Dalla parte della musica, proponiamo nuova musica di qualità tramite un’attenta selezione di artisti

Etichette discografiche indipendenti: Vrec Music Label

Logo Vrec Music LabelVrec, nel loro sito c’è scritto: Proponiamo nuova musica di qualità tramite un’attenta selezione di artisti. Cantautori rock/intimisti band rock / blues e derivati. Difficilmente troverete i nostri brani nelle grosse radio.

Siamo perennemente fuorimoda ma sempre attuali. Maledettamente anni 90, quasi evergreen. Ogni tanto sperimentiamo musica fuori dal coro. Perché i generi sono fatti per essere contaminati.

Ne abbiamo parlato con David Bonato, founder dell’etichetta.

Quando nasce Vrec?

L’idea, in fondo, l’ho sempre avuta. Nel 2005 avevo aperto un’agenzia di comunicazione e portavo gli artisti presso diverse etichette. Mi sono reso conto che la filiera si stava assottigliando, ricordiamo l’uscita di Napster che è stato il capostipite del consumo digitale della musica, e che per mettere in essere una strategia che mettesse in profonda relazione sia la parte discografica sia quella promozionale avevo bisogno di aprire un’etichetta mia, che mi permettesse di avere un controllo globale del prodotto e soprattutto un lavoro coordinato. Era il 2008.

Da dove deriva il nome?

Vrec nasce citando la targa automobilistica di Verona perché il mio obiettivo iniziale era quello di occuparmi di artisti veronesi o di territori limitrofi. Nel tempo iniziai a ricevere proposte da tutta Italia e l’etichetta ha cominciato a crescere.

Oggi l’attività dell’etichette è preponderante e mi occupo di progetti che seguo sia per la parte discografica sia per quella della distribuzione sia per quella della promozione.

Che tipo di servizio offrite ai vostri artisti?

Nel caso degli artisti emergenti è necessario un lavoro lungo e costante. Oggi sotto il marchio Vrec ci sono diversi professionisti che si occupano non solo delle attività dell’etichetta ma anche in quella che riguardano il booking e i passaggi radiofonici.

Gli artisti devono poter suonare e la loro diffusione live è fondamentale, anche se questo è il momento peggiore per parlare di musica dal vivo.

Qual è la cifra stilistica di Vrec?

Al di là del genere, la nostra mission è produrre musica di qualità e la nostra finalità è quella di ridare dignità alla musica, dal punto di vista artistico, compositivo e produttivo.

A noi è affidata la prima selezione del materiale che arriva e abbiamo la responsabilità di ascoltare tutto con grande attenzione e, soprattutto, restituire sempre un feedback agli artisti che si propongono.

Etichette discografiche indipendenti: Vrec Music Label

David Bonato Vrec Music Label
David Bonato Vrec Music Label premio Mei miglior etichetta 2016

Quanti artisti avete in questo momento nel vostro roster?

Oggi Vrec ha circa un’uscita/mese, ossia una quindicina di nuovi prodotti all’anno. Ai nostri artisti è chiesta anche un’apertura collaborativa nei confronti dei loro colleghi che fanno parte del nostro roster con partecipazioni trasversali, sia alla registrazione dell’album sia nelle esibizioni dal vivo.

Ovviamente sempre cercando di non deformare le scelte artistiche di ognuno di loro. Il mercato discografico sta orientandosi verso un nuovo concetto di artigianalità e non è un caso che Vrec abbia deciso, da qualche anno, di stampare anche su vinile gli album dei nostri artisti.

Preferite lavorare su materiale grezzo o materiale strutturato?

Parto dalla considerazione che non sono un musicista e quindi una serie di sfumature non riesco a coglierle. Questo mi porta a preferire brani già strutturati.

È chiaro che alcuni brani grezzi, che fanno capire comunque una forte potenzialità, non vanno scartati e li affido alla squadra di produttori che lavora con noi.

Strutturati ma non finiti, ovviamente, perché devono essere comunque aperti al lavoro dei nostri produttori artistici anche per quanto riguarda le possibili featuring.

I videoclip?

Oggi ogni singolo deve essere supportato da un videoclip foss’anche solo un “lyrics” perché la diffusione sui player digitali deve tenere conto di Youtube per il quale i video sono fondamentali.

Nel caso di Vrec, per la produzione di video più complessi e organici abbiamo fatto una scelta che è quella di appoggiarci a Carlo Tombola, docente dell’Accademia di Belle Arti di Milano e che insegna anche a Venezia.

A lui e alla sua squadra è affidata la realizzazione dei videoclip che possono contare sia sulla sua grande professionalità ed esperienza ma anche sulle energie fresche e incontaminate della sua equipe composta prevalentemente da suoi allievi.

Come hai organizzato la distribuzione dei vostri prodotti?

Da sempre siamo distribuiti da “Audioglobe”, un grosso distributore nazionale ma non solo. Ci occupiamo di e-commerce attraverso Amazon, Ibs.it, laFeltrinelli e direttamente attraverso il nostro sito.

Oggi, a causa della pandemia, non si vendono più i dischi nei concerti e il nostro store è stato potenziato grazie ad alcune strategie. Mi spiego meglio. Nel nostro store il disco è disponibile in anteprima rispetto al resto della distribuzione e ci sono alcune esclusive per il nostro pubblico come ad esempio la possibilità di acquistare i vinili autografati dagli artisti.

David, ma tu stai parlando di album, non di singoli.

Sì, noi ci occupiamo di album, di progetti completi e riteniamo il supporto fisico fondamentale per la diffusione e la dignità della musica. Quindi sicuramente il CD e, in alcuni casi, anche il vinile. Le nostre ultime produzioni, in questo momento, sono per il 50% vendute su CD e 50% su vinile.

Cosa ci fa ascoltare Vrec in questo momento?

Abbiamo due playlist su Spotify. La prima è “Official Vrec Italian”, per la musica italiana, e “Official Vrec International” per la musica internazionale.

Vrec Music Label
David Bonato la nostra mission è produrre musica di qualità

Dolente nota: la pandemia. Che cosa è cambiato in quest’anno per Vrec?

Non penso che “vedremo la luce” in questo 2021. Devo però dirti che sono abbastanza soddisfatto. Prima della pandemia c’erano centinaia di concerti di artisti “non noti” nei locali ma il mercato era monopolizzato dalle “cover band” e dalle “tribute band”.

La speranza è che si possa andare verso una situazione in cui ci siano meno concerti, magari con meno pubblico, ma soprattutto in cui la musica sia al centro e non il sottofondo del rumore dei bicchieri di birra.

Etichette discografiche indipendenti: Vrec Music Label

Bisognerà ripensare alla fruizione della musica, anche lavorando sui concerti in streaming, fornendo contenuti esclusivi di qualità con un coinvolgimento reale del pubblico. Nel resto del mondo questo è fenomeno che si è sviluppato sin da subito e noi in Italia siamo in leggero ritardo. Vrec ha appena realizzato un festival in streaming che ha coinvolto tutti i nostri artisti.

In questo momento stiamo pensando di realizzare eventi dedicati ai nostri clienti, a quelli che hanno acquistato il vinile, per esempio. Per l’inverno prossimo stiamo progettando l’utilizzo di nuovi spazi, diversi da quelli consueti, riservati a poche persone ma legati all’acquisto del vinile.

Come ti dicevo poco fa, l’obiettivo è dare contenuti esclusivi a un pubblico che diventa, così, esclusivo e potrà dire “Io c’ero!”. Il concetto di socialità è destinato a cambiare per sempre e non possiamo non tenerne conto. È necessario scindere la socialità dell’evento dalla sua artisticità.

Com’è possibile proporti brani?

Nel caso di un singolo, abbiamo implementato una piattaforma che si chiama “Groover”, che è disponibile sul nostro sito https://www.vrec.it/ nella pagina “Contatti”. In questo caso è garantito il feedback.

Nel caso invece di un progetto più strutturato, ossia di un possibile album, la nostra mail è lo strumento cui inviare un wetransfer o il link per l’ascolto.

Forse non “vedremo la luce” in questo 2021, come ha detto David, ma sicuramente abbiamo la possibilità di ascoltare buona musica.

Articolo a cura di Roberto Greco

Mi  piace ascoltare i suoni della natura, anche i più banali, il mare, il vento tra le montagne, i ruscelli, le cicale

Musica a Teatro: Matteo de Mojana
Matteo de Mojana – N.N. Figli di nessuno (Foto © Lorenza Daverio)

Nato a Milano nel 1989, è attore, doppiatore e musicista,

A diciannove anni è segnalato come giovane emergente al Premio Hystrio alla Vocazione, a ventuno si diploma con Luca Ronconi alla scuola del Piccolo Teatro, e a venticinque si laurea in filosofia presso l’Università degli Studi di Milano.

Debutta, ancora allievo, ne Il Mercante di Venezia di W.Shakespeare con la regia di Luca Ronconi, e nel 2011, sempre al Piccolo Teatro di Milano, lavora con Antonio Catalano in Gnam gnam…cibo sensibile.

Dal 2012 ad oggi recita in diverse produzioni del Teatro dell’Elfo (Alice UndergroundFrost/NixonIl vizio dell’arteMr. Puntila e il suo servo MattiL’importanza di chiamarsi Ernesto) diretto da Ferdinando Bruni, Francesco Frongia ed Elio De Capitani.

Nel 2013 è diretto da Laura Pasetti in Macbeth con la compagnia Charioteer Theatre di Edimburgo, nel 2015 recita in N.N. Figli di nessuno con la regia di Renzo Martinelli presso il Teatro i di Milano, e nel 2018/19 lavora con il Teatro Del Carretto di Lucca in Ultimo Chisciotte, diretto da Maria Grazia Cipriani.

Dal 2015 porta in giro per l’Italia il format teatrale Il Menu della Poesia.

Lavora come speaker e doppiatore per film, serie tv, pubblicità, documentari, cartoni animati, programmi televisivi, audioguide, videogiochi.

Parlami per iniziare del tuo rapporto con la musica in generale. Cosa ti piace o non ti piace ascoltare.

Ascolto un po’ di tutto. Da bambino mi hanno “educato” soprattutto alla classica e ai cantautori italiani, De André lo so tutto a memoria, i Queen li ho ascoltati a loop. Ho studiato pianoforte con un maestro patito di Chopin, ma ho smesso di studiare troppo presto, ora al piano sono un mezzo disastro, però ho continuato ad ascoltare tanta classica.

Musica a Teatro: Matteo de Mojana

Oggi gli unici cd che compro sono di cantanti o band indipendenti. Un gruppo che mi ha colpito molto sono i Guappecartò, sono campani ma credo vivano in Francia, fanno una musica gipsy rivisitata, è stato, il loro, l’ultimo concerto che sono andato a sentire prima del lockdown dell’anno scorso.

Sono ignorante sul jazz, ma mi piace anche quello, mi affascina enormemente il mondo dell’improvvisazione. Amy Winehouse mi sembra aver rappresentato una fusione interessante tra il jazz e la musica pop.

Poi in generale a me piace ascoltare i suoni della natura, anche i più banali, il mare, il vento tra le montagne, i ruscelli, le cicale. Ci trovo qualcosa di calmante. Purtroppo a Milano, dove vivo, c’è un grande inquinamento acustico.

Matteo de Mojana
Mr. Puntila e il suo servo Matti – (Foto © Laila Pozzo)

E il tuo rapporto con la musica sul lavoro?

Quando ero allievo al Piccolo, Luca Ronconi ci disse che nella nostra (eventuale) carriera di attori non saremmo quasi mai stati scelti per il nostro (eventuale) talento, ma per le nostre caratteristiche peculiari. Uno perché ha i capelli rossi, un altro perché ha la faccia da terrorista, un altro perché magari parla tante lingue…ecco, la mia chiave d’accesso al teatro è stata la musica: il fatto di saper strimpellare due o tre strumenti, e di cavarmela con gli adattamenti dei testi, mi ha reso un attore appetibile per certe produzioni.

Ho curato gli arrangiamenti e l’esecuzione dal vivo di canzoni in alcuni spettacoli del Teatro dell’Elfo, riprendendo musiche scritte da altri (dai Beatles a Britten, da Regina Spektor a Dessau…) e adattando parti del copione alle canzoni che si volevano inserire. Con alcune compagnie ho fatto solo l’attore, ma anche in quei casi credo che le mie cosiddette skills musicali mi abbiano aiutato a essere preferito ad altri.

Mi capita di usare la musica anche quando lavoro come doppiatore, quando ad esempio ci sono delle canzoni da eseguire. Capita soprattutto con i cartoni animati, e devo dire che mi diverto molto. Spesso si tratta di un compito non facile, perché non riceviamo quasi mai in anticipo il materiale e di conseguenza non abbiamo modo di studiare, bisogna imparare la melodia al momento ed eseguirla quasi subito.

Dal mondo anglosassone arrivano tanti prodotti che vengono distribuiti in Italia, e in cui si sente la grande cultura musicale che c’è in quei paesi. Negli Stati Uniti o in Inghilterra è molto difficile fare l’attore se non sai cantare, ballare o magari suonare uno strumento. In Italia invece abbiamo una tradizione attoriale più strettamente legata alla parola.

Oggi ti sembra trascurata la musica nel teatro soprattutto di prosa?

Come dicevo, se paragoniamo la scena italiana a quella di certi altri paesi non brilliamo certo per le capacità performative dei nostri attori. In Italia tendiamo a dividere gli ambiti in compartimenti stagni.

Se sei un attore non è scontato che ti vengano richieste competenze musicali. Se viceversa sei un cantante (pensiamo all’opera lirica) in teoria dovresti saper stare su un palcoscenico, ci sono corsi di formazione appositi, ma nella pratica si dà molta più importanza alla tecnica musicale che alla presenza fisica o alla recitazione.

Per quel che riguarda invece la musica intesa più come colonna sonora (escludendo, cioè, la performance dal vivo) non so dirti se la trovo trascurata. Piuttosto mi sembra che spesso se ne abusi per riempire dei vuoti. La musica fa subito “atmosfera” ma io credo che in teatro ogni scelta debba essere dettata da una precisa necessità.

Dico questo perché mi sembra che sovente si ricorra a un tipo di musica facilmente riconoscibile, che il pubblico associa automaticamente a un certo tipo di emozione, per guidare lo spettatore proprio dove si vuole che vada. Quante volte abbiamo sentito New Error dei Moderat per raccontare un momento di euforia? Quante volte è risuonata Also sprach Zarathustra per conferire solennità (o per ironizzare su quest’ultima)?

C’è qualcosa di insopportabilmente ammiccante e stucchevole, quando si cerca di commuovere in qualche modo il pubblico. Per me invece è più interessante il contrario: creare uno spiazzamento. Ai tempi di Arancia Meccanica probabilmente per uno spettatore era spiazzante associare Beethoven alla violenza e al sadismo; oggi questo tipo di contrasto è ampiamente sdoganato, quindi le scelte vanno fatte anche in base al contesto storico e alla sensibilità musicale diffusa.

Un regista che io apprezzo molto è Michael Haneke. Nei suoi film la musica è quasi inesistente, eppure il silenzio di certe sue inquadrature ha un suono infinitamente più inquietante di quello che avrebbero se fossero accompagnate da una qualsiasi partitura. Qui parliamo di cinema, ma credo che un discorso analogo valga per il teatro.

Matteo de Mojana
Alice Underground (Foto © Luca Piva)

Che ne pensi della musica usata nei laboratori? Aiuta l’attore o lo distrae?

Io non tengo laboratori, ma quando vi ho partecipato come allievo, la musica è stata usata parecchio. I miei insegnanti in accademia avevano le loro preferenze. Michele Abbondanza, che è stato nostro maestro di teatrodanza, aveva un debole per René Aubry, Maria Consagra invece, che mi ha insegnato movimento per l’attore, era affezionata a Yann Tiersen.  Se distrae l’attore è un bel problema.

Credo che sia diverso il caso di una sede laboratoriale, dove l’attore non è in fase performativa, sta studiando, sta cercando, e in questo caso la musica può essere uno stimolo, un suggerimento, e se poi lo porta su una strada sbagliata penso sia responsabilità sia dell’attore che del conduttore del laboratorio accorgersene e cambiare strategia.

Però ecco, in un laboratorio ci si possono permettere degli errori, anzi, si devono commettere errori, mentre sul palcoscenico il risultato dovrebbe essere consolidato; a meno che non ci si trovi in forme di spettacolo particolari dove si lavora a soggetto, o in interazione col pubblico…insomma, dove il copione non è mai completamente scritto.

E per quanto riguarda il pubblico pensi che lo aiuti o lo distragga? – Ha un’importanza drammaturgica?

Beh, se lo distrae è un bel problema, e mi rifaccio a quanto dicevo prima a proposito di scelte musicali ammiccanti. Non credo neanche che debba aiutarlo. Credo che sia un elemento di drammaturgia come gli altri, deve concorrere a mandare avanti il meccanismo dello spettacolo, esattamente come le scenografie, l’attrezzeria, le luci, gli attori, il testo…

Il teatro si può fare benissimo anche senza musica, come del resto si può fare senza attori. Dunque, se si sceglie di usarla dev’esserci un motivo, nulla può essere lasciato al caso.

C’è un problema di costi che impedisce sia utilizzato un compositore per gli allestimenti?

Le produzioni, ahimè, vanno sempre più al risparmio su tantissime voci, spesso ben oltre quelli che dovrebbero essere i limiti dell’accettabilità. Se non si hanno i mezzi per fare teatro, allora meglio non farlo (piccola provocazione).

Non mi stupirebbe sapere che molti validi compositori non vengono chiamati semplicemente perché costa meno inserire musica di repertorio; d’altra parte mi viene da pensare che se un regista è indeciso se affidare le musiche del suo spettacolo a un compositore o a Spotify, forse allora dovrebbe eliminarle del tutto. Credo che se un giorno ne avessi necessità non muoverei un dito senza aver trovato il compositore adatto.

Prossimi lavori in cui utilizzerai musica?

In questo periodo stiamo allestendo un testo di cui sono autore. Dirigo il lavoro da fuori, non mi sono voluto inserire nel cast. Utilizziamo parecchia musica, ma non eseguita dal vivo. Una scena è interamente basata sull’ascolto di musica ad alto volume, e in questo caso si tratta di musica classica, perché il personaggio in questione è un appassionato d’opera. In altri momenti usiamo dei suoni che ho realizzato io con il sintetizzatore, mi sono divertito a usare una Roland Juno che ho comprato qualche anno fa.

Altro che ti viene in mente a proposito?

Quando penso al mio rapporto con la musica mi viene sempre in mente Fantasia, di Walt Disney. Credo sia il mio cartone preferito. Racconta molto bene come un suono evochi sempre un’immagine. Le immagini non sempre parlano, ma il suono a mio avviso si vede sempre, ed è intrigante confrontare immagini più concrete, legate a storie precise, e suggestioni più astratte.

La musica perlopiù fa scattare qualcosa che è presente nella nostra memoria, ma a volte evoca solo forme, colori, proprio come avviene nel primo episodio di Fantasia, con la Toccata e Fuga in re minore di Bach. Quella per me è l’esperienza musicale più pura. Purtroppo al giorno d’oggi è molto raro riservarsi del tempo per ascoltare la musica senza fare nient’altro.

Nelle sale da concerto c’è un’attenzione maggiore, ma vorrei proprio sapere quanta gente si prende del tempo, almeno una volta al mese, per sedersi in poltrona a casa propria, mettere su un disco, e ascoltarlo e basta, senza fare altro. I miei nonni lo facevano spesso. A me per primo capita molto di rado, ma le poche volte che mi sono obbligato a farlo ho ottenuto risultati sorprendenti.

Articolo a cura di Sergio  Scorzillo

La musica è un tocco di colore tra una scena e l’altra

Note di Regia: Mario Maellaro 1
Mario Maellaro firma alcuni dei più interessanti programmi televisivi su Rai, Mediaset, La7, Discovery e molti altri canali monotematici

Trent’anni, o quasi, di dedizione smisurata alla “professione regista” per Mario Maellaro. Una carriera costellata di successi televisivi caratterizzati soprattutto da una passione sconfinata per la regia e un cuore strabordante di amore per i dettagli. Un debutto il suo che lo ha visto impegnato nel lontano 1992 in eventi legati al mondo dell’editoria, della moda e dello spettacolo.

Solo pochi anni dopo Maellaro firma alcuni dei più interessanti programmi televisivi messi in onda su Rai, Mediaset, La7, Discovery e molti altri canali monotematici. “Il boss delle pizze”, “Mi manda Rai tre”, “Chef in campo”, “Ciao Darwin”, “Avanti un altro” sono solo alcuni delle trasmissioni che devono parte del loro successo alla sua magistrale regia.

Non solo programmi tv, ma anche concerti di musica classica e docufilm di spessore tra i prodotti del director e filmaker. La passione per il montaggio, gli inizi come director e l’importanza della musica nelle sue creazioni li racconta Mario Maellaro nella seguente intervista.

Mario ci racconti il tuo senso della musica?
Sono un regista atipico, lavoro sia in campo televisivo che cinematografico. In particolare negli ultimi anni per la Rai ho creato soggetti cinematografici da portare sul piccolo schermo. Naturalmente parlo di ripresa, di movimenti di macchina, di ottica.

Nel cinema la musica è fondamentale per qualsiasi tipo di inquadratura, quindi ogni suono deve in qualche modo fare riferimento alla scena che lo spettatore sta guardando. La musica dà un certo spessore al momento, una particolare scena senza il supporto della musica sarebbe senza dubbio piatta.

In campo televisivo invece cosa cambia rispetto al cinema?
La televisione rispetto alla cinematografia risulta un po’ diversa. La Tv è intuizione e velocità, quindi la musica resta un po’ in secondo piano. Siamo in un momento di svolta, infatti osservando i nuovi docufilm e le serie tv che oggi vanno in onda sulle piattaforme Netflix o Amazon è possibile rendersi conto che contengono circa il 60-70% di musica.

Per quanto riguarda invece le trasmissioni di intrattenimento, penso a “Ciao Darwin” oppure a “Avanti un altro” di cui curo  la regia delle Tlp, la musica è quel timbro scenico che arriva all’improvviso.

Chef in Campo
Mario Maellaro riprese di “Chef in campo” su SportItalia TV

Hai curato la messa in onda anche di alcuni importanti concerti di musica classica. In quel caso come cambia il ruolo del regista?
Per quanto poi riguarda i miei prodotti, la musica diventa ovviamente preminente in un concerto di musica classica. In questo caso il primo regista è il direttore dell’orchestra. Noi dobbiamo stare sulla musica con le immagini, seguendo attentamente i passaggi attraverso gli strumenti.

In questo caso siamo in presenza di una doppia regia: il direttore d’orchestra è il regista musicale e il regista invece decide cosa riprendere nei vari frame e cosa aggiungere in fase di montaggio. In questi casi è necessaria una valutazione di priorità, non sempre è possibile scegliere la bellezza delle immagini, perché in primo piano c’è sempre e solo la musica.

Come nasce una scena nella testa di un regista?
Il punto di partenza è sempre l’idea. Visualizzare la scena e l’impatto da ottenere aiuta molto, naturalmente quando lavoro devo sempre collaborare con il compositore di riferimento per ottenere un risultato efficace. Il compositore, come del resto altre figure tecniche, assumono quindi un’importanza pari a quella del regista.

In certi casi la musica assume un’importanza di primo piano, alcuni film o documentari riusciamo infatti a riconoscerli ascoltandone solo la musica senza nemmeno vedere la scena. Se penso per esempio alle colonne sonore di Ennio Morricone è evidente come l’elemento musicale sia chiaramente fondamentale.

Note di Regia: Mario Maellaro
Mario Maellaro: “Il nostro lavoro deve essere fatto con cuore e passione”

Preferisci usare musica che già conosci o farla comporre ex novo?
Tendenzialmente è preferibile far comporre e realizzare magari un sound like: un brano molto simile ad una canzone famosa per esempio. La maggior parte delle volte però si fanno comporre musiche nuove e in quel caso quindi la colonna sonora crea un focus sul progetto. Naturalmente la metodologia di lavoro si basa anche sui tempi e sul budget.

Tempi stretti e budget esiguo richiedono l’utilizzo di brani in library, mentre al contrario è possibile far comporre ex novo. Io sono un romantico per natura, quindi la musica elettronica non rispecchia proprio il mio genere. Preferisco un sound più morbido e leggero: dal contemporaneo al thriller spinto… in base alla situazione.

Hai un sogno nel cassetto?
In realtà ne ho due sogni nel cassetto: il primo è fare la regia ad un importante concerto all’Arena di Verona. Il secondo sogno è il Festival di Sanremo, prima o poi quel palco sarà mio.

In questo periodo ho terminato due docufilm per la Rai già disponibili su Raiplay, ho iniziato da pochissimo a registrare per Mediaset “Avanti un altro” con Paolo Bonolis e Luca Laurenti, in particolare mi occupo delle telepromozioni che risultano essere delle micro-fiction.

Sto preparando inoltre un nuovo docufilm per la Rai sullo sport e a breve partirò con la seconda edizione di “Chef in campo” su Sport Italia. In programma anche la messa in onda su rete 4 di una trasmissione che racconta la tradizione popolare del nostro Paese.

Mario Maellaro
Ho due sogni nel cassetto: il primo è fare la regia ad un importante concerto all’Arena di Verona. Il secondo sogno è il Festival di Sanremo

Un consiglio a chi desidera avvicinarsi al mondo della regia?
Io ho iniziato lavorando sul campo. Lo studio secondo me è importante, ma poter lavorare insieme a professionisti del settore è di gran lunga più efficace per l’apprendimento.

Il nostro lavoro deve essere fatto con cuore e passione, senza orologio in mano, e partendo dalle mansioni più umili.

Articolo a cura di Veronica Ruggiero

Maurizio Martinelli speaker radiofonico di Container su Radio Italia Anni 60 Lazio.

On Air 361: Container di Maurizio Martinelli
Maurizio Martinelli e il logo di Container programma su Radio Italia anni 60 Lazio (Foto © Maurizio Martinelli)

Non metterò cera nelle orecchie e non mi farò legare all’albero maestro della nave come un Ulisse qualsiasi. Nel mio viaggio di On Air 361 seguirò la voce del Musicista, il suono del pianoforte, del jazz, le parole d’insegnamento. Suoni e Parole che mi porteranno dinanzi a Maurizio Martinelli speaker radiofonico di Container su Radio Italia Anni 60 Lazio.

Maurizio quando e come nasce l’amore per la Radio?
Io amo la musica da sempre. Sono Musicista diplomato e ho iniziato a fare radio 35 anni fa. Inizialmente sono stato speaker in radio sportive e poi sono approdato alle radio musicali.

E in una Radio musicale, Radio Italia Anni 60 Lazio, tu conduci Container. Che ci racconti di Container?
Container è il mio programma radio su Radio Italia Anni 60 Lazio da quattro anni ma è nato ancora prima in un’altra Radio.

Che programma è Container? Quali sono gli argomenti che tratti nella tua trasmissione?
La musica è la protagonista e poi si parla del mondo dello spettacolo. Dalla televisione al cinema, al teatro ma è la musica la vera protagonista essendo io un musicista e conoscendola a fondo.

Maurizio Martinelli Ascoltate Container perché conosco la musica
Maurizio Martinelli con Francesco Renga durante il Festival di Sanremo (Foto © Maurizio Martinelli)

Televisione, Spettacolo, Musica. Quanti Artisti hai intervistato a Container?
Tantissimi. Da Zucchero a Vasco Rossi a Renato Zero e ancora Elodie ed Emma, Luca Ward, Toni Esposito. Quasi tutti in studio e di persona.

Wow Maurizio. E in questi anni hai portato Container anche fuori dagli studi Radio?
Si. Ci sono state a livello nazionale delle dirette radiofoniche in esterna da Sanremo, dalla Puglia, Umbria, Toscana e dalla bellissima Napoli.

A Container hai avuto Ospiti importanti ma in tutti questi anni c’è un episodio che porti nel tuo cuore?
Si Lorenzo. Era da poco morto Pino Daniele ed io avevo come ospite Toni Esposito. Senza aver preparato una scaletta, in studio mi è venuta l’idea di chiamare anche Tullio De Piscopo e James Senese e ho dato vita ad una reunion.

Emma, Renato Zero, Vasco Rossi. Qual è l’ambizione di Container? Quale Ospite ti piacerebbe ospitare?
Edoardo De Crescenzo e Steve Lukather dei Toto.

Maurizio Martinelli musicista, cantante e Speaker di Container
Maurizio Martinelli musicista, cantante e Speaker di Container

Maurizio, io voglio ascoltare Container. Mi hai incuriosito e affascinato tantissimo. Come e dove posso ascoltarti?
In FM 100.5 se sei a Roma o in FM 104.9 se sei a Rieti. Oppure scaricando la nostra APP Radio Italia Anni 60 – 100.5. Container va in onda la mattina dalle 7:00 alle 9:00

Mi hai convinto. Ma ora convinci i nostri lettori con una MARKETTA.
Ascoltate Container perché conosco la musica e la mia conoscenza e i miei studi di musicista vi ammalieranno.

Ringrazio Maurizio Martinelli con il quale avrei continuato a parlare ore e ore alla scoperta di segreti Radio e ad assorbire il suo amore per Musica, ma il tour continua ed io proseguo il mio viaggio.
A martedì…

Articolo a cura di Lorenzo Amatulli

 

Il Concorso Musicale Terra di Severino nasce con l’intento di valorizzare i giovani talenti, a sostegno della creatività emergente

Non solo talent: Concorso Musicale Terra di Severino - Città di Roccasecca
Logo Concorso Musicale Terra di Severino Digital Edition 2021

Organizzato dall’Associazione Musicale Culturale “Labirinto Armonico” in collaborazione con l’Assessorato al Turismo del Comune di Roccasecca, questo contest nasce con l’intento di valorizzare i giovani talenti, a sostegno della creatività emergente e si prefigge inoltre di promuovere il patrimonio storico, culturale e paesaggistico attraverso visite guidate ed escursioni.

Il Concorso è rivolto alle Scuole secondarie di primo grado ad indirizzo musicale, alle Scuole statali e paritarie con progetti musicali inseriti nel PTOF, Licei musicali, ai Conservatori di Musica, alle Accademie, agli Istituti musicali privati e a singoli musicisti e professionisti.

Non solo talent: Concorso Musicale Terra di Severino – Città di Roccasecca

Il concorso è pianificato in diverse categorie: Solisti suddivisi per strumenti: pianoforte, fisarmonica, archi, fiati, chitarra, percussioni; cantanti; formazioni d’insieme strumentali e corali; orchestre; jazz orchestra/Big band.

Concorso Musicale Terra di Severino - Città di Roccasecca 2021
Concorso Musicale Terra di Severino 2021 Digital Edition

A seguito della pandemia tutt’ora in corso, l’organizzazione ha deciso di annullare l’edizione del 2020 in programma dal 14 al 17 maggio dello scorso anno la nuova edizione del 2021 prevede lo svolgimento interamente in modalità a distanza le iscrizioni dal 1 marzo al 30 aprile 2021.

Partendo dal presupposto che nulla può eguagliare un’esibizione dal vivo, sia dal punto di vista emozionale che didattico, attraverso la pagina Facebook Concorso Musicale Terra di Severino sarà creato un palcoscenico virtuale per i migliori video, in uno spirito di condivisione.

Non solo talent: Concorso Musicale Terra di Severino 2021 Digital Edition

I video selezionati si renderanno protagonisti di un grande progetto comune nel quale le migliori esibizioni – previa autorizzazione – costituiranno un elemento di pregio dell’evento musicale, fruibile da tutti i concorrenti e dal pubblico interessato.

Il concorso riserva anche una sezione denominata “Digital Orchestra & Digital Choir, Musica d’insieme digitale”, a sottolineare l’importanza, la vicinanza ed il supporto della tecnologia digitale al mondo musicale.

La sezione è libera, senza limiti di età. Sono consentiti: il montaggio digitale con immagini e/o video; l’utilizzo di programmi audio/video editing; la registrazione presso sale da incisione.

Maggiori informazioni sono disponibili sul sito https://www.terradiseverino.it/

Articolo a cura di Roberto Greco

Fotografare è arte che ci permette di vedere e guardare, con occhi diversi

Vedere la musica: Invito al viaggio
Nando (Foto © Gabriele Lupo)

Quando si parla di musica, si pensa immediatamente all’ascolto. Vedere la musica sembra un controsenso e, lo so, anche una pazzia. Eppure, c’è una vastità d’immagini che ritraggono la musica e i suoi interpreti, che sono opere d’arte. Può essere che la protagonista sia la moda, ma c’è sempre una colonna sonora che l’accompagna. Fotografare è arte che ci permette di vedere e guardare, con occhi diversi. Non si tratta solo di tecnica e di filtri, ma di un’immaginazione che passa attraverso l’anima. Ogni fotografo firma in modo inequivocabile, come un pittore, le sue opere.

Vedere la musica: Invito al viaggio

Queste ci parlano del suo autore, della sua sensibilità, la stessa che lo spinge a sottolineare e a mostrarci il suo punto di vista. Le fotografie possono essere una “voce” ulteriore e inaspettata. È un viaggio da intraprendersi con occhi e cuore. Un ritratto non è solo un ritratto, ma la possibilità di andare oltre, di avvicinarci e vedere al di là delle apparenze.

fotografi che hanno raccontato la musica, la moda, lo spettacolo, gli eventi
Nando (Foto © Gabriele Lupo)

Mi piacerebbe “invitarti al viaggio” (per usare le parole del maestro Franco Battiato e di Manlio Sgalambro) attraverso dieci tappe con altrettanti fotografi che hanno raccontato la musica, la moda, lo spettacolo, gli eventi. Immagini emblematiche che, spesso, sono diventate simbolo di un’epoca. Mi piacerebbe poter “vedere” attraverso gli occhi di chi sta dietro l’obiettivo.

L’arte non prevede confini o separazioni, ma ci permette di esercitare i nostri sensi, tutti.

Volutamente scelgo di definirlo viaggio, perché ci permette di entrare in confidenza con la sensibilità, oltre che il punto di vista del fotografo. Le sue immagini parlano inequivocabilmente, della donna o dell’uomo che sta dietro l’obiettivo.

Invito al viaggio
Nando (Foto © Gabriele Lupo)

Un modo per conoscere, osservare, mettendo in primo piano chi solitamente non si mostra. Un viaggio alla scoperta di quella che è “la camera oscura” dove nascono meraviglie: l’anima.

Le fotografie di “Nando” sono di Gabriele Lupo fotografo e video produttore

Articolo a cura di Paola Ferro 

“SONO Music Group” è un’etichetta discografica ma è anche un collettivo di professionisti che mirano a poter dare potere agli artisti

Etichette discografiche indipendenti: SONO Music Group
Etichette discografiche indipendenti: SONO Music Group – Logo

“Ne usciremo migliori”. L’abbiamo sentito dire spesso in questo lungo anno ed è quello che ha cercato di fare “SONO Music Group” che proprio nel massimo momento di distanziamento sociale ha reagito facendo nascere un’etichetta discografica indipendente.

“SONO Music Group” è un’etichetta discografica ma è anche un collettivo di professionisti che mirano a poter dare potere agli artisti, lavorando su progetti che amano personalmente con lo spirito di una vera e propria family.

Fornendo servizi a livello globale, “SONO” mira ad abbracciare la musica mentre ispira un pensiero esteriore, rendendo le persone entusiaste di un mondo che non ha confini comunicando attraverso la musica. Ci siamo fatti raccontare questa esperienza da Stefano Poillucci, founder dell’etichetta.

Quando nasce l’idea di SONO music?

Nasce dopo aver avviato l’esperienza di gestione di un pub a Casalbernocchi, nella periferia di Roma. Si trattava di un locale in cui era possibile suonare dal vivo.

Per promuoverlo abbiamo deciso di organizzare un festival, utilizzando il parcheggio antistante. Siamo riusciti ad avere un pubblico di oltre 2000 persone.

Etichette discografiche indipendenti: SONO Music Group

Questo ha permesso di metter in moto l’energia che ruotava attorno al pub, gli artisti hanno iniziato a chiedere se potevano esibirsi e questo ha portato inizialmente alla creazione di “SONO Concerti”.

Poi è arrivata la pandemia e si è tutto fermato ma nel frattempo cominciavamo ad essere il catalizzatore per artisti che avevano la necessità di farsi conoscere e promuovere.

Nel mese di aprile dello scorso anno abbiamo chiuso un accordo per la distribuzione con “FUGA music”, un servizio di distribuzione musicale indipendente che lavora con artisti del calibro di Arctic Monkeys, Jon Hopkins, Frah Quintale, Deadmau5, Kygo ed etichette come Downtown, Undamento e Domino Records, e possiamo quindi dire che “SONO Music Group” nasce formalmente in quel momento.

La vostra cifra stilistica?

Innovazione e sperimentazione, penso che sia questa la nostra cifra stilistica. Abbiamo deciso di non preferire un singolo genere. Io, di fatto, dal punto di vista musicale sono onnivoro.

Noi pensiamo che un roster “colorato” ci possa dare più stimoli e possibilità di confronto.

Spesso ci vengono proposti brani che non si chiudono all’interno del classico perimetro dei generi ed è questo quello che cerchiamo. Siamo poco interessati ai brani che “suonano tutti uguali” perché il mercato ne è pieno.

Da dove deriva il nome?

Dal latino, ossia da suonare, ma anche dal verbo essere: SONO è un’affermazione del proprio stato e quindi il segno della consapevolezza.

Etichette discografiche indipendenti: SONO Music Group

Quali servizi fornite ai vostri artisti?

Lavoriamo con tre steps diversi, in maniera da poter essere noi adeguati alla necessità degli artisti e di tenere conto dello status di ognuno di loro. Questo ci permette di lavorare a più livelli.

Abbiamo anche realizzato una piattaforma di lavoro interna che permette al nostro roster di non rimanere ai margini del mondo della produzione e promozione musicale ma di poter fruire di un’adeguata formazione che è utilizzabile anche tramite smartphone.

SONO Music Group etichette indipendenti
Stefano Poillucci Founder Sono Music Group

Ovviamente abbiamo una serie di partner specializzati che si occupano, a vario titolo, degli aspetti artistici diretti e indiretti necessari per la realizzazione del prodotto discografico.

La nostra parola d’ordine è quella di mantenere l’autenticità e l’identità dell’artista che deve avere la possibilità di esprimere sè stesso senza la necessità di realizzare inutili sovrastrutture al suo lavoro e alla sua creatività.

Seguite la realizzazione dei brani direttamente?

Sì, nel caso di artisti italiani, quindi anche romani, abbiamo strutturato una rete di studi che ci supporta anche se, soprattutto nel caso di artisti internazionali, spesso ci vengono proposti prodotti già strutturati.

Abbiamo creato anche una rete internazionale che, in questo momento, ci permette di avere partner a Londra e negli States.

Anche per la produzione dei videoclip siamo riusciti a realizzarne diversi per i nostri artisti grazie a una serie di collaboratori esterni che ci garantiscono un prodotto in linea con gli standard necessari per affrontare le radio-visioni che oggi cominciano ad essere una grossa realtà.

Etichette discografiche indipendenti: SONO Music Group

Oltre all’accordo con Fuga, che rapporto avete con la distribuzione digitale e con la promozione che oggi è veicolata attraverso Spotify?

È abbastanza complicato competere con la potenza delle major anche quando i brani hanno grosse potenzialità. Questo ci lascia un po’ di amaro in bocca.

Oggi è troppo privilegiata la pseudo-popolarità basata sui followers che, spesso, non rappresenta lo specchio reale della qualità del brano ma è lo strumento per creare il circolo vizioso ascolti vs. abbonamenti al player.

Un bilancio di questo primo anno di vita?

In questo primo anno abbiamo prodotto quindici nuovi artisti. Oggi abbiamo diversi progetti attivi che riguardano non solo l’Italia ma anche diversi paesi del mondo.

Siamo riusciti a sfruttare la necessità di utilizzo delle relazioni “a distanza” per creare nuove opportunità che non sono legate solo al territorio fisico di appartenenza.

Come è possibile per un artista emergente proporvi la sua musica?

Basta mettere insieme i progetti migliori, non tanto in termini di qualità tecnica ma, e soprattutto, di qualità artistica.

Nel nostro sito, ma anche nei nostri canali social, c’è un form dedicato che permette di farci arrivare la proposta secondo uno standard idoneo a poter acquisire sia il progetto musicale sia le informazioni necessarie.

Basta quindi collegarsi all’indirizzo https://sonomusic.co/submit-artist/.

Per scoprire di più su SONO Music Group si può visitare il sito internet SonoMusic.co 

Articolo a cura di Roberto Greco 

Gli Assessori alla Cultura: insieme per riaprire i luoghi dello spettacolo

 

The Show must go on
Cinema, teatro cultura biglietti ingresso (foto © Pixabay)

La musica non ha confini, la musica non ha colore politico… sembrano frasi fatte, i soliti luoghi comuni, ma è il senso dell’evento che si è svolto il 19 febbraio, organizzato dal Comune di Torino, che ha riunito in videoconferenza gli Assessori alla Cultura delle maggiori città italiane.

Naturalmente si tratta di esponenti di tutti i partiti e di tutte le aree geografiche, uniti in un coordinamento nazionale, con l’obiettivo comune di studiare e proporre delle soluzioni per la ripartenza del settore della cultura e dello spettacolo.

Considerato che il 90% dell’offerta culturale è sviluppata dai Comuni, è stato doveroso per sindaci e assessori, che meglio di chiunque altro conoscono le realtà dei propri territori, portare a Roma la voce e il grido d’aiuto dei lavoratori dello spettacolo e della cultura, che più di chiunque altro hanno sofferto e continuano a soffrire il peso di questa crisi pandemica.

Basti pensare che il comparto lavorativo del settore, che ovviamente oltre agli artisti include anche maestranze, tecnici e impiegati, è stimato in circa 570.000 lavoratori, mentre il fatturato della SIAE, nel 1° semestre 2020 si è ridotto del 73%, con circa 1 miliardo e 785 milioni in meno rispetto allo stesso semestre del 2019.

In virtù di questi dati, evidenziati dall’Assessora di Bari Ines Pierucci, ci si rende conto dell’enormità della crisi, ma allo stesso tempo anche del potenziale economico di un settore per troppo tempo trascurato e snobbato.

The show must go on… lo spettacolo deve continuare

D’altronde a qualsiasi musicista, almeno una volta nella vita sarà capitato di sentirsi chiedere “che bello, sei musicista…ma di lavoro che fai?”, a dimostrazione del fatto che nella nostra società il musicista è sempre stato considerato, nel migliore dei casi, un perditempo, nel peggiore, un drogato o un poco di buono.

Purtroppo questa crisi ha portato ad un ampliamento delle categorie che rischiano di scomparire, per cui si potrebbe arrivare al punto in cui sarà il musicista a chiedere al negoziante “Che bello, hai un negozio…ma di lavoro che fai?”.

Sfortunatamente, l’urgenza richiesta negli interventi, spesso si scontra con un muro di ostacoli burocratici e culturali, disseminati nel corso degli ultimi 30-40 anni, e che, per forza di cose, sono impossibili da rimuovere in pochi mesi.

D’altro canto, ci si rende anche conto che questa costituisce un’occasione più unica che rara per riformare finalmente un sistema bloccato da decenni, e su questa base si sono formati numerosi coordinamenti di associazioni, per portare all’attenzione dei palazzi romani il dramma sociale di una categoria invisibile.

Assessori alla cultura insieme per ricominciare
Concerti: torneremo ancora a cantare … (Foto © Pixabay)

Tali  coordinamenti, però, a volte procedono in ordine sparso, non sempre con la stessa comunione di intenti, ed è per questo che il compito degli Assessori e dei Sindaci è stato quello di “fare una sintesi tra le varie parti, per portare una posizione unitaria nell’interlocuzione con il governo”, come ha spiegato l’Assessore Filippo Del Corno, del Comune di Milano, mentre l’Assessore fiorentino Tommaso Sacchi sottolinea l’importanza di un “tavolo permanente, che garantisca continuità nel dialogo con il Ministero.

The Show must go on… lo spettacolo deve continuare

L’Assessora torinese Francesca Leon, padrona di casa (se pur virtuale), fa un riepilogo delle proposte e delle idee, sottolineando l’esigenza di creare un “protocollo nazionale unico e graduale”, ossia un protocollo che consenta una riapertura in sicurezza, indipendentemente dalcolore” della regione, evitando così aperture a macchia di leopardo, o chiusure da un giorno all’altro, anche perché, come fa notare l’Assessora napoletana Eleonora De Majo, “lo spettacolo e la cultura hanno bisogno di organizzazione e programmazione, non sono una saracinesca che si può tirare su o giù dall’oggi al domani”.

Ma tra i tanti paradossi emersi in questa crisi, ce n’è uno decisamente significativo, evidenziato dall’Assessora cagliaritana Paola Piroddi, rappresentante di un capoluogo che offre un sostegno economico alle associazioni, che però si attiva solo a spettacolo avvenuto, ossia, se lo spettacolo salta, anche per cause di forza maggiore, il finanziamento non arriva più!

La stanza di Zoom
The show must go on: gli Assessori alla Cultura insieme per riaprire i luoghi dello spettacolo (Foto Uff. Stampa Comune di Torino)

Una vera e propria beffa per le tante associazioni che sopravvivono proprio grazie a quei fondi (che tecnicamente non possono ricevere finché il settore resta fermo), a sottolineare ancora di più la fragilità del sistema culturale italiano.

E così ci ritorna in mente con nostalgia quel vecchio detto ormai superato, quel “The show must go on”, ovvero la regola che imponeva ad ogni artista o teatrante di andare avanti in ogni circostanza, ma purtroppo allo stato attuale si può solo essere consapevoli del fatto che almeno per ora “The show can’t go on”.

Articolo a cura di Chiara del Vaglio

La musica è qualcosa di atavico, i suoni li produciamo anche noi, ancora prima del linguaggio verbale vero e proprio, e addirittura li ascoltiamo anche nel grembo materno

Stefania Bussoli fin dalla tenera età sviluppa un interesse per la musica l’arte e la letteratura, influenzata dalla madre attrice di prosa, e dallo zio direttore di coro, musicologo e insegnante di Storia dell’arte a Mantova. Si diploma come disegnatrice Grafica-Pubblicitaria e poi in lingua Inglese con Proficiency alla British School – University of Cambridge. Parallelamente porta avanti una formazione sia musicale, studiando chitarra, pianoforte e canto, che attoriale.

Musica a Teatro: Stefania Bussoli
Stefania Bussoli “Ciaula e la luna” al Teatro Sociale di Bergamo con l’Accademia Danza di Bergamo, per la regia di Nicola Forlani

Inizia la carriera artistica giovanissima come speaker radiofonica e DJ in alcune radio milanesi. Nel 1985 sostiene l’esame SIAE come autrice di canzoni e partecipa a diversi concorsi musicali come cantante e autrice arrivando al primo posto a “Disco Primavera” nel 1986. Gira l’Italia esibendosi sia come solista che come corista, in gruppi supporter. Insieme alla musica, non dimentica il suo amore per il teatro e frequenta corsi di dizione e recitazione a Milano.

Nel 1986 si trasferisce a Bergamo, studia e si diploma alla scuola per attore del Teatro Prova di Bergamo e segue corsi di specializzazione e masters, sia nel canto che nel teatro, con vari professionisti, tra i quali Mamadou Dioume e John Strasberg. Si dedica poi a teatro e reading per bambini e, sempre più spesso, si trova ad unire l’attività di cantante a quella di attrice.

Tra le collaborazioni più recenti ci sono quelle con Qui e Ora residenza teatrale, Teatro Stalla, Associazione il Viandante, Teatro dell’Umano, Associazione Villa Buzzati.

Tiene laboratori teatrali e sull’uso della voce, scrive e cura la regia di diversi spettacoli. Dal 2018 lavora con SATS Scuola d’Arte Teatrale Treviglio, dove è docente di Teatro e Lettura espressiva.

Che rapporto hai con la musica? Tu, a differenza di altri che ho intervistato, sei anche una cantante, per cui l’hai studiata.

Con la musica ho un rapporto viscerale; di grande amore e, a volte, di grande odio. Da piccola in casa si ascoltavano i più svariati generi: nonna ascoltava alla radio Claudio Villa, Buscaglione, il Quartetto Cetra. Eravamo negli anni 70 e mio fratello, molto più grande di me, ascoltava gli Abba, Le Orme e in seguito Guccini e De Andrè.

Mia madre amava Frank Sinatra, Bing Crosby e Glenn Miller, mentre mio padre mi ha sommersa con l’opera e la musica classica… Avevo poi uno zio prete anche musicologo che dirigeva una corale polifonica a Mantova. Avevano un repertorio sia classico che gregoriano, (pensa che negli anni 80, ritrovò delle musiche dei Gonzaga, che riadattò e ci incise un disco con il suo coro insieme agli Ottoni di Verona). Perciò ho avuto un imprinting decisamente variegato.

Hai cambiato negli anni il modo per ascoltarla?

Il mio modo di ascoltare la musica è sicuramente cambiato quando ho iniziato a studiare chitarra, pianoforte e canto: ho iniziato ad ascoltarla in parte con orecchio più critico, ma più aperto e curioso.

Stefania Bussoli
Stefania Bussoli “Io e Frankenstein”, regia di Pier Giacomo Lucchini con il teatro Stalla

Cosa ascolti con più piacere oggi?

Attualmente, pur apprezzando ancora tutti i generi, ho una predilezione per il jazz e la musica degli anni 40/50, ma dipende molto dall’umore; da lì il mio rapporto di amore/odio.  Ogni genere tocca corde diverse dentro di me, e non mi basta sapere che quel pezzo mi piace per farmelo piacere sempre.  Sono molto istintiva in questo.

La musica nel tuo lavoro?

Per anni ho cantato professionalmente in ambiti diversi, dalla musica da ballo (quando ancora si suonava tutto dal vivo, e ci facevi una gran gavetta!) al pianobar, alla lirica e quindi è sicuramente stata il centro nel e del mio lavoro. Da quando mi sono dedicata più al teatro, è rimasta comunque in sottofondo, a volte nel vero senso del termine.

La musica la ritieni fondamentale in uno spettacolo teatrale?

Non credo sia necessaria in uno spettacolo teatrale, specialmente nel teatro di prosa, che, se fatto bene, basta sicuramente a sé stesso, ma può essere utile se funzionale a quello che si vuole trasmettere. La musica è qualcosa di atavico, i suoni li produciamo anche noi, ancora prima del linguaggio verbale vero e proprio, e addirittura li ascoltiamo anche nel grembo materno.

È certo che i suoni arrivino a segno diretti, ancora prima delle parole, perciò, sicuramente la musica, usata con parsimonia e intelligenza, può essere utile anche nel teatro.  Non deve sostituire delle carenze, però, “riempire” dei buchi, diciamo…e oggi giorno, a volte, invece è così.

Musica a Teatro: Stefania Bussoli

Ci si accorge di questo, quando viene usata come si usano certe volte le colonne sonore dei film: prova a guardare la scena di Psyco, per esempio, senza la sua ormai famosissima musica di sottofondo, e perderà gran parte della suspense e del suo pathos.

Ecco, nel teatro non può avere quella funzione lì, secondo me… non può accadere che se non parte la musica di effetto il teatro non smuova nulla.

Hai degli aneddoti? Hai usato musiche scritte appositamente per un tuo spettacolo?

Anni fa misi in scena uno spettacolo ispirato all’Antologia di Spoon River, dove si giocava più sulla suggestione e il movimento (la prima la facemmo in un cimitero antico nella Basilica di Santa Giulia a Bonate Sotto (BG) e la musica fu scritta ad hoc da un chitarrista, ma il più delle volte mi avvalgo di musiche edite.

Questo comunque dipende molto dalla regia, dalla drammaturgia che faccio per quello spettacolo specifico. In altre occasioni ho cantato io a cappella, oppure ho chiesto agli attori di lavorare con percussioni, strumenti acustici o addirittura fare “body music” con il corpo, ma più improvvisando, senza una vera partitura.

A parte gli allestimenti coordini molti laboratori, vero? Lì cosa succede?

Nei laboratori teatrali la uso molto, specialmente per tutto il lavoro sul corpo e il movimento, e utilizzo i più svariati generi, perché comunque deve dare un po’ di suggestione o di ritmica, ma non deve condizionare troppo l’espressività individuale.

Stefania Bussoli
“Il più bel libro del mondo” di Eric Emmanuel Schmitt con Qui e Ora residenza teatrale

Durante le letture sceniche, a volte viene usata ma con attenzione: deve essere molto lieve e se eseguita da un musicista dal vivo meglio ancora, poiché deve diventare un commento che esalta la lettura, non qualcosa che prevarica e distrae dall’ascolto del testo e nemmeno competere con l’attore che altrimenti ne sarebbe notevolmente distratto.

Ma per te la musica ha una valenza drammaturgica?

A mio avviso, la musica non ha un valore drammaturgico in sé, ma può averlo: pensiamo per esempio al teatro danza, dove non c’è la parola, movimento e musica sono parti inscindibili della narrazione. Se usata come parte del tutto e non “messa a caso” per colmare lacune, come dicevo prima, può certamente avere un ruolo drammaturgico.

La parte economica come interviene nelle scelte “musicali” abbinate al Teatro?

Non è un mistero che nella maggior parte delle produzioni teatrali italiane, se non parliamo di alcuni grandi stabili foraggiati dallo stato, le risorse finanziarie siano decisamente inadeguate, se non quasi inesistenti, e questo sicuramente influisce molto anche sulla scelta musicale.

Se si deve pagare un compositore, uno o più musicisti che suonano la musica composta, e in seguito anche i diritti d’autore, è più conveniente, sicuramente, pagare solo i diritti per un pezzo già bell’e fatto e adeguarlo a ciò che si deve fare. È triste, ma è così.

Tornando allo spettacolo di cui ti ho parlato sopra, per ragioni sue personali, il compositore voleva regalarci le musiche scritte appositamente, e ricordo avemmo parecchie difficoltà con la SIAE. Dopo svariate rassicurazioni fatte da lui stesso, alla fine fu obbligato s rilasciare una dichiarazione ufficiale scritta, in cui rinunciava ufficialmente ai diritti su quelle musiche.

In questo momento difficile per il settore mi vuoi parlare di progetti?

Al momento, mi piacerebbe molto, poterti parlare di progetti futuri, ma la verità è che, con la pandemia in corso, è tutto più incerto che mai. Avevo una versione teatrale di Pinocchio in embrione, proprio con due musicisti dal vivo ed anche un pittore, che avrebbe dovuto debuttare in Sicilia ma, a questo punto, non so se vedrà mai la luce.

Intanto, cerco di portare avanti i corsi presso la scuola teatrale dove insegno (SATS Scuola d’Arte Teatrale Treviglio – scuola di teatro e circo), un po’ on line, un po’ dal vivo, a seconda del “colore pandemico”, sto approfittando per seguire io stessa dei corsi di formazione e mi sto dedicando alla scrittura.

Voglio però essere positiva e credere che da queste ceneri, il teatro si potrà rigenerare e spiccare il volo come un’araba fenice, d’altra parte, da che mondo e mondo, il teatro, come la musica, lo ha fatto molte volte, e lo farà certamente ancora ed io cerco di prepararmi al gate di imbarco.

 

Per avere ulteriori info a riguardo del lavoro di Stefania Bussoli potete visionare: www.scuolateatrotreviglio.it

Oppure le sue pagine personali instagram o facebook cercando  “stefania.bussoli”  (scritto proprio in minuscolo).

Articolo a cura di Sergio Scorzillo 

La musica e il cantautorato valori aggiunti all’attività di regista…

Note di Regia: Max Nardari
Poliedrico professionista dotato di professionalità e tanta simpatia. Max Nardari al piano

Poliedrico professionista dotato di professionalità e tanta simpatia, Max Nardari, che dopo un inizio segnato dal canto ha intrapreso strade completamente diverse.

Laureato al DAMS con una tesi sull’immortale Pedro Almodovar, Nardari ha poi intrapreso gli studi in regia presso la NUCT di Cinecittà e successivamente si è diplomato anche in sceneggiatura presso la RAI.

Inizia la sua carriera alternando la sua attività di filmmaker con quella di autore musicale scrivendo e collaborando con diversi artisti italiani fra cui Raf, Fabrizio Moro, Paola & ChiaraAndrea Mirò, Simonetta Spiri.

Nel 2003 fonda la sua casa di produzione cinematografica Reset Production Srl  con cui produce e dirige vari film, cortometraggi, documentari, videoclip musicali e spot, collaborando anche con società di Milano come Filmaster e BRW & Partners.

Note di Regia: Max Nardari

Tra il 2010 e il 2013 realizza una trilogia di cortometraggi sociali dal titolo Lui & L’altro, Lei & L’altra e Noi & Gli Altri, distribuita da Rai Cinema.

Nel 2015 dirige il suo primo lungometraggio, un film co-prodotto da due case di produzione italiane e due russe, che esce in Russia a marzo 2017 dal titolo Liubov Pret-a-Portè.

Nel cast: Giancarlo Giannini, Alessandro BorghiNino FrassicaPaolo Conticini, Andrea Preti, Tosca D’Aquino, Olga Pogodina e Larisa Udovichenko.

La versione italiana, dal titolo Di tutti i colori, esce al cinema a luglio 2019 con Whale Pictures.

In Italia il film vince il Love Film Festival di Perugia per la miglior regia e il Terra di Siena Film Festival come miglior commedia 2019.

Da ottobre 2018 è nominato Direttore Artistico del Festival del Cinema Italo Russo Premio Felix che si svolge ogni anno al celebre Cinema Anteo di Milano.

La sua passione per il pop dance e per il cantautorato la racconta Max Nardari nella seguente intervista.

Max Nardari alla telecamera
Max Nardari alla telecamera “Nonostante avessi una propensione per il canto ho capito che non era la mia strada”

Quando è nata in te la passione per la musica?

Sono un poliedrico, che all’inizio del percorso non aveva ben chiaro cosa voleva fare. Mi sono laureato al DAMS a Bologna con una tesi su Pedro Almodovar. Durante il mio percorso universitario ho preso lezioni di canto dopo aver partecipato ad alcune corride organizzate dal padre di Laura Pausini.

Nonostante avessi una propensione per il canto piano piano ho capito che non era la mia strada. Non ho mai studiato uno strumento in realtà, però ho sempre dimostrato un talento sia nel canto che nella scrittura.

Un’esperienza musicale che ricordi con particolare entusiasmo?

Un’esperienza musicale che ricordo con particolare entusiasmo è la chiamata da parte di Raf. Un artista che ho sempre adorato, del quale spesso ho cantato le canzoni nelle corride, mi ha contattato per un brano che avevo scritto e che era arrivato sul suo tavolo.

Ho coronato un sogno: sono diventato autore di uno dei miei cantanti preferiti. In seguito a questa esperienza ha poi fatto dei concerti, ho fatto i provini per Sanremo e sono arrivato vicino a Sanremo Giovani.

Note di Regia: Max Nardari Leone D'Oro Venezia
Note di Regia: Max Nardari Leone di vetro a Venezia

All’improvviso ho nuovamente cambiato percorso, perché non riuscivo a vedere professionali. Quindi ho intrapreso la scuola di regia e la scuola di sceneggiatura, ma adesso sono tornato da due anni prepotentemente alla musica. Le cose cambiano e ho abbandonato la chitarra e ho iniziato a creare musica con il computer.

Sto quindi concludendo la pubblicazione di un album pop dance interamente in inglese. Il disco è anche la colonna sonora di un film dal titolo “Diversamente” che sta per uscire su Amazon, una raccolta di miei cortometraggi

Quindi come hai iniziato la tua attività di regista?

I miei genitori mi hanno offerto la miglior scuola di regia a Londra, poiché essendomi laureato a 24 anni ritenevano che ormai fosse tardi per studiare musica. In quel frangente ho maturato l’idea che avrei voluto studiare chitarra e pianoforte, anche un po’ per dispetto.  Non ho quindi fatto la scuola di regia e ho in due anni imparato a suonare entrambi gli strumenti a Londra.

Una volta rientrato a Roma ho iniziato a fare i miei primi concerti con una band e poi mi sono ritrovato a fare da supporter a Nicolò Fabi e non solo.  Poi ho frequentato la scuola di regia presso la NUCT di Cinecittà e successivamente mi sono diplomato anche in sceneggiatura presso la RAI.

Max Nardari cartellone film Famiglia a Soqquadro
Max Nardari La mia Famiglia a Soqquadro

Come scegli la musica per i tuoi cortometraggi?

Negli anni in cui ho lavorato come regista ho avuto l’occasione di collaborare con ottimi compositori e quindi ho lasciato che loro si occupassero della musica, mettendo un po’ da parte la mia competenza in campo. In questo momento invece, forse anche sull’onda del periodo, ho ripreso a supervisionare anche la musica.

Nel nostro Paese è difficile riuscire a raccogliere riconoscimenti sia dal punto di vista della regia che dal punto di vista del cantautorato, sembra quasi che essere impegnato su entrambi i fronti crei scetticismo. Io la penso esattamente al contrario. Nei miei prodotti artistici io mi devo sentire coinvolto in tutti gli aspetti.

Articolo a cura di Veronica Ruggiero 

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