Intervista al giovane cantautore romano Lorenzo Lepore, in occasione dell’uscita del singolo “Futuro”

Lorenzo Lepore: "Il mio obiettivo? Navigare nell'ispirazione più sincera"
Lorenzo Lepore si racconta ai lettori di Musica361 all’indomani dell’esperienza di Musicultura

Tra i vincitori della 32esima edizione di Musicultura, spunta anche il nome di Lorenzo Lepore, artista classe ’97 che abbiamo avuto modo di conoscere e apprezzare con l’inedito Futuro, un brano sentito e profondo, a metà strada tra un biglietto da visita e un manifesto della sua poetica.

In “Futuro” fotografi vari stati d’animo, cosa ha innescato in te questo mix di emozioni?

“Futuro” è nata piangendo, nel vero senso della parola. Ero su una spiaggia dopo un anno intero passato a rincorrere qualcosa per “inerzia”. A far finta di essere qualcun’altro. Incastrato in un sistema che ci vuole sempre scattanti e al passo coi tempi. Quel pianto ha rappresentato per me una liberazione. Un essere grato alla sincerità del riconoscermi in quello che sono e alla facoltà stessa di riuscire ancora a commuovermi.

Quando piango è quasi sempre perché mi piovono addosso paure, gioie e sentimenti vari che non riesco a gestire. Questa canzone è figlia dell’irrazionalità. I vari stati d’animo, appunto, che ho cercato di racchiudere in questi quattro minuti, ne sono l’esempio e questa canzone rappresenta un po’ una mappa che li ripercorre, li analizza e li ricongiunge a una speranza di fondo.

In un’epoca così frenetica e dopo un periodo difficile come quello causato dalla pandemia, secondo te, riusciremo davvero a riscoprire l’importanza delle piccole cose?

Chi lo sa… Vorrei tanto rispondere di sì. La vita è una sfida continua fra il dare valore alle “piccole” cose e il nostro ego. Secondo me in ognuno di noi ogni tanto cala una gioia diversa dalle altre. Magari un semplice sorriso, una buona azione, un pensiero o un gesto che fa più luce di qualsiasi altra cosa. Che ci riempie e di cui ognuno deve fare tesoro. Bisogna tenersi stretti sempre, non perdersi. È difficile ma vale la pena tentare

Come te lo immagini il futuro a livello generale?

Purtroppo non bene. Mi fa paura, altrimenti credo non sarebbe mai nata “Futuro”. Ma la chiave stessa è appunto la speranza. Senza la quale non potrei mai svegliarmi la mattina e dire: “Oggi è un nuovo giorno”. Se smettiamo di sperare perdiamo in partenza. Quindi dico: Anche se quello che ci aspetta potrà non essere piacevole, io lotterò per farmelo andare bene. Cercherò di ricomporre i rottami e dipingerli di colori nuovi fino ad esserne grato. Un futuro radioso credo non possa che generarsi da questa ambizione.

Cosa ha rappresentato esattamente per te l’esperienza di Musicultura 2021?

Musicultura è per me un sogno e un’ambizione sin da quando ho imbracciato una chitarra e scritto le mie prime canzoni. Seguivo il concorso ogni anno, mi appassionavo sentendo le canzoni d’autore in cui mi rispecchiavo. Ritrovarmi in finale, vincere il premio per il miglior testo, pensare che abbiano scelto me e pochi altri di fronte a più di mille richieste mi sorprende e mi riempie di gioia.

Mi ripaga di tanti sforzi, le ore passate a costruire canzoni, litigarci fino anche a buttar via tutto. Ma su quel palco era magia, era gioia, era letteralmente una “casa” in cui mi sentivo al sicuro anche un po’ stranamente (vista la grandezza rispetto a molti altri in cui mi sono esibito.) Incredibilmente non c’era paura, ho vissuto tutto alla grande e ho capito di adorare questa vita. Sì, dopo questa esperienza ho capito realmente di poter fare il cantautore.

Nel brano c’è spazio anche per alcuni versi in dialetto romano, cosa ti lega in modo particolare alla tua terra?

Quello che mi lega alla mia terra è ovviamente l’esserci nato. Questa grande città di gioie e di dolori. Roma ce l’ho dentro. Quando esco di casa fra i saluti calorosi e un po’ offensivi che ci si scambia, che in realtà sono semplici pacche sulla spalla per far passare la giornata a denti stretti. Le parti in “romanesco” di futuro rappresentano la “superficialità” che ci può essere in un discorso fra amici pensando al futuro.

“Nun ce pensà che è mejo, damme retta!” è quel rimanere prevenuti di fronte alle cose della vita e non addentrartsi nel profondo di esse. La mia canzone invece è portatrice del contrario di questo modo di pensare. È un sorriso giovane e sprezzante del pericolo di quello che può capitare. È la voce di qualcuno che con rammarico capisce che le cose stanno andando male, ma già solo il fatto di averlo capito è la più grande vittoria.

Cosa dobbiamo aspettarci dai tuoi prossimi progetti in cantiere?

Dovete aspettarvi tante belle cose in crescita e aspettarvele nel “presente”, poiché ho capito che il “Futuro” non è che adesso. È ora che bisogna muoversi per cambiarlo! Il tour che sto facendo quest’estate in giro per l’Italia ne è l’indice più grande. Il “FuTour appunto, non poteva chiamarsi diversamente. Sto suonando le mie canzoni future (poiché sono tutte inedite) in questo viaggio in costruzione. Mettendo su arrangiamenti, collaborazioni, testi nuovi. Dando al pubblico un’anticipazione di quello che sarà il mio primo disco al quale sto lavorando intensamene all’interno di questa mia prima tournè.

A settempre poi, facendo tesoro delle esperienze di quest’estate entrerò in studio a finalizzarlo. Uscirà sicuramente entro il prossimo anno e conterrà le canzoni che mi hanno portato ad essere quello che sono. Dalla mia adolescenza fino ad oggi. Questo disco sarà di certo la mia fotografia più intensa e il mio intento sarà quello di suonarlo ovunque e presentare queste canzoni a più concorsi possibili compreso “Sanremo giovani”. Il mio obiettivo resterà comunque navigare nell’ispirazione più sincera e scrivere soprattutto per fare stare bene me e regalare qualcosa a chi ho intorno.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di un brano come “Futuro”?

“Futuro ” è un pezzo difficile a mio parere e non mi sarei mai aspettato che il mio esordio nella discografia sarebbe avvenuto con questa canzone. Di certo non è una canzoncina di sottofondo che passa alla radio e fa stare senza pensieri. No, è pungente. Lo è stato per me scriverla e noto esserlo anche negli occhi di chi la ascolta. È una canzone che secondo me presuppone un coraggio nell’ascoltatore, poiché non ha una struttura canonica, in certi punti presenta un “parlato”. Un dialogo intervallato dalle parti musicali più simile al teatro che alla canzone. Poi c’è da dire che è una canzone “acustica” a tutti gli effetti e che non segue sicuramente la moda di quest’epoca. Gli strumenti che entrano sono tutti funzionali alle parole del testo.

Seguono minuziosamente la dinamica del cantato con dolcezza e verità. Tutte queste caratteristiche mi rendono certamente orgoglioso della mia composizione e se c’è una cosa che ho imparato dalla musica e dall’arte in questo mio breve percorso è che non bisogna mai mettersi in fila ma avere il coraggio di dire la propria a costo di sembrare diversi. Che meraviglia la diversità. La bellezza di essere autentici è il premio più grande. Non a caso questo mio prendere posizione mi ha fatto arrivare fra gli otto vincitori di Musicultura, mi ha fatto esibire su Rai 2 fra i quattro finalisti e mi ha regalato di ricevere il “Premio per il miglior testo”.

Quello che dico nelle canzoni, per me, è la cosa più importante di tutte. Aver toccato certe tematiche in questo modo sento che mi ha consacrato al panorama musicale in maniera pura. Questo era tutto quello che desideravo in questo momento dalla vita e di certo lo porterò per sempre nel cuore.

Intervista al giovane cantautore salernitano HALE, in uscita con il suo nuovo progetto discografico intitolato “Un mondo violento – Parte I”

Hale: "La mia musica pluralista, composta da visioni diverse"
HALE si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Gianluca Saragò

Un disco intimo e intenso, questo e molto altro ancora è Un mondo violento – Parte I, il nuovo progetto discografico di Pasquale Battista, meglio conosciuto con lo pseudonimo di HALE, cantautore e musicista classe ’95, tra gli artisti più interessanti della nuova scena cantautorale.

Qual è stata la genesi di “Un mondo violento – Parte I”?

Posso dire che questo disco ha risolto un mio momento di stasi. In un certo senso mi ha preso e ributtato nella mischia probabilmente in uno dei periodi più difficili per la musica e più in particolare per il mio percorso, ma ne ho sentito il bisogno.

Da cosa nasce l’idea di dividere questo progetto in più parti?

Preferisco lasciarlo all’immaginazione di chi lo ascolterà per non rischiare di deludere nessuno!

Hale: "La mia musica pluralista, composta da visioni diverse" 1
“Un mondo violento – Parte I”

Un disco introspettivo che parla di dolore e di rinascita, quali riflessioni ti hanno ispirato?

Sicuramente il brutto periodo che tuttora stiamo attraversando, ma è anche il riflesso di un percorso difficile.

Cimentarsi in questo tipo di analisi è un esercizio che consigli?

Lo consiglierei a patto che non lo si faccia per accrescere il proprio ego, perché credo che il senso non sia quello.

Molto interessanti le sonorità, come siete arrivati a questo risultato? Ci sono stati dei riferimenti particolari?

I riferimenti che ci si danno prima di cominciare un lavoro il più delle volte poi non si seguono mai. Alla fine un disco prende la sua strada senza dare troppe spiegazioni.

Quali innovazioni contiene questo progetto rispetto alle tue produzioni passate?

Lo vedo più pluralista, ci sono dentro più visioni diverse.

Se dovessimo definire “Un mondo violento – Parte I” con uno stato d’animo, quale sceglieresti?

Simpatia, nel senso etimologico del termine. Dal greco antico, “soffrire insieme”.

Intervista alla giovane artista JnJavelin, in uscita con il suo nuovo singolo intitolato “7 vite”

JnJavelin
JnJavelin si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita del singolo “7 vite”

É disponibile dallo scorso 2 giugno “7 vite”, il nuovo singolo di Riccardo Sbarbati, in arte JnJavelin, giovane cantautore che abbiamo conosciuto lo scorso novembre in occasione del suo debutto discografico con Io sono questo e, successivamente, con il suo secondo estratto intitolato Estraneo.

Un brano che ti descrive in profondità, da quali riflessioni e’ stato ispirato?

In “7 vite” ho voluto far entrare chi ascolta dentro la mia vita, ho voluto descrivere delle sensazioni che mi hanno caratterizzato e che mi delineano in parte. Quando ho scritto la canzone ho pensato ad una serie di immagini da proporre a parole. per dargli un significato e per poter far arrivare a chi ascolta quel tipo di emozione.

Credi nel potere terapeutico della musica?

Credo che la musica possa aiutare a superare momenti difficili. Uno stato negativo se espresso e condiviso può essere affrontato. A me personalmente, dare una forma musicale alle mie sensazioni mi aiuta a superare i momenti no in maniera più serena.

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’ arte?

Per il nome d’arte mi sono ispirato al Javelin, che è un arma bellica.

Ti senti rappresentato dall’attuale mercato musicale e da ciò che si sente oggi in giro?

Io credo che ogni artista descriva con il proprio punto di vista quello che prova e quello che ha intorno. Mi vedo sicuramente più simile a qualcuno rispetto ad altri, ma non per questo mi metto a disprezzare chi non vede le cose come le vedo io o non la pensa al mio stesso modo. Per piacermi una canzone deve trasmettermi qualcosa, un emozione positiva o negativa, non deve limitarsi all’orecchiabilità o alla tecnica del canto. Mi colpisce più un testo profondo che una bella voce intonata.

Personalmente ti collochi in un genere particolare?

Non credo di potermi collocare in un genere particolare, mi piace spaziare da una canzone all’altra per dare ogni volta un’interpretazione un po’ diversa alle canzoni.

Coltivi altre passioni oltre la musica?

Ho altri interessi al di fuori della musica, ma come vera e propria passione la musica è l’unica.

Cosa ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà “7 vite”?

In “7 vite” voglio trasmettere agli altri quello che provo, condividere un lato più scuro di me per dargli forma e non per covarlo dentro di me. Quello che arriva agli altri non lo so di preciso, varia da persona a persona, ma quello che io vorrei trasmettere è la voglia di continuare a combattere le situazioni negative per superarle sempre.

Intervista alla giovane artista leccese, in uscita con il suo nuovo progetto discografico intitolato “Con i miei occhi”

Letizia Onorati
Letizia Onorati si racconta ai lettori di Musica361 in occasione dell’uscita di “Con i miei occhi”

Professionalità e talento, queste le due principali doti di Letizia Onorati, cantante e compositrice classe ’92 che, nonostante la sua giovane età, ha saputo collezionare importanti e prestigiose esperienze. “Con i miei occhi” è il titolo del suo terzo album in studio, pubblicato lo scorso 25 giugno, prodotto da Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero da Ird e nei digital store da Believe.

Ci racconti la genesi e il processo creativo di questo lavoro?

“Con i miei occhi” è il mio terzo lavoro discografico ed è una nuova importante sfida nata sulla scia delle numerose esperienze in giro per il mondo in cui ho sempre la conferma di quanto il jazz e la musica italiana siano profondamente amate all’estero. Così, insieme a Paolo Di Sabatino produttore artistico del disco, ho deciso di provare a racchiudere in un nuovo disco l’unicità e le emozioni della canzone italiana in una vera e propria personale dedica alla musica italiana appunto.

Un progetto che mi ha permesso di collaborare ancora una volta con una vera dream band guidata da Paolo Di Sabatino (pianoforte e arrangiamenti) e composta da Luca Bulgarelli al contrabbasso, Glauco di Sabatino alla batteria, Max Ionata al sax tenore, Javier Girotto al sax soprano e con il contributo della Neiman Strings Ensamble. 

Con quale criterio sono state selezionate le cover in scaletta?

“Con i miei occhi” prova a rileggere alcuni emozionanti racconti in musica di grandi cantautori italiani e la scelta di questi pezzi è stata sia complessa perché sono tanti i capolavori che amo particolarmente ma allo stesso tempo semplice perché ho provato a individuare alcuni brani che hanno scandito precisi momenti della mia vita.

Un progetto che vanta la presenza di un ospite d’eccezione: Fabio Concato, com’è stato lavorare con lui? 

In questo disco ho l’onore di duettare con Fabio Concato nel suo brano “Festa di mare”, un vero poeta che ha scritto la storia della canzone italiana, la colonna sonora della mia vita. Ogni minuto in studio di registrazione con lui è stato un regalo prezioso fonte di ispirazione e di grandi insegnamenti che terrò sempre stretti.

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A livello di ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti reputi piuttosto onnivora?

Ascolto tantissima musica e sono sempre curiosa di conoscere nuovi artisti e nuove produzioni senza limitarmi ad un preciso genere musicale. In ogni caso, considerata la mia formazione e la mia passione per il jazz, torno spesso a rifugiarmi nei classici del songbook americano o in storiche produzioni jazz che hanno un grande potere riconciliante.

Credi nel potere terapeutico della musica?

Credo fermamente che la musica sia un linguaggio universale, anello di congiunzione tra culture, mezzo di comunicazione efficace, emotivo, potente, fedele compagno di vita a cui potersi affidare senza paura e sempre salvifico.

Coltivi altre passioni a parte il canto?

Nella mia vita ho deciso di non rinunciare a nessuna mia passione e con grande impegno ho portato avanti anche gli studi universitari che mi hanno portato ad un ulteriore lavoro in un campo decisamente lontano ma che affianca la mia passione e dedizione per il jazz, il canto e la scrittura.

Sogni nel cassetto e obiettivi per il futuro?

Sono numerosi i sogni nel cassetto e gli obiettivi per il futuro che con determinazione e gratitudine provo a realizzare a partire dalla preparazione del live di “Con i miei occhi” che mi permetterà di condividere con il pubblico questi emozionati  racconti in musica sperando di poter tornare presto a suonare in giro per il mondo. 

Quale lezione pensi di aver imparato dalla musica fino ad oggi?

Riprendendo la risposta precedente sono fermamente convinta che la musica sia davvero molto potente, una pozione magica salvifica, un punto fermo dove rifugiarsi anche nei momenti più complessi, una continua fonte di bellezza democratica e unificatrice che rinasce sempre nella contaminazione, nella collaborazione senza alcun tipo di pregiudizio. 

Intervista alla giovane artista napoletano Terr ONE, in uscita con il suo primo singolo intitolato “Come Siri”

Terr ONE
Terr ONE si racconta ai lettori di Musica361 © foto di David Sorgenti

Si intitola Come Siri il biglietto da visita discografico di Terr ONE, talento classe ’96 nato e cresciuto a Napoli. Dalla collaborazione artistica il producer D4D è stato realizzato questo pezzo che anticipa il suo primo EP, la cui uscita è prevista per il prossimo autunno.

Come descriveresti questo tuo singolo d’esordio?

Nella comunicazione che lo accompagna lo abbiamo definito “luminoso come un giorno d’estate” e volevo proprio quello: un brano pieno di luci e colori che richiamassero solo l’estate. Ne abbiamo davvero bisogno non solo che arrivi la bella stagione ma che arrivi finalmente dentro di noi!

Quali riflessioni hanno ispirato questo pezzo?

L’incapacità di rapportarsi con le altre persone e in particolare il fatto che sia diventato molto più difficile dirsi “ti amo” o “non ti amo” in modo chiaro. Sicuramente la presenza della tecnologia “filtra” e rende tutto più facile ma non è detto che sia “migliore”.

Cosa ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà questo brano?

“Leggerezza”, che non significa una canzone superficiale con un testo vuoto, anzi. “Come siri” è più seria di quello che sembra in apparenza…

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

Mi piace tantissimo dare vita al processo creativo dall’inizio alla fine! Scrivere e creare un brano dal nulla fino alla sua conclusione ruba nel suo percorso un “pezzo” di me. 

A cosa si deve la scelta del tuo pseudonimo artistico?

Al fatto che sono napoletano e ne sono fiero! “Terr ONE” per me non è un’offesa, al contrario il suffisso “one”,  su cui gioco nel mio nome, enfatizza la nostra “unicità”!

E la scelta di non rivelare il tuo nome reale?

In realtà ho un sogno e vorrei dire come mi chiamo veramente solo quando questo sogno si concretizzerà. Vorrei arrivare a un punto preciso della mia carriera per chiamarmi con il mio nome vero.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di “Come Siri”?

Il fatto che dietro all’apparente leggerezza parli comunque di sentimenti e che riesca a farlo attraverso suoni tipicamente estivi e un testo romantico ma ironico. 

Quattro chiacchiere con il cantautore barese, in uscita con il suo nuovo album intitolato “Giovani dentro

Molla

Tempo di nuova musica per Luca Giura, in arte Molla, cantautore e polistrumentista che abbiamo avuto modo di incontrare in occasione dell’uscita di Giovani dentro, album pubblicato lo scorso 9 giugno da INRI, anticipato dai singoli “2 accordi” e “Goodbye my love”. Approfondiamo la sua conoscenza.

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di “Giovani dentro”?

Mi rendono molto orgoglioso i featuring, l‘aver avuto all’interno del disco gente che stimo e la totale libertà di aver preso tutte le scelte senza blocchi o forzature da parte di nessuno. Sono molto orgoglioso del lavoro che vedo e che sento.

Quali skills pensi di aver acquisito rispetto ai tuoi precedenti lavori?

Collaborazione, consapevolezza, pazienza, zero aspettativa e tanta felicità. 

Credi con questo disco di essere riuscito a raggiungere il giusto equilibrio tra chi sei e chi vorresti essere?

Sì, credo di esserci riuscito, c’è tanto di me dentro. In realtà per descrivere davvero Molla servirebbe un DVD dove mi si vede dal vivo mentre canto i pezzi, cosi davvero arriverei al 100%. Ora che ci penso mi sembra un’ottima idea, lo farò per il prossimo disco!

Quali valori aggiunti hanno dato al disco le collaborazioni con Erica Mou, Renzo Rubino e Zibba? Come ti sei trovato a lavorare con loro?

Mi sono trovato benissimo, credo di poterlo dire ormai, c’è un rapporto di amicizia e quindi ho lavorato molto bene con tutti loro, con alcuni a distanza con altri in maniera più presente. Ognuno di loro secondo me ha dato la LODE al brano, quindi mi sono laureato con un gran punteggio.

Ti senti rappresentato dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in giro?

Mi sento di far parte di un suono e di un momento musicale Unico, credo che stiamo vivendo una rivoluzione che non so dove ci porterà, ma attualmente ognuno può avere la propria fetta di torta, anche i piccoli artisti e le piccole etichette possono viaggiare in prima. Oggi si sentono tante cose e tanti generi, ma non mi sento assolutamente fuori posto.

Intervista alla giovane cantautrice piemontese, in uscita con “Per dirti che (mi spiace)”, un ballata pop dal significato profondo e concreto

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Martina Beltrami si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo

Si intitola “Per dirti che (mi spiace)” il nuovo inedito di Martina Beltrami, artista che abbiamo avuto modo di conoscere nel corso della 19esima edizione di “Amici” di Maria De Filippi. Dopo i positivi riscontri ottenuti con Luci accese eTi vengo a cercare, la giovane cantautrice di Rivoli torna con un brano autentico, onesto e carico di umanità.

Come descriveresti questo tuo nuovo singolo?

“Per dirti che (mi spiace)” è un brano molto sincero. Sono sempre molto diretta nei miei brani, ma questo ultimo singolo parla per la prima volta delle mie debolezze e delle mie insicurezze, piuttosto che quelle degli altri, perché racconto la difficoltà nel dire “mi dispiace” al termine di una storia d’amore. 

Scrivere questo brano ti ha aiutato a maturare nuove consapevolezze e a liberarti di qualche zavorra di troppo?

Sì, direi che mi ha liberato da più di qualche zavorra. Ho fatto una presa di coscienza non indifferente nell’affrontare questo percorso. Non è stato facile, ma oggi non ci penso più con tristezza, piuttosto con consapevolezza di quello che è successo. 

A quale tappa del tuo percorso senti di essere arrivata?

In realtà non credo nei percorsi a tappe, credo piuttosto che sia importante crescere ed evolversi continuamente. Io sono all’inizio, quindi sono felice di scoprire ogni giorno cose nuove e maturare insieme alla mia musica. 

Credi di aver raggiunto il giusto equilibrio tra chi sei e chi vorresti essere?

Sì, anche perché diciamo che vivo il mio lavoro alla giornata, in maniera molto sincera e spontanea. Vorrei essere solo me e presentarmi alle persone che mi seguono nel modo più sincero possibile. 

Considerato il momento storico, cosa ti manca particolarmente dei concerti?

Vorrei poter dire qualcosina di più, ma siccome prima di “Amici” non avevo grandi esperienze live, devo dire che mi manca più che altro la partecipazione del pubblico nella quotidianità perché ho quell’esperienza come riferimento. Detto questo, il 1° luglio aprirò il concerto di Gaia a Mantova e sono felice di poter rivedere i miei fan dal vivo. 

In tal senso, pensi che in tutti questi mesi si sia fatto abbastanza per tutelare i lavoratori dello spettacolo?

Non mi piace toccare questi argomenti in modo particolare, perché bisogna avere molte informazioni per poterne parlare in maniera approfondita. Posso però confermare che i lavoratori dello spettacolo, soprattutto chi lavora dietro le quinte o chi lavora nei teatri o con la danza, settori meno conosciuti al grande pubblico, sia stato sicuramente abbandonato nel momento più difficile. 

Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgogliosa di “Per dirti che (mi spiace)”?

Sicuramente l’essere riuscita a raccontarmi in modo sincero, anche fin troppo, in questa canzone e sono felice che il pubblico finora l’abbia recepita positivamente. Ho avuto riscontri solo che positivi da chi mi segue, quindi sono fiera di questo.

Intervista al giovane rapper di Monza, fuori con il suo nuovo progetto discografico intitolato “Politicali Correct”

Mr. Rizzus: "La musica mi ha aiutato a trovare degli obiettivi veri"

Tanto da dire e tanto da raccontare, nonostante i suoi ventidue anni Mr. Rizzus ha alle spalle esperienza e gavetta. “Politicali Correct” è il titolo suo nuovo album, pubblicato da Honiro lo scorso primo giugno.

Qual è il tuo pensiero riguardo la censura?

Ultimamente si parla spesso di questo tema, così come di tutto ciò che può essere considerato politicamente corretto. Per questo ho voluto chiamare questo disco in questo modo, affrontando l’argomento con ironia, scherzandoci un po’ su. I miei testi sono espliciti, magari dico delle cose che molti non direbbero, perchè preferisco non farmi troppi scrupoli, esternare i miei pensieri in versione integrale.

E’ vero che hai cominciato a fare musica per una scommessa?

Non ricordo bene, comunque sì, per una cosa del genere. Sono finito in studio per caso e dal quel momento mi sono innamorato della musica e di tutto questo mondo.

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato la tua crescita?

Ho iniziato con 50 Cent ed Eminem, la musica che mi faceva ascoltare mio fratello più grande, per poi aprirmi alla scena rap italiana e cominciare a seguire sempre più da vicino questo genere.

Mr. Rizzus: "La musica mi ha aiutato a trovare degli obiettivi veri" 1
La copertina di “Politicali Correct”

Coltivi altre passioni a parte la musica?

La musica intesa a 360 gradi, perchè mi piace suonare la chitarra, non mi fermo solo al rap o alla trap, mi piace ascoltare di tutto per cercare di avere quante più influenze possibili. Poi, nutro una forte passione per i tatuaggi, ne ho un sacco, sono fissato sin da ragazzino.

Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi del tuo lavoro?

L’aspetto negativo della popolarità e non avere la libertà di poter andare in giro tranquillo, anche se mi fa sempre grande piacere incontrare i miei fan, però ci sono determinate circostanze in cui questa cosa a volte può pesare. Di lati positivi, invece, ce ne sono tantissimi, dal sentirsi appagati al sapere che le persone riescono a riconoscersi nella tua musica.

Sia nella vita che nella musica, ti reputi un provocatore?

Assolutamente sì (ride, ndr), forse nella vita un po’ meno, ma ho imparato attraverso la musica a farmi valere, perchè in passato ho subito degli abusi di potere, col tempo ho abbandonato un po’ la mia timidezza e ho cominciato a trasformare il mio lato introspettivo in qualcos’altro. La musica mi ha aiutato tantissimo a livello personale, a trovare degli obiettivi veri, a cambiare completamente vita.

Quattro chiacchiere con il cantautore napoletano, in uscita con il suo album d’esordio intitolato “Se invece di sbattere gli occhi

Adduci
Adduci si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Giulia Bartolini

Interessante debutto discografico per Vincenzo Adduci, in arte semplicemente Adduci, cantautore che rappresenta il giusto anello di congiunzione tra la scuola tradizionale e la nuova scena cantautorale degli ultimi anni. Si intitola “Se invece di sbattere gli occhi” il suo primo progetto ufficiale, rilasciato per Adesiva Discografica / The Orchard a partire dallo scorso 21 maggio

Come si è svolto il processo creativo di questo lavoro? 

Il processo creativo è stato molto vario e ciascuna canzone ha avuto una genesi a  sé. Ciò che accomuna questi brani è il fatto di essere stati concepiti come un’introspezione a seguito dell’interazione con le persone che ho incontrato in questi anni. 

Cosa pensi di aver imparato durante la realizzazione di “Se invece di sbattere gli occhi”? 

È stato un lavoro molto particolare, svolto in un momento della mia vita in cui tutto stava cambiando. A differenza delle precedenti esperienze in studio qui ho voluto prendermi tutto il tempo, ho così imparato che la sensibilità di un artista può cambiare molto velocemente. Nel giro di qualche giorno può capitare di avere la sensazione di essere una persona completamente diversa. 

Credi nel potere terapeutico della musica? 

La musica ha il potere di abbattere qualsiasi barriera, può così essere d’aiuto per fuggire come per tornare da qualche parte!  

Ti senti rappresentato dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in giro? 

Mi sento vicino al cantautorato italiano degli ultimi dieci anni circa. Mi sento però anche vicino al cantautorato degli anni sessanta. In definitiva non saprei dire se mi sento esattamente rappresentato, direi “a tratti”! 

Personalmente ti collochi in un genere particolare? 

Questa domanda è sempre molto difficile da affrontare razionalmente! Nella mia musica riconosco influenze diverse, anche molto distanti tra loro, ma credo di poter dire che la mia proposta in questo momento sia indie pop / indie rock. 

Quale tipo di insegnamento pensi di aver appreso dalla musica fino ad  oggi? 

Alla musica devo praticamente tutto, se non avessi imparato a essere disciplinato non sarei riuscito a raggiungere molti dei miei obiettivi. Mi ha insegnato l’importanza di amare sinceramente ciò che si fa, questo fa sempre la differenza.

Intervista al cantautore toscano Caleido, in uscita con il suo disco d’esordio “Pop Corn”

Caleido: "La sincerità è il filo conduttore nelle mie canzoni"
Caleido si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Simone Biavati

Tempo di nuova musica per Cristiano Sbolci, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Caleido, che incontriamo in occasione dell’uscita di “Pop Corn”, il suo album d’esordio rilasciato lo scorso 14 maggio per Pulp Music, prodotto da Federico Nardelli e Giordano Colombo.

“Pop corn”: più un punto di partenza o un punto di arrivo?

Io vedo Popcorn come un mio capitolo e quindi come tale ha un punto di partenza e un punto di arrivo. Sicuramente a livello di processo creativo è un punto di partenza necessario per poter continuare questo fantastico percorso e trovare sempre di più il focus giusto.

C’è un qualche filo conduttore che unisce queste dieci tracce?

Credo che il filo conduttore nelle mie canzoni sia la sincerità, alla fine trattano della mia vita in modo estremamente diretto. La cosa che però lega tutto quanto in maniera omogenea penso sia la mia vocalità, quello forse è il collante reale che lega tutte le 10 canzoni.

Caleido: "La sincerità è il filo conduttore nelle mie canzoni" 1
La copertina di Pop Corn

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?

Devo ringraziare la mia adolescenza per la scelta del nome d’arte. Da ragazzino ero molto legato alla scena musicale alternativa italiana, ero uno da transenna ai concerti, questo ha fatto si che mi appassionassi moltissimo a una band che al quinto disco tirò fuori una canzone intitolata appunto Caleido. Poi ho cercato in rete giustificazioni più accattivanti dal punto di vista culturale ma solo successivamente.

Coltivi altre passioni oltre la musica?

A dire il vero no, tutte le energie che ho le sfrutto per scrivere canzoni.

Come descriveresti il tuo rapporto con i social network e quanto pensi siano importanti oggi per un lancio discografico?

Il mio rapporto con i social inizialmente era terribile, odio totale, poi fortunatamente col tempo mi ci sono rappacificato scoprendo anche un lato divertente. Sicuramente è un lato molto importante oggi, ha un ruolo fondamentale a livello di promozione, alla fine tutti quanti quando scopriamo magari un nuovo artista apriamo Spotify ma subito dopo andiamo a vedere il profilo Instagram.

Quale messaggio ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà “Pop corn”?

A me piacerebbe regalare giusto qualche emozione e far sì che chi ascolta riesca ad immedesimarsi nelle parole che canto e, magari, possa sentirsi un po’ meno solo.

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