“La musica va rispettata e dosata”

Note di Regia: Duccio Forzano
Duccio Forzano: “suonavo la batteria e cantavo in una band, avevo circa 22 anni e vinsi l’edizione del Talentiere”.

Un inizio da frontman e musicista, per Duccio Forzano, regista di alcuni dei più interessanti programmi televisivi Rai degli ultimi anni. Dopo una gavetta fatta di molti mestieri oltre a quello del film maker e realizzatore, viene notato da Claudio Baglioni negli anni novanta e successivamente l’artista gli affida la direzione televisiva dei suoi concerti. Contemporaneamente lavora per Mediaset: Verissimo e Real TVEroi per caso.

Nel 2000 dirige il primo show di Giorgio Panariello, Ultimo Valzer di Fabio Fazio, le quattro edizioni di Stasera pago io di Fiorello, poi torna in Mediaset con Paolo Bonolis e di nuovo in Rai con Gianni Morandi e Vincenzo Salemme.

Vive anche una parentesi cinematografica nel 2003, dirige 23, una commedia comica con i Ditelo Voi. Dal 2005 cura la regia del programma di Rai 3 Che tempo che fa condotto sempre da Fazio. Sue le edizioni del 2010, del 2011 e del 2013 del Festival di Sanremo.

Sempre per Fazio cura le regie di Vieni via con me su Rai 3 nel 2010 e di Quello che (non) ho su La7 nel 2012. Una vita interamente dedicata alla sua passione, diventata una professione, che ancora oggi lo vede impegnato nella produzione di trasmissioni Rai di grande interesse.

L’amore e il rispetto per la musica e la passione per la regia li racconta Duccio Forzano nella seguente intervista.

Musica e regia. Come sono stati gli esordi?

Nel 1992 suonavo la batteria e cantavo in una band, avevo circa 22 anni e vinsi l’edizione del “Talentiere”, il primo talent show non televisivo nato da un’idea di Rita Pavone e Teddy Reno. Il Talentiere girava in quegli anni per tutta Italia facendo scouting.

La passione per la regia mi ha poi portato verso la mia attuale professione. Ho iniziato a lavorare in un paio di studi televisivi, poi ho avuto un’occasione che ho saputo cogliere e a 37 anni ero già un regista.

Duccio Forzano Regista
Duccio Forzano e Giancarlo Giannini

Quale genere musicale è più affine alla tua personalità?

Il genere musicale che più mi interessava negli anni in cui suonavo era il rock progressivo italiano e internazionale: PFM, Banco del mutuo soccorso, Deep Purple, Genesis e molti altri sul genere punk- rock.

La mia situazione professionale ha decisamente cambiato la mia visione, oggi ascolto tutto, guardo tutto e cerco anche di farmi consigliare dalle persone con cui ho un rapporto di fiducia sia professionale che privato.

Faccio un’azione di ricerca continua sulla musica, non solo per piacere personale, ma anche perché spesso nel mio lavoro io la musica la traduco in immagine.

Che peso assume la musica invece nella tua professione?

Nel cinema e nella televisione la musica è il 50 % di tutto il prodotto. Un sottofondo musicale aiuta l’immagine ad essere ancor più performante. La musica però assolve anche alla funzione di introdurre un programma, è la sigla di una serie tv o del telegiornale o ancora il sottofondo di un documentario.

L’importanza del ritmo è evidente anche negli abusi che invece spesso si fanno nella vita quotidiana: ascensori, supermercati, ristoranti, centri commerciali fanno un utilizzo della musica troppo smodato e addirittura spesso fastidioso.

Alla luce di quanto detto con quali modalità e criteri scegli i brani da utilizzare?

La scelta della modalità di lavoro dipende molto dalle esigenze del programma. Al Festival di Sanremo ogni artista porta il suo brano in dote, quindi è necessario scrivere solo la sigla e poco altro.

Nel 2019 ho diretto un programma dal titolo “That’s amore” andato in onda su Raitre, in cui si raccontava il lavoro di una clinica veterinaria, e in quel caso c’è stata una forte ricerca musicale.

Paradossalmente anche brani di Achille Lauro o Ultimo, che sembravano non essere adatti, al racconto si sposavano invece poi in maniera commovente con le immagini. La musica va prima di tutto rispettata, impiegata in maniera dosata e corretta, e per fare questo mi affido anche a figure professionali che mi aiutano nell’impresa.

 Duccio Forzano e Claudio Baglioni
Duccio Forzano e Claudio Baglioni

Per acquisire professionalità serve di più la formazione o l’esperienza?

Formazione ed esperienza sono decisamente equivalenti. Io ho iniziato con l’esperienza sul campo, ma contemporaneamente studiavo i manuali dei registratori, delle videocamere o dei montaggi.

La formazione non la intendo solo come forma classica di apprendimento, quindi in una scuola, ma è possibile formarsi anche da autodidatta l’importante è essere curiosi.

l tuo lavoro ha subito gli effetti della pandemia?

In realtà anche la televisione ha in qualche modo ha subito una battuta di arresto a causa dell’emergenza sanitaria. Durante l’inizio del primo lockdown il lavoro si è completamente fermato e la tv ha offerto repliche di programmi o collegamenti in video chiamata.

Piano piano si sta lavorando per riprendere la giusta direzione. Il Festival di Sanremo è stato seriamente a rischio perché le restrizioni del momento mettono in crisi l’esecuzione dei programmi televisivi in diretta.

Purtroppo anche un’eventuale positività mette a rischio e in quarantena l’intera troupe, costringendo la produzione a sospendere la messa in onda del programma.

Articolo a cura di Veronica Ruggiero

Stabiliamo un contatto con Marco Corona 

On Air 361: Marco Corona
Marco Corona On Air a Radio San Marino

In viaggio alla ricerca di Radio da intervistare, ad un certo punto udii una voce. Una voce calda e radiofonica. Decisi di non spegnere quel suono e al contrario di Ulisse con le Sirene, decisi di seguirlo per ritrovarmi in quel di San Marino di fronte al poliedrico Marco Corona.

Marco tu sei uno speaker di Radio San Marino. Quando è iniziata questa collaborazione?

È iniziata nel 2017. Radio San Marino è l’ultima tappa del mio grande amore, quello per la Radio, che quest’anno a novembre compie 30 anni.

E il 2017 è stato un ritorno a Radio San Marino…
Vero. Perché la prima volta che mi sono affacciato a Radio San Marino è stato nel 1995.

On Air 361: Marco Corona Radio San Marino

Questa collaborazione da vita ad una trasmissione amatissima. Ti va di raccontarci?
Volentieri. Questa collaborazione infatti da vita al mio programma radiofonico dal titolo Stabiliamo un contatto, nato in un’altra radio, Radio Sabbia, ma cresciuto in Radio San Marino.

Quando va in onda Stabiliamo un contatto?
Va in onda quotidianamente dalle 14 alle 15 ed in replica alle ore 21.

Come è strutturato il tuo Stabiliamo un contatto?
Come si può evincere dal titolo del programma, cerco tutti i giorni di stabilire un contatto con gli ascoltatori che tramite il lancio dei nostri sondaggioni ci raccontano le loro vite, degli aneddoti, dei ricordi.

Tutto tramite whatsapp o le nostre pagine social facebook e instagram.

Radio San Marino
Logo della trasmissione Stabiliamo un Contatto con Marco Corona

Trovo interessante e innovativo questo contatto. Tieni un filo con l’ascoltatore…
Esatto. Per me e per gli ascoltatori quella è un’ora d’aria, un’ora di pura leggerezza in cui si cerca di sorridere sempre.
Marco, sono troppo curioso. Ricordami un Sondaggione che hai lanciato?
Beh, abbiamo lanciato un sondaggione per delle ricette giudicate con le imitazioni di Alessandro Borghese e Antonino Cannavacciuolo 

Davvero WOW! In questo periodo storico trasmetti dagli Studi di Radio San Marino?
In questo periodo trasmetto direttamente dallo studio di casa mia.

Nella nostra chiacchierata mi hai parlato di una rubrica del venerdì che adoro.
Eh sì, il venerdì lo dedichiamo a NOSTALGIA 90 con i brani di quel decennio.

Come possiamo ascoltare Stabiliamo un contatto su Radio San Marino?
Potete ascoltarmi sulla frequenza FM 102.27 MHz, in un raggio che prende quasi tutta la costa romagnola che va da Pesaro a Imola,

oppure sul sito dell’emittente (www.radiosanmarino.sm/radio), sul canale 8837di Sky o anche attraverso l’APP di San Marino Rtv.

Marco Corona trent'anni di Radio
Marco Corona:Stabiliamo un contatto in onda quotidianamente dalle 14 alle 15 ed in replica alle ore 21

E per chi dovesse perdersi una tua diretta?
Beh, sul sito di Radio San Marino ci sono i Podcast delle puntate.

Sempre più arricchito mi rimetto in viaggio per un’altra tappa Radio. Chissà dove mi porterà il prossimo martedì l’ON AIR 361.

 

Articolo a cura di  Lorenzo Amatulli 

Tour Music Fest, una manifestazione che punta alla crescita artistica creando un’esperienza musicale straordinaria per ogni singolo artista o band.

Non solo talent: Tour Music Fest
Tour Music Fest – Logo

Nato in Italia nel 2007  il Tour Music Fest è il più grande concorso musicale d’Europa.

Il TMF è molto di più di una competizione perché è una manifestazione che punta alla crescita artistica creando un’esperienza musicale straordinaria per ogni singolo artista o band che prenda parte al concorso, offrendo formazione, orientamento professionale, motivazione e massimo rispetto per chi mette in gioco il proprio talento.

Ogni tipologia di artista ha una sua categoria ed ogni percorso è stato creato per valorizzare gli artisti e per gareggiare ad armi pari.

Non solo talent: Tour Music Fest

Le categorie artistiche sono suddivise in: Cantanti Interpreti, Cantautori, Cantanti Lirici, Rapper, Original Band, Metal Band, Junior Singer (11/16 anni), Baby Singer (5/10 anni), DJ, DJ Producer e Autori. Il percorso si articola in 4 fasi.

Vengono raggiunte oltre 25 città italiane per essere il più possibile vicini agli artisti e limitare le spese di vitto, alloggio e trasporto che dovrebbero sostenere per parteciparvi.

Si parte dalle fasi regionali fino ad arrivare alla finalissima che si svolgerà a Roma presso l’Auditorium del Massimo.

TMF è il più grande concorso musicale d'Europa.
Tour Music Fest: si parte dalle fasi regionali, vengono raggiunte oltre 25 città italiane

Al CET di Mogol, con i migliori coach e artisti provenienti da tutta Italia, lezioni, attività e laboratori innovativi vengono realizzati i Music Camp, full immersion formative, realizzate in partnership con il CET di Mogol e Berklee College of Music.

Si svolgono nel periodo estivo e prevedono tre giorni di laboratori ed attività artistiche, per un totale di 30 ore di lezioni e laboratori.

L’evento dedicato alla musica emergente più seguito in Europa, ospitato ogni anno da live club di grande prestigio come il Piper Club, l’Atlantico Live e l’Auditorium del Massimo di Roma.

Gli artisti provengono da tutta Europa.

Non solo talent: Tour Music Fest

La giuria è composta dai maggiori professionisti del settore riuniti in un’unica commissione, capitanata da Mogol, con esponenti delle case discografiche Major e delle etichette indipendenti, i rappresentanti di Berklee – College of Music, artisti, musicisti, produttori artistici e giornalisti di fama nazionale.

Con il Tour Music Fest è possibile vincere diversi premi, dalla produzione discografica ai 10.000 euro da spendere per la tua musica, fino al budget di 15.000 euro per l’organizzazione di un Tour Europeo di concerti, borse di studio presso il CET di Mogol, due borse di studio per la frequentazione di un corso presso Berkee – College of Music di Boston e molti altri premi in palio.

Per maggiori informazioni consultare il sito https://tourmusicfest.it/.

Articolo a cura di Roberto Greco 

 

In viaggio con Gianni Brucculeri: fotografo dei ritratti sinceri

Vedere la Musica: Gianni Brucculeri
La fotografia è arte, non perfezione (Foto © Gianni Brucculeri)

Gianni Brucculeri, ama i ritratti sinceri, lontani dai “magheggi” che ci offre la tecnologia. Oggi, il mio obiettivo è lui, il ritrattista per eccellenza, che non ama essere fotografato. Gianni, giovanissimo, è attratto dalla fotografia e inizialmente, solo per hobby.

Ben presto, però, capisce che la fotografia gli è entrata dentro e che pretende da lui molto di più.

Diplomato in arti grafiche, per molti anni si è occupato di fotogiornalismo e i suoi servizi sono apparsi sui migliori magazine del mondo. Ha collaborato con molte produzioni cinematografiche e firmato moltissime campagne pubblicitarie.

Oggi Gianni si lascia fotografare dalle mie parole in un’altra tappa di questo viaggio, all’avventura e senza prenotazioni, alla ricerca di volti che possano raccontarsi anche senza parole.

Gianni Brucculeri, come diventi fotografo?

Sono stato attratto dalla fotografia ancora giovanissimo, un punto di vista dal quale guardare al mondo, che ben presto si è trasformato in un mestiere al quale non ho potuto sottrarmi.

Non è stato facile, non avendo nessun appoggio in quest’ambiente e ho fatto una bella gavetta accontentandomi di diversi lavoretti per sopravvivere.

Ogni passo, ogni esperienza ha contribuito a fare di me quello che sono e a formare la mia sensibilità artistica.

Quali sono stati i tuoi esordi?

Negli anni ’70, ’80 c’erano diverse agenzie che offrivano possibilità disparate dal cinema, la moda, la politica. Roma offriva molto e ho lavorato per passione, proprio sui set cinematografici, anche gratuitamente per imparare e per “fame” di conoscenza.

A un certo punto sono state le mie immagini a portarmi alle agenzie più importanti e a permettermi di seguire moltissime storie, dalla cronaca al reportage, la politica, gli scoop, il cinema e tra i tanti, ho seguito il Papa e il Re Umberto. Le fotografie a un certo punto, mi hanno introdotto alle agenzie giuste, parlando al posto mio.

Gianni Brucculeri
“La mia firma è liberare, il cuore, lo stato d’animo, senza filtri emotivi, cercando la sincerità” (Foto © Gianni Brucculeri)

Come ti definiresti?

Un ritrattista, un cacciatore di anime. Prima erano i reportage ad attirarmi, ma da una decina d’anni, è il ritratto, il posato ad affascinarmi.

Il ritratto in fotografia cerca l’anima della persona e regala emozioni fortissime. Quando riesco a trovare il modo di entrare nel mondo interiore di chi sto fotografando, è meraviglioso.

Mi accorgo, istintivamente, se la persona riesce a comunicare i suoi colori, se è a proprio agio, oppure intimidito.

Mi piace cercare il dialogo con il soggetto e quando piano piano si trova la strada e il dialogo giusto, tutto diventa più semplice. Mi piace il ritratto sincero, che non sia artefatto.

In che modo riesci a entrare nel “mondo interiore” del tuo soggetto?

Cerco di incontrare la persona in anticipo, proprio per comprendere come si muove la spontaneità, si coglie anche facendo due chiacchiere con in mano una tazzina di caffè, per vedere i gesti, il modo di muovere le mani.

I primi scatti sono esplorativi, poi quando vedo arrivare la naturalezza, sparisce la tensione e viene fuori la persona.

Importante è scardinare le diffidenze, per varcare la soglia del privato. Nonostante gli sforzi, può succedere che non si riesca proprio, per un’impenetrabilità propria del soggetto. Il risultato, quindi, non è mai scontato.

 

Gianni Brucculeri fotografo
L’imperfezione crea la bellezza, l’immagine irripetibile (Foto © Gianni Brucculeri)

Non bado alla tecnica in maniera ossessiva, ma lascio che l’istinto, la magia, la sensibilità, abbia il sopravvento. Il mio stile in realtà è poco costruito e non significa perfezione, ma riuscire a interpretare, quello scatto, come fa un bravo interprete con la canzone.

Bisogna sentire e interpretare. Mettersi in gioco. Ogni personaggio, ogni ritratto è diverso: perché è il momento, è l’attimo colto, la personalità e lo stato d’animo, a essere protagonista. Non servono filtri, ma la capacità di catturare anche un velo di malinconia, o un guizzo d’ironia. Quello è l’attimo perfetto, come il volo di una farfalla, è magia.

“Viaggi meravigliosi e sorprendenti che posso fare attraverso uno sguardo, la luce o l’ombra di un volto”

Che viaggio sarebbe quello con Gianni Brucculeri?

Ho fatto reportage in tutto il mondo, viaggiato moltissimo e oggi i miei itinerari sono alla scoperta di sentimenti, emozioni. Viaggi meravigliosi e sorprendenti che posso fare attraverso uno sguardo, la luce o l’ombra di un volto.

Ci sono pittori molto tecnici, ma succede che poi arrivi davanti a una tela che ha solo una riga e ti arriva nello stomaco. La fotografia è la stessa cosa. E’ arte, non perfezione.

Com’è cambiato il lavoro del fotografo e quanto è difficile?

Oggi a livello editoriale il fotografo è diventato l’ultima ruota del carro, mentre una volta si lavorava tutti insieme, per trovare lo scatto ideale, in uno scambio energetico e creativo molto stimolante. I tempi cambiano, irrimediabilmente e occorre adattarsi, purtroppo.

Gianni sei il fotografo dei Vip: quanto è difficile ritrarre persone dello spettacolo?

Le persone abituate a fare spettacolo, o a recitare, spesso trovano delle difficoltà davanti alla macchina fotografica, dove devono senza parole, senza recitare, mostrarsi per come sono e istintivamente rimangono bloccati.

Vedere la Musica: Gianni Brucculeri

È un lavoro molto diverso quando, invece, il protagonista è un modello che sa ovviamente come muoversi, è bello e da solo riempie la foto, sa già quali sono gli sguardi per quel servizio e s’immerge in quel concept.

Invece gli attori, o i personaggi dello spettacolo, hanno bisogno di un copione o di un microfono ed è come se li volessimo ritrarre senza trucco e questo li mette in seria difficoltà.

Vedere la Musica
Il ritratto in fotografia va alla ricerca dell’anima e regala emozioni fortissime introducendoci in un mondo meraviglioso (Foto © Gianni Brucculeri)

Quanto è difficile “immortalare” Gianni Brucculeri?

Difficilissimo! Non sono a mio agio e questa è una delle ragioni per cui capisco la situazione e le difficoltà che incontrano i miei soggetti. Tempo fa, sono stato coinvolto in un progetto, dove ero ripreso e il giorno della prima, mi guardavo, incredulo, senza riconoscermi.

Mi sono messo le mani sugli occhi, ripetendo tra me e me, che non ero io. Neanche la voce sembrava appartenermi e il disagio non era per come mi vedevo, ma nel non “ritrovarmi” in quelle immagini.

Questa mia difficoltà, mi aiuta a comprendere quanto sia difficile farsi fotografare e come, per qualcuno, sia istintivo sentirsi a proprio agio e per altri, una vera impresa.

È importante la musica nel tuo lavoro?

Quando lavoro, la musica è fondamentale, è vita. Aiuta moltissimo durante gli shooting creativi e ritengo che sia una delle espressioni più alte dell’arte. Mi accompagna sempre e da sempre.

Ringrazio Gianni e Patrizia Brucculeri, per avermi permesso di intraprendere questo viaggio, attraverso gli sguardi e le emozioni di tanti volti.

Un grazie speciale a Patrizia per avermi raccontato un Gianni inedito e la possibilità di vedere da vicino anche la loro storia nella quale la fotografia, ha messo lo zampino: galeotto, infatti, fu lo studio del padre di Patrizia dove s’incontrarono per non lasciarsi più.

Un incontro casuale, voluto dal destino, per un amore che li ha resi complici nella vita e nel lavoro.

Articolo a cura di Paola Ferro

Il motto di Piuma Dischi è:  “Più Musica Alternativa”

Etichette discografiche indipendenti Alessandro Cirone
Alessandro Cirone founder Piuma Dischi studio Auditoria

Ne abbiamo voluto parlare con Alessandro Cirone, founder dell’etichetta.

Da dove nasce l’idea di aprire un’etichetta indipendente?

Faccio il musicista da molti anni. Nel tempo ho iniziato a produrmi e ad avere sulle spalle tour e molti chilometri trascorsi sulle strade. Quando mio figlio ha abbandonato l’università e mi ha comunicato che voleva fare il cantautore, quattro anni fa, ho capito che anche per me era arrivato il momento di diventare grande e trasformare quindi la mia passione della musica con un gesto concreto e formale che mi permettesse di mettere a disposizione delle nuove generazioni la mia esperienza e la mia preparazione.

Il nome, Piuma dischi, fa forse il paio con il titolo del brano che Colapesce e Di Martino hanno portato al festival di Sanremo?

Si, anche se questo è successo molto prima del loro brano. Lo spirito è questo, musica leggera e quindi la piuma mi è sembrata l’immagine adatta, così come mi sono innamorato subito del logo per l’etichetta che mi ha proposto un amico grafico.

Quali servizi offrite ai vostri artisti?

Sono diversi i livelli di collaborazione che siamo in grado di proporre. Siamo anche editori e ci occupiamo di distribuzione, licenza e cast. Non potendo investire su tutti i progetti che ci arrivano, viste le nostre dimensioni, facciamo un’accurata selezione e troviamo quelli su cui poter investire direttamente.

Piuma Dischi
Cara Calma sono una band di Brescia composta da Riccardo Taffeli (voce e chitarra), Cesare Madrigali (chitarra), Fabiano Bolzoni (batteria) e Gianluca Molinari (basso)

Per noi l’importante è credere nel lavoro in cui ci imbarchiamo e, soprattutto, evitare di intasare un mercato che è già occluso di suo con prodotti spesso impresentabili. Questo perché quello stesso mercato ci si rivolterebbe contro, diminuendo il già piccolo spazio di movimento che le etichette indipendenti oggi hanno.

Preferite lavorare su progetti già strutturati o su quelli grezzi?

Preferisco lavorare su qualcosa che sia già abbastanza a fuoco. La tecnologia oggi dà la possibilità a tutti di evolversi rispetto al classico provino voce-chitarra e far perciò ascoltare qualcosa di più centrato. In un classico home-studio c’è la possibilità di inquadrare il proprio mondo sonoro ed è uno strumento che deve essere utilizzato dagli artisti per meglio esprimere cosa hanno in testa. Un brano troppo grezzo oggi non riesce più a rendere, come succedeva anni fa, le sue potenzialità rischiando che in lavorazione possa diventare super-commerciale, quindi non interessante, o effimero, altro grande rischio che lo porterà ad entrare subito nell’oblio.

Come definiresti lo stile di “Piuma dischi”?

Cerchiamo musica indipendente, preferiamo i brani “suonati”. Cerchiamo di trovare artisti che lascino qualcosa dopo l’ascolto del brano, cerchiamo storie da raccontare.

Logo Piuma Dischi
Piuma Dischi – logo

A proposito del festival di Sanremo, chi ti sarebbe piaciuto produrre tra gli artisti che si sono esibiti sul palco del teatro Ariston?

Colapesce e Di Martino mi piacciono, hanno anche realizzato parti da noi. Bugo, invece, mi sarebbe piaciuto produrlo perché il brano era molto interessante. Anche Fulminacci penso che sia molto bravo e ritengo che sarà un artista che rimarrà. Mi piacerebbe molto lavorare con Ermal Meta, anche se si tratta di un artista molto strutturato, ma proprio per questo potrebbe rappresentare una sfida interessante. Tra i giovani ho apprezzato molto Folcast perché tecnicamente e vocalmente è solido e io mi aspetto innanzitutto che un cantante sappia cantare e lui sa fare. Ho notato però che quest’anno a Sanremo c’erano progetti che non avevano il “minimo sindacale” per essere artisticamente presentabili al pubblico.

Come avete strutturato la distribuzione dei vostri artisti?

Fino a poco tempo fa lavoravamo con diversi distributori tra i quali Believe, Artist First e altri. Da poco abbiamo iniziato a lavorare con The Orchard e ritengo che tra breve dirotteremo su di loro tutto il nostro catalogo. Il ruolo del distributore, nel mercato governato dallo streaming, è cambiato. Riesce ad agire molto nella fase precedente all’uscita ma appena il brano è affidato ai grandi player il suo spazio d’intervento si riduce.

Piuma Dischi Jurijgami opening Calcutta
Jurijgami opening Calcutta

Nei confronti di Spotify o Apple Music penso che oggi tutta la musica venga trasformata in un prodotto. Un po’ di tempo fa accanto alla musica più commerciale si trovava Lucio Dalla, musica di spessore, il cantautorato mentre oggi tutto diventa un prodotto equivalente. Questo sta distruggendo il mercato anche per l’eccesso di brani che sono convogliati su questi store, brani che in altri momenti non sarebbero mai stati pubblicati.

Preferite lavorare sui singoli o su progetti più articolati, album o EP ad esempio?

Se all’inizio abbiamo preferito la produzione di singoli, oggi nel caso di artisti emergenti preferiamo lavorare su prodotti più organici, su progetti musicali che siano almeno un EP. La scelta di produrre soprattutto singoli, ha avuto anche un impatto negativo sulla scrittura del testo dei brani che si basa su singole immagini e non più su una narrazione organica che si sviluppa in un album.

Punte di diamante del tuo attuale roster?

Cara Calma, una band di Brescia prodotta artisticamente da Divi de I Ministri, poi ci sono i Malvax, c’è l’uscita del nuovo lavoro di Jurijgami. Non posso però spoilerare perché in questo momento ci sono un po’ di accordi in fase di chiusura di cui daremo annuncio prossimamente.

Com’è andato quest’anno vittima della pandemia?

Nel suo complesso penso che quest’anno abbia rappresentato una svolta. Inutile dire che, dal punto di vista commerciale, è stato sicuramente un mezzo disastro. Smontare, però, tutto il comparto della musica ha voluto anche dire generare una riorganizzazione a causa di un azzeramento delle certezze individuali che ha costretto tutti a reinventarsi. Oggi la nostra squadra è più strutturata e più forte, anche se per adesso lavoriamo ancora sullo streaming siamo pronti per i live appena sarà possibile.

Piuma Dischi Malvax
Malvax

Com’è possibile per un esordiente farvi ascoltare la sua musica?

È molto semplice. Nel nostro sito c’è un indirizzo mail cui è possibile inviare il materiale rintracciabile all’indirizzo https://www.cellolabel.com/contacts. Ascoltiamo tutto e rispondiamo sempre a tutti, dicendo la nostra su quanto abbiamo ascoltato.

Articolo a cura di Roberto Greco 

Il teatro con la musica e il canto sono la mia vita.

Musica a Teatro: Raul Iaiza
Raul Iaiza- prima dello spettacolo AleVilla

Si muove tra Còrdoba, Buenos Aires, Bologna, Milano, Siena.

Se gli si chiede di parlare di sé e della sua attività, divide tutto in tre periodi a cominciare dai:

Segnali fortunati…

Ho avuto collaborazioni varie come musicista, suonatore, in spettacoli. Tracce di approccio teatrale sin dall’infanzia, col mio tutor musicale (e quasi padre essendo io abbandonato). Poi, da musicista e già in Italia: Iris Faigle/Bologna, Donatella Massimilla/Frida Khalo, da prof di musica alla Steineriana a Tutor per la messa in scena di un Pirandello come tesina di fine liceo di una mia classe, una successiva messa in scena di un progetto Beckett come tesina sempre dell’ultima classe del liceo, che mi regala un incontro con David Warrilow che era al Piccolo (spettacolo di Pinget), all’incontro con Maia Cornacchia, madre di allievi alla Steineriana, quindi a conoscere Danio Manfredini in situazioni fuori ambiente…

Poi le Prime cantonate… (le difficoltà incontrate all’inizio)

Tra canto e canto tradizionale applicato alle esercitazioni vocali degli attori; regia vera in apprendistato con Eugenio Barba e i miei modi di pensare; processi profondi nel riconsiderare problemi musicali lavorando con non musicisti… In due parole: i vasi comunicanti tra teatro e musica ci sono, ma sono profondi, non analogici.

E quindi si arriva alla unione di Musica e Teatro, 27 anni dopo…

Il Don Giovanni dell’Odin Teatret. E l’allenamento con Torgeir Wethal, quindi il progetto polacco. Programma di ricerca sui Laudesi, con Grotowski Institute. Fino a Ave, Eva. E la ricerca che riprende.

Le tre regie con Pange Lingua: Totentanz/Distler, Choral Passion/Distler, Eihka/Lamentazioni di Geremia… Le tre regie di Saluzzo: Caffè Bach Goldoni (MOF 2018), San Ignazio/Zipoli e Villamediana/La Chimera (MOF 2019), il Trittico del Ritorno del Marchese (MOF Virtual 2020).

L’inizio delle sessioni di alienamento scenico per i musicisti, sempre nel MOF di Saluzzo essenzialmente. E tutto per ritrovarmi con Sabina Colonna Preti, Eguez/La Chimera, e Caffé Zimmermann e Mafredo Kraemer…

Ora, coi tre melologhi con Piumini/Marenco: Rosso Bianco Armonico, Alzati Martin e La Poesia Vola (Festival della Letteratura di Mantova, Trame Sonore…). E i nuovi progetti in corso d’opera.

Raul Iaiza adesso ho un rapporto felice con la musica
Raul Iaiza Open Session – corpo e voce, M. Zakrzewski (Foto concesse da Raul Iaiza)

Ripartiamo approfondendo…che rapporto hai con la musica?

Adesso ho un rapporto felice con la musica, soprattutto grazie a mia figlia, da quando sono papà. Ho avuto la fortuna che mia figlia ha fatto una scelta musicale, senza pressione da parte mia, è arpista e mi accorgo di tutto quello che mi restituisce.

Le facevo ascoltare musica fin da quando era piccola. Il secondo concerto brandeburghese di Bach, o il quarto…quella era una “musica di luce” che ascoltava volentieri. Anche sul lavoro sono stato fortunato perché già con l’Odin abitavamo in teatro per cui per lei il teatro è casa, e in questa casa la musica c’era sempre.

Anni fa feci un lavoro sul Laudario di Cortona, e anche quando l’ha riascoltato anni dopo lo riconosceva, faceva parte del suo patrimonio. Quando faccio le prove, anche ora che lavoro con Roberto Piumini, e si prova in casa mia, lei è presente, in ascolto.

Stai lavorando con Roberto Piumini, quindi

Si, e il lavoro con Piumini si collega bene al mio all’Odin. Torno a quello. Ricordo un giorno quando Eugenio Barba mi dice che deve fare un lavoro sul Don Giovanni, e mi coinvolge, dicendomi “tu mi sei utile perché sei anfibio” cioè intendeva che io ero lì sia come musicista che come collaboratore, primo spettatore soprattutto.

Venendo dal teatro fisico mi trovo improvvisamente nel teatro di parola ma contaminato dal mio essere musicista. I primi anni avevo delle difficoltà, dovevo liberarmi dalla “struttura” che avevo in quanto musicista. Ci sono dei vasi comunicanti, certo, ma non sono quello che sembrano.

Venendo da una musica molto impostata, strutturata, un certo accorgimento scenico lo si curava anche in Conservatorio, per cui quando sono entrato in teatro sentivo di avere una marcia in più. Agli inizi si fa un progetto Beckett e mi capita che David Warlow fa Pinget al Piccolo. Era l’attore per cui Beckett aveva scritto dei pezzi. Quindi figurati, mi sentivo fortunatissimo.

Andai da lui dietro le quinte e mi presentai dicendo che stavo facendo teatro in maniera sperimentale e lui mi disse “beh Dante è musica Shakespeare è musica per cui lei è a posto”. Fui colpito. Invece poi mi resi conto, quando ho iniziato il lavoro professionale, che le cose non erano così semplici.

Musica a Teatro: Raul Iaiza

Ed ecco le cantonate prese. Due cantonate grosse, la prima col canto. Per una serie di combinazioni lavoro con due attrici cubane, loro hanno familiarità col canto di santeria e io mi incuriosisco molto. Il gruppo viene invitato a Pontedera per cui incomincio a lavorare, sento il loro canto e io automaticamente vedo la partitura.

E la trascrivo. Loro mi dicono “sì la melodia c’è ma il canto no”. E io non capisco. C’era una differenza. E non la sentivo. Ci ho messo una vita a capire che il modo che avevo di ascoltare era il mio modo di pensare, non era esattamente quello che facevano loro.

Musica a Teatro: Raul Iaiza

Raul Iaiza
Raul Iaiza Open Session, 8. M. Zakrzewski (Foto concesse da Raul Iaiza)

Per il cantante il rapporto timbrico della sillaba nella risonanza del corpo fa sì che quella parte del canto suona più bassa rispetto a un’altra, sta facendo il gesto unito al canto per come lo sente nel corpo…non nel suono.

Pensare da musicista è una fregatura, un po’. Quella risonanza nella voce particolare non la so catturare. È una cosa più profonda. Seconda cantonata, che mi aiuta a crescere. Le mie prime prove con Barba. Sono nel salone dell’Odin, e per il primo mese e mezzo sono un tutto fare, più che altro.

Siccome c’erano delle improvvisazioni anche musicali su strumento io mi annotavo alcune cose che avvenivano. A un certo punto Barba mi chiede cosa ho visto e io dico: “hanno fatto questo, hanno suonato questo”.

E lui resta molto colpito. Poi mi fa: “Raoul, che associazioni hai avuto in base a quel che hai visto?” Non me lo dimenticherò mai. Non avevo avuto nessuna associazione, non ci pensavo… Non pensavo a quel modo. Ho dovuto ristrutturarmi.

E quindi che succede con Piumini?

Lavoro con lui sulla prosodia pratica, sul fraseggio, su come articolare la narrazione che mi fa dal punto di vista sonoro, la musica del verso, io gli faccio da primo spettatore, sono anfibio….come con Barba, e vado sulla suggestione di quello che ho visto e sentito; il fisarmonicista ed eclettico compositore Nadio Marenco che collabora spesso con Moni Ovadia è lì, in attesa, e quindi io mi volto verso di lui e gli chiedo, chessò, in base a quello che ho visualizzato, di farmi un ritmo di sarabanda o altro.

Per cui posso parlare con il musicista da tecnico, con lo scrittore o attore da tecnico, ognuno nel suo campo. Ora siamo partiti con un progetto nuovo che si chiama L’alto giardino, un poema nuovo composto da Roberto, per cui lavoro con lui sulla drammaturgia, sul testo…quante voci potrebbe avere, se ci sta meglio un attore o un’attrice, come lo dividiamo, e poi dò indicazioni al musicista su dove entrare e intervenire…al secondo verso o al quarto eccetera o su quella parola precisa.

Adesso insegni al Filodrammatici

Si, allenamento sul corpo, però continuo a lavorare su progetti che uniscono teatro e musica, molto repertorio liturgico medioevale, e riprendo messe in scena anche con coro, magari cercando le location giuste.

Il canto precede la musica quindi ha un veicolo diretto che precede la musica. È infinitamente più ricco. Il canto è molto più vicino al teatro che alla musica.

Se penso che all’inizio di tutto il teatro proprio non mi piaceva…la vita mi ha portato invece proprio lì. E ne sono felice. Il teatro con la musica e il canto sono la mia vita.

Articolo a cura di Sergio Scorzillo 

La musica fa parte sia del mio background artistico che della mia vita

Note di Regia: Francesco Prosatore
Francesco Prosatore: Il mio rapporto con la musica è iniziato durante gli anni in cui frequentavo il liceo

Regista televisivo con una spiccata passione per la batteria, Francesco Prosatore racconta la sua professione e il suo rapporto con la musica in questa intervista. Personalità ecclettica, intraprendente, inizia la sua professione negli ambienti romani nel 2000 collaborando con Rai Utile, uno dei primi canali del digitale terrestre in Italia.

Da allora si specializza in regia di studio (Pugni In Tasca, Mtv), e dirige alcuni commercials, virali, live musicali (Nat Geo Music). Ha collaborato con Rai Uno come regista e supervisore dei servizi per “L’Arena” (condotto da Massimo Giletti) e per “La Vita in Diretta”.

Come e quando è iniziato il tuo rapporto con la musica?

Il mio rapporto con la musica è iniziato durante gli anni in cui frequentavo il liceo. Suonavo, e ancora suono, la batteria in una band chiamata “Nasa” con cui ho inciso album e fatto svariate tournèe.  La musica quindi fa parte sia del mio background artistico che della mia vita. La mattina quando mi sveglio la prima cosa che faccio è accendere la musica.

Sei tu ad aver scelto la musica o la musica ha scelto te?

Ricordo perfettamente che quando andavo a casa di mio zio, durante la mia infanzia, lui spesso improvvisava dei concertini con la sua batteria. Ogni volta che assistevo ai suoi attacchi d’arte improvvisati rimanevo affascinato.

Durante l’adolescenza ho iniziato a prendere lezioni di batteria. Dopo un paio di lezioni mi hanno segnalato ad una band e preso dal panico iniziai ad allenarmi a suonare sulle pentole e attrezzi vari perché ancora non avevo uno strumento mio. Credo di poter dire che lei mi ha scelto e io l’ho seguita.

Francesco Prosatore Pugni in tasca
Ho sempre sentito come una mia creatura “Pugni in tasca” per il canale MTV

Ci spieghi il tuo rapporto con la musica da un punto di vista professionale?

Professionalmente io prima di scegliere le immagini scelgo la musica. Credo che la cosa migliore da fare sia il montaggio su musica. Quando lo spartito è quello giusto è possibile anche inquadrare il nulla ed emozionare. La colonna sonora è importantissima.

Ci racconti in poche parole la tua professione?

Nel caso di una trasmissione televisiva la prima cosa da fare è creare uno studio confacente alle necessità in collaborazione con lo scenografo. Naturalmente è importante decidere dove posizionare le telecamere, quale taglio dare alle luci etc. etc..

Il regista è non solo la figura che coordina tutte le azioni, ma rende anche possibile la messa in onda delle trasmissioni decidendone il ritmo. Il risultato finale si basa molto anche sul rapporto che il director instaura con gli operatori, se c’è una certa fiducia o un rapporto consolidato naturalmente si otterrà un prodotto migliore.

Note di Regia: Francesco Prosatore

Il continuo confronto tra i vari professionisti, durante la diretta o il montaggio, crea un gioco di inquadrature che ottimizzano tutto il lavoro.  Un regista televisivo partecipa alla diretta in due fasi: la prima fase, quella della preparazione, e la seconda cioè quella della messa in onda in cui sono fondamentali le indicazioni del director.

Per quanto riguarda invece le trasmissioni registrate il mio ruolo diventa importante nel backstage, durante le riprese e nel post produzione, cioè nella fase del montaggio.

Francesco Prosatore Rai Utile
Inizia la sua professione nel 2000 collaborando con Rai Utile, uno dei primi canali del digitale terrestre in Italia.

Tra tutti i programmi che hai confezione quale ricordi con maggiore soddisfazione?

Sicuramente la mia mente va ad un programma che creai anni fa per il canale MTV dal titolo “Pugni in tasca” che ho sempre sentito come una mia creatura. Se penso invece alla mia esperienza in Rai le trasmissioni che mi appassionano sono i product placement che ho girato nell’ultimo anno.

Sono stati utilizzati sia durante il Festival di San Remo, che al Festival di Venezia, quindi lavorare per Rai pubblicità mi ha permesso di essere più creativo e utilizzare nuove tecnologie. Il mio sogno nel cassetto invece è assumere la regia del Festival di Sanremo!

Articolo a cura di Veronica Ruggero 

Radio Selfie, un laboratorio di idee

“Siamo l’esercito del Selfie, di chi si abbronza con l’Iphone. E non abbiamo più contatti, soltanto like ad un altro post” intonava una famosa hit estiva del 2017. Eppure ahimè sono a contraddire Takagi e Ketra  perché il vero esercito del Selfie fa capo a Radio Selfie che ha arruolato al suo interno speaker di tutta Italia.

Noi questo martedì andiamo a conoscere meglio Radio Selfie grazie al suo Direttore Salvatore Ricci.

On Air 361: Salvatore Ricci di Radio Selfie
Salvatore Ricci in esterna con Radio Selfie

Salvatore, grazie per aver accettato l’intervista. Radio Selfie, perché proprio Selfie?
Perché ognuno fa il programma da sè e quindi è una radio che si fa da sola.

Voi siete una Radio FM o una WEB Radio? Dove si trova la vostra sede?
Lorenzo noi siamo una Web Radio e non abbiamo una sede unica. I nostri speaker sono autonomi.

Spiegami meglio, in che senso autonomi?
Certo. Radio Selfie nasce da una mia idea e dalla voglia di unire gli speaker d’Italia. Per autonomi intendo che ognuno degli speaker trasmette dalla propria stanzetta, dal proprio studio o da varie radio locali che li ospitano.

Radio Selfie Web radio
Radio Selfie – logo

Quindi mi stai dicendo che Radio Selfie viene curata in tutta Italia?
Si, dal Piemonte alla Sicilia.

Ma quanti speaker ci sono a Radio Selfie?
Siamo circa 22 speaker tutti appassionati di musica e con una grande passione ed impegno per la radio. Pensa che siamo al nostro ottavo anno e siamo partiti, nel 2014, in 4.

Quante e quali trasmissioni ci sono su Radio Selfie?
Ci sono quasi una ventina di trasmissioni, in genere 2 la mattina e 4 durante il pomeriggio/sera. Si spazia da programmi sul Cinema, sui Libri, sulla Cultura, sullo Spettacolo e sugli Artisti Emergenti.

Quindi date più spazio alla musica di Artisti Emergenti?
No. O meglio, diamo spazio anche alla musica degli emergenti. Non ci piace prediligere un unico genere musicale.

Non avendo una sede Radio, che tipo di interviste fate agli ospiti e chi avete ospitato?
Le nostre interviste sono telefoniche. Abbiamo intervistato Mamhood, Emma, Arisa e anche Ezio Bosso. Però abbiamo fatto tante esterne prima delle restrizioni.

Interviste a Radio Selfie da Salvatore Ricci
Salvatore Ricci: interviste per Radio Selfie

Raccontaci pure Salvatore.

Abbiamo portato Radio Selfie a molte manifestazioni. Siamo stati al Festival di Sanremo, alla Mostra del Cinema di Roma, all’Eurovision e al Web Radio Festival.

Davvero Complimenti. Possiamo dire ai nostri lettori come possono ascoltare Radio Selfie?
Radio Selfie si può ascoltare in tutto il mondo, basta scaricare la APP Radio Selfie ma puoi ascoltarci anche su DAB.

Momento MARKETTA, perché dovremmo ascoltare Radio Selfie?
Perché è una Radio senza pregiudizi, è una factory di idee pronta a raccogliere le idee altrui.

Grazie a Salvatore Ricci per aver aggiunto un tassello in più alla mia conoscenza delle Radio. Chissà se alla fine di questo Tour diventerò un GURU delle Radio. Mah! Intanto rimetto le cuffie e continuo ad ascoltare Radio Selfie. A martedi.

Articolo a cura di Lorenzo Amatulli 

Fatti Sentire Festival è un contest musicale nato e  pensato per promuovere la musica emergente Italiana.

Non solo talent: Fatti Sentire Festival
Fatti Sentire Festival I brani presentati non dovranno essere “cover”

Giunto alla sua terza edizione, il Fatti Sentire Festival è un contest musicale nato e  pensato per promuovere la musica emergente Italiana.

Il concorso è rivolto a tutti gli artisti in qualsiasi formazione: solista, duo o gruppo musicale, che abbiano almeno due brani originali (non cover) e con età compresa tra i 16 e i 35 anni.

È organizzato e realizzato da Rusty Records  in collaborazione con Milleunoeventi.

Fatti Sentire Festival

Il contest ha come fine la presentazione e la relativa promozione al pubblico e agli addetti ai lavori delle tendenze in atto nell’ambito della canzone popolare e d’autore, senza preclusioni relative ai generi musicali, attraverso la selezione di canzoni e dei rispettivi autori, compositori e interpreti.

Al momento dell’iscrizione è possibile presentare due canzoni che potranno essere già pubblicate, cioè rese pubbliche in qualunque forma, purché non in data anteriore all’anno 2019 oppure inedite.

Fatti sentire Festival 3a edizione
Fatti Sentire Festival Cinisello Balsamo 2019

I brani presentati non dovranno essere “cover” e a pena d’inammissibilità o di esclusione, dovranno essere in lingua italiana e/o in dialetto; avere una durata di esecuzione non superiore a quattro minuti e trenta secondi; non contenere elementi che violino la legge e/o i diritti di terzi oltre a non contenere messaggi pubblicitari a favore di persone, marchi, prodotti o servizi.

Una commissione artistica composta di professionisti del settore, selezionerà, attraverso gli ascolti e le semifinali i finalisti che si esibiranno completamente dal vivo insieme a grandi nomi del panorama musicale.

Al vincitore un premio del valore di € 3.000 e molti altri premi in palio.

Fatti Sentire Festival

La situazione attuale dovuta alle restrizioni per gli eventi dal vivo messe in atto a causa della Pandemia, ha costretto gli organizzatori a fare una scelta drastica, rinviando all’edizione 2021 la premiazione del contest edizione 2020.

Proprio per questo il vincitore dell’edizione 2020 sarà annunciato durante una doppia serata live in P.zza Gramsci a Cinisello Balsamo dove si proclameranno sia il vincitore dell’edizione 2020, nella prima serata, sia il vincitore dell’edizione 2021 nella seconda serata.

Per ogni informazione e per le audizioni del 2021 è possibile consultare il sito del contest all’indirizzo https://www.fatti-sentire.it/

Articolo a cura di Roberto Greco

Con Stefano Bidini attraverso zone desertiche e spazi aperti, verso l’interiorità che è e rimane, la vera destinazione…

“Il bisogno di uscire di andare a cercare emozioni in paesi lontani per poi riscoprire quanto di bello c’era anche qui: come spesso succede, ci si deve allontanare per vedere la bellezza”.

Vedere la musica: Stefano Bidini
Amo i paesaggi desertici, le zone libere e vuote di qualunque contenuto (Foto © Stefano Bidini)

Stefano Bidini, fiorentino di nascita e milanese per adozione, è passato dalla nazionale di nuoto alla fotografia con la stessa determinazione e volontà. Per partire in viaggio con lui, sono necessarie scarpe comode, spirito d’avventura e voglia di mettersi in gioco. Stefano oggi ha, ormai da vent’anni, un importante studio a Milano e un ufficio a Firenze, tanti collaboratori, ma sorprende come sia rimasta intatta – oltre la cadenza fiorentina- la determinazione e la voglia di fare che aveva agli esordi. Stefano, non vuole esser chiamato artista ma artigiano della fotografia, perché gli piace fare, metterci mano. Definisce il suo, un lavoro avventuroso e ama definirsi fotografo d’azione, dove il movimento e la naturalezza, sono protagonisti.

 “Sono felice se lavoro, perché è per me, linfa vitale. Non faccio nessuna fatica ad alzarmi alle 4 per andare a lavorare, sono momenti impagabili di pura gioia”.

Qual è il segreto del tuo successo?

La mia famiglia è semplice e umile e mio papà che ha novantadue anni, ha fatto l’operaio tutta la vita, ritenendola la sua missione. Da lui ho imparato la dedizione, l’impegno e il valore della fatica. Da ragazzino ho fatto nuoto agonistico entrando a far parte della nazionale di nuoto nei 1500. Abitavo in periferia e per andare agli allenamenti partivo in motorino, col freddo, la pioggia.

Una volta sul ghiaccio ho preso una botta tremenda, ma non mi sono mai fermato. Erano gare faticose, dove si vince con la determinazione, l’impegno, la resistenza e la volontà. Quest’allenamento è alla base della mia professione e mi ha aiutato a perseguire i miei obiettivi.

Il mio lavoro è felicità e divertimento e non solo soldi: mi sveglio alle quattro del mattino, senza sentirne la fatica per la gioia di andare al lavoro, a fare il mio mestiere.

Quando hai capito che la fotografia sarebbe diventata il tuo mestiere?

Dopo il liceo scientifico, ho fatto ISIA a Roma, l’unica scuola statale di Design in Italia per la formazione, ricerca e progettazione. Questa scuola è stata molto importante, ho avuto insegnanti di grande rilievo, grazie ai quali ho imparato non solo la progettazione ma, soprattutto, l’approccio filosofico e mentale al progetto.

Lì ho cominciato a studiare fotografia e probabilmente è questo il mio vero “alfa” anche se ancora inconsapevole di quello che sarebbe diventato il mio mestiere.  Uscito dalla scuola, prima ho nuotato, poi ho fatto il fotografo.

Stefano Bidini Uscito dalla scuola, prima ho nuotato, poi ho fatto il fotografo.
Un equilibrio perfetto tra il mio “occhio” e quello che è l’obiettivo (Foto © Stefano Bidini)

Mi racconti i tuoi esordi?

Non ho mai avuto velleità artistiche, ma mi sono impegnato a fare sempre del mio meglio, come mio padre mi ha insegnato. Ho lasciato il posto fisso nell’azienda dove lavoravo e con l’assegno della liquidazione in mano, sono entrato in un negozio, dove ho comprato una macchina fotografica. Mia mamma ha impiegato una ventina d’anni per capire che lavoro facessi, quando ha visto che non solo ero felice, ma avevo anche una risposta economica finalmente, ha compreso.

I primi anni sono stati avventurosi. Non a caso metà dei fotografi che ho conosciuto erano “ricchi di famiglia”, io sono partito proprio da zero con solo la mia passione, senza appoggi o conoscenze che potessero agevolarmi. Ho imparato a galleggiare, a farcela, grazie agli insegnamenti della mia famiglia volendo costruire e avere certezze.

Ho allestito il primo studio in un piccolo appartamento abbandonato e ho cominciato a fare le cose più ovvie, come i book alle modelle, vivendo in famiglia perché non potevo permettermi altro e non appena avevo due soldi, investivo in apparecchiature per il mio lavoro.

Poi un passo dopo l’altro e tanto impegno, ho aperto un bellissimo studio a Firenze come non ce n’erano ancora in quel momento. In seguito ho comprato lo studio di Milano, perché volendo fotografare la moda, era la scelta più ovvia da farsi.

Ogni fotografo firma in modo inequivocabile, come un pittore, le sue opere. Queste ci parlano del suo autore, della sua sensibilità, la stessa che lo spinge a sottolineare e a mostrarci il suo punto di vista. Che fotografo sei, come ti definisci?

Un fotografo di azione, perché a me piace molto lavorare soprattutto in esterno. Sono alla ricerca del reality e mi piace la naturalezza del movimento e l’azione. Lavoro fino a che mi rendo conto che anche il modello si libera dagli schemi ed esprime il meglio di sé. Il mio obiettivo è di realizzare il bene dell’azienda per la quale ho scelto in quel momento di lavorare e la riuscita per me equivale ad una gara vinta.

I primi anni sono stati avventurosi
L’espressività in questi luoghi che obbligano a una riflessione interiore (Foto © Stefano Bidini)

Una galleria fotografica ci permette di entrare in confidenza con la sensibilità del fotografo. Le sue immagini parlano inequivocabilmente, dell’uomo o della donna che sta dietro l’obiettivo. Equivale a intraprendere un viaggio. Con te, quale sarebbe la meta?

Un viaggio alla ricerca di quelle cose che piacciono a me: un equilibrio perfetto tra il mio “occhio” e quello che è l’obiettivo. Amo i paesaggi desertici, le zone libere e vuote di qualunque contenuto. Viaggi verso l’interiorità, una destinazione che amo profondamente.

Ho avuto la fortuna di lavorare dappertutto, nelle località più disparate ma i deserti sono quelli che mi affascinano di più. Il soggetto è più isolato, il modello, la modella, libera l’espressività in questi luoghi che obbligano a una riflessione interiore. È lì che intraprendiamo il vero viaggio…

In questo ideale viaggio, quali sono i ricordi, le tappe più significative?

Ho avuto la fortuna di avere come mentore Carlo, uno dei primi che ha creduto in me, con il quale ho lavorato nel mio inizio un po’ garibaldino. Nel mio girovagare tentando di piazzare le mie fotografie, sono capitato nel suo studio.

Dopo un po’, insieme, abbiamo deciso di andare in America dove finimmo a Phoenix, tra cactus e saguari, a lavorare per un’azienda che faceva fondine per  Winchester con me che inseguivo il mito dei cowboy e i western e Carlo che voleva vedere il paese del padre che non aveva mai conosciuto.

Quella mia prima volta in America, ha significato molto potendo girovagare dai deserti della California, a Miami con spirito di avventura e stupore … Un’altra tappa, davvero importante, in questi miei primi dieci anni, è stata l’Islanda, dove la forza e la prepotenza della natura mi hanno stregato. In seguito il deserto africano, il Marocco, l’Asia, la Cambogia, la Thailandia e molti altri meravigliosi paesi…

Stefano Bidini fiorentino di nascita e milanese per adozione
Il bisogno di uscire di andare a cercare emozioni in paesi lontani (Foto © Stefano Bidini)

Stefano, se ti mettono davanti all’obiettivo?

È una cosa difficile che non si risolve. Stare davanti alla macchina, che è un occhio al quale non si può nascondere niente, non è facile. Mi piacerebbe essere naturale ma non mi riesce proprio! Questa è la spiegazione di come ci siano persone davvero brave e che l’essere fotografati non sia cosa da tutti.

La musica che ruolo ha nei tuoi servizi fotografici?

Per il risultato delle mie fotografie il soggetto deve essere nella sua situazione migliore e per questo chiedo se vuole sentire musica e quale. Se devo scegliere io, ultimamente ascolto i Red Hot Chili Peppers, per un sound un po’ funky e un po’ rock che mi dà il giusto ritmo. In ogni caso la musica non manca mai in ogni produzione, anche nelle pause e durante il pranzo: è fondamentale e scandisce le giornate di lavoro accompagnandoci in ogni viaggio.

Articolo a cura di Paola Ferro 

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