Cronache spettinate di un rocker emiliano

“Salutami tuo fratello”
Marco Ligabue con il libro “Salutami tuo fratello”

Complice il lockdown, Marco Ligabue ha deciso di ripercorrere la sua vita e metterla nero su bianco attraverso il suo “Salutami tuo fratello”, un libro autobiografico che ci propone un racconto intimo e sincero che si dipana tra vita privata, ricordi, aneddoti ironici, tanto rock’n’roll e tanta Emilia-Romagna.

Edito da Pendragon, casa editrice bolognese nata nel 1994, il libro è in vendita a partire dall’8 marzo ed è organizzato in trentatré capitoli. Ogni capitolo un frammento del lungo viaggio che ha vissuto il palco da ogni lato: prima da fan del fratello poi da addetto ai lavori, musicista e infine da protagonista non più solo fratello di una rockstar.

ho parlato senza pudore delle mie fragilità
Ho parlato senza pudore delle mie fragilità

Trentatré racconti autobiografici che lo raccontano dall’infanzia e arrivano fino a oggi, quando Marco, appena varcata la soglia dei cinquant’anni, ha deciso di ripercorrere i momenti più importanti e belli della sua vita e di darli alle stampe.

È nato dallo spunto di un giornalista – ha dichiarato Marco – che mi ha detto che con la vita che avevo fatto, da addetto a lavori all’essere fratello di una rockstar, avrei potuto farlo e pagina dopo pagina tutto mi è sembrato normale e facile da trasporre in parole sulla carta.

Ho parlato senza pudore delle mie fragilità proprio perchè essere ‘il fratello di’ mi ha fatto affrontare aspetti interiori che ho scoperto di possedere.

Ho approfondito la mia musica, la mia vita privata e ho tirato fuori una tenacia e una testardaggine tutta emiliana.

Per questo è nato questo libro, per raccontare una vita in cui mi hanno sempre detto ‘salutami tuo fratello’”.

L’Emilia, la sua profonda vena rock che sembra le scorra nelle vene come il grande fiume la percorre per la sua interezza, il sapore delle vecchie osterie in cui si sentono l’odore del lambrusco e il rumore delle carte da gioco sbattute sul tavolo, il ‘Tropical’, la balera gestita dai suoi genitori elemento fondamentale per la sua formazione: “Proprio al Tropical, avevo 4 o 5 anni, ho capito che la musica, quell’onda sonora magica, mi faceva stare bene e mi è rimasta dentro per sempre – ci ha detto Marco – Ero piccolo e non capivo bene i meccanismi legati alla musica dal vivo e ai concerti. Luciano invece aveva 13 anni, quindi ha potuto approfittarne e viversi appieno quelle serate speciali anche limonando nei divanetti in ombra nella balera”.

Marco Ligabue,
“Salutami tuo fratello” – cover del libro

Lucido anche nel rapporto con Luciano, il fratello maggiore: “Ho cercato di lavorare sempre a testa bassa, con caparbietà. Non ho mai vissuto il nostro rapporto con un senso di disagio o delle difficoltà particolari anzi ci vogliamo molto bene da sempre e lo dimostra quanto ha scritto nella quarta di copertina del libro.

Luciano è meno espansivo di me, ma quando parla è molto centrato perchè dà peso ad ogni singola parola. Per me è sempre stato molto bello camminare al suo fianco e vivere questo percorso insieme”.

A riprova di questo, Marco ha detto: “Iniziai a sostenerlo fin dal primo momento quando, nel 1987, Luciano iniziò a esibirsi nei suoi primi concerti. Facevo il “butta dentro”, ossia raccoglievo amici e avventori dei bar della zona per portarli ai suoi concerti e spesso (ride, nda) gli promettevo un bicchiere di spuma e una nutrita presenza femminile.

Poi arrivò il 1990 e la sua ‘Balliamo sul mondo’ con la quale vinse il Festivalbar nella categoria giovani. Da quel momento la nostra vita cambiò. Improvvisamente la cassetta della posta si riempì di lettere e cartoline, i bar del paese iniziarono a riempirsi di fans, che venivano apposta a Correggio per farsi fare un autografo da mio fratello.

Spesso portava a casa i discografici e i produttori per mangiare un piatto di cappelletti e bere un bicchiere di lambrusco perché la cucina della Rina, nostra madre, era un segno di ospitalità superiore che non un pranzo in un ristorante”.

Booktrailer di “Salutami tuo fratello”

https://youtu.be/57qBoXiENeA

Marco Ligabue live
al Tropical, la balera gestita dai miei genitori, avevo 4 o 5 anni, ho capito che la musica mi faceva stare bene. Ero piccolo e non capivo bene i meccanismi legati alla musica dal vivo e ai concerti

Ma non sempre è stato facile essere il fratello di Luciano. Marco ricorda che “Mi ha sicuramente cambiato la vita, anche se c’è sempre un altro lato della medaglia e normalmente è quello che non luccica. Farsi il mazzo ed essere sempre associati al proprio fratello, ogni tanto può pesare”.

La presenza della sua terra, l’Emilia, è forte sia nei suoi brani sia nel suo libro: “L’Emilia per me è stata decisiva. Ovviamente uno cresce in una terra e quindi fa i conti con quello che lo circonda.

Nel mio caso è stata la terra ideale, una terra fatta di gente molto solare, conviviale ma gente molto concreta che va al sodo delle situazioni. È gente che non molla, cocciuta, testarda.

Un’altra caratteristica incredibile è quella di sapersi unire nelle difficoltà. Pensiamo all’ultimo terremoto il cui epicentro è stato ad appena trenta chilometri da Correggio. Ecco, dal giorno dopo ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo subito cercato di risolvere la situazione soprattutto senza voler esasperare il dramma che stavamo vivendo.

L’Emilia me la sento cucita addosso, come un abito su misura realizzato da un grande sarto. Proprio il capitolo del libro dedicato all’Emilia è uno di quelli che mi ha fatto soffrire di più nella fase di scrittura perché ci tenevo a raccontarla al meglio con i suoi profumi, i suoi sapori.

E se penso all’Emilia penso al profumo della nebbia. Unico, uno di quegli odori che ti dà la certezza di essere a casa”.

Marco Ligabue Farsi il mazzo ed essere sempre associati al proprio fratello, ogni tanto può pesare
Farsi il mazzo ed essere sempre associati al proprio fratello, ogni tanto può pesare

Il futuro di Marco? Sicuramente ancora tanta musica ma ora per lui, grazie a questo libro, si è aperta una nuova finestra sul mondo: “Mi piacerebbe sicuramente scrivere una sceneggiatura, so di non averne le competenze tecniche, ma percepisco di avere la capacità di catturare determinate sensazioni e situazioni, così come di avere tanta fantasia e creatività. E poi potrebbe essere una nuova sfida”.

Mai dire mai, quindi. Intanto leggiamo il suo “Salutami tuo fratello” e ascoltiamo la sua musica. Ma soprattutto cerchiamo di ricordarci che al prossimo incontro con Luciano, dovremmo salutarlo dicendo: “A proposito, salutami tuo fratello”.

Articolo a cura di Roberto Greco 

Roberto Caccavo (& Co.) ovvero: come grazie al teatro le fiabe possono diventare jazz

Musica a Teatro: Roberto Caccavo
Siamo attori, abituati a immedesimarsi in altro: si deve traghettare le nostre esperienze su canali diversi (Foto © Paolo Stucchi)

Roberto Caccavo è un attore eclettico e versatile di teatro e cinema. Formatosi a Benevento con Ruggero Cappuccio e Claudio Di Palma del Teatro Segreto ha lavorato in teatro, tra gli altri, con Angelo Savelli della compagnia Pupi e Fresedde, Riccardo Massai di Archetipo, Italo Dall’Orto, KanterStrasse, Gli Omini, Carlina Torta, Saverio Tommasi e Maurizio Lombardi.

È membro stabile della compagnia Teatro popolare d’arte del Teatro delle Arti di Lastra a Signa diretta da Gianfranco Pedullà, prendendo parte alle maggiori produzioni: Re Lear, Marcovaldo, Trilogia dopo Salò (drammaturgia di Massimo Sgorbani), Falstaff e l l’inedito Un’opera da quattro soldi, attualmente in produzione.

L’approdo sul grande schermo arriva nel 2014 con il film Mi chiamava Valerio dove veste i panni del grande ciclista Fausto Coppi. Viene poi chiamato a far parte del cast della commedia Bianco di Babbudoiu dei fratelli Manca.

Per la tv Roan Johnson lo sceglie per interpretare il proprietario di un nightclub nella serie I Delitti del Barlume. Nel 2020 ottiene il ruolo di giornalista nel nuovo film L’incredibile storia dell’Isola delle Rose di Sydney Sibilia.

È protagonista del thriller psicologico Anja – Real Love Girl, di Paolo Martini e Pablo Benedetti, in concorso ai David di Donatello 2021. È ideatore insieme a Francesco Giorgi e Marco Natalucci del format teatral musicale per bambini e adulti Fiabe Jazz.

La mia solita domanda per iniziare il discorso, e cioè: Che musica ascolti?

Non sono un ascoltatore seriale di musica, direi piuttosto un fruitore occasionale. Adoro ascoltarla in radio mentre guido. Nel privato solitamente mi oriento verso il cantautorato italiano: da De Gregori a Niccolò Fabi, passando per Bobo Rondelli e arrivando a Calcutta e Brunori Sas.

Sono stato un fervente fan di Elio. Prediligo la musica suonata e scritta bene con testi che possano aprirmi mondi paralleli, che sappiano farmi ridere, commuovere, o semplicemente rilassare. Ogni tanto mi ascolto anche un po’ di Miles Davis. Mi piace cantare le arie delle opere insieme a mia figlia e mia moglie.

Ho visto che ultimamente fai spettacoli in cui la musica è molto presente, anzi fondamentale, hai sempre fatto così? A giudicare dalle brevi note biografiche non mi sembra…

No, non ho sempre fatto così. Anche se negli anni ho partecipato con una certa frequenza a progetti “musicali” e ho cercato percorsi formativi che andassero anche in quella direzione: ricordo con affetto le lezioni sulla voce con Gabriella Bartolomei. All’epoca, volendo approfondire il nesso tra parola e suono, venni a sapere che la Bartolomei abitava vicino a casa mia.

Non aspettai un attimo, la chiamai e le chiesi di diventare mia Maestra, fu un’esperienza tra le più importanti della mia vita artistica. Risalendo ancora più in là nel tempo non posso non ricordare io ventenne nei due anni di scuola laboratoriale a cura di Ruggero Cappuccio e Claudio Di Palma del Teatro Segreto e di quel sudato spettacolo finale, il Manfred, al teatro comunale di Benevento con le musiche originali del maestro Roberto Soldatini, anche quello un connubio fortissimo tra teatro e musica.

E ancora la trilogia shakespeariana per la regia di Riccardo Massai al teatro comunale di Antella dove la musica aveva un ruolo cruciale anche grazie al contributo della direttrice Johanna Knauf. In seguito ci sono state tante altre occasioni delle più variegate tipologie.

Tra queste, ad esempio, la performance sensoriale Il salone di Z*** con Il Teatro dell’Elce in cui facevamo immergere due spettatori bendati alla volta nelle atmosfere sonore di un salone di barbiere per il tempo di una barba e in cui cantavamo una serenata popolare a cappella.

E poi il mio incontro con il poliedrico attore e regista Maurizio Lombardi e la nascente compagnia Piccoli Briganti con cui abbiamo messo in scena due mitiche commedie musicali di successo: Who’s Biancaneve? e Peter Pan (produzione Magnoprog). Con Maurizio ci siamo letteralmente divertiti a costruire spettacoli originalissimi che ricordavano un po’ l’esperienza dei Monty Phyton, il Trio Marchesini-Solenghi-Lopez ma anche gli indimenticabili classici di Garinei e Giovannini.

Grazie a lui da quel momento tutte le volte che mi hanno proposto di cantare in uno spettacolo non mi sono mai tirato indietro. Poi da quando sono entrato a far parte stabilmente della Compagnia Popolare d’Arte del teatro di Lastra a Signa diretta da Gianfranco Pedullà ho approfondito ancora di più questa mia indole: la poetica di Pedullà fonde infatti il teatro con la musica.

Tra gli ultimi lavori della compagnia voglio citare la trilogia su Pasolini, il Falstaff e un’originalissima Opera da quattro soldi, attualmente in lavorazione, per la regia e drammaturgia di Pedullà e con le musiche e le canzoni originali di Francesco Giorgi, con il quale ho ideato le nostre Fiabe Jazz.

Musica a Teatro
Roberto Caccavo: mi divido tra teatro e cinema, ma in questi tempi bisogna reinventarsi (Foto © Paolo Stucchi)

Ecco, arriviamo alle Fiabe jazz, com’è nata l’idea?
L’idea di Fiabe Jazz è nata all’interno della compagnia teatro popolare d’Arte di Lastra a Signa dal mio incontro con l’eclettico polistrumentista e cantante Francesco Giorgi, e successivamente si è avvalsa dell’insostituibile talento di Marco Natalucci.

Insieme abbiamo sviluppato un format teatral musicale (o musical teatrale) per famiglie che potesse ogni volta adattarsi alle fiabe più celebri. Ne è venuta fuori un’esperienza unica che da ormai tre anni sta riscuotendo un successo sempre crescente, riuscendo a fidelizzare nel tempo un numero importante di spettatori che ad oggi, nonostante la pandemia, ci segue in tutte le nostre uscite: dico ad oggi perché, a partire dal blocco dei teatri a causa del covid, abbiamo portato avanti svariati progetti, dai podcast delle “Fiabe Jazz sonore” al progetto seminariale per bambini prodotto dalla Biblioteca delle Oblate di Firenze che ci ha visti impegnati per una serie di incontri streaming intorno alla figura di Gianni Rodari (progetto che ci ha così entusiasmati da darci lo spunto per un nuovo format firmato sempre Fiabe Jazz).

E come sono state accolte?

Molto bene. I nostri spettacoli sono molto richiesti e la stessa fiaba è ogni volta diversa proprio perché è il format che lo richiede: ci divertiamo a far rivivere, attraverso situazioni comiche esilaranti, celebri fiabe utilizzando solo pochi costumi, qualche parrucca, pochissimi oggetti e la musica dal vivo con canzoni originali.

È per questo che si chiama Jazz: perché su una struttura drammaturgica ben consolidata ci divertiamo a improvvisare. Fiabe jazz è a mio modo di vedere una commistione ideale tra teatro e musica. Io preparo una prima drammaturgia e Francesco costruisce le canzoni ad hoc.

Poi attraverso le prove e la scrittura di scena collettiva riusciamo a formalizzare e a mettere a punto lo spettacolo che andremo a presentare al pubblico.

Fiabe Jazz è così diventato un marchio e il pubblico ha cominciato a fidarsi di noi. La sigla iniziale sempre uguale per ogni replica ormai è cantata da buona parte degli spettatori. Il coinvolgimento dei grandi e piccoli è assicurato.

L’anno scorso siamo anche riusciti a produrre un CD con tutte le canzoni delle fiabe jazz fino ad allora realizzate. Insomma per fortuna il lavoro non ci è mancato. E con i tempi che corrono tutto questo è oro che cola.

Progetti futuri?
Di progetti futuri ne ho diversi. Mi divido tra teatro e cinema. Ma al momento, come tutti noi del settore, poche cose concrete. È tutto così “liquido” e incerto che ho imparato a non aspettarmi troppo.

È ormai più di un anno che non incontriamo il pubblico, quello vero, nei teatri. Tutto questo manca terribilmente. E non ci è dato sapere quando le cose cambieranno. Nel frattempo continuiamo a programmare spettacoli in streaming e progetti “da lontano” con la speranza di ritornare presto alla normalità.

I teatri, e tra questi anche il nostro di Lastra a Signa, hanno cercato di reagire a questo fermo con una forza e una voglia di esserci nonostante tutto che se ci penso mi commuovo. Ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo reinventati, o meglio, abbiamo traghettato le nostre esperienze su altri canali, cercando di mantenere intatta la nostra dignità di artisti.

Al momento abbiamo l’agenda piena da maggio in poi di repliche Fiabe Jazz e nuove produzioni, tra cui appunto l’importante Opera da quattro soldi, un’operazione che, per numero di attori e di musicisti, va senz’altro in controtendenza rispetto ai progetti attuali di molte altre realtà. Incrociamo le dita.

Roberto Caccavo
Con Francesco Giorgi e Marco Natalucci abbiamo sviluppato il format musical teatrale di Fiabe jazz, che ci sta dando tante soddisfazioni (Foto © Marina Masini)

Hai sicuramente incuriosito molti, ci lasci qualche indicazione più precisa se vi si vuole seguire?

Molto volentieri. Chi volesse essere aggiornato sulle nostre prossime iniziative può seguirci su Facebook (Fiabe Jazz – IL GRUPPO) e Instagram o sul sito della compagnia (www.teatropopolaredarte.it). Inoltre si possono recuperare tutti gli episodi dei podcast delle nostre fiabe sul nostro canale #spreaker, #spotify e #applepodcast, ecco i link:

– Aladino e la lampada magica

https://open.spotify.com/episode/6ZznpHr8f4Bki2LiOmh1Fc?si=hCWxTlvKTIuwHjmT9CoGBw

– Cappuccetto Rosso

https://open.spotify.com/episode/0DbdIvw4ngEejbvhizZX6x?si=q30bAAC3SuifQRJmwjnGGg

– I vestiti nuovi dell’imperatore

https://open.spotify.com/episode/0qKfh1mfY7rrfokS0hbAYy?si=uUHkMIgzTDuwY_J0e6tTpg

Articolo a cura di Sergio Scorzillo 

Il Boss Della Radio, una trasmissione fatta da persone che lavorano nel mondo del lavoro

On Air 361: Susan&Grace su White Radio
Susan e Grace Il Boss Della Radio

Mentre mordo estasiato una Pesca di Prato ammirando la Cattedrale di Santo Stefano a Prato, decido di seguire un eco che mi accompagna da una settimana “Siamo Donne oltre le gambe c’è di più”. Più mi avvicino ad un Palazzo e più l’eco diventa musica, fino a che le note diventano melodiose con le voci di Susan e Grace che mi accolgono negli studi di Prato di White Radio.

Susan e Grace, siamo qui a White Radio e voi siete 2 speakers. Da quanti anni?
Susan: Dieci anni. Feci un corso di speaker e conduzione radiofonica in una FM pratese. Ho iniziato come segretaria di redazione.
Grace: io da quattro anni. Da quando ho conosciuto Susan.

Quindi dopo Paola&Chiara, Kris&Kris abbiamo Susan&Grace. Quando nasce il vostro duo?
Susan: Nel 2016. Io conducevo su White Radio “Bionde si nasce White si diventa” e spesso invitavo Grace come ospite. Li è nata la coppia e l’idea della nostra nuova trasmissione.
Grace: Si nel 2016. Da Ospite muta (ride) sono diventata Speaker di White Radio.   

Insieme siete alla guida del programma di successo Il Boss della Radio
Susan: Si nel 2017 è nata la trasmissione che va in onda ogni sabato dalle 12 alle 13 sulla web radio White Radio.

Di cosa vi occupate a Il Boss della Radio?
Grace: Intervistiamo imprenditori che parlano della loro attività ma anche della loro vita. Facciamo scegliere a loro 6 canzoni, il titolo di 1 libro ed il titolo di 1 film che diventano scaletta d’intervista.

On Air 361: Susan e Grace su White Radio
White Radio

Ah! Un bel viaggio introspettivo ed imprenditoriale
Susan: Si Lorenzo, con noi l’ospite fa un viaggio non solo storico nella sua esperienza lavorativa ma proprio un percorso della sua crescita personale. Da noi l’imprenditore si racconta per quello che è e non solo per quello che fa.

Quali Imprenditori avete avuto il piacere di intervistare?
Susan: Stefano Pozzovivo di RadioSubasio, Stefano Niccoli della Nontex, lo Studio Siciliano & Partners, Luca Giusti presidente Confartigianato, Paolo Gori della Gori Tessuti, Ilaria Bugetti Consigliera della Regione Toscana e tanti altri. Alcuni nel nostro Studio Blu di White Radio, altri per telefono.

Avete portato anche Il Boss della Radio fuori dagli Studi Radio?
Grace
: Si. Abbiamo realizzato degli eventi aziendali al Vivaio Mati a Pistoia, al Golf le Pavoniere a Prato e al centro di formazione Qu.In.

Susan e Grace coppia di fatto di White Radio. Qual è il vostro pregio radiofonico?
Susan: Grace è la tipica padrone di casa perfetta. Riesce a mettere a proprio agio tutti gli imprenditori anche quelli più ostili, per timidezza, al microfono.
Grace: Susan è preparata ad ogni situazione. Spigliata, informata, rassicurante.

Susan e Grace dove e come possiamo ascoltare Il Boss Della Radio?
Susan: Sul nostro sito www.whiteradio.it oppure scaricando la nostra APP White Radio.
Grace: E se non puoi ascoltarci in diretta il sabato dalle 12 alle 13, sul nostro sito trovi il Podcast.

È il momento MARKETTA. Perché ascoltare Il Boss Della Radio?
Susan: perché siamo state tra le prime a sperimentare il format sugli imprenditori e come Il Boss Della Radio non ce n’è.
Grace: Perché è una trasmissione fatta da persone che lavorano nel mondo del lavoro e che fanno conoscere quelle che sono le aziende di un territorio.

Cara Jò, Cara Sabrina. Avete proprio ragione. Oltre le Gambe c’è molto molto molto di più. E ora mi rimetto in viaggio ma prima almeno un Cantuccio pratese lasciatemelo mordere!

Articolo a cura di Lorenzo Amatulli 

Unico contest europeo riservato alla world music dove per “World Music “si intende un genere musicale che attinge al patrimonio etnico o folk

Non solo talent: Premio Andrea Parodi
Premio Andrea Parodi – Logo

Unico contest europeo riservato alla world music, il premio è dedicato ad Andrea Parodi, autore e musicista sardo. È considerato la voce più rappresentativa della Sardegna degli ultimi 30 anni.

Nato a Porto Torres nel 1955, dotato di una voce particolarissima, fondò, insieme a Gino Marielli e Gigi Camedda, il gruppo Tazenda.

Il primo grande riconoscimento gli arrivò nel 1990 quando i Tazenda furono chiamati a collaborare con Fabrizio De André alla realizzazione dell’album “Le Nuvole”.

Ottennero poi un successo straordinario al Festival di Sanremo nel 1991, quando arrivarono quinti in coppia con Pierangelo Bertoli, con il brano “Spunta la luna dal monte” che li fece scoprire dal grande pubblico.

L’anno successivo i Tazenda partecipano di nuovo al festival presentando la loro “Pitzinnos in sa gherra”, una brano.

Andrea era dotato di una voce unica, densa di sfumature e ha dedicato la sua vita alla diffusione della musica e della cultura sarda.

Nel 1997 Andrea Parodi dà il via alla sua carriera solista che lo porta a realizzare l’album “Abacada” e a numerose iniziative artistiche tanto che, negli ultimi anni della sua breve vita collabora con Noa e con Al Di Meola.

Nel 2006 rientra nei Tazenda e insieme trionfano in due concerti che sono passati alla storia, quello di Porto Torres e a La Maddalena.

Andrea Parodi
Andrea Parodi e Noa (Foto © Francesco Santucci)

Il suo ultimo lavoro è “Rosa resolza”, realizzato in collaborazione con Elena Ledda, una collaborazione professionale che corona un’amicizia e un rapporto umano che si era creato nel tempo.

Andrea Parodi tiene l’ultimo concerto il 22 settembre 2006 all’Anfiteatro Romano di Cagliarimuore di cancro alcuni giorni dopo, il 17 ottobre 2006, dopo una lunga lotta contro la malattia.

Nel 2007 la “Fondazione Andrea Parodi” crea il premio che porta il suo nome, unico festival europeo dedicato alla world music.

Non solo il ricordo di Andrea, ma un vero e proprio manifesto della necessità di coniugare l’esercizio della memoria attraverso la musica, privilegiando gli elementi musicali e i relativi strumenti che appartengono alla memoria dei territori con la vocazione di contaminali in maniera trasversale con esperienze di altri luoghi del mondo.

Si chiuderanno il prossimo 31 maggio le iscrizioni alla 14a edizione del premio.

Il contest ha come fine la presentazione e la relativa promozione al pubblico ed agli addetti ai lavori delle nuove tendenze in atto nell’ambito della musica dei popoli o “World Music”, dove per “World Music “si intende un genere musicale che attinge al patrimonio etnico o folk e si ripropone in chiave rielaborata con suoni e modelli stilistici di diversa provenienza.

Il modulo d’iscrizione è disponibile nel sito web all’indirizzo http://www.premioandreaparodi.it/.

Sarà possibile partecipare con 2 brani (files mp3, provini o registrazioni live o realizzazioni definitive), di cui uno in gara e l’altro appartenente al repertorio del concorrente.

Non sono ammessi brani strumentali. Il brano partecipante dovrà essere costituito da testo e musica ed essere interpretato in qualsiasi lingua (italiana, straniera, minoritaria, dialettale, o altre) e appartenere alla categoria della “World Music”.

Premio Andrea Parodi
Andrea Parodi

La Commissione artistica, presieduta da Elena Ledda, selezionerà in maniera anonima fra i cinque e i dieci finalisti che saranno poi valutati da una Giuria Tecnica composta da addetti ai lavori, autori, musicisti, poeti, scrittori e cantautori, e da una Giuria Critica composta da giornalisti e critici musicali.

Entrambe le giurie saranno composte, come di consuetudine per il premio, da autorevoli esponenti del settore.

A causa della pandemia i finalisti della 13a edizione sono: Alessio Arena (Campania/Catalogna); Ars Nova Napoli (Campania); Eleonora Bordonaro (Sicilia); Elena D`Ascenzo (Abruzzo); Kalascima (Salento); Abramo Laye Senè & Gaalgui World Music Band (Senegal/Sicilia); Maria Mazzotta (Salento); Danilo Ruggero (Sicilia); Stefania Secci Rosa e Bruno Chaveiro (Sardegna/Portogallo); Still Life (Catalogna) e la definizione del vincitore avverrà non appena possibile.

La finale della 14a edizione si terrà a Cagliari in autunno.

Per la consultazione del regolamento e per ulteriori informazioni consultare il sito per premio Andrea Parodi.

Articolo a cura di Roberto Greco 

Salvatore Valenti e le sue fotografie “sporche”

 

Vedere la Musica: Salvatore Valenti
Le immagini sono le sue parole, i suoi racconti

Salvatore Valenti, nato a Catania il 9 novembre 1999, è un giovane e già affermato fotografo. Appena quindicenne, andando contro il parere dei genitori, va “a bottega” come assistente, attirato dalla fotografia. Salvatore, ha sempre lavorato e studiato per riuscire a trasformare la sua passione in realtà e nell’unico mestiere che lo rendesse felice.

Le immagini sono le sue parole, i suoi racconti. Mi ha stupito la sua modestia, la sua timidezza nel raccontarsi. Una bella sensibilità che mi aveva colpito attraverso i suoi scatti, che lui stesso definisce “sporchi”. Un siciliano doc, schivo e dall’animo sensibile, che, ne sono certa, farà parlare di sé. Una bella storia, quella di Salvatore.

Lui non diventerà né un medico, tantomeno un avvocato. Quello di cui sono certa, è che realizzerà i suoi sogni anche se dovrà lasciare la sua amata Sicilia, per tracciare nuovi sentieri con la sua fotografia.

Come hai scoperto la tua passione?

La passione per la fotografia me l’ha in qualche modo instillata mia sorella, più grande di dieci anni, che vedevo da ragazzina, scattare con una macchinetta, una fotografia dopo l’altra. Mia madre avrebbe desiderato che facessi il medico o l’avvocato e c’è voluto tempo per farla ricredere!

Con testardaggine, mi sono impegnato per realizzare il mio sogno, dimostrandole che avevo ragione. Andavo a scuola e lavoravo, per riuscire a fare quello che amavo. Non è stato facile, ma non mi è mai pesato.

C’è anche da dire che qui, a Catania dove sono nato e cresciuto, è tutto molto più difficile, soprattutto per il genere di fotografia legata al mondo della moda: Catania non è Milano!

Che cos’ è la fotografia per te?

La fotografia è il mio modo di esprimere, molto più che con le parole, sentimenti, riflessioni che diversamente faticherei a condividere. Sono affascinato e mi piace realizzare progetti fotografici che riguardano la sfera dell’interiorità, che indagano nell’animo dell’uomo.

La fotografia è diventata il mio mestiere, ma nasce da un’esigenza personale, una sorta di terapia curativa. Una passione che ha saputo guidarmi e orientare ogni mio passo, anche nel primo lockdown, che è stato per me, come per molti, estremamente complicato.

Vedere la Musica
Mi definirei un fotografo introspettivo, amo i ritratti che trovano in un’espressione, in un viso anche un riflesso dell’anima.

Una passione, la tua, a 360° per l’immagine?

Sono anche videomaker appassionato a tuttotondo del mondo dell’immagine. Mi piace spaziare dalla moda alla pubblicità, dallo sport alla televisione e eventi di ogni genere. Principalmente mi occupo di moda e pubblicità, che sono gli ambiti che preferisco e dove ho cominciato a muovere i primi passi.

Ho iniziato giovanissimo a soli quindici anni, come apprendista e da lì non ho più mollato. E’ stato un crescendo che mi ha travolto e sorpreso con proposte di lavoro importanti che mi hanno portato anche all’estero.

In che modo “guardi” attraverso l’obiettivo?

Mi definirei un fotografo introspettivo, perché nonostante faccia moda e pubblicità dove a farla da padrone, è  l’apparenza, vado alla ricerca dell’interiorità. Amo i ritratti che trovano in un’espressione, in un viso anche un riflesso dell’anima.

Cerco di avere, per questa ragione, molto rispetto per chi ho di fronte. M’impegno a fare in modo che si senta a proprio agio, anche sotto l’occhio attento del mio obiettivo, che in qualche modo lo mette a nudo.

Non importa se è un modello, perché comunque è una persona con sentimenti e sfumature che devo poter cogliere. Ho un approccio delicato ma diretto, incontrando sempre in anticipo il mio soggetto, per comprenderlo e ritrarlo al meglio.

Se fosse un viaggio, con le tue fotografie, che tipo di viaggio sarebbe?

Sarebbe un viaggio senza un itinerario prestabilito, attraverso metropoli di tutto il mondo. Quelle che prediligo sono le classiche “city” caotiche e trafficate, piene di umanità, tipo Londra. Città dove c’è di tutto e di più.

Mi piacciono proprio per le strade affollate, le persone variegate e diverse tra loro, i colori che le rendono uniche e meravigliose. Mi ispirano e stuzzicano la mia creatività, in un caleidoscopio di emozioni che si traducono in immagini.

Salvatore Valenti Con testardaggine, mi sono impegnato per realizzare il mio sogno
Con testardaggine, mi sono impegnato per realizzare il mio sogno

Quali sono state le tappe o le persone che hanno segnato il tuo percorso professionale?

Una tappa fondamentale è, e rimarrà, Londra. Per la prima volta all’estero, in questa bellissima città, ho lavorato a un servizio di moda per un Hair Stylist londinese. E’ stato molto importante perché avevo solo diciassette anni e da lì è stato un crescendo, un successo personale che mi ha aiutato  trovare altri ingaggi importanti.

Un’esperienza che mi ha fatto crescere tanto e mi ha fornito occasioni che diversamente non avrei avuto. Dopo Londra, infatti, è arrivata anche la televisione con Salvo La Rosa. Ho lavorato al suo programma Meraviglioso, che era della stessa produzione di Ballando Con le Stelle, occupandomi del back stage facendo video interviste e raccogliendo materiale fotografico di repertorio.

In seguito è arrivato il programma TV, Piacere Calcio Catania, dove facevo parte della produzione. Sono sempre stato “affamato” di esperienze e non mi sono mai risparmiato, accettando nuove sfide e cercando di imparare da tutti con umiltà e spirito di squadra.

La fotografia è perfezione?

Per me no, la perfezione non m’interessa e non mi piace. Ci sono “difetti” che rendono unici, che ci raccontano. Nascondere una ruga d’espressione, priva un viso anche di quell’anima che vado cercando.

Mi dicono che le mie sono fotografie sporche, in altre parole poco “ritoccate”, corrette. Probabilmente è questa la mia caratteristica e non mi dispiace per niente, che siano definite in questo modo, anzi…

Quanto è importante la musica nel tuo lavoro?

C’è sempre una colonna sonora, a sottolineare qualunque momento sia professionale che nella vita. Ogni passo ha la sua musica e anche prima degli shooting, mi preparo con la mia playing list. Mi piace ascoltare un po’ di tutto, a seconda  della concentrazione che cerco. La mia “musa” ispiratrice, però, è Annalisa.

Salvatore Valenti
Ci sono “difetti” che rendono unici, che ci raccontano

Che cosa chiedi alla tua professione?

Chiedo di rimanere a fare parte della mia vita. Voglio fare questo mestiere perché credo non ci sia niente di più bello che fare quello che si ama. Catania mi ha dato tanto, ma sono consapevole che il “tempio” della moda sia Milano, dove conto di andare al più presto per un master e chissà, magari metter radici.

Articolo a cura di Paola Ferro 

Nasce con l’obiettivo di dare agli artisti la possibilità di farsi conoscere,  ho attivato collaborazioni e, soprattutto, ho sempre cercato di creare una buona sinergia con i miei artisti

Etichette discografiche indipendenti: Boot Recordings
Etichette discografiche indipendenti: Boot Recordings – Logo

A Gravina in Puglia, in provincia di Bari è attiva Boot Recordings, presente da 3 anni nel mondo dell’industria discografica, contribuendo alla ricerca e all’esplosione di artisti con talento, nel mondo musicale. Abbiamo parlato con Nicolò Pentimone, fondatore dell’etichetta.

Quando nasce “Boot Recordings”?

Sono attivo dal maggio 2018. Nasce con l’obiettivo di dare agli artisti la possibilità di farsi conoscere da un’idea mia. Da quel momento ho iniziato a muovermi nel campo radiofonico, ho attivato collaborazioni e, soprattutto, ho sempre cercato di creare una buona sinergia con i miei artisti.

Da dove deriva il nome della vostra etichetta?

L’ho inventato io. Mi è sembrato un nome moderno, adatto e con un alto impatto. Anche il logo è una mia idea.

Boot Recordings
Dj Symoz disco d’oro 2019

Quali sono i generi musicali di cui vi occupate?

La mia etichetta si occupa di musica a 360°. Nel tempo ho aperto un’ulteriore label che si chiama “Boot music” che in maniera più specifica si occupa di musica dance, techno, house e commerciale. Da qualche tempo ho iniziato a collaborare con la Thunder label, con edizioni e distribuzione Universal music group, e questa nuova sinergia ha molte sorprese in serbo per quest’anno.

Come interagite con gli artisti? Producete direttamente o lavorate su prodotti strutturati e finiti?

Preferisco lavorare su prodotti strutturati che hanno già un forte carattere e che si collochino in un determinato genere musicale. Mi occupo di tutto quello che è necessario per far conoscere al pubblico il prodotto ossia dei passaggi radiofonici, della promozione stampa, delle interviste, della partecipazione a eventi in Italia e all’estero e alla diffusione dei videoclip nelle metropolitane e negli aeroporti. Curo anche le collaborazioni tra i nostri artisti.

Com’è stata organizzata la vostra distribuzione?

“Boot Recordings” è distribuita da Believe mentre “Boot music” è distribuita da Fuga, un aggregatore specializzato.

Boot Recordings Cigno disco d'oro 2020
Cigno disco d’oro 2020

Quali sono i tuoi artisti di punta?

Nel 2019 Dj Symoz ha vinto il disco d’oro, Cigno lo ha vinto nel 2020, Ewo Ramirez, anche lui ha vinto il disco d’oro e il suo brano è uscito nella compilation “Hit Mania” dello scorso inverno. Alcuni nostri artisti, quest’anno, hanno partecipato a “Casa Sanremo” come Gli AnimAttori, Giampi, Cristina Gangi, Gennaro Fasano e Andy Life. Sono già al lavoro per l’edizione del prossimo anno con la collaborazione di Angelo Di Maio e di Alessandra Sassa con il suo format “Made in Italy”.

Com’è possibile per un artista proporvi la sua musica?

È semplicissimo. Basta mandarci un mail con la biografia, la propria presenza sui social e, ovviamente, il brano. Lo ascolteremo con attenzione e, normalmente, rispondiamo a tutti.

Articolo a cura di Roberto Greco 

La musica in teatro è  un elemento di costruzione drammaturgica dell’azione scenica.

Musica a Teatro: Virgilio Patarini
Virgilio Patarini: qualche volta mi diverto a fare il frontman di una band (Foto © Beppe Tassinari)

Virgilio Patarini è un artista a tutto tondo…e non nel senso fisico (mi perdonerà la battuta, visto che è ultimamente molto dimagrito), ma in senso stretto. Si occupa di Arte, punto. È pittore, scultore, attore, regista, editore, poeta. Organizza mostre e spettacoli, e spesso mostre con spettacoli.

Allievo di Renato Barilli, dal 2011 al 2015 è stato consulente del C.A.M., catalogo d’arte moderna della Giorgio Mondadori ed è stato autore di cataloghi tematici dal titolo Post avanguardia, La materia è il colore e Terza dimensione. Oltre ad altri importanti volumi dedicati all’arte informale e al volto e la figura nell’arte contemporanea.

Cura l’esposizione di artisti nelle sue due sedi, di Milano, sul Naviglio grande, e in Valcamonica. Ma non solo, perché negli anni si è fatto promotore di eventi in tutt’Italia, specie in edifici storici: a Ferrara, a Venezia, a Massa Carrara, a Imperia, a Lecce. Recentemente ha organizzato una mostra spettacolo itinerante a Cividate Camuno, utilizzando, come spazio espositivo e performativo, l’antico Teatro Romano, che ha intitolato Set amo if?

Ora sta organizzando, ampliando il discorso, un altro importante evento dal titolo significativo Siamo ancora vivi!, sempre in Valcamonica. Si trovano altre informazioni sul suo sito Zamenhof Art.

Inizio come sempre chiedendo: Che musica ascolti nel privato?

Sono nato alla fine degli anni Sessanta, ascolto prevalentemente Ivano Fossati o Tom Waits o musica simile, e poi un sacco di compositori o cantautori bravissimi ma che non conosce nessuno, autori che ho avuto la fortuna e il privilegio di far suonare in qualche mio Festival o Rassegna a Ferrara, Venezia, Miano, recentemente in Valcamonica, e di cui poi sono diventato amico: Marcelo Cesena, Enrico Cipollini, Alessandro Ducoli, Davide Solfrini, e tanti altri.  Quando viaggio in auto praticamente ascolto solo musica di amici o di gente che comunque conosco personalmente. E il fatto che per lo più siano sconosciuti al grande pubblico rende la cosa ancora più preziosa. Dici che sono un po’ snob? Però c’è da dire che in Italia è così per tanti settori dell’arte, dalla pittura al teatro, dalla poesia alla musica: quelli veramente bravi ed originali non li conosce nessuno.

Musica a Teatro
Virgilio Patarini: la mia bottega è la mia casa e la mia anima perchè è dove creo (Foto © Virgilio Patarini)

So che fai o organizzi spettacoli con musica dal vivo. Hai sempre fatto così?

Agli inizi della mia “carriera” di regista facevo praticamente solo spettacoli con musiche originali e suonate dal vivo. Ora negli ultimissimi anni ho diminuito di molto la mia attività teatrale e praticamente mi sono limitato a portare in giro, in luoghi improbabili, una versione bonsai del Diario di un pazzo di Gogol, senza musica e senza scenografie e che adatto di volta in volta al luogo che mi ospita (gallerie d’arte, palazzi medioevali, cortili di musei, arboreti alpini…)

Però la prossima riedizione del Pazzo, completamente riscritta da me e ambientata ai giorni nostri, al tempo del Coronavirus (l’ho intitolata Gogol in quarantena) avrà un fisarmonicista in scena che mi accompagnerà, e vorrei avere musica dal vivo e magari anche originale anche per un altro progetto che ho in cantiere, un altro testo mio, un monologo particolare dal titolo Il Prigioniero, che metterò in scena in un Castello Medioevale in Valcamonica a fine maggio, pandemia permettendo, e con un protagonista d’eccezione…

Come lavori con i musicisti?

Dipende dai musicisti. Qualche volta lascio loro carta bianca e solo quando hanno prodotto si lavora al montaggio. Altre volte il lavoro procede in simbiosi, tra prove e composizione delle musiche

 Mi pare di ricordare che tu abbia anche cantato, qualche volta, è vero?

Nelle ultimissime versioni del Pazzo di Gogol cantavo dei pezzi di una antica e struggente ballata russa… ed era in effetti struggente per il pubblico ma anche per me, perché me l’aveva insegnata una specie di ex fidanzata, e dunque realtà e finzione si sovrapponevano, e in quei passaggi la mia commozione era autentica, autobiografica… E poi ci sono i Rain Dogs in The Fog, una improbabile band di cui io sono… ero… sarei un ancor più improbabile front man. Ma questa è un’altra storia.

In teatro la musica per clima o altro la trovi fondamentale?

La musica in teatro è ben più di un elemento che determina il “clima”: entra in rapporto dialettico con le parole e con i gesti, le azioni, le scene. A tutti gli effetti è un elemento di costruzione drammaturgica dell’azione scenica.

Virgilio Patarini
Virgilio Patarini Il diario di un pazzo di Gogol è il mio cavallo di battaglia, lo faccio da anni, ora l’ho riscritto e adattato ai tempi odierni (Foto © Valentina Carrera)

Quando scrivi ascolti musica? O pensi ad una musica in particolare?

No, non ascolto nulla. La scrittura è essa stessa musica. La musica è dentro le parole. Dunque quando scrivo ascolto con grande attenzione la musica delle parole, lavoro su quella, ed ascoltare altra musica sarebbe una distrazione. Tutto è dentro le parole, tutto è condensato nelle parole: la musica, i gesti, le azioni sceniche, le scenografie, le possibili intonazioni, le intenzioni… E più un testo è drammaturgicamente potente, più concentra in sé infinite teorie di musiche, gesti, scene, intenzioni. Come diceva il mio professore di Istituzioni di Regia al DAMS, Arnaldo Picchi: un testo teatrale è un “programma per la scena”, non ha valore in sé e per sé come un qualunque altro testo letterario, ma esiste solo in funzione della scena, di una possibile, potenziale messa in scena: anela, tende alla scena

Allora aspettiamo che inizi Siamo ancora vivi!

Ah certamente…Ho “contaminato” tutta la valle. 15 locations al chiuso e all’aperto e opere di 50 artisti. Oltre agli spettacoli, ovvio.  Sarà un’esperienza entusiasmante

Articolo a cura di Sergio Scorzillo

La musica è stato il mio rifugio negli anni oscuri

Note di Regia: Ivan Silvestrini
Note di Regia Ivan Silvestrini: Qualsiasi cosa abbia fatto nella vita ho sempre dovuto studiare molto

Intelligenza brillante e una forte attitudine alla musica “elettronica emotiva”. Ivan Silvestrini, regista cinematografico e di alcune delle più moderne e interessanti serie tv dell’ultimo decennio, ha intrapreso gli studi sul cinema per unire le sue tre più grandi passioni: la musica, la fotografia e la scrittura.

Director del film avventuroso “Dragonheart: vengeance” prodotto dalla Universal Picture, così come del cast d’eccezione della commedia “Arrivano i prof”, a cui hanno partecipato Claudio Bisio, Lino Guanciale, Maria Di Biase e molti altri.

Silvestrini ha saputo però dirigere magistralmente anche lungometraggi drammatici e serie tv di grande successo. Sua la regia di “Una grande famiglia – 20 anni prima” e “Monolith” di cui è stato regista e sceneggiatore.

Il suo rapporto di grande confidenza con la musica lo racconta Ivan Silvestrini nella seguente intervista.

Ci racconti il tuo legame con la musica?

La musica è stata la mia salvezza, io ho avuto un’adolescenza emotivamente turbolenta e la musica è sempre stata lì a farmi sentire al sicuro durante gli anni oscuri. Per questo motivo probabilmente sono vorace e ascolto musica da sempre e ogni volta che ho tempo.

Da ragazzo volevo fare la rock star! Suonavo la chitarra elettrica, ma ad un certo punto però ho capito che diventare Axl Rose non era un’opzione per una serie di ragioni, quindi inizialmente ho ripiegato sulla musica elettronica e poi ho abbandonato le mie velleità da musicista per impegnarmi negli studi di cinematografia.

Ho deciso di studiare cinema
Ho deciso di studiare cinema perché mi avrebbe dato la possibilità di riunire le mie tre più grandi passioni: la musica, la scrittura e la fotografia.

Le ragioni per le quali hai scelto il cinema?

Ho deciso di studiare cinema all’università non tanto perché fossi convinto che studiare cinema sarebbe stata la mia strada, ma perché avevo capito che il cinema mi avrebbe dato la possibilità di riunire le mie tre più grandi passioni: la musica, la scrittura e la fotografia.

Già durante gli studi avevo comunque capito di aver intrapreso la strada giusta, in seguito sono riuscito ad entrare al centro sperimentale e a quel punto ho capito che il cinema era quello che desideravo fare.

La musica però continua ad accompagnarmi e, nonostante l’abbia un po’ accantonata per molto tempo, negli ultimi anni ho ripreso a scrivere e suonare musica elettronica e fino ad oggi ho pubblicato 10 album.

La mia non è però un tipo di musica commerciale, mi autoproduco e scrivo quello che mi piace, è sicuramente l’unica cosa di cui posso avere il controllo assoluto.

Note di Regia: Ivan Silvestrini Da ragazzo volevo fare la rock star
Da ragazzo volevo fare la rock star

La conoscenza profonda dello spartito in che modo ti aiuta nella professione di regista?

Naturalmente mi dà una grande sicurezza. Spesso le scene che monto hanno un ritmo di natura musicale, io lo definisco montaggio sincopato.

Non mi è mai capitato di utilizzare brani da me scritti nella mia professione, perché non ho questo ultra narcisismo, mi piace lavorare invece con compositori che magari producano brani più adeguati al progetto.

Note di Regia: Ivan Silvestrini

Ho ricevuto comunque grande soddisfazione dal fatto che alcuni miei brani sono stati utilizzati nella serie tv di Ludovico BessegatoSkam” distribuita sia in Italia che all’estero.

Mi sono arrivati moltissimi messaggi da tutto il mondo di persone che grazie alla serie tv hanno scoperto che ero anche un musicista, anche se mi definisco poco più che amatoriale, ma tutto questo mi ha incoraggiato a continuare.

Il tuo è talento o studio?

Qualsiasi cosa abbia fatto nella vita ho sempre dovuto studiare molto. Talento secondo me è una parola molto pericolosa, perché a volte le persone si fermano davanti all’idea di non avere talento e quindi perdono in partenza.

Il talento probabilmente esiste ed è qualcosa di innato, ma va assolutamente coltivato ed è frutto principalmente di studio sia nel cinema che nella musica.

Parlando di cinema spesso le persone si congratulano per il mio talento e io le ringrazio e, ma so che tutto ciò che faccio è conseguenza del mio studio e ne sono contento.

Ivan Silvestrini
Note di Regia: Ivan Silvestrini: La mia non è però un tipo di musica commerciale, mi autoproduco e scrivo quello che mi piace

A quali progetti stai lavorando attualmente?

In questo momento sto lavorando alla seconda stagione di una fortunatissima serie Rai dal titolo “Mare fuori 2” e al primo film che non solo dirigerò, ma che ho anche scritto.

Ho sempre diretto lungometraggi su commissione, ma amo scrivere e finalmente ho trovato un produttore che ha apprezzato il mio film e spero il prossimo anno di iniziare a girarlo per poi distribuirlo.

Articolo a cura di Veronica Ruggiero

Paola Giannessi e le sue Donneingamba

On Air 361: Paola Giannessi a Radio Crossover Disco
Paola Giannessi a Radio Crossover

Krumiri. Si ho proprio voglia di Krumiri. Dopo aver mangiato il tartufo di Alba decido che è l’ora del dolce e con uno schiocco di dita sono a Torino. Un Krumiro davanti al Museo Egizio, un Krumiro davanti alla Basilica di Superga, un Krumiro davanti a Radio Crossover dove incontro la Speaker Paola Giannessi.

Paola che bello conoscerti. La Radio è la tua passione. Quando l’hai scoperta?
Ciao Lorenzo. Piacere. La Radio è una mia passione da anni. Ho iniziato a fare radio da quando avevo 18 anni.

Eh beh, allora è fin da giovanissima che la Radio fa parte del tuo Mondo?
Diciamo di sì. Ho fatto Radio dai 18 ai 25 anni e poi mi sono dedicata al ruolo di mamma ma ora che ho la possibilità ho deciso di riprendere questa passione.

Una passione riaccesa che ti ha portata a Radio Crossover?
Si. Radio Crossover è la Radio dove conduco 2 programmi al venerdì pomeriggio. Dalle 16 alle 17 Donneingamba e dalle 17 alle 18 Addictive Music.

Una doppietta interessante. Di cosa tratta Donne in gamba? Mi incuriosisce molto.
Come si evince dal titolo si dà spazio alle Donne. È un programma dedicato alle passioni delle donne ed è legato al mio sito web donneingamba.com

On Air 361: Paola Giannessi a Radio Crossover Disco
Studio Radio Crossover disco

Molto interessante. E che musica trasmetti insieme alle tue Donneingamba?
La musica è musica Dance, il genere musicale che contraddistingue la nostra Radio. Infatti Lorenzo, il nome per esteso della nostra Radio è Radio Crossover Disco.

E invece Addictive Music di cosa tratta?
Ad Addictive Music do spazio alla Musica di Artisti Emergenti del panorama Trap, Rap, Punk.

Quindi in Addictive Music trasmetti musica non dance?
No, sempre Dance ma trasmettiamo il singolo dell’artista emergente che proponiamo.

Hai avuto qualche ospite famoso nei tuoi programmi?
Si. Uno degli ultimi è stato Andrea Agresti de Le Iene. E poi anche Artisti di Teatro in quanto io collaboro con i Teatri. Non appena ritorneranno gli spettacoli avrò più ospiti.

Paola ma Radio Crossover è una Web Radio?
Si e quindi può essere ascoltata sul sito https://www.radiocrossoverdisco.com oppure tramite APP. Oppure potete riascoltare il Podcast delle mie trasmissioni.

On Air 361: Paola Giannessi a Radio Crossover Disco 2
Radio Crossover disco – logo

Paola, momento MARKETTA. Perché chi ci legge dovrebbe ascoltare le tue trasmissioni?
Perché sono trasmissioni interessanti. Sono programmi di contenuto. Io mi ascolterei.

E allora metto già la sveglia per venerdì alle 16 per Donne in Gamba

Grazie a Paola Giannessi, Donna in Gamba tra Donneingamba. Io mi metto in cammino per nuove scoperte Radio. Chissà dove mi porteranno i miei languorini.

Articolo a cura di Lorenzo Amatulli 

Lo “Zecchino d’Oro”, il festival dei bambini quest’anno giunge alla 64a edizione, è riservato a bambine e bambini dai 3 ai 10 anni

 

Non solo talent: lo Zecchino d’Oro
anno 1961

Nato da un’intuizione e da un’idea di Cino Tortorella, lo “Zecchino d’Oro” andò in onda per la prima volta dal 24 al 26 settembre 1959.

Cino Tortorella, che era già famoso grazie ad un programma della “Tv dei ragazzi” in cui interpretava il ruolo del Mago Zurlì, pensò ad una sorta di festival di Sanremo dedicato ai più piccoli.

Nel tempo, cardine del contest fu il “Piccolo Coro dell’Antoniano”, oggi “Piccolo Coro Mariele Ventre”, un coro misto di bambini creato nel 1963 da Mariele Ventre all’Istituto Antoniano di Bologna, luogo in cui si teneva la manifestazione, proprio per accompagnare i piccoli interpreti delle canzoni allo Zecchino d’Oro.

Dopo la morte di Mariele, avvenuta nel dicembre del 1995, la direzione è passata a Sabrina Simoni.

lo Zecchino d’Oro
Cino Tortorella e Topo Gigio

Ospite di Cino Tortorella, uno dei beniamini del giovane pubblico televisivo, Topo Gigio, personaggio immaginario creato nel 1959 da Maria Perego come pupazzo antropomorfo da usare per la trasmissione “Serata di Gala” e doppiato da Domenico Modugno.

Divenne presto un personaggio di successo e fu impiegato negli anni in diverse trasmissioni televisive sia italiane, come lo “Zecchino d’Oro”, sia straniere come l’”Ed Sullivan Show” negli Stati Uniti, dove veniva impiegato anche in coppia a noti personaggi dello spettacolo e della cultura, italiana e straniera, tra questi Dario Fo e John Wayne.

Anche quest’anno il casting sarà realizzato esclusivamente online e, per partecipare, è necessario scegliere il brano che si vuole interpretare da un’apposita compilation disponibile su Youtube, sovra incidere la propria esibizione e inviare, sempre online, il provino.

 

Non solo talent: lo Zecchino d’Oro
Zecchino d’Oro – nuovo logo

Tutti i passaggi da eseguire sono spiegati sul sito de “lo Zecchino d’Oro” sul quale è disponibile anche il regolamento della 64a edizione.

Il termine ultimo per la presentazione del proprio provino è il 10 maggio. I provini raccolti saranno esaminati dallo staff dell’Antoniano che riascolterà in una seconda fase le bambine e i bambini selezionati.

Articolo a cura di Roberto Greco 

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