Radio Globo: musica, attualità, notizie e il “lavoro” di Umberto e Damiano
“Roma ce semo. Aiutame tu. Io non te dico niente Roma ma stasera c’ho bisogno de te e quanno tu te ce metti, ste cose le combini bene. Roma nun fa la stupida stasera, damme na mano a faglie dì de sì”. E mi hanno detto sì. Loro, il duo comico Umberto e Damiano speaker di Radio Globo.
Umberto e Damiano. Un Duo Comico in perfetta sintonia. Quando è nata la vostra coppia? Umberto: Siamo un Duo Comico da 12 anni. Abbiamo iniziato insieme come animatori e poi è nata la passione per lo spettacolo.
Da Animatori a Speaker. In quale Radio avete debuttato? Damiano: Sai Lorenzo non abbiamo mai avuto una prima Radio ma un primo programma che si chiamava “Comedy Radio Show”. Veniva trasmesso da oltre 30 emittenti FM e Web.
Ah! E poi cosa è successo? Damiano: E poi abbiamo fatto una prima diretta su Radio Crik Crok e da quel momento siamo diventati professionisti.
E siete approdati a Radio Globo Umberto: Si. Prima con il programma “Chiamata a Carico” e poi, dal 2019, con un nuovo format.
Di che format si tratta? Umberto: Sono 4 ore di diretta, dalle 10 alle 14 ogni sabato e domenica, in cui parliamo di attualità, satira, ironia e trash web.
E nei vostri week end avete ospiti telefonici o in studio? Damiano: No Lorenzo. Siamo io e Umberto ed il pubblico che interagisce con noi tramite il Globo Whatsapp.
Che figata! E il Duo è mai andato in esterna per Radio Globo?
Umberto: Si. Siamo stati l’estate 2019 ad Ibiza per delle Candid Camera e i nostri ascoltatori sceglievano la parte finale delle Candid. Ricordo che una volta gli ascoltatori hanno dovuto scegliere se farci compare un panino o “rubarlo” a un cliente. Insomma, Candid con esperimento sociali.
Umberto&Damiano coppia di fatto di Radio Globo. Qual è il vostro pregio radiofonico?
Umberto: Damiano anche nei momenti seri se ne esce con delle battute improvvise che sdrammatizzano. Damiano: Umberto ha un modo molto serioso di trattare le notizie ma è pronto a smorzare, con la sua simpatia, sul finale. Come possiamo ascoltare Radio Globo? Umberto&Damiano: Ci puoi ascoltare in FM anche da Ibizia. Altrimenti in streaming sul sito www.radioglobo.it oppure tramite la nostra APP.
È il momento MARKETTA. Perché ascoltare il vostro Format? Perché il nostro è un lavoro. Sai in un attimo cosa sta succedendo di trash a livello nazionale.
Da Roma è tutto. Io mi rimetto in viaggio per cercare nuove avventure. A martedi!
Articolo a cura di Lorenzo Amatulli
Non solo talent: Vibra Song Contest
Vibra Song Contest, format digitale aperto a tutti gli artisti, in qualsiasi formazione con brani originali e cover di ogni genere musicale
Il Vibra Song Contest è un format innovativo, che nasce in digitale, ma dal cuore caldo e vibrante, per andare oltre il tradizionale concetto di contest. È aperto a tutti gli artisti, in qualsiasi formazione, con brani originali e cover di ogni genere musicale.
Il Vibra Song Contest, non ha preconcetti o pregiudizi verso alcun genere musicale o verso qualsiasi tipo di formazione musicale, è organizzato in due categorie e accetta brani originali o cover.
Nella categoria “ORIGINAL” saranno accettati tutti gli artisti, in ogni tipo di formazione, che propongono un brano proprio di qualsiasi genere musicale, sia edito che inedito, nel quale abbiano avuto un ruolo attivo, anche non esclusivo, come parolieri o compositori (anche in collaborazione con altri soggetti).
Nella categoria “COVER” saranno accettai invece tutti gli artisti che canteranno un brano, sia edito che inedito, nel quale non abbiano avuto un ruolo attivo nella stesura del testo o nella composizione della musica.
Alla selezione non sono ammessi brani strumentali privi di una parte vocale. È quindi necessario che i brani contengano una parte vocale che può essere in qualsiasi lingua o dialetto.
Nel caso in cui si decida di presentare un brano non in lingua italiana, è però necessario inviare sia il testo originale sia una traduzione in italiano.
Ovviamente non saranno ammessi al concorso brani che saranno ritenuti offensivi, discriminatori, d’incitazione alla violenza o che possano offendere il comune senso del pudore.
La durata massima del brano presentato dovrà essere di 5 minuti. È prevista una quota di partecipazione. Le iscrizioni si chiudono il 2 maggio prossimo.
Il Vibra Song Contest si sviluppa attraverso quattro fasi. La prima è la pre-selezione. Gli artisti dei brani che otterranno l’idoneità, potranno completare il processo d’iscrizione e accedere alla seconda fase di selezione.
Chi non passerà alla seconda fase ha la possibilità di partecipare gratuitamente alle pre-selezioni della prossima edizione del Vibra Song Contest.
La seconda fase è quella della selezione dei semi-finalisti. I brani ritenuti idonei nella prima fase saranno ascoltati e valutati dalla giuria che compilerà una scheda di valutazione.
Al termine di questa fase, le schede realizzate saranno inviate ai rispettivi artisti, per offrire un giudizio dettagliato, nel quale saranno messi in evidenza i punti di forza e le criticità del brano proposto.
Complessivamente saranno selezionati 100 brani, 50 per la categoria “brani originali” e altrettanti per la categoria “cover”, che otterranno l’accesso alla semi-finale. Gli Artisti che parteciperanno al Contest con più brani, potranno ottenere l’eventuale accesso alla terza fase per uno solo dei brani iscritti. Sarà considerato il brano che riceverà la valutazione più alta da parte della Giuria. I 100 brani selezionati saranno comunicati il 7 giugno 2021.
La terza fase decreterà i finalisti. Dei cento brani emersi dalla seconda fase, solo dieci, 5 per ognuna delle due categorie, prenderanno parte alla finale. I dieci brani selezionati saranno comunicati il 15 luglio.
La quarta fase è quella della finale che si terrà a Roma l’8 settembre 2021. I dieci finalisti saranno ospitati a Roma per un’esibizione live, trasmessa in streaming sul canale Facebook ufficiale del Vibra Song Contest.
Alla finale prenderanno parte alcuni “Special Guest” del mondo musicale e discografico che, insieme alla giuria, contribuiranno a decretare i vincitori.
In palio due contratti discografici oltre a una serie di servizi relativi alla produzione musicale e alla possibilità di esibirsi all’edizione 2021 del MEI – Meeting Degli Indipendenti.
La Giuria del Vibra Song Contest sarà composta da professionisti del mondo musicale e discografico tra i quali Giampaolo Rosselli, Tony Pujia e Giuseppe Lorenzoni. Per la finale, alla Giuria resident del Vibra Song Contest verranno affiancati alcuni Special Guest.
Articolo a cura di Roberto Greco
Vedere la Musica: Iwan Palombi
In viaggio con il “vulcanico” fotografo dei Vip Iwan Palombi, il fotografo che “colleziona” espressioni
Iwan Palombi, figlio di un “paparazzo” di professione, rimane folgorato dal lavoro e dal magnetismo di Rino Petrosino. Iwan è vulcanico e capace di gestire anche i personaggi più complicati. I Vip, non amano perdere tempo in shooting, perché hanno altro da fare.
Lui, però, li incanta con i suoi modi sicuri, i suoi “fiumi di parole”, riuscendo in poco tempo a fare il meglio. Probabilmente della professione di suo padre, gli è rimasta quella capacità di cogliere l’attimo dei fotografi d’assalto.
Ha avuto il privilegio di essere su set cinematografici importanti, incontrare tante persone che –dice-gli hanno regalato tanta energia della quale lui, ha fatto tesoro. È un esteta, attento ai particolari. Cura personalmente e con maniacale attenzione, l’illuminazione, gli arredi e anche i profumi d’ambiente di casa e le sue donne, la moglie e le figlie gemelle, lo lasciano fare.
Iwan Palombi: fotografo per passione o per caso?
Sono nato il 9 aprile in Germania, ma di tedesco mi è rimasto solo il nome. Sono arrivato a Roma che avevo quattro anni. Mio papà faceva il paparazzo ma a me non piaceva proprio quel modo di doversi appostare, scavalcare cancelli per “rubare” scatti.
Per questo, quando ancora frequentavo il liceo, volendo arrotondare, mio padre mi mandò da Rino Petrosino per fare un’esperienza lavorativa. All’inizio ho fatto per lui lo “schiavo”, senza minimamente parlare di fotografia per almeno sei, sette mesi.
Poi un giorno, per caso, dissi qualcosa riguardo al posizionamento delle luci su un set. Lui mi guardò e capì che c’era qualcosa da tirare fuori. Da quel momento cambiò tutto. Negli anni ’90 ero “paraculo” e bravino, poi ho voluto e preteso da me di più.
Sono stato con lui ventinove anni, che mi hanno formato non solo come fotografo, perché in sostanza vivevo con lui, ma anche come uomo, tanto che lo considero come un padre. Al mio matrimonio ho una bellissima fotografia stretto tra lui e mio padre, a sottolineare quanto sia stato importante per me.
Perché fotografo e non “paparazzo”?
Perché mi piace l’incontro, la contaminazione, quello mi rimane addosso. A mio padre dissi che non volevo scavalcare cancelli come lui, ma suonare i campanelli e essere protagonista. Quella del paparazzo è una vocazione all’ingegno. Per esempio so di uno che è riuscito a fare scatti esclusivi al matrimonio di un super- vip, travestendosi da prete con la go-pro sotto la tunica seduto in prima fila, indisturbato. Questo è un genio! Però, non fa per me. Io voglio essere invitato e non imbucato, è una questione di vocazione.
Cosa ti ha insegnato Rino Petrosino?
La mia ammirazione per lui sfiorava l’emulazione, volevo diventare come lui che era, oltretutto, un bell’uomo e faceva stragi di donne. È stato il mio mentore e, forse, mi ha fatto anche da padre. Mi ha comprato il primo completo blu e le prime Churchill, insegnandomi tutto. Ho imparato a conoscere ogni cosa di lui, tutti i suoi umori. Grazie a Petrosino, ho capito di dover diventare “bipolare”, non per caso o sciagura, ma per scelta. È fondamentale, infatti, gestire le proprie emozioni, cercando di essere sempre gentile e carino, senza perdere “polso” e fermezza. Ho imparato a essere PR di me stesso. Ho avuto la fortuna di lavorare su molti set cinematografici, incontrando tantissime persone: ognuna di loro mi ha lasciato qualcosa, contaminandomi.
Tra i tanti set, le persone incontrate, chi ricordi in particolar modo?
Ricordo, quando giovanissimo, nell’89 fui mandato a Tunisi sul set di Un bambino di nome Gesù di Franco Rossi con la grande Irene Papas nel ruolo di Maria. Sono entrato in scena e ho cominciato a scattare a raffica. Ad un certo punto la Papas, stizzita, mi dice “Basta!
E’ appena morto mio figlio!”… La guardai male, perché non capivo la sua irritazione, visto che ero lì per quello. Dopo, mi venne vicino e molto carinamente, mi spiegò come dovessi cercare di capire quale fosse la scena che si stava girando e il “pathos” del momento, sottolineando il fatto che dovessi essere parte e non elemento di disturbo. “Devi chiedere– disse- scegliere il momento giusto, entrare nella dinamica del set, farne parte”.
Un insegnamento che portai via con me e un ricordo indelebile di quel momento. Sono stato, in Russia per il film Il proiezionista di Andrej Koncalovskij, con Bob Hoskins, quando ancora erano in presa diretta e in pellicola. Potrei andare avanti per ore perché sono stati tantissimi e ognuno di quei gruppi di lavoro, mi ha lasciato qualcosa.
Ogni set è come una famiglia dov’è importante capire quale sia il proprio momento, quello della foto, del truccatore, del tecnico delle luci, del fonico. Una famiglia che è un’orchestra, dove si suona tutti insieme, per creare armonicamente un’unica sinfonia.
Iwan, cosa mantiene vivo questo “fuoco” questa passione?
Sono curioso, mi piace guardare avanti, oltre. Dico ai giovani, valutate il vostro lavoro, non accettate di lavorare per poco e niente, perché pregiudicherà il lavoro di tutti. Potenzialmente, esco la mattina, pensando che sono un uomo licenziato, dopo un servizio sono occupato ma subito dopo, di nuovo senza lavoro. Una sorta di zingaro, ma è questa “fame” questa voglia di fare, che mi appaga. Mi piace dover ricominciare ogni giorno, rimettermi in gioco e non dare niente per scontato.
Quando guardi nell’obiettivo, cosa cerchi?
L’espressione, l’occhio, deve essere connesso con me. Altrimenti non mi diverto. Devo creare una connessione in tre minuti. Non ho bisogno di carburare per tanto. Mi piace dare il massimo anche in poco tempo. A Sanremo dove con Sorrisi facciamo il back stage, quest’anno con le restrizioni, era davvero complicato. Mi hanno mandato dietro, dicendomi di avere solo dieci, undici minuti per farlo. Ho rotto, come faccio sempre, le palle a tutti, inventando situazioni, tipo siediti sullo scatolone, mettiti là, insomma costruisco. Il personaggio non ama darsi, non gliene frega, di farsi fotografare.
Quando Carlo Conti fece il testimonial per Wind, mi convocarono chiedendomi di quanto tempo avessi bisogno. Risposi che sarebbero bastati una cinquantina di minuti per tutto lo shooting. Vennero in cinque sul set, increduli e quando dopo quaranta minuti, dissi di aver finito, Carlo disse rivolgendosi a loro: “Avete capito perché ho voluto lui?”.
Se idealmente, il tuo fosse un viaggio, quale sarebbe?
Un’esplorazione: una continua partenza verso cose e persone inaspettate, alla ricerca di energia in ogni dove, lasciandomi travolgere dalla loro forza. Indimenticabile, tra i tanti, quello con Mariangela Melato, con Paola Turci (un vero viaggio in ambulanza), subito dopo l’incidente. Ognuno è un lungo viaggio, che lascia segni indelebili e la voglia di ripartire per farne un altro. Ho il privilegio di fare un lavoro, che mi fa sentire giovane, non essendo mai ripetitivo ma sempre nuovo. Ti rimane di tutti qualcosa, che sia un truccatore, un tecnico delle luci, un attore o un regista. Se ci stai bene dentro, hai vinto.
La musica, che ruolo ha nel tuo lavoro?
È fondamentale, ascolto dalla musica House, a Chiara Civello, Dire Straits, Skunk Anansie, Gipsy King,Pino Daniele o Mango. Parto da Sanremo, ogni anno, che odio questa musica. Arrivoa Roma che ascolto solo quella. Quest’anno poi Amadeus, credo abbia fatto centro, con una selezione fortissima di canzoni e pochi giorni fa l’ho chiamato per dirgli proprio questo. La musica non potrebbe non essere importante, visto che ho all’attivo trent’anni di Festival come fotografo ufficiale da palco. L’edizione 2021, rimarrà nella storia per tanti motivi, non ultima la copertina di Sorrisi che è frutto di un montaggio di scatti fatti in gennaio, non potendo evidentemente, realizzare una foto d’insieme.
La copertina di Sorrisi con Alberto Sordi è un pezzo di storia italiana e l’hai fatta che avevi solo vent’anni. Ci racconti com’è andata?
Avevo vent’anni e Petrosino era all’estero, Sordi faceva settant’anni e quindi fui costretto a sostituire il mio capo. Non chiusi occhio tutta la notte, pensando alla macchina a lastre che avrei utilizzato e la responsabilità che avrei avuto nei confronti del settimanale tra i più importanti del momento, consapevole che avrei rischiato il fondoschiena. Andai a prenderlo e nonostante la mia preoccupazione, filò tutto liscio. Il giorno dopo mi chiamò per chiedere se fosse tutto a posto o se avessi bisogno di rivederlo. Un grande uomo!
La Carrà?
La Carrà è un personaggio fantastico, che incontrai la prima volta facendo l’assistente in studio. Poi nel 2015, mi fu detto che dovevo fare Forte Forte Forte, che ero l’unico e che mi toccava la Carrà, con l’avviso che era davvero molto tosta. Naturalmente mi terrorizzarono e mi diedi del coglione da solo per avere accettato. Intorno a me c’è una gran folla, m senza perdermi d’animo, la ubriaco di parole, ci piacciamo e da lì ho fatto molto altro con lei dal secondo Forte Forte Forte, a The Voice e anche il disco.
Se dovessi dare una definizione di te, cosa diresti?
Che sono alto, magro e sportivo. Sono timido, anche se può sembrare strano e non mi piace auto definirmi. Lascerei due righe in bianco, lasciando agli altri il compito di farlo.
Il nostro incontro, si chiude qui ma potrebbe andare avanti all’infinito. Voglio riempire quelle due righe bianche: Ipnotico, al punto giusto, riesce ad attirare l’attenzione con intelligenza e savoir-faire, impossibile sfuggirgli. Rino Petrosino aveva visto giusto, questo è talento.
Articolo a cura di Paola Ferro
Giulia Mei: “Mamma!” il suo nuovo singolo
“Con questo nuovo singolo, c’è una nuova strada da percorrere, una strada con una nuova ricerca musicale e inevitabilmente con una nuova me”
Giulia Mei, palermitana trapiantata a Bologna, lungo la sua carriera ha ottenuto diversi riconoscimenti tra i quali il Premio Alberto Cesa, il Premio Bigazzi in qualità di autrice e diversi riconoscimenti durante il Premio Lauzi.
Giulia Mei è finalista dell’edizione 2016, nella quale vince il Premio del pubblico, e delle edizioni 2017 e 2018 di “Musicultura”.
Nel 2018 apre i concerti di Roberto Vecchioni in Sicilia. Ha al suo attivo un Ep, del 2016, dal titolo “Pianopiano” e nel 2019 esce il suo primo album, “Diventeremo adulti”, finalista alle Targhe Tenco nella categoria “Miglior album di esordiente”, che le fa vincere il Premio speciale MEI come migliore artista esordiente femminile lavoro e che è stato proclamato dal Forum del Giornalismo Musicale, una tra le migliori opere prime uscite nel 2019.
Nel marzo 2021 si aggiudica la vittoria al prestigioso concorso per autori “Genova per voi”, concorso che ha consacrato autori di successo come Willie Peyote e Federica Abbate. È uscito in questi giorni il suo nuovo singolo, dal titolo “Mamma!” ed è stata l’occasione per chiamarla e fare una chiacchierata con lei.
Dal tuo singolo “Tutta colpa di Vecchioni” a oggi è passata molta acqua sotto i ponti. Se ti guardi alle spalle cosa vedi?
Vedo una ragazza che ci ha sempre creduto. Ero una ragazza, mentre ora sono una donna che però continua a crederci con l’entusiasmo e l’emozione degli inizi.
Da quel primo album a oggi c’è stato un percorso con tanto studio e tanto impegno ma anche tanta gioia. Oggi, con questo nuovo singolo, c’è una nuova strada da percorrere, una strada con una nuova ricerca musicale e inevitabilmente con una nuova me.
Il tuo “Diventeremo adulti” è stato profetico. Oggi firmi un contratto come autore per Universal.
Mi permetterà di lavorare con loro, con i loro autori e i loro produttori. Sarà una grande esperienza ma anche una bella sfida. Vengo da una storia cantautorale che mi ha sempre fatto scrivere da sola, voce e pianoforte, e ora dovrò confrontarmi e lavorare con altri autori e sento che questo percorso, che è una grande possibilità, mi permetterà di evolvermi e di crescere.
Con chi ti piacerebbe collaborare per un potenziale duetto di un tuo brano?
Non ho alcun dubbio. Mi piacerebbe realizzarlo con Dimartino, un autore che apprezzo profondamente. Lo seguo da sempre e sono contenta che abbia raccolto i frutti del suo lungo lavoro con questa vittoria al festival di Sanremo assieme a Colapesce.
Nel cassetto di Giulia cosa c’è?
Nel mio cassetto ci sono un gruppo di nuovi brani che sfoceranno in un nuovo disco. Il momento è complicato forse per realizzarlo ma sto mettendo assieme i tasselli per la sua realizzazione.
Il nuovo singolo vede già all’opera una serie di collaborazioni che si aggiungono a quella con Vittorio Di Matteo come quella con Dheli, nome d’arte di Gabriele Deliperi, un’artista che ho conosciuto a Bologna, la mia seconda casa. Si tratta di tasselli fatti di nuovi incontri e di nuova musica.
Parliamo ora del tuo nuovo singolo, “Mamma!”.
Anche se può sembrarlo, la canzone non è dedicata a mia madre. Forse è dedicata a tutte le madri, ma la mamma cui faccio riferimento è soprattutto un simbolo della società.
Questo brano parla delle contraddizioni che ci portiamo addosso, di tutte quelle etichette che inseguiamo senza accorgerci di ciò che nella vita è importante, che non è sicuramente un’etichetta o uno status sociale.
Il brano parla del ponte di Genova, dei medici, degli infermieri, dei bambini che si esibiscono su “Tik Tok” e anche dei preti, di questa società che si sta sgretolando sotto i nostri occhi.
La mamma cui faccio riferimento è l’interlocutore sociale a cui promettiamo qualcosa, di inseguire qualcosa che ci porti all’interno di un cosiddetto scaffale sociale, che ci incasella all’interno della società.
Il mio “mamma ti prometto che mi laureo” è l’apoteosi dell’ipocrisia, quando la laurea diventa facciata sociale più che veri contenuti legati alla propria vita e all’ambiente che ci circonda.
In questi anni è cambiata anche la tua musica. Cosa ascolti oggi?
Mi sono lasciata contaminare dalla musica che mi circonda e questo brano, che sicuramente è più indie pop dei miei lavori precedenti, lo dimostra. I miei riferimenti culturali continuano a essere il cantautorato italiano di De Andrè, Vecchioni ma ascolto molto anche il nuovo cantautorato italiano, la musica indipendente e il folk inglese, ascolto musica elettronica e dream pop, che mi piace moltissimo.
Da questi ascolti deriva anche il vestito musicale di “Mamma!” che ha un gusto dance, con l’utilizzo di arpeggiator e synth. Sono uscita dalla mia confort zone, quella che mi ha caratterizzato sino ad ora per riuscire ad affrontare anche temi impegnativi grazie ad un sound più leggero.
Palermo e Bologna, le due città della tua vita. Come riesci a viverle?
Se dovessi definire questo periodo della mia vita non ho dubbi, sarebbe “Palermo-Bologna”. A Palermo ho vissuto il primo lockdown poi sono rientrata a Bologna tornando spesso a Palermo ed è qui che è nata “Mamma”.
Amo profondamente queste due città: Bologna è una città giovane, con una vita notturna molto intensa e molto avvolgente mentre Palermo è il luogo in cui sono nata, il luogo che contiene le mie radici.
Buona musica, cara Giulia. Ascoltiamo il tuo “Mamma!” nell’attesa del tuo nuovo album che sarà, viste le premesse, denso di sorprese.
Articolo a cura di Roberto Greco
Etichette discografiche indipendenti: YourVoice Records
Una label indipendente per riuscire a valorizzare i giovani e dargli la possibilità di trovare il proprio spazio
Se nomino Rimini, la prima immagine che viene in mente è quella del suo dualismo: spiaggia di giorno e dance-hall di notte. Ma a Rimini non tutto è legato e finalizzato al turismo perché ci si occupa anche di musica, come nel caso di “YourVoice Records”, etichetta musicale indipendente.
Sul loro sito c’è scritto “L’intento è quello di trovare, sviluppare e valorizzare il talento artistico di nuovi interpreti e nuovi autori. Molti giovani possibili talenti non vengono supportati in una crescita artistica che spesso richiede tempo.
La storia della musica leggera è piena di artisti che al primo tentativo non hanno ottenuto alcun risultato, ma che poi sono riusciti a emergere. Sempre in quel giusto compromesso fra la natura e l’unicità dell’artista e il pubblico”.
Ne abbiamo parlato con Marco Giorgi, founder dell’etichetta.
Quando e perché nasce “YourVoice Records”?
Nasce nel maggio del 2018. Dopo aver passato tutti gli steps del mondo musicale, prima come autore, poi cantautore e infine come arrangiatore, l’idea di chiudere il cosiddetto cerchio mi è sembrato un passaggio necessario. In quel momento quindi ho deciso di aprire una label indipendente per riuscire, soprattutto, a valorizzare i giovani e dargli la possibilità, a quegli artisti in possesso di un certo talento, di trovare il proprio spazio. Ovviamente parlo di progetti che abbiano la caratteristica di poter arrivare al pubblico, non di progetti fini a se stessi.
Da dove nasce il nome della tua etichetta?
Potrà sembrare curioso ma è il risultato di una sorta di sondaggio che ho realizzato sia all’interno della mia famiglia sia tra le persone che mi erano vicine. Tra i vari nomi che avevamo in mente questo è stato il vincitore (ride, nda).
Qual è lo stile di “YourVoice”?
Ci occupiamo di musica pop. Quella musica che va dal pop tradizionale alla dance e alla musica indie. Mi interessa anche il rap, fenomeno con osservo sempre con grande interesse.
Quali sono i servizi che offrite ai vostri artisti?
Offriamo, sostanzialmente, una serie di servizi. Iniziamo analizzando sia il progetto sia l’artista e cerchiamo di creare e sviluppare un percorso adatto. Oggi non è solo un problema di canzoni perché la presenza dell’aspetto dei social, la propria capacità di presentazione al pubblico, il modo migliore di farsi conoscere anche attraverso i vari contest e concorsi, è molto importante. Tutto questo è realizzato dal nostro team in concerto con l’artista. Ci occupiamo anche della parte di collaborazione agli aspetti autoriali dei brani, delle scelte relative all’arrangiamento cercando di proporre e suggerire all’artista il meglio per sé e per la sua musica.
Che scelte avete fatto per la parte relativa alla registrazione dei brani e alla realizzazione dei relativi videoclip?
Abbiamo un nostro studio all’interno del quale realizziamo la maggior parte della musica che produciamo. Può capitare anche di trovare un interprete, ossia un cantante che non è un autore e in quel caso il lavoro del nostro team è molto più organico andando anche a scrivere i brani che sono i più adatti alla sua cifra stilistica. Per quello che riguarda invece i videoclip, in parte li realizziamo anche internamente ma, nel caso di un progetto più complicato, possiamo contare su una rete di videomaker che ci aiuta a sviluppare quanto ci serve.
Quali sono i problemi di distribuzione che dovete affrontare?
Il mercato è strutturalmente cambiato. Oggi non è tutto solo finalizzato alla produzione di un supporto, CD o vinile, ma si deve tener conto dei grandi player digitali che oggi sono i principali distributori di musica. Inoltre, in questo periodo, le radio non danno più spazio agli emergenti perché sono diventate, principalmente, delle hit-radio. Non potendo contare, come un tempo, sulle radio è inevitabile che non si riesca a raggiungere un grosso e importante pubblico. Inoltre personalmente penso che per le radio questo dovrebbe essere un dovere.
Dopo quest’anno di pandemia, qual è lo stato di salute della tua etichetta?
È chiaro che la pandemia abbia creato una difficoltà nel nostro mondo oltre che dal punto di vista economico anche dal punto di vista psicologico, il non potersi rapportare con il proprio pubblico è un problema per gli artisti perché il suo riscontro diretto è fondamentale. Ci siamo però sicuramente resi conto che, già da prima, c’erano cose che non funzionavano. Sto parlando dell’aspetto legislativo, quello che riguarda la tutela dei lavoratori dello spettacolo, del loro trattamento. In questa situazione, però, tutto questo è stato evidenziato e quindi che sarà necessario trovare la giusta strada per la soluzione giusta. Noi dobbiamo lavorare per produrre nuova musica al fine di essere pronti quando sarà possibile, per far sì che ci sia davvero un “grande abbraccio” tra la musica e il pubblico.
Quali sono le punte di diamante del tuo roster?
Sto lavorando su diversi giovani e so che i risultati arriveranno. Nel nostro roster ci sono, tra gli altri, Filippo Malatesta, Silvia Cecchini, Luca Urbinati, Giosefe Stella Giorgi.
Cosa deve fare un artista per proporvi i suoi brani?
È sufficiente collegarsi al nostro sito e c’è una pagina apposita per inviarci il materiale oppure è possibile inviare un mp3 via mail. A ogni nostro ascolto corrispondono non dei giudizi ma, soprattutto, dei consigli. A volte il brano non è adatto all’interprete, a volte è necessario realizzare dei cambiamenti per eliminare i punti deboli e noi siamo qui per questo.
Articolo a cura di Roberto Greco
Musica a Teatro: Gino Matrunola
La musica per me è uno stato d’animo, oltre che lavoro e passione. Mi innamoro del connubio che si crea tra musica e voce.
Drammaturgo, performer e regista, ha scritto e diretto molti spettacoli musicali. Nasce a Ginevra ma vive in Molise, dove dirige una accademia musicale, teatrale e di danza.
Dopo la maturità classica, inizia a studiare Recitazione e Dizione e dallo spettacolo non si è più allontanato.
Ha seguito stage di recitazione cinematografica, metodo Strasberg, col coach personale di Tom Hanks e poi altri laboratori di perfezionamento con Fausto Paravidino e Pierfrancesco Favino.
Contemporaneamente ha frequentato corsi di dizione in versi ed estetica della voce e canto, seguendo anche le lezioni di danza di Garrison Rochelle. Ma sono tantissime le sue esperienze di scena sia nel teatro classico, che nel musical, e regie e aiuto regie anche nel campo della cinematografia. Un artista davvero completo. Nel 2013 apre la scuola artistica CTA MUSICAL in Molise di cui è il direttore artistico.
Che musica ti piace ascoltare?
La musica per me è uno stato d’animo, oltre che lavoro e passione. Pertanto, ascolto la musica in base alle situazioni, ai luoghi ed ai momenti personali.
Amo la musica Jazz quando ho bisogno di rilassare la mente, facendo dei lunghi viaggi sensoriali.
Nel Jazz si riesce a scandire ogni strumento.
Mi piace ascoltare un brano Jazz anche più volte, spostando l’attenzione anche solo su di uno strumento, per poi godermi la fusione di essi e la magia che ne scaturisce. Adoro il pop ed il rock in momenti di ricerca di energia o quando ho bisogno di “ricaricare le batterie” della mente e del corpo.
E poi il genere “Musical” che irrompe con gioia anche nel privato. Alla ricerca sempre di forti emozioni, cerco nuove creazioni e ascolto brani già conosciuti tratti da opere come: I Miserabili, Rent, Moulin Rouge, Il Fantasma dell’opera… e la lista sarebbe lunga!
Non amo ascoltare generi musicali preconfezionati per il mercato, a mio parere, privi di ogni emozione, come il Trap e il Neomelodico.
Parlaci della tua formazione, e come la musica ha influito su te come attore o come regista, o nei laboratori.
Durante la mia formazione artistica, la musica è stata la mia alleata migliore che mi ha accompagnato dagli inizi fino ad oggi. Per me la musica arriva dove finisce la parola. È stata presente, in forme diverse, sia nel canto, che nella recitazione, che nella regia.
Da allievo attore vivevo la musica come una parte integrante “passiva”, durante lo studio e le esercitazioni. Spesso, assente durante le lezioni, “per la giusta concentrazione”. Solo con il tempo ho capito che non sono d’accordo con questa scuola di pensiero.
Con i miei allievi ne faccio un uso “attivo” ed emozionale. Attraverso la musica e l’esercizio del momento, arrivare, quindi, all’emozione richiesta e, successivamente, a portarla in voce.
Mi sono formato studiando vari metodi recitativi, ma prediligo il metodo Strasberg, attraverso il processo intenso che richiede. Creare, pertanto, una cassaforte interna piena di emozioni: ognuna di esse facilitata a venire fuori attraverso il proprio vissuto sensoriale e musicale.
Musica a Teatro: Gino Matrunola
E a proposito del canto?
Nel canto lavoro molto sull’aspetto interpretativo del brano, oltre che sulla parte tecnica e vocale, di uguale importanza. Mi sono Diplomato anche in Musicoterapia di recente ed ho arricchito altri aspetti, poco artistici, che mi permettono di utilizzare la musica anche sotto altre forme, come la giusta canalizzazione delle emozioni e, da formatore, il giusto processo individuale dell’allievo, rispettando tempi e voleri.
Da Regista, invece, non credo di aver mai scritto, diretto o pensato ad un progetto senza la musica. Nel processo creativo della scrittura è già presente. Mi piace ascoltare la musica classica quando scrivo. Mi permette il corretto processo creativo e mi stimola alla concentrazione.
Curo personalmente la musica dei miei spettacoli e dei miei progetti. Amo quel momento. Fa parte della creazione e dell’appagamento personale. A volte parto proprio dalle note per costruire le parole di un monologo o di una canzone.
Ami più essere sul palco e farti dirigere o l’artefice creatore?
Sicuramente “L’artefice creatore”. Torno sul palco raramente e quando lo faccio mi diverte molto, ma il mio posto è sicuramente in Regia o dietro la macchina da presa. Fare entrambe le cose nello stesso progetto è la cosa più fuorviante che si possa fare e richiede il doppio del tempo e delle energie.
Mi piace creare e che la mia creazione possa, in qualche modo, arrivare a qualcuno. Sono molto accurato e attento nel mio lavoro. Amo la ricerca del vero, del “qui e ora”. Non mi piacciono le emozioni meccaniche e troppo strutturate, prive di identità.
Con gli anni ho cercato di essere riconoscibile nella struttura e nello stile delle mie scene, sia per una questione di gusto personale che per una involontaria direzione inevitabile.
Trovi che, a parte per il musical, la musica in teatro abbia uno spazio giusto o è spesso sacrificata?
Il Teatro in genere è sacrificato in Italia. Basta guardare la situazione attuale e capire a che punto sono oggi i lavoratori dello spettacolo e i musicisti sulla scala delle priorità.
Viviamo una situazione non facile in ogni settore, ma l’ennesima conferma che lo spettacolo sia visto come puro intrattenimento e non come un lavoro, è una teoria limitata che non ci possiamo più permettere.
Musica a Teatro: Gino Matrunola
Chi vive di arte vive due volte, una per darsi completamente e una per sopravvivere. Tornando al succo della domanda: La musica credo che abbia, debba avere, il giusto spazio nel teatro, oltre che nel musical.
Ci sono molti spettacoli, di generi diversi, che hanno in sé la prerogativa di divulgare e far vivere la musica. Sta a noi, attraverso la cultura personale, la curiosità, la conoscenza, riconoscere la qualità (anche quella, ormai, diventata “troppo” soggettiva).
Progetti per il futuro?
Nel futuro più imminente spero di poter tornare presto in scena, a lavorare, ad insegnare. Sono fermo da più di anno ma la mia creatività non si è mai fermata, fortunatamente.
Sto scrivendo due spettacoli: uno di prosa, sempre ricco di musica, sulla storia di Peppino Impastato, martire della mafia, già noto e conosciuto, anche se credo che se ne parli sempre troppo poco.
L’altro, invece, è una commedia musicale, ritmata e brillante, che racconta la storia di vicini strampalati e buffi che si troveranno a vivere vicende inaspettate. Ho scritto da poco una nuova canzone dal titolo “Dimmi”, interpretata dall’artista Pierluigi Sorteni, che è possibile ascoltare su youtube o sui social cercando CTA MUSICAL, che è il nome della mia scuola artistica, in Molise.
Di canzoni ne hai scritte diverse, quindi
Eh sì. Ce ne sono altre in cantiere che usciranno prossimamente.
Qualche giorno fa è uscito il mio nuovo Cortometraggio intitolato: “DOG EYES”, per la sensibilizzazione contro l’abbandono degli animali (visibile su youtube sul Canale CTA MUSICAL).
Poi c’è la crescita dell’area musica della mia scuola, che partirà presto con il progetto “IL PAESE DELLA MUSICA®”, una accademia di alta formazione musicale con rilascio di Diplomi Certificati.
Mai fermarsi! E citando il grande Maestro Giorgio Albertazzi, con cui ho avuto il piacere di lavorare: “Si muore quando si inizia a vivere di ricordi”.
Pertanto, manteniamo i bei ricordi ma continuiamo a costruirne altri, ancora più belli.
Articolo a cura di Sergio Scorzillo
On Air 361: Radio Vicenza e Matteo Sandri
“Si Sandri chi può” programma radiofonico di Matteo Sandri, direttore artistico di Radio Vicenza
Dopo un giretto in Toscana, decido di teletrasportarmi in Veneto. Con una fetta di Gata da mordicchiare mi ritrovo in Piazza dei Signori e mi rendo conto di essere a Vicenza e quindi non posso fare a meno di contattare lo speaker Matteo Sandri per parlare della sua carriera radiofonica, della sua radio e del suo programma.
Matteo, grazie per aver accettato l’intervista. La Radio è la tua passione. Da quando?
Da molti anni Lorenzo. Ho collaborato con alcune Radio del territorio veneto, amo la Radio.
E questa tua passione ti ha portato a Radio Vicenza Si. Pensa che ho iniziato con Radio Vicenza, poi ho collaborato con altre Radio, tra cui Stella FM, e poi sono ritornato nel 2017.
Un ritorno importante immagino
Si, vero. Nel 2017 sono tornato a Radio Vicenza come consulente artistico e poi, dal 2018, sono diventato Direttore Artistico, oltre che speaker con il mio programma.
E allora sono curioso. Ti va di parlami del tuo programma radiofonico?
Si chiama “Si Sandri chi può“, Sandri è il mio cognome, e va in onda dal lunedì al venerdì dalle 17.00 alle 19.00.
Titolo meraviglioso. Che argomenti tratti?
Grazie. Tratto argomenti legati al territorio vicentino e limitrofo. Spazio dalle notizie locali a quelle di spettacolo.
Commenti i temi della trasmissione solo o con Ospiti? In primis con il mio collega che conduce con me, Davide Padovan. Poi anche con i tantissimi ospiti che intervengono in diretta.
Matteo, qualche Ospite che hai avuto l’onore di avere a Si Sandri chi può?
Molti ospiti sono Artisti locali ma ho avuto il piacere di avere come ospite Umberto Smaila, Vittorio Brumotti ed Igor Nori di Masterchef 10.
WOW che Ospiti. E che musica viene trasmessa nella tua trasmissione?
La musica mandata in onda rispecchia la realtà musicale di Radio Vicenza dove vengono trasmesse le 50 hits di successi attuali sia italiane sia straniere.
Voglio ascoltarti. Dimmi come fare.
Puoi ascoltarci ovunque tu sia. O meglio, se sei nelle zone vicentine, padovane, veronesi e trevigiane puoi ascoltarci in FM. Se sei in altre zone puoi ascoltarci tramite la nostra APP Radio Vicenza. Sul nostro sito sono segnalate tutte le frequenze.
E se non riesco ad ascoltarti in diretta? C’è il podcast sempre sul sito www.radiovicenza.com .
Momento MARKETTA, perché dovremmo ascoltare Si Sandri chi può? Perché è un programma curioso che genera curiosità grazie ai temi trattati e grazie agli Ospiti. Ogni puntata è diversa dall’altra, ogni giorno è una sorpresa.
Grazie infinite a Matteo Sandri. E ora “Si Sandri chi può”, io corro verso nuove scoperte Radio. Stay Tuned!
Articolo a cura di Lorenzo Amatulli
Non solo talent: Premio Bianca D’Aponte – Città di Aversa
Aperte fino al 30 aprile le iscrizioni all’unico contest in Italia riservato a cantautrici
L’Associazione Musicale ONLUS Bianca D’Aponte è nata dall’amore per Bianca, cantautrice di grande talento prematuramente scomparsa e che aveva il pregio e la capacità di saper raccontare, attraverso i versi delle sue canzoni e la sua musica che lei stessa interpretava con un’intensità e una voce uniche, il disagio, le speranze, i sogni e i sentimenti visti da una donna.
Le canzoni di Bianca D’Aponte, la cantautrice campana prematuramente scomparsa nel 2003, continuano a raggiungere nuovi importanti traguardi. La sua “Cantico dei matti”, nella versione di Brunella Selo e Fausto Mesolella, è infatti stata scelta come colonna sonora di “L’artista incontra sè stesso”, un video-manifesto, diventato virale, sulla chiusura dei teatri, con la EkoDance Company e la regia di Cosimo Morleo.
L’Associazione svolge attività di divulgazione della cultura musicale promuovendo attività concertistiche che spaziano dalla musica d’autore, a quella sperimentale, al jazz. Ad oggi, nell’apprezzato Auditorium – anche sede dell’Associazione – si sono tenuti oltre 400 concerti.
Divenuta ormai un riferimento, l’Associazione Musicale Bianca D’Aponte collabora attivamente alla realizzazione di progetti musicali anche con altre associazioni e con istituzioni locali. Resta, comunque, l’organizzazione del Premio l’attività più significativa.
Sono intanto aperte, fino al 30 aprile, le iscrizioni per la 17a edizione del “Premio Bianca D’Aponte – Città di Aversa”, l’unico contest in Italia riservato a cantautrici. Il nuovo bando di concorso è disponibile su www.premiobiancadaponte.it, insieme alla scheda di iscrizione. La partecipazione è come sempre gratuita.
Le finali sono previste al teatro Cimarosa di Aversa il 22 e 23 ottobre 2021.
Il lancio del nuovo bando è avvenuto quando purtroppo, a causa dell’emergenza sanitaria, non si è ancora svolta la finale della 16a, edizione, prevista per lo scorso ottobre e che verrà riprogrammata non appena le condizioni lo consentiranno.
In lizza, come già annunciato, ci saranno BamBi da Napoli, Simona Boo da Termoli (Campobasso), Ebbanesis da Napoli, Lamante da Piovene Rocchette (Vicenza), La Zero da Piano di Sorrento (Napoli), Lucrezia da Bologna, Miglio da Brescia, Elena Romano da Firenze, Sara Romano da Monreale (Palermo), Veronica da Aversa (Caserta), Chiara White da Firenze.
Le finaliste del Premio 2021 saranno come sempre selezionate da un nutrito e prestigioso Comitato di garanzia, composto da cantanti, autori e compositori nonché da operatori del settore e giornalisti e critici musicali.
Non solo talent: Premio Bianca D’Aponte
Alla vincitrice del premio assoluto sarà attribuita una borsa di studio di € 1.000, a quella del Premio della critica “Fausto Mesolella” una di € 800. Riconoscimenti della giuria andranno anche alla migliore interprete, al miglior testo ed alla migliore musica.
Sono poi previsti molti altri premi assegnati da singoli membri della giuria o da enti e associazioni vicine al D’Aponte.
Nelle passate edizioni il premio assoluto è andato a Veronica Marchi e Germana Grano (ex aequo, 2005), Chiara Morucci (2006), Mama’s Gan (2007), Erica Boschiero (2008), Momo (2009), Laura Campisi (2010), Claudia Angelucci (2011), Charlotte Ferradini (2012), Federica Abbate (2013), Elisa Rossi (2014), Irene Ghiotto (2015), Sighanda (2016), Federica Morrone (2017), Francesca Incudine (2018), Cristiana Verardo (2019).
Il premio della critica – dal 2017 ribattezzato “Premio Fausto Mesolella” in omaggio allo storico direttore artistico della manifestazione – è stato invece attribuito a Marilena Anzini (2005), Ivana Cecoli (2006), Giorgia Del Mese (2007), Silvia Caracristi (2008), Momo e Giorgia Del Mese (ex aequo, 2009), Paola Rossato (2010), Rebi Rivale (2011), Cassandra Raffaele e Paola Rossato (ex aequo, 2012), Rebi Rivale (2013), Elsa Martin (2014), Helena Hellwig (2015), Agnese Valle (2016), Fede ‘N’ Marlen (2017), Francesca Incudine e Irene Scarpato (2018), Lamine (2019).
Il Premio Bianca D’Aponte, che si avvale della direzione artistica di Ferruccio Spinetti, ospita ogni anno una artista di grande popolarità che assume il ruolo di madrina.
Il mio interesse è per le persone, sempre e comunque. Il posto prende vita, dove c’è un essere umano.
“Sono Franco Covi, nasco a Milano il 10 novembre 1965, alle sei del mattino. Mio papà trentino e mia mamma nata in olanda per caso, friulana d’origine. Appassionato, innamorato perdutamente della fotografia, da sempre”.
Franco Covi si presenta così. Mi piace riportare le sue parole, senza togliere una virgola, perché è sincero, ironico e diretto. Un bambino che cocciutamente, ripete al padre, commercialista, che vuole diventare un fotografo. Dalla prima macchina fotografica richiesta come regalo per la Prima Comunione, Franco ne riceverà molte altre a ogni compleanno o ricorrenza.
Anche papà deve arrendersi alla fine, non farà il commercialista (lavoro che grazie allo studio di famiglia avrebbe potuto garantire una certa tranquillità) ma il fotografo.
Raffinate ed eleganti, le sue fotografie sono un viaggio meraviglioso alla scoperta dell’animo umano. La sua, una vocazione all’arte che muove e alimenta tutto il suo percorso professionale, tra concretezza e creatività.
Perché la fotografia?
Non so come e perché, ma la passione per la fotografia, è da sempre. La prima macchina fotografica l’ho chiesta alla Comunione, come regalo. Non appena mi è venuto in mente che avrei potuto fare qualcosa nella vita, sapevo che avrei fatto il fotografo.
Ogni ricorrenza, ogni compleanno il regalo richiesto era una macchina fotografica. Fotografavo la mia famiglia, gli zii, i cugini. Mio papà mi chiese dopo le medie se volessi fare come lui, il commercialista. Risposi che volevo fare il fotografo: rise e mi chiese di prendere un diploma e che solo dopo, ne avremmo riparlato.
Ovviamente mi consigliò ragioneria, che mi rifiutai di fare. Non sapevo cosa scegliere, ma avevo chiaro cosa non volevo fare. Ho scelto per esclusione, il perito elettronico flaggando tutto quello che non mi piaceva, in sostanza l’ultima spiaggia.
Come hai cominciato?
Già l’ultimo anno di scuola, che facevo per dovere scalpitando, ho cominciato a fare l’assistente fotografo. Da lì, tanta gavetta come assistente di studio di Vogue Italia, dove ho “rubato” osservando chiunque. Poi, finalmente l’assistente fotografo a fotografi, da lì si sparse la voce e per cinque anni, ho lavorato davvero tanto.
A quel punto ho deciso di diventare professionista, un bel salto perché guadagnavo di più come assistente e lasciare era rischioso. Ho aperto lo studio con l’aiuto di mio padre, che, alla fine, ha dovuto convincersi che quello era davvero l’unico mestiere che volessi fare.
Ho iniziato con le sfilate, il back stage e tutto ciò che serviva per sopravvivere. Ho sempre cercato di ritagliarmi una parte artistica, al di là del tirare a campare per dare spazio a la mia parte creativa, la mia linfa vitale.
Se il tuo lavoro si potesse riassumere in un viaggio, dove ci porteresti?
Non è importante il luogo: il mio viaggio ha sempre come protagoniste le persone. Mi piace fotografare corpi, che mi compaiono come in un sogno. Quando è una foto creativa, immagino quello che voglio e poi, lo realizzo. A un certo punto della mia vita artistica, ho incontrato i danzatori e la musica.
Da lì ho capito, che per il genere di foto che voglio fare, sono perfetti perché mettono in scena, esattamente quello che io ho immaginato, interpretando e dando vita ai miei sogni. Il risultato sono fotografie che spesso sono confuse come il reportage di uno spettacolo teatrale e invece, sono frutto della mia immaginazione, la stessa che userebbe un pittore nel realizzare la sua tela.
Invece che con pennelli e colori, realizzo i miei “quadri” con la macchina fotografica, dove i corpi danzano e conservano il loro movimento, la loro vitalità.
Come lavori con l’obiettivo?
Cerco di preparare la scena, come la voglio, racconto la mia storia ai danzatori. Poi lascio che si muovano liberamente e con la macchina, cerco di catturare quello che la mia mente ha già visto, in sogno. Cerco quello che ho immaginato e, solo allora, scatto.
È difficile andare a cercare quella foto se non l’hai in mente. Quel “clic” è l’ultima fase di un processo molto lungo che nasce dentro di me, nel mio immaginario. Credo che sia davvero come l’idea che nasce nel subconscio di uno scultore o di un pittore, quella che poi andrà sulla tela o scaverà nel marmo.
Quando mi capita di fare dei corsi, succede che qualcuno mi chieda con che macchina ho scattato quella foto. Rispondo sempre che è la domanda sbagliata. La domanda giusta è cosa volevi dire, cosa hai pensato. Questa è l’unica cosa che fa la vera differenza, altrimenti in pittura, si tratterebbe solo di colori e tecnica.
Sono molto attento ai particolari, la luce, l’inquadratura sono fondamentali, ma non bastano a raccontare quel che vedi.
La fotografia fa vedere quello che vede il tuo cuore.
Ho fatto una mostra che ritraeva danzatori disabili. Alcuni hanno ritratto queste persone in edifici abbandonati, con toni cupi a sottolinearne la difficoltà, la sofferenza. A me invece, qualcuno fece notare che guardando le mie fotografie non vedeva i disabili ed era vero: vedevo persone.
Parlami del tuo lavoro…
Ho lavorato tanto nelle sfilate di moda, quando le modelle erano regine indiscusse del jet set (più famose delle attrici) che rimanevano impresse nella memoria di tutti. Ho avuto il privilegio di fotografare Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawford, tanto per citarne qualcuna.
Erano una trentina e dominavano le passerelle e le scene. Oggi, pur occupandomi di moda, sarei in difficoltà a citarne dieci. Non se le ricorda nessuno, cominciano a sfilare giovanissime e spariscono nel nulla. A un certo punto, proprio perché affascinato dal movimento e dai danzatori, ho cominciato a fare video e oggi è il mio lavoro per il 50%.
Ovviamente ancora la moda per necessità e poi, per passione, gli spettacoli teatrali che amo come espressione nobile dell’arte. È questo anche il mio modo di dare una mano alle compagnie teatrali che sono da sempre (e non solo ora) in grande difficoltà a promuoversi.
Ti piace essere fotografato?
Per me è terribile e questa cosa mi accompagna come la passione per la fotografia, da sempre. Ricordo che un cugino di mia madre aveva la mania di fotografare la famiglia di continuo. Io cercavo di sfuggire e, quando riusciva a immortalarmi, avevo sempre le lacrime agli occhi, contrariato. Forse per questo motivo ho scelto di essere quello che scatta…
Come ti definiresti?
Se fossi un quadro, mi dipingerei come un Pollock, con tante cose dentro, che hanno bisogno di attenzione per essere comprese, altrimenti non vedi niente, solo macchie di colore.
C’è qualcuno che ha condizionato, segnato questo tuo viaggio?
Ho cercato di imparare osservando tutti, perché ritengo fondamentale saper cogliere indizi utili alla nostra formazione da chiunque. C’è una persona che, però, è stata quella dalla quale ho imparato di più e che mi ha condizionato positivamente.
È Vincenzo Lo Sasso, fotografo affermato negli anni ’80, che oggi è pittore e scultore di successo. Con lui ci conosciamo da più di trent’anni e ha contribuito tanto alla mia formazione, che coniuga fotografia e arte.
Non ti capita mai di fotografare un paesaggio?
Solo se c’è una persona, che attira la mia attenzione dando significato a quel paesaggio, che pur bellissimo, difficilmente fotograferei.
Articolo a cura di Paola Ferro
Etichette discografiche indipendenti: ViceVersa Records
È fondamentale dare voce a chi altrimenti questa voce non avrebbe possibilità di farla ascoltare
La “ViceVersa Records” nasce a Catania su iniziativa di Enzo Velotto, musicista sulle cui spalle ci sono i tamburi di band come i “Kunsertu” e i “Flor de Mal”, prima di approdare a un presente di operatore del settore discografico che continua a suonare.La Catania in cui Enzo ha mosso i suoi primi passi era quella in cui Francesco Virlinzi aveva iniziato a contribuire al cambiamento culturale della città, passi che lo portarono poi a creare “Cyclope Records”, la prima coraggiosa etichetta discografica indipendente dell’isola che produsse le prime incisioni di diversi artisti tra cui Carmen Consoli, Mario Venuti, Moltheni, Brando, Flor, Amerigo Verardi, gli Uzeda, i Nuovi Briganti e i Kunsertu.
Proprio da Enzo Velotto ci siamo fatti raccontare la sua label.
Un passato, e un presente, da musicista poi arriva la scelta di “passare dall’altra parte”: Quando succede?
L’idea l’ho sempre avuta e ne sono sempre stato affascinato ma ero troppo impegnato con la mia attività di musicista. Quando nel 1993 entrai ne “I Flor de Mal”, inanellammo una serie infinita di concerti, apparizioni televisive, interviste radiofoniche e moltissime interviste.
In quel periodo c’era un hype attorno alla Sicilia e alla nostra esperienza perché, pur rifacendoci agli stilemi del grunge, lo interpretavamo in maniera del tutto personale in chiave nazionale e, soprattutto, regionale.
Eravamo qualcosa di totalmente avulso rispetto alle Posse e proprio per questo abbiamo avuto un’attenzione molto alta.
Per motivi sia anagrafici sia di formazione, a me fu delegato il rapporto con l’etichetta, la “Cyclope Records” di Francesco Virlinzi.
Etichette discografiche indipendenti: ViceVersa Records
Mi trovai quindi a essere interfaccia anche nei confronti della Polydor/Polygram, la major che ci distribuiva e in quel momento accumulai conoscenze in quel mondo fatto di responsabili di radio, promoter, discografici, proprietari di locali, giornalisti.
Al termine del mio coinvolgimento con “I Flor de Mal”, l’allora presidente della Polygram Stefano Senardi mi chiamò e mi propose di diventare agente per la Sicilia e la Calabria, cosa che ovviamente accettai.
Era il 1997 e con i primi soldi decisi di aprire una mia etichetta, la “Viceversa Records”. Perché? Intanto per una passione insana nei confronti della musica e perché pensavo, e lo penso ancor oggi, che sia fondamentale dare voce a chi altrimenti questa voce non avrebbe possibilità di farla ascoltare. La nostra prima produzione è del 1997.
Da dove nasce il nome?
Non ho mai sopportato le etichette settorializzate, quelle che per definizione si occupano di un unico genere musicale. Sulla base dell’esperienza della “Voxpop”, che aveva aperto da alcuni anni, decisi di iniziare questo mio viaggio.
Nel mio pensiero, inoltre, c’era l’esperienza della “Cyclope Records” che aveva questa libertà di pensiero rispetto alla musica da produrre. “Viceversa” proprio perché viaggiamo in direzione contraria permettendoci il lusso di produrre ciò che ci piace e oggi può essere un album di folk, domani di world music e la prossima settimana di alternative italiano.
Quali sono i servizi agli artisti che entrano a far parte del vostro roster?
Oggi, oltre alla “Viceversa Records”, abbiamo aperto una piccola label che si chiama “Seltz Recordz”, abbiamo la “Viceversa edizioni musicali” e il “Phantasma Recording Studio”, il nostro studio di registrazione. Possiamo definirci oggi un piccolo gruppo, totalmente indipendente ma ben strutturato.
Ovviamente tutto dipende da cosa che ci propone l’artista perché in caso di un progetto strutturato ci occupiamo del mastering e delle fasi successive.
Nel caso invece l’artista abbia bisogno di essere seguito fin dalle prime fasi embrionali ci occupiamo di tutto, dalla stesura dei brani alla registrazione, all’arrangiamento, al missaggio e a tutte le fasi successive.
La “Seltz Recordz” è invece un’etichetta di servizi, la prima in Italia a fare da incubatrice per artisti più o meno giovani ma anche più o meno esordienti.
Ovviamente sono fatti salvi i criteri relativi alle scelte artistiche che hanno sempre caratterizzato la mission di “Viceversa Records”.
Lo scorso anno, in piena pandemia, si sono aggiunte la “Viceversa booking” e “Kerosene Promo Gang”, il nostro nuovo ufficio stampa e comunicazione per la promozione discografica, eventi e social media management.
Come vi siete organizzati per la produzione dei videoclip?
Abbiamo già prodotto moltissimi video per i nostri artisti. Oggi, senza i contenuti video, si rischia di non essere nessuno perché sono proprio i contenuti video che fanno da traino per la promozione.
Per noi è normale estrarre, da un album, due o tre singoli accompagnati dal relativo videoclip. In questo caso, però, abbiamo deciso di esternalizzare questa attività servendoci di professionalità esterne.
Come avete risolto i problemi relativi alla distribuzione delle vostre produzioni?
Fortunatamente non abbiamo mai avuto problemi di distribuzione. Con le prime produzioni, nello specifico con “Stereoscope” di Cesare Basile che fu distribuito da Polygram, abbiamo iniziato a trattare direttamente con le major.
Il successivo, “Book” dei Loup Garou, fu distribuito da EMI. Oggi ci appoggiamo al distributore Audioglobe e, per il digitale, a Believe e a The Orchard.
Quali sono le punte di diamante del tuo attuale roster?
Sono diverse, ti posso citare Anaïs, Nik Marsél, Narazin, Luca Madonia, i Denovo, i Jakaranda, Volwo, Andrea Cassese, Stefano Meli, la giovanissima Miriam Hibou e i 1,21 GGWTTS.
Cosa deve fare un artista per sottoporvi i suoi brani?
Basta inviarci una mail o un messaggio attraverso le nostre pagine social. Non abbiamo preclusioni rispetto allo state of art dei brani, vanno bene sia i provini basici sia i brani già strutturati.
In questo momento, vista la pandemia, non riusciamo a fare attività di scouting ma anche per questo riprenderemo appena possibile.
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