Salento All Stars: “L’era del cigno bianco”, nuovo album per il collettivo musicale salentino
Lo scorso 2 febbraio è uscito “L’era del cigno bianco”, il nuovo album dei “Salento All Stars”. Non una band ma un collettivo musicale e nelle dieci tracce dell’album spiccano le partecipazioni di numerosi musicisti salentini e non solo: da Michele Riondino & Revolving Bridge a Mama Marjas, da Papa Ricky a O’Zulù dei 99 Posse, passando per Erica Mou, Cristiana Verardo e Magnitudo12. Abbiamo raggiunto telefonicamente Davide Apollonio, fondatore dei SAS e già fondatore degli Après la Classe e dei Granma.
È finalmente uscito il nuovo album della SAS. Ma vorrei tornare indietro nel tempo. Qual è lo spirito che ti ha portato a fondare questo progetto, la “Salento All Stars”?
È nato tutto quasi per gioco. Questo progetto è nato perché nel 2014 compiva vent’anni un brano che avevo scritto nel 1994, “Salentu, lu sule, lu mare, lu jentu”. Nel tempo è diventato un inno, nel nostro territorio. Questo brano l’avevo già eseguito con le mie band precedenti, gli Après La Classe e i Granma.
Volevo riproporlo in una nuova veste e l’ho fatto con quello che è poi diventato il tratto stilistico e la formula dei SAS, ossia di chiamare a raccolta colleghi che provenivano dall’area musicale salentina. Da lì a scrivere nuovi brani, un live, pensare a un album c’è voluto poco. Da questo è nato “Made in Salento”, il nostro primo album.
Nel corso degli anni siamo arrivati a “L’era del cigno bianco” e il progetto ha coinvolto, da allora, oltre 80 musicisti. Di fatto i SAS più che una band sono un collettivo musicale.
Possiamo quindi considerarvi una “super band”?
In effetti la line-up dei SAS si è, nel tempo, sempre modificata. Solo in questo ultimo periodo si è stabilizzato una sorta di “nucleo storico” soprattutto per le esibizioni live anche se le collaborazioni e il concetto di collettivo rimane nel nostro DNA.
È il caso di Alfredo Quaranta, il nostro cantante voce anche dei Granma, che è un elemento indissolubile dall’esperienza dei SAS tanto che la sua voce rappresenta la continuità del progetto. Oltre a lui ci sono Marco e Ylenia Giaffreda, dei Mistura Louca, e alla batteria Manuel Fontana. Questo gruppo di musicisti è affiatatissimo e con loro pensare al live è una cosa naturale.
“L’era del cigno bianco”, quanto c’entra Battiato in questo titolo?
In effetti nulla. Si tratta di una casualità e subito dopo mi sono reso conto di questa assonanza. Ho anche provato a cambiare questo titolo ma continuava ad essere il titolo giusto ed è diventato, inevitabilmente, un tributo al maestro Battiato che è venuto a mancare da poco.
Qual è la musica il cui ascolto ti ha convinto a farne parte attiva?
Ho cominciato ad ascoltare la musica in maniera consapevole intorno agli 11-12 anni. In quel periodo ascoltavo Doors, Pink Floyd – era la metà degli anni ’80 – ma anche gli U2, i Cure. Poi mi sono avvicinato al metal e da questo genere musicale ho assorbito il suo forte impatto live. Ho iniziato a suonare intorno ai 19 anni, quasi per caso.
Nella mia zona i Matrioska, una band ska, avevano bisogno di un bassista. In effetti, io strimpellavo appena un po’ la chitarra. Mi hanno messo un basso tra le mani e poco più di un mese dopo mi sono ritrovato sul palco con il ruolo di bassista. La band si è sciolta poco dopo invece io ho continuato a suonare.
Posso dire che è stato grazie allo ska che ho imparato a suonare. “Salentu, lu sule, lu mare, lu jentu”, che scrissi proprio in quel periodo, è stata proposta ai Matrioska, ma facemmo in tempo appena a provarla un paio di volte. Il brano rimase in un cassetto per un paio d’anni, fino a quando non partì l’avventura con gli Après la Classe.
Salento All Stars: “L’era del cigno bianco”
Parliamo dei vostri testi.
La maggior parte dei testi di questi brani è scritta a quattro mani, con Peppe Levanto che è anche, assieme a me, il produttore artistico di quest’ultimo album.
Sei soddisfatto di come riesci, con la tua musica, a trasmettere lo spirito del Salento?
Senza presunzione, debbo dirti di sì anche se non si finisce mai di imparare. Così come sono molto soddisfatto della crescita dei SAS e del percorso che abbiamo fatto. Dal sound tipico del primo album, un lavoro sicuramente più Gypsy, Raggae e Combat Folk, siamo arrivati al suono di quest’ultimo lavoro in cui siamo riusciti ad abbracciare anche altri generi come il punk e il pop ma riuscendo a mantenere chiaro lo spirito salentino, con le sue contaminazioni contemporanee, quelle che fanno del salentino un cittadino del mondo.
A tutti gli effetti, i SAS rappresentano quello che era la mia mentalità musicale negli Après la Classe, che non è caratterizzata da un unico modello di suono ma più aperta alle diverse sonorità che ci circondano perché penso che sia più adatta alla narrazione delle nostre storie.
La produzione de “L’era del cigno bianco” è avvenuta in piena pandemia. Penso che per un collettivo musicale la mancanza dell’energia “in presenza” vi abbia reso le cose un po’ più difficili.
Abbiamo dovuto fare di necessità virtù, come si dice in questi casi. Lo scorso anno non era possibile muoversi per incidere in studio. Ognuno di noi ha lavorato nel proprio home studio. Le tracce sono state poi inviate a distanza e abbiamo “assemblato” i singoli brani.
Certo che non è la stessa cosa del lavoro collettivo in studio, quando puoi mettere mano all’ampli della chitarra per sperimentare, accordare in maniera diversa il rullante ma l’abbiamo fatto perché era importante esserci, proprio nel periodo della pandemia anche per la testimonianza storica di questo periodo la cui narrazione è importante.
I SAS sono un collettivo e, nel tempo, come ci dicevi prima, le collaborazioni sono state tantissime. C’è però un artista che ti piacerebbe coinvolgere in uno dei prossimi lavori dei SAS?
Sarò campanilista ma devo dirti che mi piacerebbe molto coinvolgere Emma che conosco da prima della sua svolta pop e che è anche una mia compaesana.
Articolo a cura di Roberto Greco