggi?

Quello che mi rende orgoglioso è che oggi finalmente mi ascolto e quello che faccio mi piace e mi ci riconosco. Non è stato sempre così, infatti, ho aspettato tanto prima di pubblicare qualcosa, dopo anni di tentativi, sempre cercando di correggere il tiro. Un’altra cosa di cui sono felice è il team di lavoro che si è creato, in particolare col mio produttore e amico Sveno.

Intervista al giovane cantautore milanese Rivolta, in uscita con il suo singolo d’esordio “Sottovoce”

Rivolta
Rivolta si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Airuf

Debutto discografico per Alberto Rivolta, in arte semplicemente Rivolta, cantautore classe ’95 che ha scelto di farsi conoscere al grande pubblico con il suo biglietto da visita discografico intitolato Sottovoce, singolo disponibile in radio e in digitale a partire dallo scorso 17 luglio.

In “Sottovoce” ti ribelli alla percezione che gli altri possono avere di noi, spesso sbagliata. Cosa ti ha ispirato questa riflessione?

È una riflessione a cui sono arrivato cominciando a lavorare su me stesso. Ci possiamo raccontare di tutto, ma alla fine quello che conta è cosa vedi nello specchio. Nel mio caso, sono arrivato ad un punto in cui non mi riconoscevo, era come se invece che vedere me stesso, vedessi l’immagine di ciò che altri volevano che fossi.

Ero stufo di essere sempre quello che si fa mettere i piedi in testa, che vive solo assecondando pareri e decisioni altrui, senza metterci del proprio. Piano piano, sottovoce se vogliamo dire, ho cominciato a ribellarmi, cercando di ascoltarmi e capire che cosa davvero volessi. Non è un percorso veloce, nemmeno facile, ma sono contento di aver finalmente messo in moto qualcosa.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di questo pezzo?

Credo che la cosa fondamentale di un pezzo sia che quando premi play, quello che senti piaccia prima di tutto a te. Sono orgoglioso di essere riuscito a esprimere quello che davvero sono nel testo,  facendomi scivolare addosso critiche e pareri di persone che sostengono che quello che ho scritto non mi rispecchi.

Anche la base musicale è qualcosa di cui sono particolarmente fiero. Volevo creare qualcosa con un sound che fosse un insieme di elementi tratti da un mondo più moderno, contrapposto a elementi di un mondo musicale totalmente diverso, come quelli del tango argentino. Sono molto contento del risultato finale.

Cosa ti ha spinto a sceglierlo come tuo primo singolo ufficiale?

“Sottovoce” è il brano a cui sono più legato, perché è stato quello che per primo mi ha portato ad iniziare il percorso personale di cui ho parlato nella prima domanda. La scelta di volerlo pubblicare come primo, deriva principalmente da questo.  L’altra motivazione risiede proprio nel titolo del brano. Mi piaceva l’idea di iniziare il mio percorso musicale “Sottovoce”, per poi andare a costruire qualcosa di concreto, tassello dopo tassello.

Credi nel potere terapeutico delle canzoni? Ci sono dei brani di altri artisti a cui sei particolarmente ed emotivamente legato?

Assolutamente sì, per me la musica è magica in questo senso. Crea una connessione tra te, il brano che stai ascoltando e il particolare momento in cui avviene il tutto. Ci sono dei brani di cui non mi stanco mai, anche per il fatto che mi ricordano proprio il periodo in cui li ho ascoltati per la prima volta. Uno di questi è “ Ti sposerò” di Nesli. Mi ha colpito a tal punto che ho deciso di tatuarmene una frase sul braccio. Un altro brano al quale sono profondamente legato è “Skinny love” di Bon Iver. C’è una frase,  “I tell my love to wreck it all”, che mi fa sempre venire i brividi, sia per come viene cantata, sia per il suo significato. Credo che prima o poi mi tatuerò anche questa!

Coltivi altre passioni oltre la musica?

Ho sempre avuto la passione per la poesia e la letteratura. Ricordo che alle medie ho avuto i primissimi contatti con pezzi di opere italiane e non, come ad esempio i “Promessi sposi” o “Ventimila leghe sotto i mari”, e mi colpirono tantissimo. Ho scelto poi di fare il liceo classico, per poter conoscere alti autori ed opere. Un’altra passione che coltivo da quando ero molto piccolo è quella per l’informatica. Ho iniziato ad usare i computer grazie a mio nonno, quando ancora c’era il 56k che risuonava per tutta la casa. Da lì, non ho mai smesso di usarli, non ho dormito per giorni quando mi venne regalato il mio primo computer.

Strettamente collegato al mondo dell’elettronica, ho sempre avuto la passione per il gaming, in particolare per i simulatori di guida. Tra tutti, quelli che preferisco sono i giochi di formula 1, che è il mio sport preferito. Mi piace passare parte del mio tempo libero seguendo i gran premi o correndo sul simulatore.

Come ti immagini tra dieci anni?

Più che dire come mi immagino, posso dire quello che desidero. Spero di essere una persona serena con se stessa, che è finalmente riuscita ad accettarsi completamente. Il mio più grande sogno è sempre stato quello di vivere della mia musica,  quindi mi piacerebbe davvero realizzarlo da qui a dieci anni, magari anche mettendo su famiglia e condividendo con loro la mia vita.

Intervista al cantautore Fulvio Effe, in uscita con il suo nuovo singolo dal titolo “Boh”

Fulvio Effe

Si intitola semplicemente “Boh” il nuovo inedito di Fulvio Zangirolami, alias Fulvio Effe, ispirato tassello della sua saga discografica, che segue i rilasci dei precedenti singoli: L’istante di un brividoAncora, Bla bla bla e Splendido. Il brano, dalle spiccate sonorità estive, riflette con autoironia su diversi aspetti della vita, domande a cui non sappiamo rispondere.

Quali pensieri e quali stati d’animo ti hanno ispirato durante la fase di scrittura di questo pezzo?

La consapevolezza, crescente e costante, che NULLA è per sempre, che le persone cambiano, le situazioni cambiano, e che anche se cerchiamo IN TUTTI I MODI, quasi compulsivamente, di trovare a tutti i costi le risposte a certe domande… certe domande non trovano mai risposta e quindi… BOH.

Com’è nata l’idea della citazione finale di una frase cult di “Tanti auguri” di Raffaella Carrà?

È una frase che ho sempre amato, in realtà non era presente nella stesura iniziale del testo ma, caso vuole, che proprio il giorno fissato per le registrazioni della voce arriva la triste notizia della morte di Raffaella, allora in quel momento decisi di chiudere il brano con questo “piccolo omaggio” che credo si sposi bene con il significato della canzone in quanto invita SEMPRE E COMUNQUE ad andare avanti soffermandosi poco su quel che è stato ma molto di più su quel che è e sarà.

Quanto conta l’autoironia nella vita e nella musica?

È fondamentale, il mondo credo abbia bisogno più che mai di persone allegre, positive e ironiche, c’è tanto nervosismo in giro, soprattutto a causa del periodo di incertezza che noi tutti stiamo vivendo, ed è per questo che, quando posso, cerco sempre la “leggerezza” delle cose, è dura eh! Ma bisogna quantomeno provarci.

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

L’idea creativa iniziale, è sempre quello il fulcro di ogni canzone, potresti stare 8 ore davanti ad un pianoforte senza riuscire a tirar fuori nulla… oppure può venirti in mente una melodia pazzesca mentre stai tornando da chissà quale concerto alle tre del mattino… è il lato misterioso e affascinante della creatività che arriva senza bussare, mai.

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?

Vorrei raccontarti chissà quale aneddoto curioso ma la realtà nuda e cruda è che il mio cognome (seppur veneto) sia assolutamente impossibile da imparare al primo colpo (Zangirolami) e allora ho cercato qualcosa di più immediato e visto che il mio nome di battesimo inizia con la lettera F ho pensato di creare un “cognome” scrivendola per esteso, EFFE appunto, che fantasia eh?

Come valuti il livello generale delle proposte musicali di questa estate?

Più alto di altre estati, ci siamo un po’ scrollati di dosso il Reaggeton, ho sentito molti artisti tornare al caro vecchio POP, ho sentito cose davvero molto interessanti.

Cosa ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà la tua “Boh”?

Spensieratezza ed ottimismo, nulla di più.

Intervista al giovane artista italo-francese Esa Abrate, in occasione dell’uscita del suo singolo per l’estate 2021

Esa Abrate: "Cambiare prospettiva fa trovare nuove strade"
Esa Abrate si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Jacopo Rossini

Tempo di nuova musica per Esa Abrate, artista che abbiamo avuto modo di conoscere nel corso della ventesima edizione di Amici di Maria De Filippi. Si intitola “Avec toi (ce soir)” il nuovo singolo del talento classe ’98, impreziosito dal featuring realizzato con Patrik.

Un brano che mette in luce nuove sfumature della tua artisticità, da quali riflessioni è stato ispirato?

Credo che un artista non si debba mai porre dei limiti. Io ho tirato fuori qualcosa che non avevo ancora sperimentato ma già avevo dentro.

Per quanto riguarda il sound, quanta importanza attribuisci alla sperimentazione?

Tantissima, bisogna sperimentare di continuo. Ognuno cerca un modo per trovare una sorta di equilibrio nel posto in cui si trova. Cambiare prospettiva può sicuramente far trovare nuove strade, nuovi equilibri, ugualmente interessanti.

A livello di linguaggio, credi nel potere terapeutico della musica?

Assolutamente sì, anche solo per il fatto che ascoltiamo le canzoni in base al nostro umore. Io, ad esempio, quando sono triste sicuramente non ascolto up tempo e quando sono felice non ho voglia di ascoltare una ballad. Quindi sì, la musica secondo me fa parte del nostro subconscio ed è capace di accentuare le nostre emozioni.

Ti senti rappresentato dall’attuale mercato musicale e da ciò che si sente in giro oggi? 

Sì, devo dire che ci sono alcuni brani che sono usciti nell’ultimo periodo che mi fanno sentire a “casa” quando li ascolto, come “La genesi del tuo colore” di Irama o anche “Te lo prometto” de Il Tre.
Anche se Esa guarda già alle nuove canzoni che arriveranno.

Com’è nata la collaborazione con PATRIK?

Io e Patrik ci siamo conosciuti circa un anno fa. Tra di noi è nata fin da subito una forte intesa, sia a livello personale che artistico, infatti ci eravamo promessi che prima o poi avremo scritto e cantato una canzone insieme; così è nata “Avec toi”. Grazie a Patrik il pezzo ha una grande versatilità.

Ti piacerebbe lavorare con qualche particolare artista in futuro?

In Italia sogno un brano con Mahmood e Ghali, tutti e tre insieme. Uscendo dall’Italia sarebbe fantastico un feat. con Lous and The Yakuza.

Coltivi altre passioni a parte la musica? 

Sì, mi piace molto il calcio, più giocarlo che tifarlo. Amo lo sport in generale e le lingue, infatti parlo italiano, francese, spagnolo e inglese.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di “Avec toi (ce soir)”?

L’originalità, la sperimentazione e la freschezza.

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