A tu per tu con il produttore discografico Elio Cipri, per parlare del suo impegno professionale e del difficile momento che il mondo della musica sta attraversando

Elio Cipri
Elio Cipri si racconta ai lettori di Musica361, più di cinquant’anni spesi nel mondo della discografia

Esperienza e passione da vendere per Elio Cipri, un nome noto a tutti gli addetti ai lavori, nonché un autentico professionista del settore che, nel corso dei decenni, si è occupato di musica a 360 gradi, trattandola con cura e rispetto. Abbiamo il piacere di approfondire la sua storia, ospitandolo in questo dodicesimo appuntamento della rubrica “Protagonisti in secondo piano.

Hai scritto pagine importanti della musica italiana, ricoprendo ruoli diversi, ma com’è cominciato tutto?

«Nell’ottobre del ’63, quando mio zio mi portò a fare un’audizione alla Fonit Cetra. Cantai “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” davanti a Domenico Modugno, mi presero e mi mandarono alla prima edizione de “Un disco per l’estate” dell’anno successivo. Arrivai secondo dopo “Sei diventata nera”, con un brano che si intitolava “Spara Morales”. Vendetti 400 mila copie, che in quegli anni non erano considerate molte, ma se le rapportiamo ad oggi sono tantissime.

Dopo altri due 45 giri di scarso successo, mi accorsi di non divertirmi più e cominciai a pensare di cambiare mestiere, restando sempre in ambito musicale. Chiesi alla mia etichetta discografica un posto di lavoro, mi assunsero come ragazzino di bottega, il classico tutto fare. M’inventai il ruolo del promoter, cominciai portando i dischi in radio, all’epoca c’era un solo canale, e nell’arco di poco tempo diventai responsabile di promozione della Fonit Cetra, ai tempi la casa discografica italiana più importante».

Più di 50 anni di impegno nel settore, come sei riuscito a mantenere intatto l’entusiasmo e non farlo diventare un lavoro come tutti gli altri?

«Questo accade quando c’è di mezzo la passione, in più di carattere sono molto tenace, la mia bravura è stata quella di capire subito i meccanismi di questo lavoro. Mi ha aiutato molto il mio modo di essere, la simpatia, cercavo di accontentare sempre tutti, sorridevo, non mi negavo mai a nessuno. Con gli artisti ho sempre avuto un bel rapporto, non solo con i miei, ma anche con quelli delle altre etichette. Mi sono imposto nella mia azienda da subito, sono stato un battitore libero, nessuno doveva dirmi cosa fare. Sempre educato, seguivo gli schemi, ma non prendevo ordini da nessuno».

Come si è evoluto il tuo mestiere negli anni?

«Purtroppo nel 1997 la Fonit Cetra chiuse i battenti, ma per mia fortuna entrai in RTL come capo ufficio stampa, intraprendendo la mai carriera radiofonica. Ho poi aperto una mia etichetta, la Red Fish, con la mia socia Donata Brusasco, una giornalista molto importante. Poco dopo essere andato in pensione, mi hanno chiamato da Radio Italia anni ’60 per sanare le sorti di questa emittente, devo ammettere di essere riuscito a portarla ad un successo incredibile in soli 3 anni. Abbiamo aumentato gli ascolti, in più tutti gli artisti della musica leggera italiana vengono a trovarci in continuazione. Un gran bella soddisfazione».

 Elio Cipri 1Hai due figli: Giorgio e Cecilia, alias Syria, che tutti conosciamo, Il primo ha seguito le tue orme, la seconda ha intrapreso la strada che avevi poi lasciato. Sei soddisfatto delle loro scelte?

«Sì, proprio perchè le scelte sono state le loro. E’ stata Cecilia a scegliere di cantare, io non volevo. Sai, per lei ero un padre scomodo, all’epoca ero un personaggio molto influente nel mondo della musica, ero potente, ero invadente. Quando vinse Sanremo, in molti tirarono fuori la storia che ero amico di Pippo Baudo, mentre non ho mai mosso un dito per lei, mi sono limitato a darle consigli. Anche Giorgio ha fatto tutto da solo, pensa che quando fu assunto alla BMG non sapevano nemmeno che fosse mio figlio, perchè si era presentato come Giorgio Cipressi, il mio/nostro vero cognome, se ne accorsero dopo. Ha seguito le mie orme, è un ragazzo eccezionale, bravissimo. Lo cercano tutti. Una soddisfazione più grande non potevano darmela, sia Giorgio che Cecilia».

Segui il Festival di Sanremo dal 1967, come lo hai visto cambiare in questi anni?

«Moltissimo, la prima volta che ci andai c’erano solo una segretaria e un ufficio stampa, i pass erano fatti a mano. Oggi è cambiata completamente l’organizzazione e tutto quello che c’è intorno, ma sento di avere le chiavi della città, perchè per me Sanremo non ha segreti. Quest’anno è stato triste non esserci dopo ben cinquantaquattro anni, ma il momento che stiamo vivendo è questo».

A proposito di attualità e di pandemia, di recente sei stato protagonista tuo malgrado di un episodio balzato alle cronache, ci racconti com’è andata e come stai?

«Bene, sto bene. Un signore, che sicuramente avrà avuto dei problemi, si è presentato davanti alla nostra postazione radiofonica senza mascherina. Al mio invito di indossarla ha iniziato a dire che non gli importava nulla, così ho alzato la voce. Lui mi ha preso per il collo e mi ha dato un cazzotto in faccia. Ho ricevuto tanto affetto e un sacco di messaggi, ringrazio tutti di cuore».

L’intero settore ha risentito molto dello stop forzato della musica live, pensi che non sia stato fatto abbastanza per i lavoratori del mondo dello spettacolo?

«Assolutamente sì, scrivilo pure, chi li ha tutelati? Con cinquecento euro possono mangiare? L’unica cosa è stata fatta da Laura Pausini per raccogliere un po’ di fondi, ma poi non è stato mosso più un dito. Chi ha pagato davvero sono i poveri ragazzi che gestiscono i service, quelli che non riescono a reinventarsi, mentre gli artisti un modo lo trovano».

In conclusione, che ruolo può avere la musica in un momento così complicato?

«A livello emotivo aiuta moltissimo perché la musica è vita. Per sopravvivere e sorridere ci vuole la musica, a tutti i costi».

Intervista al cantautore classe ’93 Santoianni, in uscita con il singolo intitolato “Stazione di sosta”

Santoianni e le riflessioni irrequiete trasformate in qualcosa di positivo 1
Santoianni si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita di “Stazione di sosta”

Tempo di nuova musica per Donato Santoianni, in arte semplicemente Santoianni, artista che ritroviamo in occasione dell’uscita di Stazione di sosta, brano che sancisce una sua nuova consapevolezza artistica.

In “Stazione di sosta” fotografi la nostra società confusa e precaria, interrogandoti sul futuro. Cosa ti ha innescato questa riflessione?

Probabilmente, involontariamente, quello che viviamo ormai da un anno a questa parte ha generato in me una riflessione profonda sul futuro. Per la prima volta ho davvero percepito il senso di precarietà e di incertezza. Ma non parlo solo per me nello specifico, ma in generale per tutti. Anzi, probabilmente, ha inciso molto di più sui miei pensieri la sofferenza degli altri. Ho voluto però trasformare questa riflessione nata dall’irrequieto in qualcosa di positivo. Credo, soprattutto oggi, che sia importantissimo avere fiducia nel futuro e continuare ad essere ingenuamente convinti di poter riportare al centro i sogni, le speranze e la voglia di cambiare la propria vita e di conseguenza quella degli altri.

Quali sono, secondo te, le cause principali di questa involuzione?

La causa principale credo sia la noncuranza. La noncuranza di tutti, me compreso. Abbiamo permesso che le cose degenerassero, che la superficialità diventasse lentamente accettata. Il più delle volte pensiamo che tanto prima o poi qualcuno dirà qualcosa, farà qualcosa, ma la verità è che alla fine proprio grazie a questo meccanismo nessuno fa niente è tutto resta così. La colpa è nostra non è di qualcun altro. È anche mia come di tutti.

Musicalmente parlando, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare per rafforzare il messaggio?

Ho voluto che il suono diventasse un veicolo per comunicare questa evoluzione. Per chi come me sogna di scrivere canzoni per vivere è fondamentale che il percorso di crescita sia anche riconoscibile e visibile nelle sonorità che vestono il progetto. Con l’apporto fondamentale di Molla, che ha prodotto il brano, abbiamo voluto a tutti i costi far sì che la forma canzone tipica del cantautorato venisse riportata al 2021 con sonorità a mio parere estremamente contemporanee. Per contemporanee parlo di un mix di influenze anni ‘80 che oggi, per assurdo, sono il vero sound del momento. Sentivo il bisogno di parlare ai miei coetanei. Oggi per me questo è fondamentale.

Santoianni e le riflessioni irrequiete trasformate in qualcosa di positivo
La copertina di “Stazione di sosta”

L’impressione è che tu abbia intrapreso, a livello stilistico, un nuova nuova fase del tuo percorso. Una scelta consapevole o una semplice crescita personale?

Sono felice che passi questo. È sicuramente iniziata una nuova fase del mio percorso artistico. Non è solo un discorso di suono ma anche una ricerca continua nella scrittura e nella forma canzone. È una scelta voluta e consapevole, frutto di un lavoro costante su me stesso. Credo che il processo di crescita personale sia una condizione necessaria per arrivare alla consapevolezza artistica. Le due cose non sono alternative, almeno per me, ma anzi camminano in parallelo. A volte leggo di artisti che parlano di una chiara divisione tra persona e artista. Io, per ora, ho sempre lasciato che le due cose si mischiassero talmente tanto da non capire più i confini. Qualsiasi cosa accade a Donato finisce inevitabilmente in Santoianni.

Cosa dobbiamo aspettarci dalla tua nuova musica in futuro?

Sicuramente tante altre canzoni. Non so dirti di più, perché ad oggi qualsiasi promessa diventa difficile da mantenere. Mi manca tanto suonare e vorrei tantissimo portare live questa nuova impronta sonora. Ma in questo momento storico sto facendo sempre più mia l’idea di andare avanti mattone dopo mattone, canzone dopo canzone. Cercherò di rendere il più partecipi possibili le persone che apprezzano le mie canzoni dello stato avanzamento lavori, canzone dopo canzone, storia dopo storia.

Come te lo immagini questo mondo tra trent’anni?

Me lo immagino ogni giorno in un modo diverso. Ancora non ho scelto quale di tutte le versioni che mi sono immaginato possa essere quella più plausibile. Sicuramente sono convinto che tante cose che credevamo erroneamente fondamentali, finiranno miseramente per perdere la loro importanza nella vita delle persone. Altre come la cultura, il senso civico, il senso di comunità, la forza delle idee e delle diversità, la bellezza, resteranno con prepotente discrezione il centro di tutto. In poche parole cambieranno tante cose, ma fondamentalmente non cambierà niente.

Intervista al giovane cantautore L’Edera, fuori con il singolo “Asfalto” che anticipa l’uscita dell’Ep previsto per la prossima primavera

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L’Edera si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita di “Asfalto” © foto di Ettore Moncullo

Si intitola “Asfalto” il nuovo brano di Alberto Manco, alias L’Edera, cantautore pugliese classe ’95, originario di Santa Maria di Leuca. Il singolo, disponibile per Romolo Dischi/Pirames International a partire dallo scorso 28 gennaio, anticipa l’uscita dell’Ep previsto per la prossima primavera.

Cosa hai voluto raffigurare in questo affresco musicale?

“Asfalto” è una storia di crescita che accade nella periferia di qualcosa, un romanzo di formazione in tre minuti di musica, un lui, una lei e la strada che li separa.

Quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la composizione di questa canzone?

Un senso di frustrazione di fondo per alcuni brani che non riuscivo a chiudere e cose che non riuscivo ad ammettere. Le sigarette con mio fratello. Essere contento perché ero lontano da casa. Essere triste perché ero lontano da casa. “Rabbia” di Palahniuk. “Battle Born” dei Killers. La televisione per riuscire a dormire e svegliarsi più stanchi. Inevitabilmente queste cose si son rimescolate dentro di me e son venute fuori in “Asfalto”.

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La copertina di “Asfalto”

Che tipo di sonorità hai voluto abbracciare per rafforzare questo messaggio?

Volevo che il pezzo suonasse solenne, ma allo stesso tempo crudo. Come dicevo, racconta di periferia e di crescita e mi sono ispirato per certi versi a Springsteen per altri ai The Killers, per la capacità di rendere epico il racconto della periferia americana. Per tutta la traccia c’è una tensione di fondo, data dalla chitarra elettrica e dal beat, con delle carezze di tastiere e un momento di respiro prima di un ritornello che arriva diretto e potente come un pugno nello stomaco. 

Quando e come hai scoperto la tua passione per il canto?

Durante l’adolescenza ho militato in diverse band e mi son ritrovato spesso a cantare, non perché lo sapessi fare, ma perché ero quello che scriveva i testi e provava meno imbarazzo a cantarli in pubblico. Come per la chitarra, l’ho fatto da autodidatta, forse per questo faccio ancora fatica a vedermi come un cantante.

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?

È un omaggio a Le luci della centrale elettrica, progetto che apprezzo particolarmente.

Coltivi altre passioni oltre la musica? 

Sì, ho studiato beni culturali. Quindi per lo più cose che hanno a che fare con l’arte, il cinema e i maglioni brutti.

“Asfalto” anticipa l’uscita di un EP, cosa dobbiamo aspettarci a riguardo?

Canzoni belle d’addio.

A tu per tu con il producer Simone Bertolotti, per parlare del suo impegno professionale e del difficile momento che il mondo della musica sta attraversando

Simone Bertolotti: "Far sentire la nostra voce attraverso la musica"
Simone Bertolotti si racconta ai lettori di Musica361, una vita spesa per la musica a 360 gradi

Passione ed entusiasmo, queste le due caratteristiche che contraddistinguono l’approccio professionale di Simone Bertolotti, musicista e producer lombardo che incontriamo alla vigilia dell’importante appuntamento con Sanremo 2021, dove ricoprirà il ruolo di co-autore e di direttore d’orchestra di E invece sì, canzone portata in gara da Bugo. Abbiamo il piacere di approfondire la sua storia, ospitandolo in questo undicesimo appuntamento della rubrica “Protagonisti in secondo piano.

Come ti sei avvicinato alla musica?

È stata una cosa abbastanza naturale, credo di esserci nato. Ho vissuto in una casa in cui si respirava musica dalla mattina alla sera. A quattro anni mio papà mi hai scritto alla mia prima scuola, a sei anni già ero a in giro suonare con lui e il suo gruppo. A quattordici anni mi sono iscritto al conservatorio di Mantova, da lì tutto il resto.

Quando è avvenuta la svolta professionale?

Diciamo pure che da adolescente già mi mantenevo con la musica, suonavo con la mia cover band, facevo pianobar, ero un ragazzino con una buona mentalità imprenditoriale. A ventuno anni ho fatto il mio primo e unico provino della mia vita, come tastierista per il tour “Uguali e diversi” di Gianluca Grignani. Così ho cominciato il mio primo lavoro da turnista.

Poi, piano piano, hai cominciato a metterti in gioco anche in veste di autore e produttore, fino all’apertura del WhiteStudio, prima a Cremona e poi a Milano. Anni di grande cambiamento per te?

Sì, decisamente. Per diverso tempo mi sono diviso tra il lavoro in studio e i live, sei anni fa ho trovato il coraggio di prendere una decisione importante. Ad un certo punto mi sono ritrovato a non riuscire a gestire al meglio entrambe le cose, ero in tournée con Laura Pausini, un momento altissimo per la mia carriera, un’esperienza incredibile in giro per il mondo. Tutti quei mesi lontano da casa mi hanno portato una sorta di frustrazione, perchè nel frattempo ho dovuto rinunciare a tanti lavori in studio, dischi anche importanti. Questo mi portava ad essere spesso triste, così ho deciso di smettere di suonare. Non è stato facile perchè, lasciare qualcosa di sicuro per l’incerto, è un po’ come fare un salto nel vuoto. Con il senno di poi è andata bene, sono felice di aver corso il rischio, oggi sono felice di quello che faccio.

Simone Bertolotti: "Far sentire la nostra voce attraverso la musica" 1

E’ brutto dirlo, ma in qualche modo quella scelta ti ha portato a patire di meno l’attuale momento storico, le varie conseguenze della pandemia, tra cui lo stop forzato dei live. Come hai vissuto questo ultimo anno?

E’ stato molto traumatico soprattutto all’inizio, nel primo lockdown, quando per mesi mi sono ritrovato a casa, con tre dischi già pianificati da portare avanti. Da maggio in poi, a livello burocratico, sono potuto tornare in studio, rispettando naturalmente tutti i protocolli di sicurezza del caso. Sono riuscito a rimettermi in piedi e continuare a lavorare, per questo mi reputo molto fortunato. Sai, vivo a stretto contatto ogni giorno con i miei colleghi turnisti che, invece, stanno affrontando un momento molto complicato.

Attraverso un post sui tuoi canali social, nelle ultime settimane hai espresso il tuo dissenso sui musicisti che si dichiarano contrari al Festival di Sanremo, solo perché quest’anno non ne fanno parte. Anche perchè potrebbe essere l’occasione per far ripartire l’intero settore. Noti anche tu poca solidarietà a riguardo?

Tu mi conosci, sai che non mi piace puntare il dito, anzi, comprendo anche la frustrazione generale del momento che stiamo vivendo. Già lo scorso anno, quando è iniziata la pandemia e ci hanno chiusi in casa, a me faceva sorridere il fatto che tutti i musicisti si sentissero un’unica grande famiglia, mentre questo è un settore che non ha mai fatto categoria. Se io non fossi stato coinvolto quest’anno a Sanremo, giuro che l’avrei pensata allo stesso modo. Proprio come ho gioito nel vedere recentemente dei miei cari amici nella trasmissione di Fiorella Mannoia, a suonare e svolgere il loro lavoro egregiamente.

In più si tratta di un modo per ripartire, una macchina come quella del Festival permette a tantissimi professionisti di essere rimunerati. Solo la mia convocazione ha generato lavoro almeno ad una ventina di persone. Certo, noi siamo dei privilegiati ad essere lì in un momento come questo, ma è un po’ come se lo facessimo anche per tutti i colleghi che non hanno la stessa fortuna. Comunque sia, come ha scritto il mio “fratello artistico” Andrea Bonomo in risposta al post: “Sanremo è un po’ come la ragazza disponibile della compagnia, ne parli male finché non ci vai” (ride, ndr). 

Simone Bertolotti: "Far sentire la nostra voce attraverso la musica" 2

Torni al Festival come co-autore e direttore d’orchestra di “E invece sì”, canzone portata in gara da Bugo. Inutile girarci intorno: com’è tornare dopo quello che è accaduto lo scorso anno con Morgan?

Guarda, per me è molto naturale. Anzi, te lo dico molto onestamente, spero sempre che il tempo cancelli quell’episodio, perchè c’entra davvero poco con la musica. Sono veramente stufo di vivermi questo eterno gossip legato a una cosa bella. Alla fine non rinnego nulla, sono ancora convinto che “Sincero” fosse un pezzo valido e sono orgoglioso di averlo realizzato anche con Morgan. Quel brano rappresenta Cristian (Bugo, ndr), rappresenta me, rappresenta Andrea Bonomo, ma rappresenta anche lui. Il suo apporto artistico è stato assolutamente presente, tutto il resto sono esclusivamente chiacchiere e pettegolezzi. 

Anche perchè, oltre a “Sincero” e alla partecipazione al Festival, c’è dietro un grande lavoro di squadra rappresentato dal disco “Cristian Bugatti”. Spiace quando la musica rischia di passare in secondo piano..

Proprio per questo motivo, sono stato uno di quelli che hanno spinto per far sì che Bugo realizzasse un repack del disco, (“Bugatti Cristian” in uscita per Mescal il 5 di marzo, ndr), perché è un lavoro a cui tengo tantissimo. Purtroppo, a causa di questa pandemia atroce, secondo me, non ha avuto l’eco che meritava. Una riedizione piuttosto sostanziosa, perchè contiene ben cinque brani inediti che vanno a concludere un progetto, a chiudere un capitolo. Mi auguro che questo Sanremo cancelli il gossip e lasci spazio soltanto alla musica, perchè ritrovare una tua canzone ridotta a un meme, è una cosa che non fa piacere… te lo posso assicurare. Per me la musica ha un valore grandissimo.

Sarà un Festival inedito, diverso per tutti noi. Tu, personalmente, come te lo immagini?

In questo momento storico faccio fatica ad immaginare, sicuramente mi auguro che sia l’inizio della nostra rinascita, la ripartenza di un settore in ginocchio. Sarebbe bellissimo che arrivasse al pubblico la grandissima energia che ho respirato alle prove. È arrivato il momento di far sentire la nostra voce attraverso la musica.

Intervista al giovane cantautore romano Filo Vals, fuori con il suo omonimo album d’esordio

Filo Vals
Filo Vals si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita del suo omonimo album d’esordio

Un biglietto da visita variegato, ma allo stesso tempo omogeneo: questo l’omonimo album d’esordio di Filo Vals, romano di nascita e cittadino del mondo per vocazione. Un progetto dal respiro internazionale, cantato in quattro lingue e ricco di influenze, sonorità, profumi, sapori e odori provenienti da svariate parti del mondo.

Cominciamo dal tuo disco d’esordio, da quali considerazioni iniziali sei partito e a quali conclusioni sei arrivato? 

Sono partito dalla considerazione di voler creare un disco che piacesse in  primis a me, che in qualche modo arricchisse la mia libreria musicale con dei  brani che prima non esistevano e che mi emozionavano. Sono arrivato alla conclusione che è stato un bellissimo viaggio e che non vedo l’ora di lavorare al prossimo.  

Nel disco c’è tanta ricerca, che significato attribuisci alla parola “sperimentazione”? 

Significa entrare in studio senza il paraocchi, senza pregiudizi ma con la curiosità e l’entusiasmo di un bambino, a cui piace mischiare i colori e vedere che risultato viene fuori.  

Filo Vals 1
La copertina di “Filo Vals”

A livello di ascolti, ti reputi abbastanza onnivoro oppure tendi a cibarti di un genere in particolare? 

Sicuramente onnivoro. Sono cresciuto ascoltando musica di ogni genere e da ogni parte del mondo: dal Cantautorato Italiano alla Bossa Nova brasiliana passando per il Reggae Giamaicano, il Folk, il Rock, la Disco etc..  

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone? 

Probabilmente l’aspetto più affascinante è l’evoluzione di una canzone nella sua fase compositiva. Il non avere certezze su che piaga prenderà il brano una volta finito.  

Essendo tu un appassionato di cucina, ci sveli la tua personale ricetta per  comporre una buona canzone? 

Io parto spesso da un progressione di accordi. Appena sento che un determinato giro mi smuove qualcosa dentro mi lascio trasportare dall’atmosfera che suscita e comincio a fantasticare una canzone.  

Se dovessimo definire questo album con un’emozione, uno stato d’animo, quale sceglieresti? 

Ottimista!

Prosegue la nostra rubrica dedicata ai lavoratori di un settore profondamente gravato dalla pandemia. Nuove storie professionali e nuove testimonianze, con l’augurio che lo spettacolo possa ripartire al più presto

Protagonisti in secondo piano, prosegue la rubrica dedicata agli operatori dello spettacolo
A partire dal 25 febbraio, nuove storie professionali dei lavoratori del mondo dello spettacolo

Ci sono rubriche che potrebbero andare avanti all’infinito, adattandosi al tessuto e al contesto storico della nostra società. Tra queste c’è sicuramente Protagonisti in secondo piano, uno spazio nato in periodo pandemico, ma che sarebbe potuto venire alla luce anche in qualsiasi altro momento, considerate le criticità di un settore complesso ma, al tempo stesso, essenziale per la vita di tutti quanti noi.

Che mondo sarebbe senza musica e, più in generale, senza spettacolo? Lo abbiamo chiesto ai dieci protagonisti che abbiamo avuto il piacere di ospitare tra le nostre pagine, a cominciare dallo show designer Francesco De Cave, passando per il promoter Mirko Tisato, i producer Mario Natale e Francesco Ferrari, i tour manager Riccardo Nocera e Francesca Simplicio, l’artista di strada Marina Madreperla, la violinista Elsa Martignoni, la fotografa Pamela Rovaris, fino ad arrivare al direttore artistico di Radio Italia Antonio Vandoni.

Attraverso i loro racconti, abbiamo compreso la passione, l’entusiasmo e la preparazione che rendono unico ciascun ruolo, ciascuna mansione, per la buona riuscita di un concerto, di un disco e di qualsiasi altra opera artistica. Porre attenzione su ogni singolo tassello di questa grande macchina organizzativa dell’intrattenimento, non è soltanto interessante ai fini dell’approfondimento, ma è anche e soprattutto un dovere, specie in un momento come questo, profondamente gravato dallo stop forzato delle attività live.

Sulla scia di questa narrazione, abbiamo deciso di continuare a dare voce agli operatori dello spettacolo, che da mesi attendono risposte e rispetto. A partire dal 25 febbraio, per dieci giovedì consecutivi, ripartiremo con nuove storie professionali, nuove testimonianze che ci faranno comprendere al meglio la complessità e le criticità di un settore in continuo mutamento, fatto di persone prima ancora che di esperti professionisti. Continuate a seguirci, che questo viaggio sia di buon auspicio per una repentina e risolutiva ripartenza.

Appuntamento a giovedì prossimo su Musica361!

Intervista alla giovane talentosa Carlotta Bianchini, in uscita con il singolo “Amore cronico”

Carlotta Bianchini, l’incertezza e l’inconsapevolezza del suo "Amore cronico. 1
Carlotta Bianchini si racconta ai lettori di Musica361, in occasione dell’uscita di “Amore cronico”

Una grande passione per la musica che coltiva sin da tenera età, questo il biglietto da visita di Carlotta Bianchini, nuova scommessa della scuderia Fonoplay, in uscita con il singolo “Amore cronico”, una fresca e giovanile riflessione sul nobile sentimento per antonomasia.

Cosa rappresenta esattamente questo brano?

Penso che “Amore cronico” sia la rappresentazione del rapporto che ho con questo sentimento. Non essendo mai stata innamorata e non sapendo esattamente cosa sia l’amore, posso dire che il testo in qualche modo esprima le incertezze e le esitazioni che precedono le scelte importanti.

Un pezzo in cui ci si può riconoscere, quanto conta l’immedesimazione per la riuscita finale di una canzone?

Credo che potersi immedesimare nel testo di una canzone sia una delle sensazioni più appaganti che si possano provare. Riuscire a interpretare un brano immedesimandosi, penso sia molto importante perché porta l’ascoltatore ad affezionarsi alla canzone.

C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso della canzone? 

“Il cuore ancora non lo sa, se infondo ci sei tu” frase che apre e chiude il brano. Trovo che sia la più azzeccata per sintetizzare il contenuto, poiché esprime l’incertezza e l’inconsapevolezza di questo amore cronico.

Quando e come ti sei avvicinata alla musica?

Grazie alla passione che coltivano i miei genitori, ho avuto la fortuna di avvicinarmi alla musica da piccola. Ho vissuto la prima esperienza davanti a un microfono quando avevo quattro anni, in collaborazione con Oscar Prudente ho cantato otto brani per Disney Channel ItaliaMi diverto molto a ricordare insieme alla mia famiglia i momenti in cui mi aiutavano a cantare e a memorizzare le parole attraverso dei disegni coloratissimi.

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?

Quand’ero bambina ascoltavo moltissimi brani di cantanti pop americani, come Katy Perry o Miley Cyrus e ricordo di aver sempre avuto il sogno di diventare come loro, per poter cantare brani che sarebbero rimasti nella storia della musica. Nel tempo ho ascoltato di tutto, e ho cercato di recepire il meglio di ogni genere. Passo dalla musica pop al rock, al rap, mi sento versatile come interprete, perché mi piace cantare con ogni tipo di base, soprattutto mi diverto ad armonizzare spontaneamente le melodie principali.

Coltivi altre passioni oltre la musica? 

Siccome ho sempre avuto una particolare attrazione verso le lingue straniere, ho deciso di iscrivermi a un liceo linguistico. A scuola, oltre alle lingue, ho avuto la possibilità di affezionarmi anche al teatro partecipando a un corso insieme ad altri studenti. Col tempo spero di poter coltivare questa passione ed entrare nel mondo del cinema e dello spettacolo.

Cosa dobbiamo aspettarci dai tuoi prossimi progetti in cantiere?

E’ un periodo di studio e di ricerca, spero proprio di riuscire a sorprendervi.

Quattro chiacchiere con Antonio Vandoni, direttore artistico di Radio Italia, esperto conoscitore e grande appassionato di musica

Antonio Vandoni: "La musica è sempre indispensabile"
Antonio Vandoni si racconta ai lettori di Musica361, da trentadue anni al servizio della buona musica

Tra i professionisti del settore che abbiamo il piacere di ospitare nella nostra rubrica “Protagonisti in secondo piano“, non poteva di certo mancare Antonio Vandoni, per gli amici Tony. Abbiamo il piacere di approfondire la conoscenza della sua longeva storia lavorativa, inaugurata alla Dischi Ricordi e proseguita negli anni fino a diventare direttore artistico di Radio Italia – Solo musica italiana, ruolo che ricopre con coscienza, passione e grande impegno da oltre vent’anni.

In tutte le storie si parte sempre dal principio, mi racconti come ti sei avvicinato alla musica?

Era il lontano 1989 quando iniziai a lavorare alla Dischi Ricordi, una volontà e una passione vera. Un primo passo nella musica lo avevo già fatto qualche anno prima in radio, come tanti altri giovani dell’epoca. Passato all’etichetta ho cominciato ad occuparmi subito di promozione, stando sempre dalla parte degli artisti, mi piace rimarcarlo. Penso sia molto importante l’idea di team, perchè i cantanti devono fare i cantanti, non i manager o i promotori di loro stessi. Per questo motivo sono importanti le singole figure che si occupano di un progetto, contribuendo o meno al suo eventuale successo.

L’esperienza si ottiene con gli anni, mentre la passione è un biglietto da visita che o ce l’hai o non ce l’hai. Come si è evoluto il tuo mestiere negli anni?

Questo mestiere non si impara sui libri di scuola, bisogna sperimentare sul campo, apprendendo dalle persone con più esperienza di te. Il mio grande maestro è stato il compianto Michele Mondella, lui ha fatto la storia della RCA e mi ha insegnato le basi. Averlo al mio fianco è stato uno stimolo continuo, quotidiano. Ho cercato di attingere anche dalla persona, dal suo essere pragmatico, determinato, innamorato del proprio lavoro, coinvolgente, folle, ma al tempo stesso lucido in qualsiasi sua decisione.

Come si è evoluto negli anni il mondo della discografia?

Ahimè, lo dico con dolore, non in meglio. Quando lasciai la discografia una ventina di anni fa, qualcosa già scricchiolava. Per fare promozione ci vogliono idee e le idee hanno un costo. Con il tempo si è persa sempre di più la voglia di investire e di rischiare, giocando più sul sicuro. Quando mi sono accorto che le giornate cominciavano ad essere simili e che un disco lo lavoravo uguale all’altro, ho mollato.. anche perchè in parallelo mi era stata offerta la direzione artistica di un network importante come Radio Italia. Comunque, già da allora sentivo odore di bruciato, perchè si vendevano meno dischi e, di conseguenza, i budget erano sempre più ridotti. Da lì si è cominciato a seguire i progetti in maniera standard, di fatto come si lavora oggi.

Antonio Vandoni: "La musica è sempre indispensabile"

Umanità e professionalità non vanno sempre a braccetto, conoscendoti devo asserire il contrario. In un ambiente tosto come questo, come sei riuscito a preservare valori come l’altruismo, la solidarietà, la correttezza, la cordialità?

Ti ringrazio per queste belle parole, ma cerco di essere semplicemente me stesso, sul lavoro come nella vita. Mi vergognerei ad indossare una maschera la mattina e toglierla la sera quando esco dall’ufficio. Chi mi conosce sa quanta professionalità e quanta passione ci metto, null’altro. Per me contano più le persone che le aziende, anche le star più famose con cui ho avuto il piacere di lavorare in questi trentadue anni, non ho mai cercato in loro né l’amicizia né la gratitudine, perchè ero già appagato dal ruolo che ricoprivo, dal cercare di ottenere risultati insieme, con loro e per loro.

In un mondo di plastica come quello del music entertainment, forse, è venuta fuori la mia personalità. In questo ambiente ci sono tante figure che assecondano i cantanti in tutto e per tutto, non facendo loro del bene. Più che i pregi ho sempre cercato di evidenziare i difetti, cosa molto apprezzata dagli stessi artisti, che nelle mie parole hanno sempre intuito onestà. C’è modo e modo di esprimere un’opinione, ma il confronto è sempre necessario. L’importante è far capire di essere dalla loro parte, anche se su alcuni punti si può pensarla diversamente.

Arrivando al ruolo di direttore artistico di Radio Italia, a questa lunga storia d’amore che prosegue da oltre vent’anni, quante proposte ricevi in media alla settimana e qual è il criterio di selezione?

Questo è il bello del mio lavoro, il bello nel brutto diciamo… perchè per cinque “amici” che mi faccio in virtù della programmazione radiofonica settimanale, più di cinquanta diventano automaticamente “nemici”. Negli anni la proposta si è decuplicata. Bisogna cecare di mantenere alti i risultati di un network come Radio Italia, tenendo conto dei pochi spazi a disposizione. In media ricevo dai dieci ai quindici singoli al giorno, tra major, produttori indipendenti e gli stessi artisti. Come fai ad inserirli tutti? Non puoi proporre solo novità, perchè la forza della nostra emittente è rappresentata anche dal repertorio, dai grandi classici della canzone italiana. Un palinsesto variegato che cerca di accontentare un po’ tutti.

Certo che deve essere un bell’esercizio annullare i propri gusti personali per cercare di intercettare le richieste del pubblico…

Puoi dirlo forte! Bisogna sempre tenere a mente che il palato da soddisfare è quello degli ascoltatori, non il proprio. Poi, in macchina o a casa, mi dedico a quello che più mi piace, ma sul lavoro devo portare avanti soltanto la nostra linea editoriale, cercando di commettere meno errori possibili, confrontandomi con l’attuale mercato e con i nuovi mezzi messi a disposizione dalla tecnologia, arrivando a capire perchè la musica si muove in una determinata direzione.

Detto così può sembrare un brutto mestiere (sorride, ndr), invece ci tengo a sottolineare che sono grato alla vita per questo, cioè.. mi pagano per ascoltare musica, per giunta prima degli altri, e per poter dare anche qualche mio piccolo consiglio. Ieri, ad esempio, ho ricevuto un messaggio che mi ha lusingato da parte di Edoardo Bennato, nel quale mi chiedeva quale scelta fare sul prossimo singolo. Capisci? Questo è un lavoro che mi meraviglia sempre, ogni giorno di più.

Antonio Vandoni: "La musica è sempre indispensabile" 1

Cosa rispondi ai maligni che sostengono che, oggi come oggi, i direttori artistici delle radio non esistono più, che i palinsesti dei network si somigliano e che tengono conto solo delle mode del momento? 

Che hanno ragione tra virgolette, il concetto è giusto dal loro punto di vista, lo si può dedurre osservando le playlist delle varie radio e le classifiche dei passaggi EarOne. Non per fare l’aziendalista, atteggiamento che non mi appartiene per nulla, ma Radio Italia si distingue davvero in questo, non soltanto perchè trasmettiamo solo musica italiana, anche perchè c’è tipo e tipo di musica italiana. Vedi, quella editoriale non è una linea immaginaria, bisogna stare all’interno di certi parametri, cercando di proporre qualcosa di nuovo sì, ma gradualmente.

Il nostro è un publico abituato a certi suoni e certe metriche, in più la storia ci insegna che le rivoluzioni in radio non funzionano. Non puoi stravolgere totalmente la programmazione solo perchè oggi va di moda… supponiamo per esempio… la musica indiana. Non solo non conquisti nuovi ascoltatori, ma rischi di perdere quelli che da trentotto anni ti seguono. Bisogna restare fedeli alla propria linea, apportando qualche piccola variazione, magari nelle fasce orarie giuste, per stare al passo coi tempi, ma senza troppi traumi.

Quali criticità ha portato la pandemia nel tuo settore?

Grandi criticità non ce ne sono state, ci siamo limitati a prendere decisioni ancora più mirate. In questa pandemia abbiamo sofferto tutti, anche solo leggendo notizie o guardando il telegiornale, di conseguenza la gente è esasperata. Il nostro ruolo è quello di intrattenere, i nostri ascoltatori ci chiedono musica allegra e di non parlare soltanto di quello che sta accadendo nel mondo, 24 ore su 24. C’è questa necessità, per cui le nostre scelte sono state fatte con criterio, con il solo obiettivo di far svagare il pubblico.

Avrai sicuramente tanti amici che hanno a che a fare con il mondo dei live, loro sì che sono stati colpiti e tutt’ora sono ancora fermi…

Dici bene, la crisi maggiore ce l’hanno i musicisti, i tecnici, i fonici, gli operatori dello spettacolo e gli artisti stessi, perché loro vivono dell’applauso del pubblico, non c’è gratificazione ugualmente appagante. Di questo passo, anche la creatività ne risente, perchè subentrano altri fattori come la depressione, lo sconforto, l’incertezza e le mille domande sul futuro. Una confusione che porta a non avere la mente libera per scrivere e comporre, in più mettici le difficoltà di un settore immenso che soffre il quotidiano, una categoria che è stata ignorata radicalmente.

Antonio Vandoni: "La musica è sempre indispensabile" 2

Croce e delizia di tutta questa situazione sarà il Festival di Sanremo, forse come mai nella sua storia. Come te la immagini la prossima edizione?

Non ho risposte adeguate a riguardo, ma non per fare il diplomatico, sia chiaro, specie con te. Siamo davvero tutti sulla stessa barca, non sappiamo come sarà il Sanremo che abbiamo davanti a noi. L’applauso, la standing ovation, le emozioni del pubblico in sala e di quello fuori dall’Ariston, cose che solo ad elencartele mi si rizza il pelo. Tutto questo ci mancherà tantissimo, per cui non so immaginare che Festival sarà, ma sono d’accordo nel farlo ugualmente, per svegliare gli animi e richiamare l’attenzione sull’intero settore. L’augurio è che sia un veicolo, come accaduto spesso nella storia della kermesse, per lanciare messaggi socialmente importanti.

A livello emotivo, che ruolo può avere la musica in un momento così complicato dal punto di vista sanitario, economico e politico?

Il valore terapeutico della musica non lo scopriamo di certo adesso, anche solo come semplice fonte di evasione, per viaggiare con la testa, ove non ci è consentito farlo fisicamente. Una canzone è in grado di portarci ovunque, su una spiaggia tropicale, piuttosto che sulla luna, ma anche indietro nel tempo attraverso i nostri ricordi. Insomma, la musica è sempre indispensabile.

Il percorso di Alessio Bernabei riparte da “Everest”, tappa rappresentativa di una nuova conquistata consapevolezza

Alessio Bernabei
Alessio Bernabei si racconta ai lettori di Musica361 © foto di Frank Meta

La musica non ti tradisce, al massimo possono farlo le aspettative che riponi in lei. Con questa bella lezione Alessio Bernabei si mostra come non aveva mai fatto prima, con l’onestà e la trasparenza di chi ha vissuto esperienze importanti, traguardi e batoste che lo hanno forgiato, arricchito e portato a comporre con una nuova consapevolezza.

Everest” per te è più una tappa di passaggio o una meta cercata e desiderata di questo tuo viaggio?

Una tappa fondamentale, non di passaggio. Una giusta via di mezzo, un passo importante in questo momento della mia carriera, ma il primo tassello di un mosaico che, spero, si possa in futuro arricchire di nuovi colori. Ho voglia di fare e di crescere, dando sempre il meglio, mettendoci tutta la verità che possiedo. “Everest” è sicuramente un buon punto di partenza di questa mia nuova consapevolezza.

Quali skills pensi di aver acquisito rispetto ai tuoi precedenti lavori?

In primis la pazienza, sicuramente, abbinata alla perseveranza. Ho imparato a guardare più lontano rispetto a quanto facevo in passato, maturando la giusta forza di volontà per affrontare al meglio le cose, senza fretta, perchè il bello della vita è proprio godersi il viaggio, senza preoccuparsi troppo della meta.

Un viaggio in cui sono fondamentali anche i compagni di avventura, come ti trovi con il tuo team di lavoro?

Credo che la forza di un’artista sia data anche dalla squadra che scegli di avere alle spalle. Ho la fortuna di lavorare con persone speciali, perchè mi trasmettono grande serenità. Dall’ufficio stampa alla mia nuova etichetta Zero11 dischi, sento di appartenere ad un gruppo che mi regala la giusta tranquillità per fare le cose al meglio. Trovo che questo sia essenziale, è inutile suonare e cantare facendo finta di nulla quando dentro di te hai il caos. Le persone che ho intorno sono fondamentali per permettermi di esprimere al massimo le mie potenzialità.

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

La musica è la mia compagna, la mia migliore amica e, molte volte, anche la mia nemica. E’ una parte di me con cui ho imparato a convivere, a comprendere, perchè non mi ha mai tradito. Mi accompagna nel quotidiano, alterno momenti di silenzio a momenti in cui l’ascolto per scaricare la tensione, perchè lo stress svanisce quando ascolti una bella canzone.

Se dovessimo definire “Everest” con un’emozione, uno stato d’animo, quale sceglieresti?

La consapevolezza, qualcosa che cerco da sempre e che ho raggiunto maggiormente rispetto al passato, ma che non ho ancora maturato appieno dentro di me. Penso che passerò la vita a rincorrerla, perchè credo si tratti di un viaggio infinito. Sono felice così, cercandola e inseguendola per acquisirla sempre in maggior quantità.

Quattro chiacchiere con Francesca Simplicio, tour manager, esperta organizzatrice di concerti ed eventi

Francesca Simplicio: ""
Francesca Simplicio si racconta ai lettori di Musica361, il ritratto di un’appassionata professionista dei live

L’esperienza arriva col tempo, la passione o ce l’hai dalla nascita o non l’acquisisci da nessun’altra parte. Questa la riflessione ispirata dalla piacevole chiacchierata realizzata con Francesca Simplicio, giovane ma già navigata conoscitrice del mondo dei live. Abbiamo il piacere di approfondire la sua storia professionale, ospitandola in questo nono appuntamento della rubrica Protagonisti in secondo piano“.

Come ti sei avvicinata a questo mondo?

All’età di circa tredici anni ero una fan di Ambra Angiolini, nutrivo ammirazione per lei e, forse, anche una sorta di innamoramento molto adolescenziale. Abitavo a Bari, lei a Roma, tra viaggi e imboscate sotto casa, sono riuscita a conoscerla. Lei mi ha un po’ scelto tra i numerosi ragazzi che la seguivano in quel momento, poi il rapporto è andato avanti nel tempo. E’ stata Ambra ad avvicinarmi a questo settore, intercettando la mia passione per il mondo dello spettacolo, più precisamente per tutto ciò che concerne la parte backstage. Da lì sono diventata l’assistente della sua manager dell’epoca, per poi aprirmi ad altre collaborazioni. Tra i primi artisti con cui ho lavorato ricordo Alex Britti, Francesco Renga e Neffa. Comunque sia, devo dare merito di tutto ad Ambra e sono molto fiera di dirlo (sorride, ndr).

Come si è evoluto il tuo mestiere nel tempo?

Ero talmente tanto appassionata e affamata di questo lavoro che, nel giro di breve tempo, ho cominciato a scalare la vetta. Poco dopo sono passata in Friends & Partners, dove ho cominciato ad occuparmi anche di produzione, quello che negli anni è diventato poi il mio campo principale. Sono rimasta lì per dieci anni, ho imparato tantissimo, Ferdinando Salzano è tutt’oggi un punto di riferimento per me, una persona che stimo moltissimo. Ad un certo punto, però, ho avvertito l’urgenza di andare un pochino oltre, sentivo di aver appreso tutto da quella situazione, così ho deciso di mettermi in proprio per seguire a 360° un progetto da sola, dall’inizio alla fine.

Ho continuato a seguire alcuni loro artisti da esterna, aprendomi ad altre collaborazioni, tra cui anche con Vivo Concerti, fino a quando ho deciso di investire maggiormente nella mia propensione per la parte logistica, mettendo in piedi una società insieme ad una mia vecchia conoscenza. Poche settimane dopo mi ha contattato Laura Pausini, che avevo già avevo incrociato come interna F&P, anche se non ci conoscevamo benissimo, o meglio io avevo la vaga idea di chi fosse (ride, ndr). E’ stata una bella botta di fortuna, ma anche di lavoro, perchè stare al suo fianco è davvero una palestra.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza lavorativa con Laura Pausini?

Posso affermare con assoluta certezza che, in tre anni con lei, ho imparato più che in tutte le altre esperienze messe insieme. Parliamo proprio di un altro livello, perchè mi ha insegnato a considerare tante sfumature che avevo sempre ignorato, dettagli che fino a quel momento avevo trascurato. Laura mi ha completato del tutto, grazie a lei mi sento di poter affrontare lavorativamente qualsiasi cosa.

Mi togli una curiosità? In cosa consiste esattamente il ruolo del tour manager?

Sai che non ti so rispondere? Me lo chiedo anche io e me lo chiedono tutte le persone alle quali cerco di spiegare questo ruolo. E’ uno dei tanti lavori improvvisati che fanno parte di questo settore. Il tour manager è quello che gestisce tutta la parte logistica dell’artista e del suo staff, eventualmente anche dei musicisti e dei tecnici. L’addetto che prenota aerei, hotel e ristoranti, in parole povere la persona che ti fa viaggiare, dormire e mangiare. Sostanzialmente è un plus, una figura che ti puoi permettere solo quando hai una certa disponibilità economica. Si aggiunge all’assistente che l’artista ha già a sua disposizione, ma si occupa solo della parte relativa agli spostamenti.

Francesca Simplicio: "" 1

A complicare ulteriormente le cose è arrivata la pandemia, anche se il mondo della musica, forse, non se la passava benissimo anche prima…

Questa è una nota dolente. Sarò impopolare, ma credo che non ci stiamo supportando l’un l’atro nel modo giusto e non intendo solo con sovvenzioni o slogan. Un passo che avremmo potuto e dovuto fare già da tempo perchè, come hai giustamente sottolineato, la musica non se la passa bene già da un po’. La paura è che si stia perdendo totalmente di vista la qualità della musica e di questo mestiere. Il nostro compito è quello di far divertire, non salviamo certo delle vite, però quanto ci manca un concerto? Ce ne stiamo rendendo conto proprio in questo momento. Quindi, anche il nostro è un mestiere che merita rispetto.

Quale potrebbero essere, secondo te, le soluzioni?

Credo che tutti insieme dovremmo tornare agli antipodi, pensare più alla parte artistica dell’intrattenimento, parlo anche da fruitrice. Bellissimi i concerti di Madonna, Beyoncè e Rihanna, ma sembrano degli spettacoli di Las Vegas, c’è troppa roba, rischi di perderti delle parti importanti. Prendiamo in esame Franco Battiato, che a me piace tantissimi, ma che purtroppo mai avuto la fortuna di incrociare lavorativamente. L’ho visto l’ultima volta a Caracalla qualche anno fa, sul palco aveva soltanto cinque sedie per l’orchestra. Il concerto è iniziato alle otto e mezza, dopo due minuti già piangevo. Quando è finito… piangevo ancora. Tornare all’essenzialità aiuterebbe anche dal punto di vista economico. Al contempo, siamo tutti schierati sui social a scrivere “torneremo, torneremo”. Ma quando e come torneremo, se nel frattempo molti professionisti saranno costretti a cambiare mestiere per poter arrivare alla fine del mese?

Tu, personalmente, come ti stai reinventando?

In questo momento sono fortunata nel poter seguire altri eventi, non per forza inerenti alla musica. Per il resto, avendo a disposizione tanto tempo libero, passo le giornate a casa a cucinare per gli amici!

In conclusione, cosa ti manca di più dei live?

L’inizio, quando si accendono le luci, il boato del pubblico e l’adrenalina che condividi con tutte le persone intorno a te. Mi manca quel momento lì, chiaramente a seguire tutto quello che c’è anche prima, durante e dopo, un grande lavoro di squadra. Ma se proprio devo trovare un momento, ti direi questo perchè è l’istante in cui mi sento parte di qualcosa di grande e mi sento ripagata davvero di tutto. E mentre te lo dico giuro che mi è venuta la pelle d’oca!

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