FMC Film Music Contest, aperte le iscrizioni alla nuova edizione 2021
FMC – Film Music Contest è un concorso internazionale per compositori di musica originale per film, TV, pubblicità, videogiochi, per sound designer, band, musicisti, produttori, solisti di musica strumentale, teatrale, elettronica, senza limiti di età e indipendentemente dalla nazionalità o dal paese di origine.
Il FMC premia film, serie tv o video con musica originale in una specifica categoria separata riservata ai produttori cinematografici indipendenti, società di produzione, creatori di video, compositori o registi.
Il concorso è organizzato in diverse categorie.
La prima è il concorso di musica strumentale rivolto a compositori, solisti, strumentisti, gruppi da camera (di qualsiasi tipo), ensemble e orchestre di tutte le età e nazionalità.
Questa categoria è destinata alle composizioni strumentali, brani solisti o composizioni con più strumenti. Possono partecipare solisti, piccoli o grandi gruppi, bande o orchestre.
È possibile presentare composizioni già edite o presentate pubblicamente, pubblicate su CD ma anche composizioni inedite mai presentate. Le composizioni musicali e i brani devono avere una durata massima di 6 minuti.
La seconda è rivolta, invece, a opere audiovisive, ossia a musica che fa parte di un film, un video o una serie TV. I film e i video possono essere di qualsiasi genere, sperimentali, animati, documentari, film per bambini, SCI-FI e ibridi di genere. La data della loro creazione non è importante.
La terza categoria vede invece la collaborazione con la società di sviluppo di videogiochi 3DIVISION ed è specifica per la musica per videogiochi. Sarà necessario comporre musica e relativo sound design per una missione del videogioco d’azione professionale “Air Missions HIND” della durata totale di 4:53 minuti.
La quarta categoria è rivolta alla musica per gli spettacoli teatrali ed è aperta a Compositori, Musicisti di qualsiasi età o nazionalità, Istituzioni Teatrali e piccoli o grandi Teatri nazionali o privati. Le composizioni musicali e i brani devono avere una durata massima di 6 minuti.
L’ultima categoria è dedicata alla realizzazione della musica per un trailer. Realizzata in collaborazione con Lorinc Production, è necessario comporre la musica del trailer per un film documentario di viaggio professionale “THE WAY OF INSPIRATION ICELAND” della durata totale di 3:47 minuti.
I membri di una prestigiosa giuria internazionale provenienti da UE, Australia, USA, Asia che lavorano attivamente nell’industria musicale e cinematografica selezioneranno le migliori composizioni.
Molti membri della giuria sono grandi musicisti strumentali che hanno visto le loro composizioni utilizzate in vari film, programmi TV, progetti, videogiochi, pubblicità o concerti.
Oltre ai Vincitori Assoluti la giuria e gli organizzatori del concorso, potranno proporre premi speciali per altri concorrenti che saranno annunciati durante la proclamazione dei vincitori. Per scaricare il bando è sufficiente accede al sito di FMC.
Il termine ultimo per iscriversi al Concorso è il 31 agosto 2021, solo per la categoria di musica per videogiochi la scadenza delle iscrizioni è il 31 luglio 2021
Articolo a cura di Roberto Greco
Aida Satta Flores: lettere dalla Terra, dal Mare e dal Cielo
“d’Istanti”, dvd che sarà presentato il prossimo 20 maggio, in occasione della “Giornata mondiale delle Api”
Aida Satta Flores vince nel 1958 il “festival di Castrocaro” con “Alkaid”, nel 1986 con “Croce del Sud” è sul palco del teatro Ariston durante il festival di Sanremo tornando nel 1989 con la sua “Certi uomini”, che le fece vincere il Premio della Critica. Nel 1992 Augusto Daolio e Beppe Carletti, i Nomadi, producono “Il profumo dei limoni”, il suo primo album.
Da allora a oggi, nella sua vita tanta strada, tanti concerti e, soprattutto, tanta musica. Il suo nuovo lavoro si chiama “D’Istanti”, un vero e proprio concept video-album la cui uscita è anticipata da “Senza voce”, il cui videoclip è stato realizzato sui tetti della Cattedrale di Palermo.
L’abbiamo raggiunta telefonicamente per farci raccontare di che cosa si tratta.
“d’Istanti” ma non “Distanti”, giusto?
Ho voluto giocare proprio su questo. Distanti è la parola che oggi ci fa pensare al distanziamento sociale mentre d’istanti cambia la dimensione, entri in quella del tempo che è fatto appunto d’istanti, quel microscopico spazio temporale in cui può prendere fuoco e distruggersi una foresta oppure si può spegnere una vita.
Questo lungo tempo d’isolamento mi ha fatto riflettere parecchio e ho iniziato a scrivere diverse lettere, dalla Terra, dal Mare e dal Cielo. È tempo di svegliarsi e di riprenderci la vita e l’unica casa che abbiamo è il pianeta terra, che abbiamo massacrato.
Hai deciso di usare due date simbolo per la presentazione di questo tuo ultimo lavoro.
Sì, il 22 aprile, “Giornata Internazionale della Terra”, è stato il giorno dell’uscita di “Senza voce” il nuovo brano con il relativo videoclip. Questo singolo anticipa il DVD “d’Istanti”, che sarà presentato il prossimo 20 maggio, in occasione della “Giornata mondiale delle Api”. A questo proposito ne avevo già parlato in uno dei brani di “Aida Banda Flores”, il mio album live del 2006.
Si tratta de “Il ballo della vita” in cui scrivevo, già allora, del pericolo della scomparsa delle api. Le api sono fondamentali per il ciclo della vita del nostro pianeta, contribuiscono all’equilibrio della nostra flora e quindi, nel suo insieme, del ciclo vitale che riguarda ognuno di noi.
Come ti senti in questo periodo?
“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, diceva il poeta. Abbiamo vissuto un tempo sospeso in cui, però, la madre terra si è ripresa i suoi spazi, un tempo in cui abbiamo visto colombe nidificare e deporre uova sui nostri balconi, un tempo in cui gli animali e la natura hanno cominciato di nuovo a respirare e le cime dell’Himalaya erano finalmente visibili. Forse l’uomo ha voluto fare troppo il sovrano in un regno che non è suo.
Tornando a “d’Istanti”, hai deciso di coinvolgere un target ben preciso di pubblico, i detenuti.
“d’istanti” è un DVD della durata di 83’. È diviso in tre Capitoli dedicati a nostra signora Terra, a capitan Mare e al santo Cielo, una sorta di “atto di dolore edi penitenza” nei confronti dell’unica casa comune che abbiamo, il pianeta Terra. Sarà distribuito ai detenuti ma in senso lato del termine.
Grazie a un piccolo contributo dei Fondi Sociali Europei sarà donato ai detenuti veri, quelli che sono negli istituti penitenziari ma non solo. Ci sono altri “detenuti” che riceveranno questo DVD e sto parlando di tutti gli studenti. A causa di questa didattica a distanza hanno perso il senso dell’abbraccio, della gioia di stare insieme, costretti in casa davanti allo schermo di un “dispositivo”, com’è chiamato adesso.
Una nuova cella. Un nuovo modello di reclusione sociale. I nostri ragazzi sono depressi, vivono nel malessere e questo lavoro vuole essere il tentativo di far accendere la speranza di miglioramento.
Inoltre trecento copie del DVD saranno confezionate in una maniera particolare. Grazie alla collaborazione con “Un nuovo giorno ONLUS”, associazione che lavora con i detenuti in semilibertà, per queste trecento copie verranno realizzate altrettante buste, utilizzando materiali tessili di recupero e alcune “gemme” di puro artigianato.
A questo proposito faremo partire una campagna di finanziamento ad hoc per permettere all’associazione di poter continuare a svolgere il suo importante compito di rieducazione e riabilitazione sociale.
Sono riuscita a catalizzare molte energie positive. Ne sono molto soddisfatta. Betta e Sollima mi hanno dato le loro musiche su cui ho scritto un mio testo e questo, per me, è stata una dimostrazione di stima e di apprezzamento del progetto. Il videoclip di “Senza voce” è stato realizzato sui tetti della Cattedrale di Palermo.
Parlami di questo singolo.
Ho scritto questa canzone pensando all’Anima, divisa dalle divisioni che l’uomo compie anche dei cieli. Patapan è la parola che dà l’inizio al brano e mi è sgorgata dall’anima senza sapere, ad esempio e l’ho scoperto solo dopo, che “Patapan” è il titolo di un lavoro di Bernard de La Monnoye, un musicologo e filosofo francese del ‘700.
Mise in un’unica parola la durezza del suono di un tamburo, Pata, e la delicatezza del suono di un flauto, quello di Pan. de La Monnoye volle lanciare il messaggio del “braccio delle differenze” e io, con il mio “Patapan”, voglio lanciare il messaggio che dobbiamo tornare ai nostri giardini fertili perché ci stanno facendo vivere e godere di giardini senza odore.
Ricordo che nel 1992, nel tuo primo album, uscisti con brano che s’intitola “Un bersaglio al centro” in cui cantasti con Augusto Daolio. Augusto non è stato l’unico dei grandi artisti con cui hai collaborato. Chi è stato per te Augusto?
Augusto è una delle persone che in assoluto mi mancano di più assieme a mia madre. Augusto mi ha insegnato a gustare il vino rosso, mi ha insegnato a non vergognarmi delle canzoni semplici.
Era una persona che mi dava delle iniezioni di vita vera. Augusto è stato il più importante dei miei produttori e mi manca ogni giorno, mi manca la sua sensazione di libertà, il suo punto di vista rispetto alle cose della vita e non solo.
È cambiato il tuo modo di fare musica da allora.
Sì, nel tempo ho cominciato a scrivere canzoni diverse da quelle dei miei esordi. Oggi non compongo più con la chitarra. La musica fa parte del testo stesso e mi ritrovo a scrivere la melodia durante la scrittura del testo stesso perché, nel tempo, ho scoperto che la parola è musica.
Chi ha collaborato con te?
Oltre agli autori che con me hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro, che hai già nominato, gli arrangiamenti e la direzione musicale sono di Valter Sivilotti e Leonardo Bruno ha supervisionato tutto il lavoro.
Alessandro Valenza ha suonato il pianoforte mentre Davide Rizzuto, oltre a suonare il primo violino, ha diretto l’ensemble di otto archi poi Fabrizio Francoforte alla batteria e Lorenzo Profita alla fisarmonica.
Articolo a cura di Roberto Greco
Vedere la Musica: “attimi fuggenti” di Valerio Faccini
Un viaggio alla ricerca di strade non battute, un viaggio verso le emozioni
“La fotografia mi affascina da sempre, è nata con me è dentro di me. Rappresenta la mia memoria, il modo di fissare per sempre le mie emozioni, scolpire il ricordo in attimi, luci, emozioni: la vita! Lo sguardo più profondo sul mondo che mi circonda, un mondo fatto di tanti piccoli e grandi particolari; di attimi fuggenti come un’espressione, una impercettibile smorfia sulle labbra ad annunciare un sorriso o un pianto. Ognuno è un’emozione, un sussulto dell’animo umano: cosa c’è di più leggiadro del librarsi di una ballerina, dell’intensità espressiva di un attore, del fascino ostentato di una modella avvolta nella sua propria fragrante scia?”.
L’incontro con Valerio Faccini, “romano de’ Roma” nato in casa a Piazza Barberini, non poteva che cominciare con le sue parole appassionate. Il nostro appuntamento si è rivelato un viaggio meraviglioso attraverso ricordi, immagini bellissime di spettacoli teatrali, di paesi lontani e della nostra bella Italia.
Valerio potrebbe raccontare per ore, portandoci di teatro in teatro, dietro le quinte, o sul palcoscenico mostrandoci le immagini più significative di attori indimenticabili e spettacoli meravigliosi. E’ un lavoro complicato quello del fotografo di palco, perché la luce è scarsa, le persone sono in continuo movimento e cogliere una piega della bocca, un’espressione del viso è fondamentale per una narrazione che sia rispettosa ed esaustiva.
Cos’è la fotografia per te?
Ho un concetto molto preciso della fotografia: emozioni, luci e chiari scuri. Nei miei scatti, vado a cercare la luce giusta, la composizione, il momento.
Com’è cominciata la tua passione?
Mi sono appassionato alla fotografia sul finire degli anni ottanta, quando si trattava di fotografia analogica e stampe autoprodotte rigorosamente in bianco e nero. Sono stato da sempre attratto dalla fotografia e l’idea di poter “catturare” fissare in un’immagine, l’attimo fuggente, perfetto, le emozioni.
Appassionato e con la voglia di sperimentare, andavo in giro come un pazzo a caccia di qualunque cosa attirasse la mia attenzione. Seguivo il teatro come uno spettatore qualunque, quando un giorno, mi chiamò un regista per fare delle fotografie durante uno spettacolo e mi sono detto, ci provo. Sono entrato in teatro e non ne sono più uscito.
Tanti, tantissimi gli artisti immortalati in commedie e spettacoli, numerosi i registi con cui ho avuto la fortuna e il privilegio di collaborare. Attratto fatalmente dalle persone e dalla loro espressività.
Vedere la Musica: “attimi fuggenti” di Valerio Faccini
Il complimento più grande è quando mi dicono che un mio scatto ha emozionato. Questo significa, non solo che sono riuscito a fissare, a catturare un’emozione, ma anche e soprattutto, a farla arrivare a chi guarda. Non è la situazione che fa la differenza. Non ci sono regole, niente è scontato.
Quando esco da un balletto per esempio, sono distrutto, perché mi sposto seguendo il quadro che è costantemente in movimento. Ho sempre amato il teatro, dove ho conosciuto Giorgio Albertazzi e altri grandi come lui. Lì, andare alla ricerca dell’attimo perfetto, fuggente è meraviglioso e complicato.
Una fotografia questa, che non t’insegna nessuno, perché devi veramente inventare: le luci non sono sufficienti e i soggetti spaziano sul palcoscenico. Quando posso, vado alle prove per capire i tempi e l’espressività di ogni attore. Raccontare una storia con pochi scatti e cogliere l’attore e il suo personaggio, solo con alcune fotografie è davvero complicato ma forse, è quello che amo di più.
“Cosa c’è di più affascinante di un intreccio di fasci di luce, della penombra di un’alba e della luminosità di un tramonto, di un gioco di colori, dell’intensità del contrasto tra la bianca accecante luce ed il nero profondo del buio?”
Hai avuto il privilegio di lavorare in teatro e ritrarre i grandi. Chi tra tanti ti ha maggiormente colpito?
Ne ho seguiti molti, ma Albertazzi è quello che mi ha colpito di più. Mi affascinava la capacità di stare in scena. Alle prove generali, stava seduto in platea, apparentemente lontano. Da lì osservava come si muovevano gli altri. I suoi spettacoli erano, per me, una vera sfida: a regnare era la penombra e non c’era mai luce piena.
Per me modesto fotografo riuscire, nonostante tutto, a cogliere il meglio, era davvero un’impresa. Non sapevo mai cosa mi aspettasse, perché riusciva a trasformare e arricchire ogni scena. Ricordo un aneddoto, che non potrò dimenticare. Ero dietro alle quinte, durante lo spettacolo, Albertazzi molto anziano, era seduto e sembrava quasi abbandonato a se stesso, senza forze.
Io perplesso guardo l’attrezzista e lui mi dice: “ Sei preoccupato perché sta così? Ora deve entrare in scena. Mo’ te faccio vede’ come cambia!”. In effetti, un attimo dopo era sul palco con tutta la forza magnetica della sua interpretazione, dominatore assoluto delle scene.
Per i tuoi reportage, hai raccontato moltissimi paesi. Quale tra i tanti, ti è rimasto particolarmente nel cuore?
Cuba, Turchia, Francia, Praga, Budapest, Varsavia, Cracovia, NY e molti altri e anche la nostra meravigliosa terra. Ho raccontato moltissimi paesi ma sotto l’aspetto umano, sicuramente Cuba e le persone che ho incontrato e fotografato, mi sono rimaste particolarmente nel cuore.
È stata una vera avventura. Lì, come mia abitudine, ho ingaggiato un ragazzo che con la sua “splendida” e caratteristica auto mi ha condotto giorno dopo giorno attraverso il paese. Lui sapeva che per avere, a fine giornata, la paga pattuita, non doveva assolutamente portarmi sulle rotte turistiche. La Cuba che cercavo era quella della strada, dei mercati, dei colori delle persone vere che la abitano.
Ho inseguito la musica e i luoghi, dove abitava la sua storia. Ho dormito nelle “case particular” (alloggi in case private ndr) e fatta un sacco di strada a piedi. Ricordo che, passando davanti a un’abitazione, intravidi dalla porta aperta una stanza con due bambini e una madre sul letto con un neonato. Entrai chiedendo al padre il permesso a scattare delle foto, così dicendo misi una mano in tasca e diedi ai bambini una caramella.
L’uomo mi tocco su una spalla e mi porse la mano aperta, chiedendola anche per sé. Conservo un ricordo particolare anche delle Foci del Danubio, dove sono stato una settimana su un’isola nella parte rumena: case di legno, strade sterrate, più galline che persone e un paesaggio incantevole con flora e fauna dirompenti.
La mia rubrica è Invito al viaggio, perché attraverso gli scatti dei tanti fotografi che incontro, idealmente è come intraprendere una nuova avventura. Che viaggio ci fai fare con le tue fotografie?
Un viaggio alla ricerca di strade non battute, un viaggio verso le emozioni. Non cerco sola la natura ma mi spingo lontano dalle rotte turistiche, immerso nella vita vera. Attraverso le mie fotografie voglio che tu viva quel viaggio con me, che ne senta i profumi, gli odori. Vorrei che ti potessi immergere in quei colori, attraversare i mercati. Scoprire i volti e le espressioni di chi appartiene a quella terra e la racconta.
Sei il fotografo della luce. Quando non sono reportage ma fotografie di moda, per esempio, come ricerchi la “luce” giusta?
Quando fotografo abiti particolari, se mi danno carta libera, divento pittore di luce. Una volta dovendo fotografare degli abiti di scena, che erano tutti neri, azzardai uno sfondo dello stesso colore. Sarebbe stato troppo scontato e “violento” uno sfondo a contrasto e non mi attirava.
E’ venuto fuori un lavoro bellissimo, dove il nero riusciva, nonostante tutto a sottolineare la bellezza delle linee degli abiti, giocando solo di chiaro scuri. Del resto grandi pittori, come Tiziano, hanno fatto proprio di questo gioco, la loro firma. E’ la luce a dare risalto e il taglio giusto a ogni immagine, rendendola unica e speciale.
La fotografia è anche impegno?
Sì, fa parte di me e trovo naturale mettere a disposizione degli altri, ciò che so fare. Da anni collaboro con una Onlus, che si occupa dell’assistenza alle donne e ai bambini, in fuga dalle violenze famigliari, in stato di indigenza e povertà, partecipando a eventi su tutto il territorio nazionale.
Documento le loro attività e il materiale fotografico è utilizzato per la loro promozione e, talvolta, è stato esposto in mostre tematiche. Per me un’occasione per sentirmi parte, mettendo a servizio degli altri il mio mestiere.
Grazie Valerio, viaggiare con te è sorprendente: che sia uno spettacolo o un paese sconosciuto, le tue immagini ci portano là, dentro quell’attimo che tu hai fissato, senza privarlo del movimento, della vitalità, dell’emozione e dei suoi profumi, non solo per te anche per noi.
Articolo a cura di Paola Ferro
Sara Chiarei: vi porterò “Dentro la canzone”
Vi porterò “Dentro la canzone” con la nuova rubrica di Musica 361
Sin da piccola sono stata cresciuta a pane e musica. In casa mia erano due ingredienti quasi inscindibili, al punto che qualsiasi ricordo nitido di cui abbia memoria, già a partire dall’infanzia, risulta in qualche modo legato ad una canzone.
Pensandoci bene, credo che il mio patrimonio genetico somigli molto più ad un pentagramma che ad un DNA.
Detto questo non sono una cantante, e neppure una musicista – sebbene conservi la speranza di riuscire in futuro a ritagliarmi il tempo per qualche lezione di chitarra- ma amo la musica a prescindere.
Sono salita presto sul palco, presentando Festival ed eventi lungo tutto lo stivale, avendo il privilegio di conoscere nomi importanti ma anche giovani promesse da tenere a battesimo e in ogni occasione mi sono scoperta ad osservarli affascinata dal loro talento, dalla determinazione e dalla capacità di mantenersi persone “normali” nel back stage per poi trasformarsi un attimo dopo in animali da palcoscenico.
Sara Chiarei: vi porterò “Dentro la canzone”
Poi è arrivata la radio, ovvero moltissimi anni trascorsi On Air che mi hanno consentito di coniugare passione e lavoro. Quindi ancora musica, ancora emozioni.
Ad un certo punto ho iniziato a capire che se determinati brani si dimostravano in grado di sconvolgermi tanto l’anima, doveva pur esserci una valida motivazione e alla fine ho realizzato che, al di là dell’innegabile potere proprio della melodia, la chiave di tutto era il testo.
Certe parole dette in un modo piuttosto che in un altro possono accarezzarti con mano materna piuttosto che schiaffeggiarti fino a farti male.
Ho ormai adottato la consuetudine di andarmi a cercare significato e recensioni dei pezzi che mi attraggono maggiormente, forse un modo più o meno inconscio di comparare la mia interpretazione con quella dell’artista e dei critici musicali che potrebbero aprirmi nuovi scenari e punti di vista cui non avevo pensato.
Date le premesse, non posso che dirmi entusiasta di inaugurare all’interno di “Musica 361” la rubrica “Dentro la canzone” che si occuperà proprio di indagare nel dettaglio il significato di un brano parlandone direttamente con l’artista che lo ha portato al successo.
Andrò a cogliere e declinare contenuti sociali, penso all’omofobia ma a qualsiasi diritto voglia essere difeso (perché no, anche attraverso la musica), temi che parlino della memoria, del rapporto col tempo che scorre, con la società che cambia e perfino con sè stessi.
La musica va ascoltata, vista e letta, poiché trattandosi di un linguaggio universale coinvolge la maggior parte dei nostri sensi.
Ma prima di ogni altra cosa è senso di libertà che, nella speranza di poter riassaporare appieno quanto prima, cercherò di comunicare in punta di piedi attraverso quelle che, quasi mai, sono semplicemente parole di una canzone.
Articolo a cura di Sara Chiarei
Folk Stock, il primo maggio della folk e world music italiana
Prende il via oggi alle 18:00 il “Folk Stock”, tre giorni di folk e world music dal vivo
Si tratta di un festival che coinvolge quasi cento artisti provenienti da tutto il territorio nazionale che hanno una caratteristica comune: si tratta di artisti indipendenti.
La direzione artistica della kermesse è di Giuseppe Marasco e Enrico Capuano che abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare i perché di questa iniziativa.
Enrico, di cosa si tratta?
Esiste una realtà musicale molto vasta, molto presente, molto seguita e che riempie le piazze di tutta Italia che continua a non essere rappresentata.
Si tratta di una musica “reale”, una musica di massa suonata da centinaia di band sparse in tutta Italia che non trova spazio, cui non viene concessa visibilità.
Vogliamo semplicemente dire: “Noi ci siamo”. Abbiamo organizzato questi tre giorni di musica world, ossia folk e folk-rock, al cui appello hanno risposto un centinaio di artisti tra band e solisti.
A un certo punto il palinsesto era completo e continuavano ad arrivare adesioni. Tra i partecipanti c’è, per esempio, Pietro Brega, un pezzo di storia della canzone popolare italiana, già nel “Canzoniere del Lazio”, ci sono gruppi di folk tradizionale ma anche gruppi che, nel tempo, hanno contaminato la loro musica di provenienza e altri che sono caposcuola indiscussi di questo genere musicale.
Com’è organizzata?
Si tratta di una staffetta di artisti che proporrà musica e parole e che andrà online sui canali social della piattaforma “Musica Popolare italiana”. Inizia tutto oggi, alle 18 e continuerà domani, 1° maggio, alle 20:30 e domenica 2 maggio alle 18.
Necessità di contarsi?
Forse sì. C’è oggi sempre più bisogno di ribadire che esistono in Italia realtà musicali che riempiono le piazze, fanno tournée di grande impatto e che suonano all’estero dove fanno ascoltare la loro musica che è la musica folk italiana.
Moltissimi di questi gruppi sono liberi, indipendenti ed è evidente che debbano essere rappresentati. Purtroppo la visibilità data a queste importanti realtà musicali è molto bassa e questa vuole proprio essere un’occasione per dargliela.
Tra i partecipanti c’è anche Moreno “il biondo”, reduce dal successo sanremese con gli “Extraliscio”.
Moreno nasce dal mondo indipendente, è passato dal MEI e attraverso una storia come la nostra. Il fatto che, quest’anno, sia arrivato sul palco del teatro Ariston è un fatto importante ma nonostante questo ha deciso di esserci e di partecipare a questo festival mentre altri, purtroppo, hanno avuto atteggiamenti più snobbistici, vittime del loro stesso successo.
Presenze come quella di Moreno ci aiuta ad avere maggiore visibilità all’evento e tutto ciò fa bene alla musica che vogliamo rappresentare.
Ovviamente, come dicevi, si tratta di un evento online.
Inevitabilmente sì anche se, per assurdo, questo è oggi lo strumento per far capire che gli eventi online non potranno mai sostituire quelli dal vivo.
Molto spesso, e lo dimostrano con la loro storia molti degli artisti partecipanti al festival, la musica è legata al pubblico non solo per la sua presenza, più o meno dinamica, sotto il palco ma per l’interazione che si crea con il ballo, altro elemento strettamente legato alla musica che suoniamo e che entra in simbiosi in maniera sinergica con la gente.
Sarà possibile, in un prossimo futuro, trasformare questa esperienza in un grande show live?
È uno dei miei sogni. Certo ci sono grossi problemi economici come quelli riguardanti location, service tecnico, accoglienza. La world music appartiene alla nostra cultura musicale e a quella delle feste popolari e sarebbe, come si dice in questi casi, “una cosa buona e giusta”.
Le competenze, la qualità musicale e il pubblico ci sono. Serve un cosiddetto main sponsor, uno che creda nella qualità di questa musica e sulle sue potenzialità.
Altra importante novità, proprio di questi giorni, è la realizzazione di una lista indipendente per le elezioni del NUOVO IMAIE.
Il NUOVO IMAIE si occupa di diritti connessi e copie private, diritti già acquisiti in Italia. Non vengono dati agli autori, come succede per la SIAE, ma agli esecutori, a quelli che concorrono alla realizzazione di un’opera d’arte sia in termini fonografici sia di live radiofonici e televisivi.
Il NUOVO IMAIE gestisce fondi, organizza bandi, diviene veicolo di solidarietà com’è successo nella pandemia e riteniamo che, all’interno del direttivo, debba essere rappresentata una vera pluralità.
La nostra lista, “La squadra per la musica”, si propone questo, ciò permetterebbe al NUOVO IMAIE di essere più connesso al mondo reale e darebbe il segnale di un vero pluralismo che rafforzerebbe lo stesso NUOVO IMAIE.
C’è bisogno di una maggiore aderenza alla realtà, un nuovo modello di comunicazione, una presa di coscienza della mutazione del mercato discografico che tenga conto del fenomeno online e non ne sia vittima.
Abbiamo un programma di venti punti qualificanti che è visionabile sulle pagine social della lista. Non vogliamo essere una lista di opposizione ma essere una lista partecipativa che mette a disposizione la sua cultura. Si parla sempre d’indipendenti e ora non è più il momento di delegare perché alle parole debbono seguire i fatti.
Enrico Capuano è artista che non ha bisogno di presentazioni. Il suo percorso artistico, le sue scelte sono il sigillo di garanzia che il “Folk Stock” sarà un festival non solo da ascoltare ma anche un festival da ballare, anche se, quest’anno, lo potremo fare solo nel salotto della nostra casa. Ci saranno tempi migliori, intanto “buona musica a tutti”.
Un viaggio musicale attraverso aneddoti, curiosità e interviste raccontate in un format web sul proprio canale YouTube
Una carriera musicale da protagonista ma non, come si potrebbe pensare, sul palco affollando palazzetti e stadi, bensì con le proprie canzoni, i propri testi diventati pietre miliari della musica italiana e capaci di rendere grandi artisti come I Nomadi, Zucchero, Eros Ramazzotti, Mango e tanti altri che, grazie al loro talento e alle giuste parole, hanno saputo rendere unica la canzone italiana.
Il noto autore di canzoni Alberto Salerno conosce il significato profondo di cosa significhi costruire un brano, pensarlo, crearlo, arrangiarlo e cucirlo per un artista e ha deciso di raccontarlo attraverso un format web sul proprio canale YouTube (https://www.youtube.com/channel/UCg7ugucjWPD9hv7GyN26UnA) e sui social network : “Storie di Musica”.
Un viaggio musicale attraverso aneddoti, curiosità e interviste a chi l’ha musica l’ha creata e vissuta dietro le quinte, donando poi capolavori che hanno fatto la Storia musicale nazionale (e non solo!). Musica361 ha avuto l’onore di intervistarlo per scoprirne di più.
Storie di Musica, perché? Da dove è nata l’idea?
Storie di Musica, il format che pubblico su Youtube e i principali social network, è nato ad aprile dello scorso anno, in piena pandemia, perché mi annoiavo molto. Ho cominciato a “giocare” e sperimentare sul computer, facendo dirette in cui parlavo di canzoni, ma senza un’idea precisa in mente. Poi piano piano la cosa ha preso piede ed è diventato un appuntamento, oggi molto seguito.
Ormai da diversi anni la musica sta vivendo una trasformazione generazionale. Quanto conta la “vecchia scuola” nel modo di pensare e fare la musica odierni?
Credo che vecchia e nuova scuola sia un modo un po’ troppo limitato di definire la situazione della musica. La vecchia scuola si riferisce al beat, al rock, al pop degli anni ‘60/’70/’80 attraverso cui abbiamo costruito le canzoni fino ai primi anni 2000. Dal 21esimo secolo in poi credo ci sia stata una standardizzazione del prodotto e adesso mi sembra di sentire sempre abbastanza le stesse cose, tranne qualcosa di eccezionale e straordinario come ritengo sia Tu fai rumore di Diodato.
Alberto Salerno “Storie di Musica” su youtube
Numerosi gli ospiti del format. Tutti professionisti che hanno reso grande la musica italiana. C’è qualcuno con cui vorresti avere il piacere di fare una puntata?
I miei ospiti più graditi sono sempre tutti coloro che hanno veramente costruito i dischi dietro le quinte. Ho un grande rimpianto, che sia scomparso un ingegnere del suono come Bruno Malasoma che con me ha fatto tanti dischi. Era un uomo eccezionale sia dal punto di vista umano che professionalmente parlando. Sapeva trovare tutte le soluzioni al momento giusto e naturalmente lavorando senza nessun aiuto della tecnologia. Io tendo a preferire le interviste a produttori, arrangiatori, autori perché sono quelli che dietro le quinte hanno lavorato dietro ai grandi successi.
Oggi i social, i programmi digitali hanno permesso a tutti di produrre musica e “autofinanziarsi”. Quanto conta avere una preparazione tecnica alle spalle che a volte, però, sembra non bastare?
Purtroppo hai detto bene. Tutti possono produrre un progetto musicale. Questo provoca il fatto che arrivi alla musica anche gente che non ha la minima idea e le conoscenze adatte, che non conosce neanche un rivo di musica. Una volta chi faceva la musica doveva perlomeno saper leggere una partitura. Adesso spesso non si arriva nemmeno a questo. Gli auto-didatta ci sono sempre stati e vanno benissimo, se poi sono Modugno e Lucio Battisti ben vengano. Però se sono dei peracottari che se ne stiano a casa, e secondo me ce ne sono tanti.
Spesso nelle puntate si rivivono icone musicali del passato. Come mai oggi sembra così difficile trovare qualcuno che possa prendere in mano le redini di questa tradizione?
Non ho dubbi sul fatto che prima o poi torneranno dei grandissimi artisti, all’estero ci sono già. Poi sai, quando tu parli di David Bowie, dei Pink Floyd, dei Beatles, dei Rolling Stones, di gente che ha creato realmente dei generi musicali, pensare che possano tornare è pura utopia.
E’ vero anche che siamo in un nuovo secolo. Succederanno sicuramente delle cose. Dobbiamo avere fiducia.
I tempi cambiano e con sé anche la musica. Come poter educare i nuovi artisti a preservare le radici della musica italiana pur tenendo conto di una sua evoluzione naturale?
Gli artisti non si possono educare. Gli artisti nascono anche sotto i cavoli. Nascono perché lo sono dal principio. Nessuno può essere costruito, se così fosse durerebbero niente e ne abbiamo avuti tanti. Quando hanno una lunga carriera vuol dire che sono artisti che si sono costruiti da soli, poi naturalmente anche aiutati da professionisti, da collaboratori in gamba, anche dalla fortuna. Le componenti di una lunga carriera sono parecchie, però è ovvio che un artista non può essere educato, non lo costruisci in laboratorio.
Quanto la televisione influenza il modo di fare musica, tenendo conto di programmi come XFactor e Amici che, talvolta, possono essere percepiti come prodotti puramente commerciali che snaturano l’estro artistico di chi ne prende parte?
Oggi la televisione non ha più influenza sulla musica. I talent sono figli di ciò che succede sul web. Le piattaforme che vendono musica come Spotify, sono quelle che a questo punto condizionano il mercato. La televisione è da anni che non lo condiziona. Forse neanche Sanremo. Credo che da Sanremo possano uscire sempre cose carine ma non che diventino dei grandissimi successi, come invece può accadere nel web che è diventato la vera fonte di commercio della musica attuale.
Storie di Musica pensi possa essere un format web esportabile sul piccolo schermo? Per esempio per emittenti come Rai o Sky, che spesso danno ampio spazio a programmi culturali. Ci hai mai pensato?
Credo che Storie di Musica potrebbe tranquillamente diventare un format televisivo. Solo che con le difficoltà che ci sono oggi di raggiungere il piccolo schermo mi sembra una cosa inverosimile, quindi credo che rimarrà su YouTube e sui social. Anche se sarebbe un format che costerebbe molto poco: basterebbero due telecamere, una regia, un mixer, tre luci. Non c’è bisogno di cose spettacolari. Secondo me sarebbe molto produttivo se trasmesso dalla mezzanotte in poi. Io lo vedo molto notturno come format.
Qual è l’ingrediente “segreto” per chi oggi decide di intraprendere una carriera musicale?
Ma sai… Gli ingredienti sono tanti e non sono neanche tanto segreti: una gran bella voce, una grande comunicazione emotiva, una grande preparazione tecnica. E tanta fortuna. Direi che l’80% è tanta fortuna.
Articolo a cura di Victor Venturelli
Etichette discografiche indipendenti: Luminol Records
La musica, per chi la ama ma anche per chi non sa di amarla, è vita. Il nostro universo è fatto di vibrazioni ed è la vibrazione che rende vivo il cosmo
“Luminol Records” è un’etichetta discografica indipendente, nata dalla passione genuina per la musica di qualità al di fuori dei canoni tipici del commercio. Si basa sul concetto di “progressivo” concepito come sperimentazione della musica sia sul piano artistico che sociale, quindi non strettamente correlato ad uno specifico genere musicale, ma al concetto di emancipazione e passaggio di un’area artistica ad un’altra e dallo status di tendenza musicale verso altre prospettive culturali. Gli artisti gestiti e promossi da Luminol Records spaziano dal prog-rock al post-rock, dall’avantgarde al progressive metal e dal post-pop all’IDM; sono tutti accomunati dalla passione per la sperimentazione e per la miscelazione di diversi generi musicali e forme d’arte come mezzo di comunicazione e interpretazione della realtà.
Questo è quanto scritto sul sito dell’etichetta. Ovviamente queste affermazioni ci hanno incuriosito e abbiamo deciso di parlarne con Giacomo Cacciatori, founder e direttore artistico dell’etichetta.
Quando e perché nasce la tua etichetta?
Nasce circa quattro anni fa. Avevo già un’esperienza pregressa nel campo discografico perché mi ero occupato di musica pop dance che, ti devo confidare, non è mai stato il mio genere musicale preferito.
Ho deciso, quindi, di fondare una mia etichetta per dar voce non solo alla musica ma anche agli ideali che ci sono dietro e, spesso, dentro. La visione della label è più internazionale che non nazionale.
L’Italia è un paese in cui non si sono consolidate esperienze forti come in Inghilterra o in nord Europa, realtà con una stretta connessione tra gli artisti, lo loro musica e i loro ideali. La decisione di aprire “Luminol” è stata quella di iniziare questo percorso.
Luminol? La prima cosa che può venire in mente è la famosa “scena del crimine” delle serie americane. Perché questo nome?
La musica, per chi la ama ma anche per chi non sa di amarla, è vita. Il nostro universo è fatto di vibrazioni ed è la vibrazione che rende vivo il cosmo e quindi noi stessi. Il “luminol” evidenzia tracce ematiche o organiche, le tracce vive.
Allo stesso modo la “Luminol Records” si propone di andare a cercare cosa c’è di vivo nella musica, in un mondo di sonorità sempre più legate alle possibilità dei computer “Luminol” cerca la musica suonata, quella in cui l’energia vitale è trasmessa da vibrazioni che sono quelle dell’individuo.
In realtà “Luminol” è anche la ricerca dei nuovi talenti, quelli nascosti sotto lo strato più commerciale del nostro panorama musicale odierno. Ma non solo, perché “Luminol” è anche il titolo di un brano di Steve Wilson, artista che amo particolarmente. Come vedi sono più di uno, i motivi della scelta.
Più che genere, come definiresti lo stile della “Luminol”?
Se dovessi definirlo userei il termine “malinconico”, non nel senso della sua accezione più tipica che riporta alla tristezza. Ogni progetto è musica, video e, da quest’anno, anche teatro.
Penso che malinconia sia la definizione più giusta, quella che permea di più il mood dell’etichetta, la tranquilla riflessione delle cose. Siamo una label che si occupa di Progressive Rock, Post-Progressive, Post-Rock e Electronic.
Quali servizi offrite ai vostri artisti?
Ci occupiamo della distribuzione, sia digitale sia quella relativi ai supporti, il vinile nello specifico, per la quale ci stiamo attrezzando. Ma anche di ufficio stampa e promozione in tutte le sue sfaccettature.
Abbiamo aperto lo scorso anno una società di edizioni musicali, la Ky Publishing, parte del progetto “Luminol” che ci permette di promuovere la musica anche nell’ambito televisivo, delle colonne sonore e dei videogames.
Lavoriamo, principalmente, su progetti già strutturati ma realizziamo anche progetti in toto. Capita che voler produrre internamente voglia dire forzare un imprinting della label che snatura la creatività degli artisti e, spesso, normalizza verso standard più commerciali.
Preferiamo che gli artisti abbiano il massimo della libertà e delle scelte, l’importante alla fine è la qualità. Ci sono anche casi in cui decidiamo di produrre direttamente, come per gli “Ujig”, una band progressive/fusion/jazz che uscirà quest’anno, o i “Don’t Call Me Plus” usciti poco più di un mese fa.
Come avete organizzato la distribuzione?
Ci affidiamo a distributori diversi sulla base delle aree geografiche, in Asia per esempio ci sono distributori che hanno una penetrazione specifica nel mercato.
Per il vinile stiamo definendo partnership e collaborazioni perché il nostro target è il mondo, non l’Italia. Da quest’anno sarà inoltre attivato una canale di e-commerce collegato al nostro sito.
Quali sono gli elementi di punta del vostro roster?
Come ti dicevo prima gli “Ujig”, i “Don’t Call Me Plus”, poi gli “Eileen Sol”, un gruppo i cui componenti sono sparsi tra l’Emilia e la Toscana che stanno uscendo con un lavoro che riarrangia Maurice Ravel. Ma anche i “Miotic”, gli “Aseptic White Age”, la faccia più cattiva della label, sperimentali sul fronte metal/rock e i “TiV Project”, una band iraniana che suona progressive rock classico. Molti dei nostri artisti non sono italiani anche perché ci rivolgiamo a un pubblico internazionale.
Un artista che vuole proporre la sua musica cosa deve fare?
C’è un indirizzo mail specifico che è demo@luminolrecords.com oppure sul nostro sito c’è un apposito form da cui è possibile fare l’upload e compilare la scheda informativa. Ovviamente se qualche artista ci vuole raggiungere può farlo anche attraverso le pagine social di “Luminol Records”.
Se la premessa ci aveva incuriosito, il racconto di Giacomo ci ha permesso di scoprire che è ancora possibile realizzare musica non necessariamente commerciale perché continua ad esserci qualcuno che la “traccia vitale” della musica continua a cercarla.
Articolo a cura di Roberto Greco
Non solo talent: Premio Bindi
Premio fortemente incentrato su una passione autentica per la canzone d’autore, ritenendola parte integrante della storia e della cultura musicale del nostro paese.
Anche quest’anno a Santa Margherita Ligure si terrà il Premio Bindi, prestigioso festival della musica d’autore, che assegna l’ambita targa a cantautori o gruppi musicali che scrivono i propri brani.
Il Premio Bindi è uno dei festival italiani più importanti nel panorama della canzone d’autore emergente.
Nato da un’idea di Enrica Corsi con il contributo economico del Comune di Santa Margherita Ligure, nel 2005 si tiene la prima edizione del concorso dedicato a Umberto Bindi, cantautore genovese di grande raffinatezza scomparso nel 2002, autore di canzoni come: Arrivederci, Il nostro concerto, Il mio mondo, La musica è finita, Io e il mare.
La storia del Premio Bindi è legata a due figure di spicco della musica italiana che sono state negli anni alla direzione artistica del Premio: Bruno Lauzi e Giorgio Calabrese, i quali hanno portato, con la loro personale storia artistica, credibilità, forza e valore ad un premio storicamente giovane ma fortemente incentrato su una passione autentica per la canzone d’autore, ritenendola parte integrante della storia e della cultura musicale del nostro paese.
Il Bando per partecipare alla diciassettesima edizione del concorso sarà pubblicato online dal 1 marzo al 1 maggio 2021. L’iscrizione è gratuita e deve essere effettuata entro e non oltre il 1° maggio 2021esclusivamente tramite il form presente sul sito www.premiobindi.com nell’apposita sezione. Sul sito è disponibile anche il bando completo del concorso.
Il concorso è riservato a singoli o band che compongano le proprie canzoni. Fra tutti gli iscritti, una commissione interna all’organizzazione selezionerà i finalisti, al massimo otto, che si confronteranno di fronte ad una giuria composta da musicisti, giornalisti e addetti ai lavori.
Non solo talent: Premio Bindi
Nel mese di giugno saranno resi noti i nomi dei finalisti. La finale è in programma sabato 10 luglio 2021 (salvo impedimenti dovuti a disposizioni relative all’emergenza sanitaria). I finalisti dovranno eseguire quattro canzoni, tre proprie e una cover di Umberto Bindi scelta con la direzione artistica del Premio.
Al vincitore assoluto sarà assegnata la Targa Premio Bindi e una borsa di studio in denaro e fra i finalisti verranno assegnate anche la Targa “Giorgio Calabrese” al miglior autore, la Targa “Migliore canzone”, scelta in base ai canoni radiofonici e la Targa “Beppe Quirici” al miglior arrangiamento.
Il Premio Bindi si avvale della direzione artistica di Zibba ed è organizzato dall’Associazione Le Muse Novae. È sostenuto dal contributo del Comune di Santa Margherita Ligure, dalla Regione Liguria e di SIAE.
Adoro la musica Barocca, penso di avere un’anima un po’ antica, fuori dal tempo
Si muove tra Londra e Firenze, è attore ma suona anche il violoncello. Nella sua formazione c’è da subito, da sempre, sia la scuola di Teatro che il conservatorio, quindi la parola, certo, ma molta musica e in particolare il Musical.
Tra gli spettacoli, la maggior parte dei quali messi in scena soprattutto a Londra, ne ricordiamo alcuni: La strada, L’amore delle tre melarance,Metamorfosi di Ovidio, Edward mani di forbice, e Nymph Errant e Kiss me Kate di Cole Porter. Ha avuto diverse parti in cortometraggi tv. Canta con voce di baritono. E oltre al violoncello suona la chitarra e il pianoforte.
Dalla tua biografia vedo che sei attore ma molto molto musicista. Che musica ti piace ascoltare?
Quando si tratta di musica spazio molto, dipende dal mio “mood” e dal momento della giornata, e anche dai periodi della mia vita. Nascendo come musicista classico, sono cresciuto ascoltando musica classica, cosa che tutt’ora faccio (adoro la musica barocca). Mi piace molto il genere del musical theatre, soprattutto americano, come quello di Stephen Sondheim (Company, Sweeney Todd, Into the Woods…), o anche, andando più indietro nel tempo, i vecchi musicals di Rodgers and Hammerstein (South Pacific, The King and I, The sound of music…) Una mia amica mi chiama Wikimusical… hahah.
Penso di avere un’anima un po’ antica a volte.
Tendenzialmente un inattuale, diciamo…
Possiamo dire così. Magari nel senso di fuori dal tempo… Infatti mi piacciono anche le vecchie canzoni italiane degli anni 50 e 60, e il cantautorato alla De Andrè (sono cresciuto con il mio babbo che cantava Volta la carta e Bocca di rosa a me e alle mie sorelle)
Non ascolto molto la musica pop, a dire la verità, anche se ultimamente mi sono imbattuto in Mahmood e mi ci sono consumato le orecchie, eheheh…
Com’è nato il tuo rapporto con lo strumento e in particolare il violoncello?
Ho iniziato con lo studio del violoncello quando avevo 7 anni alla scuola di musica di Fiesole a Firenze. Mi ricordo che quando ero in prima elementare un quartetto d’archi venne a fare una lezione concerto nella mia scuola. Io tornai a casa e dissi a mia mamma: ” voglio suonare il violoncello! ” e da lì ha avuto inizio tutto.
Musica a Teatro: Niccolò Curradi
Mi sono diplomato a 22 anni. Ma ho sempre avuto anche la passione per la recitazione. Ho sempre messo in scena piccole recite con i miei amichetti e comunque ho sempre fatto il ” buffone” per fare ridere le persone intorno a me.
Ad un certo punto della mia carriera, mentre suonavo in buca durante un ‘opera o simile, guardavo il palcoscenico e pensavo ” ma io voglio stare là sopra! non in buca! ” da lì è iniziato il mio percorso attoriale. Così ho frequentato l’Accademia di Teatro a Bologna e in seguito, dopo aver scoperto il mio amore per il canto, la scuola di musical a Londra. Proprio a Londra ho potuto coniugare le mie due passioni: la musica e la recitazione. Ho lavorato in produzioni in cui dovevo contemporaneamente recitare, cantare e suonare il violoncello e altri strumenti. In Italia questa figura dell’attore musicista ancora non ha preso piede purtroppo.
E quindi ti senti più attore o musicista?
Se mi sento più attore o musicista? Bella domanda. Diciamo che mi sento un attore che è anche musicista. Negli ultimi anni indubbiamente ho lavorato di più come attore, ma il primo amore non si scorda mai!
Musica a Teatro: Niccolò Curradi
Che stai facendo ora?
Al momento sono tornato in Italia dopo che sono rimasto 8 anni a Londra. Avrei dovuto essere in scena con la versione musical del film “Vacanze Romane” a Londra. Ma purtroppo sappiamo tutti cos’è successo. A maggio sarò in scena in Trentino con una compagnia di lassù (solo in veste di attore, niente violoncello questa volta) e a settembre sarò a Firenze con un altro spettacolo.
Meglio lavorare a Londra o in Italia?
Beh, come ti ho detto, molte cose sono diverse e anche più semplici per attori di un certo tipo, oltre Manica. Diciamo che mi manca lavorare a Londra ma sono contento quando lavoro in Italia, a casa mia!
Bentornato a casa, allora
Articolo a cura di Sergio Scorzillo
Note di Regia: Tommaso Sacchini
Mi ha in particolare colpito la forza che la musica ha sulle immagini, al punto da riuscire a trasformare l’atmosfera
Video-documentarista, sceneggiatore, disegnatore e fumettista Tommaso Sacchini che nei primi anni del nuovo secolo ha iniziato il suo viaggio verso la regia dopo aver studiato presso la Scuola internazionale di Comics di Firenze, indirizzo fumetto, e sceneggiatura con Matteo Casali.
Nel 2011 viene nominato vicepresidente per l’associazione culturale Golconda Group e nello stesso anno realizza il corto animato interattivo “Io cresco” per Eli Lilly. La sua passione per l’arte lo ha poi portato a studiare psico teatro con Alejandro Jodorowsky e successivamente con Marco Greco presso la scuola di Psicodramma di Torino.
Sacchini vanta il Premio Rodolfo Sonego 2013 la Lago Film Festival per la sceneggiatura di “Il rappresentante”, suoi anche alcuni dei video di Rifle, Gucci, Gas, Cavagan e Uno Media Communication e gli spot di altrettanti importanti brands. I suoi nuovi progetti li racconta Tommaso Sacchini nella seguente intervista.
Tommaso ci racconti i tuoi esordi come regista?
In realtà io ho iniziato la mia vita professionale come sceneggiatore. Nel 2012 ho vinto un premio in denaro finalizzato allo sviluppo di un cortometraggio. La mia attività come regista è nata in quel momento.
Durante la fase di montaggio, per me un’attività nuova, ho notato che una scena poteva cambiare totalmente sulla base della musica che montavo. Mi ha in particolare colpito la forza che la musica ha sulle immagini, al punto da riuscire a trasformare l’atmosfera.
Che ruolo assume la musica all’interno del tuo prodotto?
La musica in realtà decide molto di quello che proviamo guardando l’immagine, facendo totalmente leva sulle emozioni dello spettatore. Saper utilizzare musica e immagini conferisce un potere incredibile.
Circa cinque anni fa mi sono trovato a girare la presentazione del Montecatini Film Festival, alle Terme del Tettuccio dove Fellini ha girato 8 ½ (otto e mezzo), insieme a Luce Cardinale, nipote di Claudia Cardinale e improvvisando tutta una serie di immagini ho deciso di inserire una traccia di Davide Friello che suona l’Handpan.
Il contributo di Davide ha permesso di creare un video così espressivo che mi è nata la voglia di farne altri. Io adoro riuscire a fare parlare le immagini senza parole, sul filo del cinema muto, sottolineando i non dialoghi con la musica.
Sto lavorando ad un progetto, che porteremo in tour partendo da Roma, che prevede la proiezione di una trilogia di video all’esterno sulle superfici di palazzi o altre di interesse, accompagnata con la musica dal vivo.
Nel privato in quali momenti ti accompagna la musica?
La musica per me ha anche un’importanza a livello personale. Io amo disegnare e in particolare disegno gli story board dei video che produco, quando faccio questo tipo di attività ascolto moltissima musica.
Spotify premium è stata quindi una scelta obbligata per me, perché mi piace anche un certo livello di qualità. Sono riuscito così a spaziare tra tantissime proposte. La musica per me si divide in due categorie: quella che mi piace e quella che non mi piace!
Note di Regia: Tommaso Sacchini
Spesso mi sveglio con una canzone in testa e poi seguo quel filone durante tutto il giorno. La stessa cosa la faccio con i film: spesso scelgo un regista e mi guardo tutti i suoi film.
Per me è una fase di studio, in particolar modo mi interessa l’evoluzione professionale che riesco a leggere tra il primo e l’ultimo film montato. Ovviamente cerco di riprendere l’elemento che mi colpisce e di inserirlo all’interno del mio lavoro.
Tra lungometraggio, videoclip, corti pubblicitari qual è il prodotto che senti più tuo?
Il lungometraggio è un’opera per cui ancora non ho la giusta maturità. Produrre un lungometraggio significa essere presenti e condurre tutte le fasi nei vari ruoli. Sono circa sei mesi di lavoro intenso e che richiede grande impegno.
Mi piace moltissimo invece fare videoclip anche con tagli e tempi più lunghi rispetto a quelli commerciali, tengo inquadrature lunghe 30 secondi allo scopo di generare una riflessione introspettiva allo spettatore.
Essere sempre intrattenuti da immagini in movimento non ci permette di entrare dentro noi stessi. I maggiori spunti artistici che ho visto realizzati e quelli che sono nati in me sono nati da momenti di noia, perché sono costretto a trovare una soluzione originale all’apatia generata dal momento di fermo.
Nel mio lavoro poi, come del resto nella musica, la cosa importante è saper togliere e non aggiungere. Alleggerire aiuta ad ottenere un risultato finale ottimale. Spesso l’emozione è generata da concetti minimali.
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