Sentinelli, con “Dicono” sfida le convenzioni sociali
Sentinelli, con “Dicono” sfida le convenzioni sociali, un grido di ribellione contro le pressioni e le aspettative imposte dalla società
Il cantautore romano Sentinelli presenta il suo nuovo singolo “Dicono” (Balene Records), il brano, disponibile in radio e sulle piattaforme dal 20 Settembre e accompagnato dal videoclip pubblicato in anteprima su Repubblica, esplora con lucidità e schiettezza il senso di impotenza che spesso accompagna chi cerca di sottrarsi ai modelli preconfezionati, mostrando una realtà in cui le scelte sembrano essere già scritte.
Nel testo, Sentinelli dipinge immagini di un mare e di un’astronave, simboli di una libertà che si rivela solo apparente, mentre le regole non scritte limitano ogni azione. Con una vena provocatoria, il cantautore denuncia il conformismo imperante, riconoscendo tuttavia quanto sia difficile sfuggire a queste dinamiche. Come lui stesso afferma: “Dicono tutti cosa fare, ma sono solo cazzate”.
Prodotto da Paolo Sentinelli e registrato presso NMG Studio, il brano vede la collaborazione di Leonardo Sentinelli alla batteria, Andrea Di Nunzio al basso e alle chitarre insieme ad Andrea Messina, con il mix e il mastering curati da Alex Di Nunzio.
Con oltre 158.000 stream su Spotify, l’artista continua a farsi portavoce delle inquietudini della sua generazione. “Dicono” è ora disponibile dal 20 Settembre su tutte le piattaforme digitali e in rotazione radiofonica.
Tommaso Sentinelli, conosciuto artisticamente come Sentinelli, è nato a Roma nel 2001 in una famiglia di musicisti. Fin da piccolo ha dimostrato una naturale predisposizione alla musica, iniziando presto a comporre melodie e testi.
Oggi, con le sue canzoni, dà voce ai sentimenti e alle difficoltà della sua generazione. Con oltre 158.000 stream su Spotify, ha già calcato palchi importanti come quello dell’Hard Rock Café di Roma ed è stato testimonial musicale al Festival dello Studente.
I suoi videoclip sono stati trasmessi nelle metropolitane e negli aeroporti attraverso il network Telesia. Attualmente, Sentinelli guida lo staff di Spotted Sapienza, dedicandosi con passione alla crescita del movimento musicale emergente.
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Max Casali, Ar-Dente e l’urgenza dietro questo progetto
Max Casali, un artista che attinge all’attualità e al mondo che scorre intono a lui, quello che vede lo mette in musica
Max Casali è un artista senza peli sulla lingua, un artista che attinge all’attualità e al mondo che scorre intono a lui. Quello che vede lo mette in musica, con attenzione, sagacia e riuscendo a mettere nella sua musica la sua visione della realtà. Un artista sincero e il suo ultimo progetto “Ar-Dente” è la dimostrazione della sua verità e del suo modo versatile di raccontare ciò che lo circonda attraverso la musica. Noi lo abbiamo raggiunto per farci raccontare la sua idea di musica dietro il progetto “Ar-Dente”.
Il ritorno dopo tre anni dall’ultimo lavoro. Quali esigenze si porta “Ar-dente”?
Ciao a tutto voi. Si porta dietro la mai sopita urgenza di portare a conoscenza della gente che, se risvegliamo le nostre coscienze, potremo tornare a far quadrato e non subire più tutte le imposizioni di una dittatura “gentile”, che vuole addormentare un popolo per non risvegliare fermenti di protesta e rivoluzione ma serve che si torni a ri-esumare il senso critico dei fatti, senza il quale ci si rassegna nel poco o nulla.
Come nasce nel concreto però questo progetto?
Nasce in maniera “artigianale”, ancora scevro da diavolerie tecnologiche, autotune, intelligenza artificiale per far capire quanto sia decisamente importante offrire delle proposte vere, manuali, spontanee e dettate dall’anima, che siano dalla parte delle persone.
11 brani inediti più una bonus track tra critica e denuncia sociale. Uno sguardo all’attualità sempre presente nei suoi lavori…
Beh, credo che la mia cifra identitaria sia propria questa: la critica sociale certo! Ma anche incoraggiamento, esortazione, diletto e riflessione, proprio per continuare fermamente nel mio “credo” di riportare il pensiero attivo nel nostro quotidiano.
Lo sguardo all’attualità per un cantautore è necessario, ma cosa vede nella realtà che la circonda?
Vedo, ahimè! Che ci si accontenta del superficiale, dell’inutile, della canzonetta da fischiettare un mese e poi cestinarla per dar posto ad altri episodi inconsistenti. Intendiamoci: non dico che non ci debba essere leggerezza per smorzare la fatica del vivere ma, al contempo, riaffermare la propria persona con spirito attento e costruttivo.
Cosa troviamo di Max Casali in “Ar-dente”?
Praticamente tutto! Ogni pensiero è come lo si interpreta, ossia trasparente e diretto. Guai, se non fosse così! Non me lo perdonerei e se dovessi accorgermi che un giorno non dovesse essere più così, non esiterei a poggiare la penna nel dimenticatoio.
C’è un brano che più di tutti racconta questo album?
Sicuramente “sGANGherati”, “Guerra e (ra)pace” e “Covi(d)i iene. Tre temi molto crudi e Ar-denti che evidenziano le allarmanti tematiche delle baby-gang e relativa deriva educativa, lo sfruttamento delle guerre per ricavarne ricchi affari e le menzogne devastanti che ci hanno raccontato sui vaccini.
Cosa spera che il pubblico recepisca da questo progetto?
Spero che colga nei miei brani, quella voglia di reagire contro le imposizioni e le prepotenze di potere e che non si rassegni ad un mero ruolo da spettatore ma, bensì, a tornare sano protagonista del vivere.
Può già aggiornarci sui live e su come porterà questo album in giro?
Ancora non ci sono date, poiché occorre attendere il responso del pubblico per poi, eventualmente, metter su una band per promozionare il tutto. Al momento siamo impegnati nella produzione del videoclip di “Diamoci una mossa”, brano che apre il progetto e che farà da traino al disco
In conclusione: qual è l’augurio che si fa per questo album?
Auguro che si possa coglierne l’essenza del messaggio, trovare spunti di riflessioni personali per realizzare che, nel fuoco degli 11 brani, ci sia ancora l’intenzione di tenere accesa la fiammella della speranza.
Articolo a cura di Francesco Nuccitelli
Cabrio: l’ultimo singolo “Non chiamarmi più”!
Cabrio: “Non chiamarmi più”! L’ultimo singolo del cantautore siciliano suona come dei titoli di coda che mettono la parola fine ad un rapporto amicale che stava per sfociare in altro
Angelo Soraci, in arte Cabrio, è un artista messinese che viaggia portando sempre con sé la sua chitarra. Torna alla ribalta con una traccia pop dal ritmo soft, in pieno clima autunnale e con tutte le carte in regola per rimanere impressa. Il brano, composto da tre voci con la collaborazione di Sandra e del rapper Maxi B, fa pensare alla fine di una relazione sentimentale, forse mai iniziata. Il protagonista rifiuta i continui inviti da parte di lei, perdutamente innamorata, e finiscono per dirsi addio.
Angelo benvenuto tra di noi, piacere di conoscerti! Come procede questo periodo della tua vita?
È un periodo abbastanza florido musicalmente parlando, ho molte idee e riesco a renderle concrete. L’ultimo singolo stava nel cassetto già da un po’ di tempo, non era una novità; ho aspettato solo il momento giusto per tirarlo fuori.
Entriamo subito nel merito di questa canzone, “Non chiamarmi più”. Come hai sentito che questo fosse il momento giusto per partorirla?
Ci abbiamo riflettuto su e abbiamo notato che non era un brano prettamente estivo perché non si presta ad essere un tormentone. La prima data disponibile era a settembre che penso sia il momento perfetto poiché la canzone ha anche un’impronta autunnale, si sposa bene con la stagione in corso e fa da coda all’estate. Sono molto propenso per la periodicità dei brani, da sempre. Gli ascolti stanno andando molto bene quindi il periodo si è rivelato azzeccato.
Che significato ha per te questa canzone?
È abbastanza triste e malinconica. C’è questo protagonista che rifiuta i continui inviti da parte di questa donna. Essere rifiutati è sempre una sensazione spiacevole. È la versione triste de “La regola dell’amico” di Max Pezzali, ed è vista anche dall’altra sponda, ovvero è lui che rifiuta lei per la troppa amicizia che li lega.
Sei del parere che possa esistere l’amicizia tra uomo e donna?
Secondo me sì, l’ho sperimentato nel corso degli anni, non vedo nulla di male e di malizioso. Per certi versi l’uomo riesce a confidarsi più con una donna che con un suo amico.
Come nasce l’idea del videoclip?
Io sono molto appassionato di manga, tutto ciò che riguarda i fumetti mi piace. Abbiamo usato l’intelligenza artificiale ed è venuto fuori il quotidiano, anche dal testo della stessa canzone.
In generale come trovi l’ispirazione?
Mi affido a ciò che vedo in giro o a quello che mi succede. L’indie è questo, è una descrizione della tua giornata. Mi piace narrare la mia vita. In questo ultimo singolo, racconto la storia di un mio amico; ci trovavamo a Sanremo, in un bar, e mi ha esplicitato bene questa situazione con molti dettagli.
Che rapporto hai con la Sicilia? Che clima musicale si respira?
Io abito a Messina, qui si vive bene. Questa amministrazione dà molto spazio agli artisti a 360 gradi, pittori, ballerini, musicisti e quanto altro; organizzano sempre serate che hanno successo. Ci sono diverse radio locali che hanno dei bei progetti, invitano cantanti affermati ed emergenti. La parola giusta per questa regione è sicuramente ospitalità.
Da dove viene il tuo nome d’arte “Cabrio”?
È nato tanto tempo fa all’uscita del mio primo disco che abbiamo definito “on the road”, da ascoltare in macchina appunto. In quel momento sono venuti fuori tanti nomi strani, tra cui Cabrio che era quello più piccolo e d’impatto. Si riferisce al tema del viaggio e mi reputo un assiduo ascoltatore di musica in macchina tra radio e CD.
Da quando hai esordito ad oggi ti vedi cambiato?
Da quel momento sono passati 22 anni. Ho attraversato l’adolescenza e la maturità e lo stacco tra le due fasi è notevole. Anche la qualità degli argomenti trattati e il modo in cui sono stati esposti è migliorato.
Andando un po’ a ritroso, la passione per la musica nasce dentro casa tua?
Sì, mio nonno aveva una collezione innumerevole di dischi. La prima musica che ascoltavo era quella di Celentano che poi mi ha influenzato quando mi ci sono cimentato. Mi ha sbloccato anche a suonare la chitarra, il mio strumento preferito. Quello che riesco ad esprimere attraverso di essa, non lo faccio con nessun altro strumento.
In questi 22 anni di carriera qual è l’emozione più forte che hai vissuto o il ricordo più bello che conservi?
Nel 2019 ho partecipato a Locarno al “City of guitars” e ho vinto questo premio. Mandai una demo voce e chitarra e mi chiamarono per dirmi che avevo vinto. Mi sono esibito su quel palco ed è stata la soddisfazione più grande, quella sera c’era tanta gente di spessore come Massimo Luca, Federico Poggipollini, Enrico Ruggeri.
Cosa provi quando sei sul palco nei live?
Sono un piacione, faccio sempre battute, mi piace intrattenere e prendermi la dovuta confidenza. Non mi piace a volte quel distacco che si viene a creare tra pubblico e artista. Sono un compagnone e ho costruito un bel rapporto con loro, li definisco i miei discepoli.
Qual è il tuo brano manifesto?
“Dinosauri”, assolutamente senza ombra di dubbio. Ero fermo davanti ad un cinema e mi sono messo a scriverlo in macchina, ce l’avevo in testa. È la traccia con più ascolti e me la chiedono sempre durante i concerti. Qualcuno mi chiama anche Cabriosauro!
A cosa stai lavorando adesso?
Ti faccio un piccolo spoiler. Stiamo chiudendo un disco interamente in acustico, sono tutte canzoni mie riarrangiate in modo molto spoglio, proprio per far vedere alla gente come nasce un brano e che tipo di intimità si crea tra strumento, testo e voce. Mi sono accorto che alcune tracce potrebbero assumere un altro aspetto.
Articolo a cura di Simone Ferri
WhiteShark, un inno alla luce interiore con “”Sharkstar”
WhiteShark, presentano il nuovo singolo “Sharkstar”, il brano invita a far emergere e a mostrare al mondo la propria luce interiore nonostante le difficoltà
Con grande entusiasmo e ironia i WhiteShark presentano il loro nuovo singolo “Sharkstar”, un brano che celebra la forza interiore e il potere individuale di brillare anche di fronte alle sfide
Il singolo fa parte del progetto “Viaggio nell’Essenza di WhiteShark”, un percorso musicale che esplora l’identità e la crescita personale attraverso suoni intensi e testi significativi.
“Sharkstar” è un vero e proprio inno alla resilienza e all’unicità di ciascuno di noi. Con una produzione potente e un ritmo travolgente, il brano invita gli ascoltatori a emergere dalle difficoltà e a mostrare al mondo la loro luce interiore nonostante gli ostacoli. È una chiamata a riscoprire il proprio valore e a risplendere come una stella nel proprio diritto.
Una celebrazione del potere individuale e della capacità di risalire a galla nonostante gli ostacoli incoraggiando l’ascoltatore ad emergere e mostrare la propria luce: “siamo tutti stelle, è un nostro diritto”
I WhiteShark dichiarano: «il nostro intento era quello di creare una canzone che ricordasse a tutti quanto sia davvero importante non nascondere mai i propri sentimenti la propria luce. “Sharkstar” è un promemoria ironico che anche nei momenti più bui abbiamo il potere di brillare e di essere una fonte di ispirazione per gli altri».
“Sharkstar” è il punto di partenza ed è una parte fondamentale del progetto, che esplora temi come la scoperta di sé la forza interiore e la capacità di superare le avversità. Ogni traccia del progetto offre un nuovo sguardo sulla complessità dell’esperienza umana, offrendo agli ascoltatori non solo musica ma anche un’opportunità di riflessione e crescita.
Daniele Scavetta, in arte “Scave”, e Simone Filipazzi, in arte “Simoroy”, insieme formano il gruppo “WhiteShark”. Si conoscono per la prima volta a un contest live di Milano e successivamente si rincontrano in uno studio di registrazione a Muggiò (MB) per puro caso.
Dopo un po’ di featuring reciproci con i nomi d’arte Scave e Simoroy nel 2018 decidono di formare il gruppo WhiteShark esordendo con un EP di 4 tracce dal titolo “Quanto Basta” condito da due videoclip: “Muovilo” e “Non fa per me”.
Successivamente escono vari altri singoli, tra cui “Accelera” in collaborazione con il noto rapper Vacca. Nel frattempo iniziano a girare per la Lombardia aprendo eventi importanti come il concerto di Shiva al Carroponte davanti a 3000 persone.
Nel 2022 è uscito il loro primo album “Brezis vol.1”; l’idea del titolo è presa dallo slang con cui identificano la loro fanbase, la “Brezis family”; proprio per dar valore a chi li supporta, “no Brezis? Exit!”.
I due ragazzi della provincia milanese si muovono tra varie sonorità riuscendo a dare alla propria musica più sfaccettature ma mantenendo la loro identità, questo li caratterizza evidenziando la loro versatilità.
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Gianfranco Caliendo, una carriera unica e inimitabile
Gianfranco Caliendo, una carriera unica e inimitabile colma di emozioni e contornata da grandi incontri e collaborazioni uniche
Gianfranco Caliendo è uno dei grandi nomi della musica italiana; un pezzo di storia che per quasi cinquant’anni ha calcato alcuni dei palchi più importanti d’Italia e d’Europa e realizzato canzoni immortali. Frontman, voce principale, chitarrista, autore de Il Giardino dei Semplici e anche fondatore della Miele Band, per Gianfranco una carriera unica e inimitabile, contornata da grandi incontri e collaborazioni uniche. M’innamorai,Concerto in La Minore, Miele, Tu, ca nun chiagne e Vai, sono solo alcuni dei capolavori che hanno resistito al tempo e che ancora oggi sono considerati veri evergreen musicali.
Insieme a Gianni Averardi, ha fondato il progetto della band nel giugno del 1974, ma è solo nel 1975 che, con il nome ufficiale (Il Giardino dei Semplici ndr.) e con M’innamoraicome primo 45 giri, che parte questa avventura unica. Storia musicale arrivata ai giorni d’oggi e che ha fatto entrare Gianfranco Caliendo nell’olimpo della musica italiana,
Noi lo abbiamo raggiunto per farci raccontare questi quasi cinquant’anni di musica e di vita.
Salve Gianfranco, è un piacere e un onore averla tra le nostre pagine. Inizierei chiedendole come sta?
Il piacere è tutto mio, perché ho grande rispetto e ammirazione per chi si occupa ancora di musica e ne tutela la bellezza e l’integrità culturale. Io sto abbastanza bene, compatibilmente con gli acciacchi dell’età che, ahimè, non blocca la sua crescita!
La sua è una carriera ricca di grandi successi e di momenti indimenticabili.
Assolutamente vero. In una carriera come la mia, c’è una cosa che è praticamente inevitabile e non può mai mancare: le emozioni. Forse, questo è uno degli aspetti più confortanti di un percorso artistico simile al mio.
Circa cinquant’anni di carriera, tra il Giardino dei Semplici, la Miele Band, le varie collaborazioni e ovviamente, le tantissime canzoni di questi anni. Tuttavia, c’è un momento che, più di tutti, è impresso nel suo cuore?
A marzo del 2025, saranno ufficialmente 50 anni dalla nascita del gruppo de Il Giardino dei Semplici, e quindi 50 anni di carriera professionistica. Momenti indimenticabili ce ne sono stati tanti, soprattutto nei primi anni. Ma devo dirti che il momento che ha lasciato un ricordo impresso nel cuore più di tutti gli altri, è stato quello legato alla partecipazione di mia figlia Giada al Festival di Sanremo 2001, quando si esibì per la prima volta sul palco dell’Ariston subito dopo un’artista che era il suo idolo (Giorgia). Io ho tremato di emozione e di gioia, molto di più di quando, quest’esperienza, l’ho vissuta in prima persona.
Gran parte della sua carriera è invece legata all’esperienza con Il Giardino dei Semplici. Che avventura è stata per lei?
Condividere 38 anni della tua vita così intensamente, giorno e notte, con altre tre persone, significa vivere un’avventura importante per la tua esistenza. Scriveva Mogol nella celebre canzone di Battisti: “… non è un fuoco che col vento può morire, ma vivrà quanto il mondo”. Poi, in realtà, non è andata così, ma è innegabile che per il pubblico tu resti sempre un Giardino dei Semplici, specie quando ne sei stato protagonista: frontman, cantante solista, autore e responsabile del “polo artistico” del gruppo. Quando vado in giro per concerti e ospitate varie, ricevo spesso manifestazioni di affetto da persone che riconoscono il mio ruolo “indispensabile” all’interno della band. Io rispondo “semplicemente” che le cose si modificano, e che ognuno decide il percorso della propria vita. Se fossi stato io a decidere, avrei dato assolutamente ragione a Mogol…
Parlando di ricordi, è del 2021 il suo libro Memorie di un Capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70. Un racconto autobiografico dove ripercorre la sua storia artistica e quella di un movimento musicale in costante evoluzione. Com’è nata però la voglia di raccontare la sua carriera?
Nel 2004, avevo pubblicato il mio primo libro, di tipologia didattica, Voci di dentro– viaggio nell’universo della voce e della tecnica vocale moderna, ed ebbi il tempo di scriverlo perché bloccato in casa in un periodo di degenza post-operatoria, dopo un intervento di bypass al cuore. In quel caso, appagai il mio desiderio di comunicare le mie sperimentazioni di “vocal coach”, molto prima che questa terminologia fosse coniata, e il libro è ancora distribuito e adottato in varie scuole italiane.
Invece, per Memorie di un Capellone, il blocco forzato è stato conseguenza della pandemia. Abituato a lavorare a tempo pieno… mi dissi che l’unica soluzione per utilizzare il tempo a disposizione in abbondanza, era occuparmi a scrivere i miei ricordi e le mie emozioni. In effetti, è uscito fuori un testo che racconta quasi 50 anni di scena sociale, culturale e musicale, con l’obiettivo puntato, in particolare, sugli anni ’70 e su come vivevamo e sognavamo noi… “capelloni”.
Questo libro è stato, per lei, anche un modo per fare un bilancio della sua vita?
Più che di bilancio, parlerei di riflessioni. Scrivendo il libro dei miei ricordi, mi sono reso conto di quante cose sono cambiate nel panorama musicale italiano e mondiale. I cambiamenti naturalmente sono visibili anche a livello sociale. Non voglio sembrare troppo innamorato dell’epoca dei “capelloni”, ma credo che negli ultimi anni stiamo vivendo una crescente “involuzione”, sia dal punto di vista culturale che da quello musicale.
Con il rischio di sapere già la risposta: tra quelle scritte in questi anni, qual è la canzone della sua vita?
Se per canzone della mia vita si intende la canzone che ha cambiato la mia vita, allora rispondo sicuramente: M’innamorai, cioè il brano di esordio con il Giardino, che mi diede la certezza che avrei potuto fare il mestiere di musicista. Dopo quell’estate del 1975, esattamente il 15 settembre, la canzone entrò nei “Dischi Caldi”, le canzoni in classifica tra il nono e il sedicesimo posto, irradiate radiofonicamente dalla voce di Giancarlo Guardabassi. A gennaio, dopo circa nove mesi dall’uscita ufficiale, entrò nella “Hit Parade” di Lelio Luttazzi, che trasmetteva le prime otto canzoni della classifica di vendite dischi.
È del 2016 l’album Amanapoli, una dichiarazione d’amore alla sua terra, condivisa con la sua compagna Flora. Un altro dei momenti importanti della sua carriera…
È vero, per me è stato un momento molto importante perché, pur essendo nato anagraficamente a Firenze, provengo da una famiglia molto napoletana. Mia madre era della zona Tribunali e mio padre della Sanità. Mio zio Eduardo è stato colui che ha fatto radicare dentro di me una “napoletanite acuta” in dose massiccia. Lui era un vero napoletano. Ha creato e suonato tutta la collana Napoletana di Roberto Murolo, ha avuto tra gli allievi tanti grandi napoletani (tra cui i Bennato, la NCCP, Mauro Di Domenico e lo stesso Murolo), mangiava napoletano, faceva un presepio spettacolare, amava l’arte napoletana, i Pulcinella, etc.
Quando sulla mia strada, poi, ho trovato una donna anche lei molto innamorata di Napoli, Flora Contento, ho beneficiato della sua passione per la città e per la nostra cultura. Insieme abbiamo scritto molte canzoni, perché lei è una fuoriclasse della “parola”, istintiva e geniale, e anche una deliziosa interprete di canzoni, soprattutto in lingua napoletana. Così decidemmo di registrare Amanapoli, che raccoglie brani del passato e anche di autori contemporanei, tra cui noi stessi. La scelta è stata sinceramente dettata solo ed esclusivamente dalle emozioni, e alcuni brani dell’album sono stati davvero molto apprezzati, sia da critica che da pubblico. Oggi, in tandem con i miei grandi amici di Radio Amore, Amanapoli è diventato anche un progetto “live”, nel quale ospitiamo le più belle voci del panorama partenopeo e le invitiamo a cantare esclusivamente nel nostro linguaggio.
Del 2022 è Oltre il Giardino, un album che vede anche la partecipazione del suo nuovo gruppo: la Miele Band. Questo progetto nacque per continuare questa sua grande storia d’amore con la musica, ma senza dimenticare il suo passato?
Il titolo dell’album trae spunto dall’omonimo film interpretato da Peter Sellers, in cui il giardiniere, che aveva vissuto tanti anni all’interno di una famiglia, si ritrova a doverne uscire e scopre che, al di fuori del suo “giardino”, c’è un mondo molto diverso da quello che ricordava. Per me, la Miele Band è divertimento, sperimentazione e nuovo modo di dialogare musicalmente. Il disco, invece, è molto rispettoso del mio passato e ripercorre le tappe più importanti della mia carriera con delle “aggiunte”, tra cui un omaggio al mio maestro Totò Savio in piena versione Squallor (Bla bla bla), il brano condiviso con le voci dei miei nuovi compagni di viaggio (Le Canzoni del Giardino) e un altro inedito, che verrà pubblicato in versione videoclip nel periodo prenatalizio.
Ora invece con uno sguardo al futuro: presto sarà il momento di Liverpoolcinella. Un progetto che la vedrà protagonista con Gianni Averardi per una rivisitazione dei Beatles, ma in chiave napoletana. Un progetto ambizioso, degno della sua storia artistica e della sua voglia di sperimentare…
Liverpoolcinella è una promessa finalmente saldata. Il progetto, che prevede nove canzoni dei Beatles tradotte in lingua napoletana, nacque dal sottoscritto e da Gianni Averardi nel 1979, ma rimase solo un sogno, perché le persone a cui lo proponemmo pensarono bene di appropriarsi dell’idea e di dirottarla verso altri musicisti. Ci siamo divertiti tanto a realizzarlo; Gianni, pur non essendo più un ragazzino, ha sempre un’energia “vulcanica” che rende prezioso tutto il progetto. Mi sono molto divertito a dare un’anima musicale e letteraria “partenopea” alle canzoni, che amavo da bambino, dei miei miti Beatles. La “contaminazione” a mio parere è riuscita perfettamente, e ho il sogno di riuscire a farle ascoltare a Paul.
Migliaia di concerti, milioni di dischi venduti e diverse partecipazioni nei festival, tra cui il Festivalbar e il Festival di Sanremo. Tuttavia, dopo una carriera del genere, ci sono ancora sogni nel cassetto?
Beh, penso che avrai potuto notare che ho più sogni di un ragazzino che si affaccia appena al mondo della musica. Quando trovo il tempo, cerco di appagare i miei desideri. Sto scrivendo il mio terzo libro, un romanzo, che arriva dopo quello didattico e dopo la mia autobiografia. Sto producendo artisticamente diversi ragazzi, alcuni dei quali “sfornati” dalla mia scuola, poi sto collaborando con le musiche ad una fiction che verrà trasmessa il prossimo anno. Però, devo confessarti che il mio sogno più grande è quello che scomparissero dal mio mondo, come per incanto, la cattiveria, l’invidia e la mediocrità. Sarebbe meraviglioso vedere tutti gli artisti che amano la musica, viaggiare insieme, rispettando e tutelando tutti coloro che fanno lo stesso lavoro, soprattutto se appartenenti alla stessa città. Ma temo che resti un sogno.
Articolo a cura di Francesco Nuccitelli
Daniele Gatti: “Oh Mamma ma quant’è Dura”
Daniele Gatti, con “Oh Mamma ma quant’è Dura” il nuovo singolo, continua a cantare l’amore
È da poco uscito il nuovo singolo del cantante e attore, Daniele Gatti dal titolo curioso “Oh Mamma ma quant’è Dura”. È lo stesso Daniele ad introdurre il brano: «A volte non ci rendiamo conto della superficialità del dolore che proviamo. Ci facciamo assalire da sensi di colpa inutili che non ci permettono di vedere la realtà così com’è.
“Oh Mamma ma quant’è Dura” parla proprio di questo, nello specifico, di un ragazzo che non trova giustificazioni per spiegarsi la fine di una relazione, se non le proprie mancanze.
Quel corpo “da paura” è tutto ciò che gli rimane nei pensieri, non riesce a trovare dentro di sé nessun’altra immagine di lei. Questo non fa altro che aumentare il suo senso di colpa.
Quindi in questa notte lunga e tormentata emergono dei quesiti: siamo forse soli come “due secchielli abbandonati sulla spiaggia da bambini come noi, che dimenticano tutto”? (come recita lo special del brano). Il nostro dolore è banale solo quando può sembrare superficiale? Esistono altre verità all’infuori di quelle che ci raccontiamo?»
Anche un videoclip, ambientato al mare, ad accompagnare il brano con la regia di Teodora Pampaloni e Edo Tagliavini con la partecipazione di Carlotta Tagliareni, Shaen Barletta, Desirè De Luca, Paolo Madonna, Edo Tagliavini, Emanuele Angeloni, Daniele Gatti.
Il mare torna anche come tema del divertissement uscito la scorsa estate “Mare Morto”, una canzone per chi “odia il mare” e che è stata la colonna sonora dei tanti reel e storie su Instagram di Daniele negli scorsi mesi.
Ed il mare era anche nel titolo della canzone dell’estate 2023, “Era calmo il mare”, brano che parla del sentimento primordiale che proviamo quando siamo davanti a quella persona che ci fa vibrare come vibrano le corde di un pianoforte a coda.
«Il mare che abbiamo dentro è tutto fuor che calmo. Diventa impossibile ‘calmare gli istinti’, anche a distanza di tempo. Quella persona, quella sensazione, resiste a ogni tentativo di chiuderla dentro a un cassetto e dimenticarla. Sarò sempre legato a tutte le persone che hanno fatto davvero parte della mia vita – afferma Daniele Gatti – e sarò sempre innamorato di chi mi ha fatto innamorare una volta».
Daniele Gatti nasce a Roma. Appena riesce a pronunciare le prime parole, le usa per cantare. Alle scuole medie impara a suonare il sassofono, ispirato da Lisa Simpson, e comincia a creare le sue prime melodie. In piena adolescenza, scopre la chitarra, che resterà la sua compagna di vita.
La passione per la composizione e la scrittura dei testi segnano il suo cammino. A 17 anni compone il suo primo vero brano e in pochi anni si ritrova con un archivio di centinaia di pezzi.
Si diploma come attore al Centro Sperimentale di Cinematografia, la Scuola Nazionale di Cinema: l’attore aiuta il cantante ad affinare le sue capacità espressive, il controllo del corpo, della voce, e il rapporto con la macchina da presa.
Tra i suoi singoli “Stan Smith” (inno al camminare insieme e ammirare la bellezza dell’amore a ogni passo) e “Vale” (canzone d’amore che parla del momento catartico in cui si capisce che ciò che è davvero importante è vivere a pieno quegli attimi infiniti in cui si scopre l’altro).
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Stefano Di Nucci, a “Boom” il Premio della Critica a “Palco d’Autore”
Stefano Di Nucci, a “Boom” il Premio della Critica a “Palco d’Autore” intitolato alla memoria dello straordinario musicista Pasquale Curcio
È stato il cantautore molisano Stefano Di Nucci ad ottenere il riconoscimento del Premio della Critica di “Palco d’Autore”, intitolato alla memoria dello straordinario musicista Pasquale Curcio, la cui improvvisa scomparsa, avvenuta il 7 settembre 2024, alla vigilia della finale nazionale, ha lasciato un grande vuoto in tutti coloro che lo conoscevano e ammiravano.
Stefano Di Nucci era tra i 15 finalisti nazionali e con “Boom” si è distinto per la profondità e l’originalità del suo lavoro. Un brano che parla del “boom” economico italiano degli anni ’50, contrapponendosi al “boom” che ricorda gli eventi bellici degli anni ’40.
Le ragazze tornavano in bici e oltre le rondini, si sentiva l’imbrunire che le bombe erano finite
Le ragazze mica lo sapevano che i loro padri si rialzavano dalle macerie della guerra
Un testo che parla di spumone, di croccantino, di piccoli simboli della rinascita economica vissuta dai nostri nonni.
I fucili che ora sono solo nelle canzonette, con le pinne, gli occhiali e gli amori che non reggono più…
Perché è vero, l’espressione “Booom” che prima ci portava le mani sulle nuche
Ora non ci spaventa più!
Nel 2018 esce il primo disco di Stefano Di Nucci dal titolo “Opera postuma” prodotto da
Daniele Sinigallia e Maurizio Loffredo e nello stesso anno apre i concerti del tour estivo di Fabrizio Moro. Nel 2020 vince il Premio Nazionale “Stellina Web” con il video clip di “48 parole”, brano che chiude il suo disco di esordio.
Nell’estate del 2021 collabora con Giuseppe Spedino Moffa per la scrittura della canzone “Che nu sciore mmocche” in occasione della festa della musica; apre nello stesso anno i concerti di Paolo Benvegnù, Pierpaolo Capovilla, Africa Unite, Enrico Ruggeri e Francesco Tricarico. Finalista per il premio “Pigro – Ivan Graziani”, sempre nel 2021 esce il suo EP dal titolo “I tre cieli”, lavoro contenuto e suonato nel lavoro teatrale “Molistelle”.
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Jocelyn Pulsar, alla conquista delle stelle
Jocelyn Pulsar “4 canzoni senza atmosfera” la volontà di rientrare in gioco, capendo gli errori e cercando di raccontarsi con ironia e sagacia
“4 canzoni senza atmosfera” è l’ultimo progetto di Jocelyn Pulsar, cantautore impegnato e capace di farci viaggiare verso galassie lontane. Uscito il 27 settembre, questo lavoro rappresenta se stesso, tra momenti di solitudine e attimi di ricerca personale. Riconsegnarsi al mondo non è semplice, specie dopo una rottura e soprattutto se il mondo circostante è in costante mutamento. Tuttavia, Francesco Pizzinelli, nome reale di Jocelyn Pulsar, non si arrende e come un esploratore prova a capire questo strano mondo e le relazioni che lo coinvolgono, tra amicizia e amori. L’EP “4 canzoni senza atmosfera” si manifesta così come la volontà di rientrare in gioco, capendo gli errori e cercando di raccontarsi con ironia e sagacia.
Jocelyn Pulsar, nome d’arte di Francesco Pizzinelli, ma come nasce questo progetto e questo pseudonimo?
Nasce dal fatto che il nome Pulsar, che avevo scelto, era già stato preso da una band: avendo già anche stampato le copertine del primo CD (all’epoca c’erano i CD) dovetti effettuare un modifica in corso d’opera e decisi di aggiungere il nome Jocelyn, che poi era quello della scienziata che aveva scoperto, appunto, le Pulsar, che sono delle radio-stelle: feci quindi realizzare un timbro con la parola “Jocelyn” e timbrai fisicamente tutte le 500 copie. Purtroppo ho perso quel timbro.
Il cantautore “cult” della scena lo-fi italiana, ma cosa rappresenta nello specifico il lo-fi?
Lo- fi per quanto mi riguarda significa sentirsi liberi di pubblicare un disco che non ha la qualità di una produzione mainstream; in particolare amo l’ estetica delle registrazioni casalinghe, anche se a volte nella mia “carriera” ho ceduto alla tentazione di registrare in studio.
“4 canzoni senza atmosfera”, come nasce questa idea?
Esisteva già il disegno della cover, fatto da me ma per uno scopo diverso, si trattava dell’immagine che accompagnava un podcast che avevo realizzato (assieme agli storici compari Coca Duca Style) e che si svolgeva nello spazio, una sorta di radio dramma sulla falsariga di Star Trek, ma comico. Così mi è tornata davanti agli occhi per caso e mi ha ispirato il titolo dell’Ep.
Quali sono le emozioni che si porta dietro questo progetto?
È un disco fortemente autobiografico e che parla di una fase di ripresa, successivamente a una separazione sofferta. Un tentativo di rimettersi in carreggiata, anche se la malinconia è ancora presente.
Qual è il brano che più di tutti rappresenta questa idea?
Il brano più vicino a questo concetto in particolare è “Il bassista dei Doors”, che è un titolo strano, ne sono consapevole, se non altro perché ovviamente i Doors non avevano nessun bassista: è in realtà un trabocchetto che io rivolgo ad una immaginaria ragazza, per capire quanto se ne intende di musica e valutare se è il caso di approfondire la conoscenza, o meno.
Lo definisci come un “lavoro fortemente autobiografico”, ma cosa c’è di te in questo progetto?
Ci sono io che provo a rapportarmi con le amicizie e con le donne. Tornato single inaspettatamente a 43 anni suonati e mi sono ritrovato a barcamenarmi con dinamiche, anche social, di cui ormai ero all’ oscuro.
“4 canzoni senza atmosfera” esce il 27 settembre, mentre è dello scorso anno Stereolocale. Una vena creativa florida e ricca di ispirazione, ma come mai così poco tempo di stacco dai due progetti?
Quando le cose non vanno bene si scrivono più canzoni.
Quali sono le tue attese per “4 canzoni senza atmosfera”, come pensi che il pubblico possa reagire?
Mi piacerebbe essere di ispirazione per qualche nuova leva del cantautorato indie.
In conclusione: se non sbaglio sei tifoso del Cesena, una battuta su questa stagione di Serie B?
Una volta qualcuno ha scritto che Jocelyn Pulsar è come il Cesena, non ha il succo che merita. Spero che quest’ anno entrambi riusciremo a salvarci.
Articolo a cura di Francesco Nuccitelli
Enrico Ruggeri, “40 VITE (senza fermarmi mai)”
Enrico Ruggeri, “40 VITE (senza fermarmi mai)” un racconto inedito della sua incredibile vita professionale e personale attraverso i brani dei suoi album
Una pietra miliare della carriera artistica di Enrico Ruggeri è stata l’uscita della sua autobiografia “40 VITE (senza fermarmi mai)” (Collana le Polene, La nave di Teseo, disponibile in libreria e nei principali store digitali). Nel libro l’eclettico artista propone un racconto inedito della sua incredibile vita professionale e personale attraverso i brani dei suoi album.
«Se stai per leggere queste pagine potrebbe voler dire che conosci già molte cose di me, che mi hai visto in concerto, che probabilmente le tue canzoni preferite non sono quelle che mi vedi eseguire nei ‘medley di successo’ che mi vengono chiesti nei programmi mainstream – spiega Enrico Ruggeri nell’introduzione di “40 VITE (senza fermarmi mai)” – Magari mi hai visto crescere, in un certo senso siamo cresciuti assieme, forse alcune tue esperienze di vita si sono rispecchiate in una mia canzone.
Il mondo è molto cambiato da quel 1977, eventi pubblici e privati hanno accompagnato il mio percorso artistico: spesso li ho raccontati, a volte li ho anticipati. Come spesso mi accade le cose mi sono più chiare nel momento in cui finiscono in un foglio bianco, sospeso tra la voglia di conservare la memoria e il desiderio di condividere emozioni».
Se la vita di ogni persona è accompagnata da canzoni legate a ricordi e ai momenti più importanti e significati che formano una propria colonna sonora personale, la storia di Enrico Ruggeri narra quello che le sue stesse canzoni non dicono: le emozioni, i desideri, le delusioni e i sogni di una carriera unica tra musica, televisione e letteratura.
Un’autobiografia che appassiona come un romanzo incandescente ricco di aneddoti e retroscena inediti tra politica, attualità, compagni di strada, amori furiosi, persone deludenti e anime rare e un’unica passione assoluta, quella per la musica, travolgente, viscerale, un’avventura meravigliosa che l’artista ha deciso di raccontare fino all’ultima pagina senza filtri e a cuore aperto.
Ma 40 sono anche gli anni che ci separano dalla partecipazione di Ruggeri al Sanremo 1984 con la raffinata “Nuovo Swing” contenuta nel rivoluzionario album “Presente Studio/Live”, riedito in edizione limitata a inizio ottobre. È lo stesso Ruggeri su Facebook a ricordare quel magico 1984:
«Era il 1984, Baudo a sorpresa mi incluse tra i partecipanti al Festival, così decisi di presentarmi con un nuovo album. Avevo scritto molte nuove canzoni, ma me ne piacevano poche, e i miei successi precedenti erano tre o quattro. Decisi di fare una cosa che nessuno aveva mai fatto prima: un album metà in studio e metà dal vivo. Nella parte in studio, oltre a “Nuovo swing” avevo anche “Il mare d’inverno” e “La donna vera”: niente male…
Per il live presi un’altra decisione unica: lo avrei registrato nel grande studio della CGD, che veniva usato per le grandi orchestre. Convocai i 150 fans più agguerriti e feci un concerto incredibile, con il calore di un club e le tecnologie dello studio. Insomma, “Presente” è sicuramente l’album più coraggioso e rivoluzionario che sia mai stato fatto.
Per il quarantesimo anniversario ho convinto il mio amico Mario Limongelli, che ha acquistato i diritti dell’opera, a pubblicare qualcosa di unico: ecco il vinile rimasterizzato in colore azzurro, naturalmente in tiratura limitata e numerata».
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Sax This Candy: il nuovo album “God Is My Witness”
Un’anima punk no wave quella dei Sax This Candy che hanno da poco pubblicato il nuovo album God Is My Witness
“God Is My Witness”, il nuovo album di Sax This Candy, pubblicato da Vina Records in collaborazione con Grammofono alla Nitro, distribuito da Believe, esce a distanza di otto anni dal primo lavoro. La band pescarese torna con una nuova veste che aggiunge delle componenti elettroniche alla sua anima punk no-wave.
Dieci tracce registrate negli studi di Grammofono alla Nitro, a Pescara, sono il risultato di un lungo percorso di ricerca.
Abbiamo incontrato i Sax This Candy e ci siamo fatti raccontare di God Is My Witness e di come il loro sound è cambiato in questi anni.
Presentate la band a chi ancora non conosce i Sax This Candy La nostra musica attinge di base alla no-wave statunitense e al post-punk ma è influenzata da una grande varietà di fonti: dalle atmosfere noir de Bad Seeds allo stile più nevrotico dei Pere Ubu, così come i Joy Division, Butthole Surfers, Bauhaus, The Pop Group e Black Flag.
God is my witness è il vostro nuovo album che esce a distanza di otto anni dal precedente, come e quando è nato questo nuovo lavoro?
In questi otto anni abbiamo messo insieme idee, sperimentato nuove componenti, l’elettronica su tutte, e guardato oltre il nostro classico retroterra artistico. L’attesa per l’uscita di “God is my witness” ha comunque subito l’influenza della pandemia: abbiamo voluto attendere tempi idonei per la sua uscita e la relativa promozione.
L’album si compone di dieci tracce, descrivete ciascun brano con un aggettivo Un aggettivo per tutti: Impuro. Perché la purezza è nemica dell’arte.
In alcuni casi, i vostri testi affrontano temi legati all’attualità come “Coke & Bombs”, dove parlate di guerra. Quanto è importante, secondo voi, veicolare dei messaggi con la musica? Tutti gli artisti e i musicisti hanno la possibilità e il dovere di veicolare messaggi, lasciando però sempre uno spazio di semantizzazione all’ascoltatore, senza imporre significati troppo netti.
I vostri testi sono scritti in inglese, avete mai pensato di utilizzare l’italiano? No, ma ci penseremo…
I Sax this Candy nascono con l’attuale formazione o negli anni i componenti sono cambiati? Ad oggi siamo con la line-up formata dai tre fondatori, ma nel primo disco ci siamo avvalsi della batteria di Timmy Romano.
Quali sono le vostre band del cuore? Le nostre band del cuore sono quelle che ci hanno forgiato e da cui traiamo la nostra costante ispirazione, in particolare quelle riassunte a inizio intervista.
C’è un brano dell’album al quale siete più legati? se sì perché? Non ce n’è uno solo naturalmente…Tutte le tracce hanno la loro importante storia, però per rispondere alla domanda possiamo citare i singoli estratti: Human piggy banks e Headworms perché col primo abbiamo creato un’atmosfera dance che ci piace; nei nostri intenti c’è sempre quello di far ballare e ondeggiare i corpi nei concerti. Headworms invece ricalca la vena più puramente rock con schitarrate piene e taglienti che sono parte essenziale del nostro background. Non vogliamo però dimenticare l’ultimo singolo estratto, Dead End, che può essere considerato una sintesi tra i primi due.
I Sax this Candy hanno un sogno nel cassetto? Il tempo dei sogni è passato. Ora semmai abbiamo obiettivi e antenne dritte per le opportunità intorno a noi.
Dal 2019 avete inserito nel vostro sound delle componenti elettroniche, da cosa deriva questa scelta? La componente elettronica, ma soprattutto la ricerca che c’è dietro, ci ha dato la possibilità di sperimentare e arricchirci anche al di fuori dei nostri abituali circuiti ed influenze varie. Questo per noi è un fattore fondamentale perché ci permette di essere sempre diversi da noi stessi, ma allo stesso tempo mantenere un’identità netta e riconoscibile.
Quali sono i tre album che, secondo i Sax This Candy, tutti dovrebbero ascoltare almeno una volta? Sarebbero più di tre ovviamente, ma stando al gioco diciamo tre album di band non nominate nel riassunto delle nostre fonti in alcune domande precedenti: “Talking Heads – Remain in light”, “PIL – Metal box”, “Dead Kennedys – Fresh Fruit for Rotting Vegetables”.
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