“Quelli dell’Aperitivo” il venerdì con Giovanni Germanelli
Camminando camminando arrivai in quel di Piombino, città che un tempo Elisa Bonaparte Baciocchi chiamava “la mia piccola Parigi”. Il Porto Turistico, la Torre dell’Orologio, Piazza Bovio e Radio Piombino. Quel Venerdì fui colpito da un aperitivo di sorrisi e non potei fare a meno di condividere il sapore del mio vino con la conoscenza di Giovanni Germanelli consulente/ufficio stampa e anche Speaker Radiofonico.
Ad un tavolo da bar virtuale, Giovanni racconta la sua passione, il suo lavoro e la sua radio.
Giovanni, tu sei un consulte/ufficio stampa musicale. Come diventi anche speaker? Un anno e mezzo fa tramite un mio amico sono stato coinvolto in un aperitivo del venerdì su Radio Piombino.
L’Aperitivo del Venerdì mi ricorda qualcosa. Vero Giovanni?
Eh sì. Quelli dell’Aperitivo è il programma che conduco ogni venerdì alle 19:10 su Radio Piombino. Io insieme ai miei due Amici Stefano Ferrini ed Elena Sue Ellen.
Il martedì, invece, alle 19:10 va in onda la nostra replica ma in TV sul Canale 94.
Radio Piombino è una web radio o una fm?
È una fm e si può ascoltare in tutta la provincia di Livorno e in tutta la provincia di Grosseto.
A Livorno e Grosseto su quale frequenza bisogna sintonizzarsi per Quelli dell’Aperitivo? 98.5 per Livorno e provincia mentre 91.6 per Grosseto e provincia.
Nel vostro programma Radio qual è l’argomento principale? Noi parliamo di spettacolo, di tutto. Facciamo molte interviste. Abbiamo avuto il piacere di avere ospiti come Mogol, Lavezzi, Matteo Beccucci e anche Claudio Lippi. Spesso sono presenti in studio ma a causa delle restrizioni attuali molte interviste sono telefoniche.
A proposito di questo periodo di restrizioni, Quelli dell’Aperitivo ha avuto uno stop nel 2020? No. Siamo stati sempre in onda ma abbiamo trasmesso da casa. Abbiamo solo saltato una puntata per la perdita di una nostra amica, Marzia, che abbiamo ricordato nella puntata successiva.
Giovanni, la musica è la Queen delle Radio. Voi che musica preferite trasmettere? Noi strizziamo l’occhio alla musica indipendente. Le Playlist sono scelte dal mio amico e collega Stefano e la sua playlist al 95% è musica di Artisti Indipendenti.
Momento Marketta. Perché ascoltare Quelli dell’aperitivo? Perché ti diverti e puoi ascoltarlo all’ora dell’aperitivo con un cocktail in mano ed il sorriso in viso.
Quelli dell’aperitivo ogni venerdì dalle 19,10 su Radio Piombino o in streaming su www.radiopiombino.it/liveradio/
Articolo a cura di Lorenzo Amatulli
Non solo talent: Suoniamo su Clubhouse
All Music Italia presenta: Suoniamo su Clubhouse
Clubhouse, creatura di Alpha Exploration, una società che è nata solo nel febbraio 2020. Disponibile per i dispositivi Apple ma non ancora per Android (che è di gran lunga il sistema operativo più diffuso al mondo), è il social network del momento.
Clubhouse è organizzato in «stanze», nelle quali gli utenti possono scambiarsi messaggi vocali.
Una volta chiusa la stanza, i messaggi non vengono registrati ma scompaiono definitivamente.
Non solo talent: Suoniamo su Clubhouse
Clubhouse intreccia una serie di tendenze chiare nei social network e – in generale – nel mondo della comunicazione digitale: uso della voce, contenuti effimeri, attenzione alla privacy.
L’iscrizione è possibile solo dopo aver compiuto 18 anni e non sono consentiti «abusi, bullismo e molestie nei confronti di nessuna persona o gruppo».
Gli utenti non sono tutti uguali: nella stanza si può essere moderatori, speaker o ascoltatori.
Al primo spetta il compito di «curare» la conversazione, invitare gli speaker e dare o togliere loro parola, espellere utenti dalla stanza.
Gli speaker sono coloro che, come dice la parola stessa, parlano; gli ascoltatori (listener) possono assistere e chiedere di intervenire.
Tutti (quindi non solo i moderatori) possono segnalare abusi.
Ed è proprio su questo nuovo social che ALL MUSIC ITALIA, storico portale della musica italiana, ha deciso di dare il via al suo nuovo contest.
Nasce “Suoniamo su ClubHouse”, la prima room serale partita qualche settimana fa sulla piattaforma social del momento, dedicata proprio a chi vuole scoprire nuovi talenti e ai giovani artisti che vogliono far ascoltare le proprie canzoni.
In un panorama complesso come quello attuale, che ha colpito il mondo dello spettacolo, che a causa della pandemia ha visto azzerarsi le possibilità di poter suonare dal vivo, la tecnologia e i
social sono di grande aiuto: basta collegarsi a un’applicazione, come quella di Clubhouse, e avere la possibilità di suonare su base, accompagnati da strumenti o a cappella dei propri inediti davanti al
pubblico presente, composto da addetti ai lavori, autori di canzoni, artisti, produttori ma anche da altri emergenti e da ascoltatori.
Non solo talent: Suoniamo su Clubhouse
L’obiettivo del format è semplicemente quello di confrontarsi sulle canzoni e di dare agli artisti emergenti un feedback, suggerimenti utili ma anche critiche costruttive volte ad un confronto interessante e stimolante.
Dai primi appuntamenti, sono stati gettati i semi per possibili collaborazioni future tra giovani artisti e autori e produttori affermati perché l’obbiettivo della room di All Music Italiaè semplicemente questo, dare un visibilità a chi non ha al momento spazi, in piena linea con lo spirito del sito.
La “stanza” sarà aperta ogni martedì e giovedì dalle 18:00 e la domenica alle 21:00. Per accedere a Clubhouse è necessario essere invitati da chi già ha un accesso quindi, il consiglio è quello di cercare un amico o un conoscente che vi “inviti”.
Per poter partecipare, basterà poi semplicemente collegarsi a Clubhouse ed entrare nella room “All Music Italia presenta: Suoniamo su ClubHouse”.
A tutti gli artisti presenti, nel limite del tempo disponibile, sarà data la possibilità di far ascoltare un proprio brano.
Gli artisti potranno far ascoltare la propria canzone live accompagnandosi con uno strumento, su base o a cappella.
Per gli artisti trapper o per casi eccezionali si potrà far ascoltare il brano anche in versione incisa grazie all’aiuto del Producer e Sound engineer Davide Donghi.
Articolo a cura di Roberto Greco
Etichette discografiche indipendenti: Engine Records
Mi piace prendere per mano i sogni di un ragazzo che non sa dove andare e vedere assieme a lui che è possibile realizzare qualcosa
Etichetta “Milano based” ma nelle vene di Elisa Alloro, fondatrice e general manager dell’etichetta, scorre sangue emiliano.
Il suo è un roster di veri emergenti, quelli che sudano sangue per affermarsi e che, nell’odierno panorama musicale italiano, fanno fatica a trovare la loro meritata collocazione non solo all’interno del mercato discografico ma anche in quello relativo alla musica dal vivo e dei passaggi radiofonici.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Elisa e le abbiamo chiesto di parlarci di questo viaggio che si chiama Engine Records.
Quando e perché nasce Engine Records?
Lo spettacolo è la mia casa da moltissimi anni ma, come diceva Elliott Erwitt “Ho fatto di tutto, ma preferisco il tipo di lavoro che ha a che fare con la condizione umana invece che con gli oggetti”.
Avevo forse un mondo musicale da raccontare dentro di me ma è stato grazie ad un amico che ho deciso di buttarmi a capofitto in questo lungo, e a volte doloroso, viaggio.
Prima dell’etichetta, però, è nata la voglia di curare la parte editoriale di questo mondo. Ho sempre amato il processo evolutivo della canzone, da quando nasce a quando, finalmente, la ascolti in radio. Il mio motto è scritto nell’home page del nostro sito: “step by step, with lots of love”.
Qual è lo stile di Engine Records?
Ho desiderato, sin dall’inizio, che potesse essere eterogenea senza nessuna scelta preliminare di marketing. Pochi cavalli, magari di razza, ma soprattutto buoni.
I miei artisti mi devono piacere. Non mi occupo di ciò che non conosco bene musicalmente, tipo il rap, la trap o l’heavy metal, mercati di nicchia e che non appartengono alla mia cultura musicale.
Etichette indipendenti italiane: Engine Records
Io ascolto molta musica anche di generi molto diversi, dentro di me c’è una vena rock ma sono cresciuta in mezzo alla musica italiana anche grazie alla mia famiglia.
Mi piace prendere per mano i sogni di un ragazzo che non sa dove andare e vedere assieme a lui che è possibile realizzare qualcosa e raggiungere assieme piccoli e grandi traguardi.
Come hai scelto il nome della tua etichetta?
Prima di iniziare questo viaggio avevo un portale che un amico aveva definito “Elise Engine”, il motore che permetteva di far muovere tutte le mie personalità e le mie sfaccettature. “Engine” mi ha seguito nella nuova avventura nel modo più naturale possibile.
Quali sono i servizi che fornite ai vostri artisti?
Ci occupiamo a tutto tondo di quello che serve per la realizzazione del brano. Negli anni attorno a noi si è consolidata una rete di rapporti e relazioni che vanno dal supporto per la stesura dei testi, della struttura musicale e, ovviamente, dell’arrangiamento e della produzione artistica.
Vogliamo avere uno standard di qualità alto, non omologato. Spesso arrivano demo o provini che, in effetti, sono però dei progetti già “chiusi” e troppo spesso lo sono all’interno di una gabbia standard basata sulla moda e la tendenza del momento e molto spesso rendono il prodotto piatto e lo mettono nel contenitore dei “déjà écouté”.
Etichette indipendenti italiane: Engine Records
Come giudichi il mercato che ti circonda?
Lo spazio per gli emergenti, quelli veri per intenderci, non quelli usciti dai talent show televisivi o da “Sanremo giovani”, oramai è ridottissimo. Le programmazioni radiofoniche sono spesso appiattite e omologate agli standard delle major.
È diventato difficile anche proporre nei locali i concerti degli emergenti perché i gestori preferiscono le “cover band” o le “tribute band” perché portano il loro pubblico che consumerà birra e panini.
La nostra etichetta ha, per scelta, un rapporto confidenziale con i propri artisti e non sarebbe possibile rinunciarci perché, alla fine, questa è diventata la nostra cifra stilistica.
Come affrontate la necessità di produrre i videoclip per poter avere sia streams sia passaggi nelle radio-visioni?
Questa è la dolente nota. Se, da un lato, io girerei video tutti i giorni e chiaro che, dall’altro, questo costringe ad aumentare l’investimento nei confronti dell’artista. Non sempre è possibile realizzarli per tutte le canzoni.
Hai parlato di eterogeneità. Chi avete nel roster oggi?
Moltissimi artisti. Nell’ultimo anno abbiamo prodotto i Dharma Flowers, una rock band emiliana che ha partecipato anche a “Sanremo Rock”, Davide Dame, Benedetto un artista hip-hop di qualità internazionali ma anche l’ultimo lavoro di Alberto Foà, un cantautore che ha sulle spalle diverse decine di primavere (ride, nda) , Filippo Rovati ma anche Mattia Bonetti, RAMA e Agostino Celti.
Passiamo ora alla nota dolente, quella di un anno, il 2020, che ha messo la musica dal vivo al palo e ha bloccato una delle grandi chance che gli emergenti hanno di farsi conoscere.
Questo si somma a quanto ti dicevo prima, alla difficoltà attuale di trovare spazio all’interno dei club e dei locali in cui si suona musica dal vivo. Nel nostro roster abbiamo diversi cantautori che vendevano i loro dischi ai concerti. Oggi abbiamo dirottato la distribuzione su Amazon e questo ci permette di raggiungere qualsiasi luogo del mondo e cercare di traghettare questo periodo.
Com’è possibile per uno sconosciuto proporvi la sua musica?
Basta inviare una mail a music@enginerecords.it, la nostra mail. Non serve un brano già finito anzi, preferiamo ricevere quello che una volta si chiamava demo, magari registrato nella propria stanzetta con lo smartphone.
È evidente che Engine Records vuole produrre buona musica e che, soprattutto, non cerca la musica che si auto omologa al mercato. Engine Records ha bisogno di sognare e preferisce farlo con i propri artisti.
Articolo a cura di Roberto Greco
Musica a Teatro: Mauro Toscanelli
Ho da sempre apprezzato, nei film, il commento musicale, la colonna sonora, considerandoli alla pari del lavoro attoriale e registico
Mauro Toscanelli è attore, autore, regista teatrale e insegnante di Dizione e Tecniche di Narrazione.
Dopo aver studiato Recitazione e Dizione con l’attrice Masaria Colucci e Drammaturgia Contemporanea con Dacia Maraini, presso il “Centro Internazionale Alberto Moravia”, ha perfezionando poi la sua formazione presso il “Centro Grotowski”.
Ha collaborato con il “Centro Studi Enrico Maria Salerno”, e con personalità quali Giancarlo Sepe, Giuseppe Patroni Griffi, Roberto Bencivenga, Elena Sbardella, Mamadou Dioume, Alessandra Fallucchi, Silvio Romano, Francesca Bartellini, Danny Lemmo, affrontando sia il repertorio classico (Ovidio, Shakespeare, Molière) che contemporaneo (Calvino, Pirandello, Beckett, Ionesco).
La sua costante ricerca è volta a coniugare i princìpi fondamentali del Teatro di Parola con quelli del Teatro Sperimentale (E. Barba, P.Brook, J. Grotowski).
Nel 2020 è stato pubblicato il suo primo romanzo “Requiem per tre frammenti”.
Recentemente ha vinto come migliore attore alla rassegna romana “Idee nello spazio” con lo spettacolo “Occhio al cuore”, di Emiliano Metalli, messo in scena con l’attore Bruno Petrosino.
Mi racconti il rapporto che hai con la musica in generale?
In famiglia l’interesse e la sensibilità per la musica erano di casa. Da piccolo ricordo che la radio era sempre accesa, in ascolto sui programmi di Arbore e Boncompagni o sulle classifiche di Luttazzi.
Considerando che geneticamente sono nato con la passione per teatro, danza e canto, questa atmosfera familiare non faceva altro che alimentare queste attitudini naturali.
Con l’adolescenza i miei gusti si rivolgono alla musica elettronica, al cantautorato italiano e alla conferma sul gradimento di certa musica “domestica” (Mia Martini, Beatles, Patty Pravo, Lucio Battisti, Mina e Led Zeppelin).
Diventato adulto ho ampliato i miei interessi musicali e ora spazio dalla etnica alla classica in particolare prediligendo il barocco e il “belcanto” italiano.
Di solito sono le voci virtuose che mi coinvolgono (Giuni Russo, Antonella Ruggiero, Yma Sumac) nonché qualsiasi musicista o interprete che abbia attitudine alla sperimentazione, all’esplorazione di territori musicali sconosciuti.
Dedico almeno un’ora della mia giornata ad ascoltare musica di tutti i generi anche e soprattutto di artisti sconosciuti. L’unico genere musicale a cui sono tuttora refrattario è l’heavy metal.
Il Rapporto con la musica sul lavoro?
Ho da sempre apprezzato, nei film, il commento musicale, la colonna sonora, considerandoli alla pari del lavoro attoriale e registico; se quest’ultimo è fatto di corporeità, progettualità razionale e
concreta nel raccontare la parola e gli stati d’animo, la musica, per contro, fa tutto questo in modo immateriale, impalpabile. Allo stesso identico livello.
Non ho mai considerato la musica in teatro o al cinema come un semplice commento “a latere”, residuale, secondario rispetto alla storia raccontata, ma come parte integrante di essa.
Mauro Toscanelli: la musica ha una capacità evocativa molto potente
Tanto è vero che in casa ho centinaia di dischi e cd di colonne sonore di autori anche sconosciuti che hanno lasciato un’impronta nel mio animo talvolta superiore alla qualità della storia raccontata.
La musica ha una capacità evocativa molto potente per me e rappresenta nel mio lavoro un’imprescindibile fonte di ispirazione emotiva e/o di lavoro sul personaggio.
Quando dirigo sottopongo gli attori, prima delle prove, ad un breve training fisico che contempla l’ascolto di brani musicali da me selezionati, in modo da predisporli al successivo lavoro sul testo.
Ho avuto poi la fortuna di lavorare e studiare con maestri del calibro di Giancarlo Sepe che hanno saputo ancor di più indirizzare e canalizzare questa mia attitudine mettendola al servizio della mia professione. Nel corso degli ultimi anni, molti colleghi utilizzano la musica nei loro allestimenti teatrali e li apprezzo per il tipo di lavoro che, a seconda della loro cifra stilistica, eseguono sugli attori.
Non riesco a concepire l’utilizzo della musica in teatro come semplice siparietto di apertura e chiusura degli spettacoli. Agli inizi della mia carriera recitai in uno spettacolo che si apriva e chiudeva con lo stesso pezzo di Mozart, solo perché la regista amava questo compositore, senza che vi fosse un nesso filologico con il testo e il contenuto della rappresentazione.
Talvolta è meglio un più dignitoso silenzio sul palco.
Usi musica originale nei tuoi spettacoli?
Normalmente no, e, anche come attore, mi è capitato raramente di lavorare in allestimenti con musica scritta ad hoc. Il motivo è essenzialmente di budget poiché un compositore reclutato per creare la musica che andrà ad interagire con gli attori, costa di più rispetto all’utilizzo di musica già edita.
È naturale che preferirei lavorare con un compositore, in quanto le sue creazioni sono ideate e progettate proprio per il lavoro che intendo realizzare. È come se fosse un abito su misura, rispetto a quello comprato in un grande magazzino. Senza dubbio la colonna sonora originale aderisce in modo perfetto e più funzionale alla storia raccontata.
Gli autori che prediligo in quest’ambito sono Arvo Part, Eleni Karaindrou, Peer Raben oltre a decine e decine di altri che seleziono continuamente.
Secondo te il pubblico apprezza la musica a teatro?
Dal punto di vista dello spettatore, ritengo che costui rimanga affascinato dalla presenza della musica in scena e che non lo distragga, a meno che la musica prevarichi sulla parola e sulla presenza scenica degli attori, ma quando si fa un lavoro minuzioso di regia sulla taratura e il “dosaggio” di tutti gli ingredienti presenti sul palco, comprese le luci e le scenografie, nulla può prevalere o nauseare lo spettatore, proprio perché la musica è ugualmente protagonista insieme agli altri elementi scenici.
Invece dal punto di vista degli attori?
La mia esperienza mi ha insegnato che l’inserimento della musica nel lavoro, li ha sempre aiutati nel reperimento delle proprie emozioni da trasfondere sul personaggio. Nessuno degli attori con cui ho lavorato si è sentito distratto o addirittura infastidito dalla musica. Grazie al suo immenso potere.
L’importanza drammaturgica della musica è interessante poi nel momento in cui, quando si eseguono delle improvvisazioni propedeutiche alla messa in scena e alle prove di uno spettacolo, si esplora attraverso il proprio corpo la direzione da intraprendere nello studio di un personaggio: si può sperimentare la direzione conforme al mood musicale oppure andare in contrasto ad esso e questo continuo lavorio di sperimentazione ed esplorazione di sé stessi è illuminante.
Che ne pensi dell’utilizzo di musicisti dal vivo? Hai esperienze in merito?
Ci stavo arrivando. A dimostrazione di quanto finora espresso posso aggiungere che, a causa della pandemia sono saltati otto spettacoli in cui ero coinvolto in qualità di regista e/o attore e in tutti vi era un utilizzo significativo della musica in scena.
In alcuni di essi è prevista anche la presenza in scena di musicisti dal vivo poiché il racconto musicale eseguito dal vivo si attaglia maggiormente ad un certo tipo di narrativa teatrale e lo considero più funzionale, nonché più suggestivo.
Mauro Toscanelli, il sogno nel cassetto
In futuro ho un sogno nel cassetto: realizzare un allestimento teatrale che abbia come tema la biografia artistica di un interprete maschile o femminile di cui conosco perfettamente la storia e che preveda musicisti dal vivo che mi accompagnino nell’esecuzione di alcuni brani della sua discografia.
È un progetto di per sé semplice nella sua struttura, ma complesso nella sua realizzazione pratica anche perché prevede la mia rieducazione alla disciplina del canto.
Come vuoi terminare questo nostro incontro?
Con un augurio. Mi auguro, a nome di tutta la categoria cui appartengo, di tornare presto a raccontare storie dal vivo e ad esercitare il nostro lavoro poiché, oltre al disagio economico che siamo costretti a subire, le bocche cucite, i corpi immobili e le menti sopite non fanno bene alla nostra anima.
Articolo a cura di Sergio Scorzillo
Note di Regia: Fausto Brizzi
Una vita a suon di pop
Una grande e dichiarata passione per il pop nella vita e nel lavoro per il pluripremiato regista cinematografico Fausto Brizzi. Sceneggiatore di alcuni dei più rinomati film di Natale, girati dal regista Neri Parenti, Brizzi ha conseguito soddisfazioni e premi con il suo primo capolavoro cinematografico: “Notte prima degli esami”.
Annoverato come fenomeno cinematografico nel 2006, il film ha permesso al regista di conseguire premi quali il David di Donatello, il Ciak d’oro, il Telegatto e lo Sky Award oltre al premio del pubblico al Festival di Annecy. Un ritorno al successo anche il newquel “Notte prima degli esami-oggi” che ha sbancato al botteghino superando addirittura il primo.
Un talento svelato Brizzi non solo nel campo della regia, ma anche della sceneggiatura. Sua anche la scrittura del film horror “La valle delle ombre”. Nastro d’argento speciale come personaggio dell’anno nel 2007 e un premio Diamanti al cinema per la miglior regia al Festival di Venezia nel 2011, hanno consacrato Fausto Brizzi tra i migliori registi cinematografici del nostro tempo.
Il suo amore mai tramontato per la musica pop il regista lo racconta nella seguente intervista.
Fausto come interpreti il ruolo della musica in un film?
La musica ha avuto sempre un peso enorme nei miei film. In particolare nel mio caso ho sempre avvertito un legame forte con i cantautori italiani. In realtà un film si realizza in quattro: il regista, il musicista, lo sceneggiatore e il montatore. Per quanto mi riguarda quindi il musicista è una sorta di coregista.
In che modo scegli i brani che faranno da colonna sonora ai tuoi film?
Le canzoni cerco sempre di sceglierle prima delle operazioni di montaggio del film, mentre la musica di commento faccio un’azione di scouting sui film di altri, cioè prendo musiche di riferimento per fare comprendere al musicista cosa sto cercando.
Mi è capitato invece nel caso di “La mia banda suona il pop” di far produrre un’intera playlist di canzoni finte genere anni ’80. Il musicista con cui lavoro invece alla creazione dei miei film si chiama Bruno Zambrini e non solo è l’autore di numerosissime musiche da film, ma anche di canzoni che ancora oggi raccontano una parte della nostra storia.
Dal mio punto di vista è importante avere un professionista di riferimento fisso dal punto di vista musicale, perché io cerco sempre temi che siano riconoscibili. Ogni tanto capita che scriva io stesso anche i testi delle canzoni per i film in collaborazione con Zambrini.
Spesso però sono i cantautori italiani protagonisti a livello musicale dei tuoi film?
In realtà ho lavorato con veri e propri monumenti del cantautorato italiano: Edoardo Bennato, Luca Carboni, Biagio Antonacci per citarne solo alcuni. La musica in alcuni casi è riuscita a creare addirittura dei legami, infatti con alcuni cantautori è nato poi un vero e proprio rapporto di amicizia, oltre ad un legame professionale.
Fausto Brizzi: Note di Regia
I rapporti con Biagio Antonacci inizialmente sono nati proprio a livello professionale, in occasione di un film che ho portato nelle sale cinematografiche tanti anni fa dal titolo “Ex”, e poi si sono trasformati in una vera e propria amicizia, al punto che ci frequentiamo spesso nella vita.
Luca Carboni è presente con le sue canzoni nei miei film e addirittura ha fatto un cameo in un film dello scorso anno. Nel caso di Bennato ritengo che le sue canzoni siano veramente narrative e quindi adatte a raccontare una scena in maniera poetica e non didascalica.
Nella tua vita c’è stato mai spazio per un rapporto privilegiato con la musica?
Negli anni ’80, come molti della mia generazione, facevo parte di una band. Cantavo, suonavo la chitarra classica e a volte scrivevo qualche testo. Eravamo completamente fuori contesto, infatti cantavamo e suonavamo musica neomelodica.
Il mio rapporto con questo genere musicale è nato fin dai tempi del liceo. Per intenderci Sanremo per me è l’appuntamento televisivo dell’anno e lo scorso anno non mi ha emozionato la presenza di personaggi sopra le righe, ma la reunion dei Ricchi e Poveri. Ho gusti molto pop anche a livello di cinematografia e capisco si possa considerare una perversione (ride ndr) però per me la musica è il pop.
Raccontaci come nasce l’idea di un film?
Cerco sempre di fare film che emozionino su un doppio livello: che emozionino le persone adulte per i ricordi legati magari ad un brano e i giovani per i contenuti. La musica in questo mi aiuta molto, i brani non sono mai scelti a caso, ma sono spesso usati per rievocare situazioni, momenti o epoche.
Un altro dei miei impegni è cercare di fare film senza tempo, che non abbiano riferimenti chiari ad una moda del momento o citazioni che magari dopo anni sono demodé. Riguardo sempre i miei vecchi film proprio per capire se siano un evergreen o meno e soprattutto per capire cosa li abbia resi tali.
Il tuo prossimo progetto?
Attualmente sto facendo magazzino, come si suol dire. Ho girato un film dal titolo “Bla bla baby” tra novembre e dicembre e al momento lo stiamo montando. Si tratta di una commedia dinseyana i cui protagonisti sono bambini di un anno. Restiamo in attesa di capire quando sarà possibile la distribuzione nelle sale.
Articolo a cura di Veronica Ruggiero
On Air 361: Pietro Spallone e Cluster FM
Insieme per i Giovani e a Caccia di Mode Musicali
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai nella Web Radio Cluster FM di Rho, alle porte di Milano, per una chiacchierata con lo station manager Pietro Spallone, 39 enne lombardo e con 16 anni di carriera radiofonica iniziata con Radio Hinterland e che per una voglia di cambiamento e di nuovi stimoli ha proseguito, e prosegue, a Cluster FM.
Ad un tavolo virtuale di un bar, Pietro si è raccontato e ha raccontato la sua passione, il suo lavoro e la sua radio.
Com’è nata la passione per la radio?
C’è sempre stata ma solo da 16 anni mi sono avvicinato alla Radio perché prima non trovavo una Radio adatta a me. Poi è arrivata Radio Hinterland che è una radio FM ed oggi c’è la Web Radio Cluster FM.
Cosa spinge uno Speaker a lasciare una FM per una Web Radio?
La voglia di cambiamento. Il cambiamento è stata la conseguenza di nuovi stimoli. Sentivo anche il bisogno di una nuova immagine.
Quando e come sei arrivato a Cluster FM?
Sono arrivato nel Settembre del 2017 come Speaker. Conoscevo già l’editore di Radio, Alberto Zanni, e su facebook aveva pubblicato un post con il quale cercava voci nuove. Mi sono proposto per scherzo e lui mi ha fissato un incontro e oggi sono lo station manager.
Hai rivoluzionato Cluster FM come station manager?
No. Quando Alberto (Zanni ndr) mi ha proposto di diventare direttore, ed ho accettato, ho rivoluzionato poco. L’unico stravolgimento è stato rendere il palinsesto di flusso. Abbiamo scorporato i programmi diminuendo il talk e aggiungendo più musica.
Pietro Spallone e Cluster FM
A proposito di musica, qual è la musica di Cluster FM e a quali ascoltatori puntate?
La musica più trasmessa è quella latina, trap, la musica che va dal 2000 al 2020. Questo perché puntiamo su un target di ascoltatori con età compresa tra i 15 e 35 anni.
Cluster FM è attiva 24/24 ore?
Si certo. Solo le trasmissioni con speaker vanno in onda nella fascia oraria che va dalle 9 alle 22. E ogni sera abbiamo un programma diverso che tratte argomenti diversi, dalla club music al tutto rosa fino alle attività imprenditoriali.
E tu oltre ad essere station manager, continui anche ad essere speaker?
Assolutamente sì. Conduco un programma la domenica mattina dalle 11 alle 13 ed il sabato pomeriggio alle 18 c’è la mia classifica sulle canzoni più trasmette della settimana da Cluster FM.
Pietro come avete affrontato il lockdown.
Inizialmente siamo stati colti di sorpresa. Da marzo a maggio siamo stati quasi totalmente fermi e senza speaker ma con una programmazione sempre aggiornata e con il nostro Radio giornale.
Momento Marketta. Perché ascoltare Cluster FM?
Perché abbiamo speaker con una loro anima originale e unica. E poi perché a volte anticipiamo le mode musicali.
Cluster FM è disponibile su https://www.cluster.fm/ oppure se avete Alexa vi basterà dire: Alexa metti su Cluster e la musica di questa web radio giovane vi accompagnerà per tutta la giornata in tutti i luoghi, in tutti i laghi, in tutto il mondo.
Articolo a cura di Lorenzo Amatulli
Non solo talent: Music 4 The Next Generation
Spogliarsi dei propri brani inediti per vestire i panni della difficile arte della reinterpretazione
Posticipato al 28 febbraio 2021 il termine per presentare la domanda di partecipazione al concorso dove gruppi musicali e band reinterpretano i brani della tradizione musicale classica alla luce delle sensibilità contemporanee.
Contest unico nel suo genere, il “Music 4 The Next Generation” lancia la sua sfida alla creatività musicale.
Partecipare a questo contest significa spogliarsi dei propri brani inediti per vestire i panni della difficile arte della reinterpretazione.
Difficile anche perché non si tratta di eseguire e proporsi con una cover. Nell’idea di questo festival si ribadisce la trasversalità della musica e si mira al riadattamento di brani classici attraverso i canoni musicali moderni.
Negli anni ’60 queste scelte sono state appannaggio di grandi band internazionali, Emerson Like & Palmer per citarne una, mentre negli anni ’70 e ’80 furono i produttori di dance music che si cimentarono in questo esercizio stilistico.
Il M4NG, questo l’acronimo del contest, propone la sfida a tutti i musicisti, indipendentemente dal loro genere musicale attraverso una libera rielaborazione tematica / armonica / ritmica.
Non solo talent: Music 4 The Next Generation
Fondamentalmente il contest vuole promuovere un approccio di interpretazione della tradizione musicale classica alla luce delle sensibilità contemporanee, che colmi una distanza tra generazioni, tra pubblici e tra mondi musicali diversi.
L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia prima, e le restrizioni imposte dalla distanza sociale poi, hanno colpito duramente il mondo dello spettacolo dal vivo, che ha dovuto rivedere tutti i propri progetti e programmi.
Ecco perché, consapevoli delle difficoltà che gli artisti stanno affrontando in questo momento, le Fondazioni promotrici e sostenitrici del Concorso Music 4 the Next Generation hanno deciso di posticipare al 28 febbraio 2021 la scadenza di presentazione della domanda di partecipazione.
Non solo talent: Music 4 The Next Generation
Al contest sono ammessi gruppi/band, formati da un minimo di due componenti, senza limiti di genere musicale.
Ogni gruppo partecipante dovrà presentare una propria reinterpretazione musicale di uno dei brani presenti nella seguente lista:
La durata complessiva del brano presentato non potrà essere superiore ai 5 minuti. Il brano musicale dovrà avere, a pena di inammissibilità o di esclusione, le seguenti caratteristiche:
adattamento originale e inedito;
eventuali testi non dovranno contenere elementi che violino la legge o ledano i diritti di terzi o che incitino a qualsiasi tipologia di discriminazione razziale, sessuale o religiosa;
eventuali testi non dovranno contenere messaggi pubblicitari a favore di persone, prodotti o servizi.
Non solo talent: Music 4 The Next Generation
Ciascun gruppo potrà partecipare con più brani, fino a un massimo di due ma alla prima selezione passerà solo un brano per gruppo.
La Giuria tecnica è composta da: Caterina Caselli, Produttrice discografica, cantante, attrice, conduttrice Roberto Cipelli, Pianista, titolare della cattedra di Jazz presso il Conservatorio “Bonporti” di Trento, fondatore del Paolo Fresu Quintet Alberto Martini, Violinista, docente di Violino presso il Conservatorio “Marenzio” di Brescia, direttore artistico e musicale de “I Virtuosi Italiani”, direttore artistico del Teatro Ristori di Verona Alessandro Solbiati, Compositore, pianista, docente di Composizione presso il Conservatorio “Verdi” di Milano, collaboratore di RAI Radio3 Gegè Telesforo, Cantante, musicista, conduttore televisivo e radiofonico (Radio24)
Il M4NG è realizzato grazie alla collaborazione tra quattro fondazioni di origine bancaria: Fondazione Caritro, Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, Fondazione Cariverona e Fondazione Cariparo.
Le iscrizioni sono aperte sino al 28 febbraio prossimo. Maggiori informazioni al sito https://www.m4ng.it/it/.
Bit Records, un’etichetta indipendente che, dopo un passato dedicato alle produzioni dance, da qualche anno si è aperta al pop italiano
Mauro Vai è il general manager di Bit Records, un’etichetta indipendente che, dopo un passato dedicato alle produzioni dance, da qualche anno si è aperta al pop italiano. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente e ci siamo fatti raccontare da lui la storia della sua etichetta.
Quando inizia la storia di Bit Records?
L’idea nasce intorno al 2001 anche se, ufficialmente nasce nel 2003. Ho un passato da Dj, ho fatto lo speaker in radio e un giorno mi sono fatto una domanda: “Ma tutti questi borderò SIAE che compilo portano guadagno?” di lì a poco mi sono iscritto alla Siae, ho iniziato a scrivere i miei primi pezzi e, in quel momento, ad auto produrli.
Ho cominciato ad avere un piccolo ritorno economico e questo mi ha dato lo sprone per aprire una mia etichetta, per produrre al meglio i miei brani. Poi, la musica va da sola e le energie si sommano e ho cominciato a produrre come Bit Records brani scritti da altri e a produrre le compilation dance.
Da quel momento abbiamo smesso di essere un “vanity label”, come si dice in questi casi. Sempre da quel momento abbiamo iniziato a ricevere moltissime demo che, contrariamente a quanto fanno altri, noi ascoltiamo con attenzione.
Vi occupate solo di dance?
No e a questo proposito, per legarmi a quanto dicevo poco fa, ti racconto la storia del rapporto con una delle ultime acquisizioni nel nostro roster. Nel 2015 mi arrivò un demo di Roccuzzo, in quel momento uno sconosciuto. Mi venne la pelle d’oca e lo ricontattati immediatamente.
Scoprii che era stato ignorato da tutte le altre etichette che aveva contattato. Oggi Roccuzzo è un artista sul quale stiamo investendo e che, anche grazie alla sua partecipazione a X Factor 2020, siamo sicuri che troverà una sua strada all’interno del panorama della musica italiana.
Come vi siete diversificati, invece, nel campo delle compilation dance?
Ci siamo sempre guardati attorno senza pregiudizi. Abbiamo anche prodotto, in collaborazione con Tre, le prime video-suonerie quando non c’era ancora lo smartphone. Abbiamo prodotto i brani musicali dei pupazzi. Hai presente quelli che si trovano negli autogrill?
Siamo riusciti a entrare anche in quel mercato. Ovviamente le compilation dance, anche se il mercato si è ridotto rispetto ai primi anni del 2000, hanno una loro nicchia di mercato dove è necessario proporre innanzitutto qualità.
E sul fronte del pop, invece?
Abbiamo prodotto, oltre a Roccuzzo di cui ti ho parlato, Danilo Amerio, Matteo Beccucci che vinto X Factor nel 2009, oltre a diverse band emergenti. In questo momento cominciamo a essere anche conosciuti per le nostre produzioni pop e hanno cominciato ad arrivarci diverse demo interessanti proprio del filone pop italiano.
Si tratta ovviamente di artisti che hanno bisogno di essere seguiti e sui quali è necessario fare un lavoro calibrato per riuscire, nel giro di un paio d’anni, a far uscire due o tre singoli per farli conoscere e rilasciare quindi un album.
Mi parlavi prima, di Danilo Amerio
Stiamo parlando di un grande artista. Nel 1994 produsse il brano “Signor Tenente”, scritto e cantato da Giorgio Faletti, che arrivò secondo al Festival di Sanremo e che dal 2013 ad oggi ha prodotto molti album di giovani emergenti.
Con lui abbiamo un rapporto privilegiato ed è a lui che affidiamo i nostri giovani artisti, come è successo con Roccuzzo. Danilo non è solo un ottimo musicista e un importante autore ma Danilo è anche un grande coach vocale.
Come vi organizzate per le vostre produzioni?
Abbiamo un nostro studio interno specifico per le produzioni dance e collaboriamo con studi esterni cercando di indicare al nostro artista quello che reputiamo più adatto per il suo mood musicale. Anche per quanto riguarda la produzione dei videoclip cerchiamo di consigliare ciò che è meglio per l’artista.
Com’è andato questo terribile 2020?
Noi ci occupiamo principalmente di dance ed è dallo scorso mese di marzo che non si fanno serate, a parte una piccola parantesi estiva. Fortunatamente i diritti Siae arrivano l’anno successivo ma (ride, nda) il problema si porrà nel 2021 perché nel 2020 non abbiamo praticamente lavorato.
Abbiamo avuto ottimi posizionamenti e risultati a livello di streams ma anche in questo caso, lo dicono dati mondiali, il settore ha subito una flessione del 20%. Ammettendo che per la prossima estate si possa ricominciare a riaprire le discoteche, a organizzare live show, forse, renderemo meno cupo il nostro, e quello dei nostri artisti, 2022.
Per la promozione dei vostri artisti come vi siete organizzati?
Oltre a un ufficio stampa esterno cui ci siamo affidati ma abbiamo un rapporto diretto con i principali programmatori e direttori artistici delle principali radio italiane e questo, in molti casi, ha fatto e fa la differenza.
Com’è possibile per gli artisti emergenti proporvi la loro musica?
È molto semplice. Basta una mail all’indirizzo info@bitrecords.it con allegato il brano, anche se è realizzato con lo smartphone o con il tablet. Se c’è l’idea non serve altro. Preferiamo ricevere un mp3 perché lo condividiamo con tutto il gruppo di lavoro per avere più pareri sul brano.
Cerchiamo di rispondere a tutti anche in caso negativo ma succede che, in alcuni momenti, non riusciamo a essere celeri.
Bit Records affronta le sfide del post-pandemia con molto ottimismo. Non solo più etichetta dance, siamo sicuri che proprio grazie alle loro calibrate scelte, nel loro roster entreranno giovani talenti della musica italiana.
La musica per me è fondamentale. Mi aiuta a “entrare dentro”, mi collega subito con la mia immaginazione, è una specie di mondo parallelo in cui le cose, comunque, vanno bene, anche nel dolore
Ma si sente irresistibilmente attratta dalla regia e soprattutto dalla pedagogia attoriale.
Non trascurando di calcare le scene, per 10 anni ha insegnato alla Scuola di Teatro del Piccolo Teatro di Milano e per 5 presso l’Accademia del Teatro alla Scala.
Dopo l’incontro con Anatoji Vassiliev in Russia nel 2005– che lei stessa definisce decisivo per il suo futuro –si trasferisce in Gran Bretagna dove fonda Charioteer Theatre dedicandosi alla realizzazione di spettacoli in lingua inglese per ragazzi dai 13 ai 19 anni.
Si specializza quindi nel lavoro con e per gli adolescenti, alternando la guida di corsi e laboratori con la regia.
Da alcuni anni si è trasferita nel nord della Scozia e vive in un eco-villaggio dove si dedica alla pedagogia e alla ricerca, ma torna spesso in Italia a portare i propri spettacoli, o a partecipare come attrice a importanti produzioni.
Ha sviluppato un suo metodo di lavoro in cui il teatro ha la funzione di collegare l’uomo alla natura e di supportarlo nella realizzazione del proprio scopo legato al pianeta: Eco Teatro; offre regolarmente laboratori per artisti in Italia e in Gran Bretagna creando percorsi alternativi che aiutino alla scoperta della propria identità individuale e collettiva.
Iniziamo parlando del tuo rapporto in generale con la musica. Cosa ascolti? Cosa ti piace o cosa ti piace meno?
La musica per me è fondamentale. Mi aiuta a “entrare dentro”, mi collega subito con la mia immaginazione, è una specie di mondo parallelo in cui le cose, comunque, vanno bene, anche nel dolore. Si, perché anche nel dolore mi accompagna in modo comunque piacevole, sopportabile. Vado a periodi, e spesso ne ascolto molta, tendenzialmente sempre le stesse cose. Ritornare agli stessi suoni a cui ti sei affezionato ti dà sicurezza, no? Come gustare la madeleine per Proust…
Ascolti più classica o leggera?
Musica classica molto, ma anche contemporanea come ad esempio Tsapropoulos…adoro quel genere, il suo genere. Spesso nei seminari uso Einaudi, perché non evoca sbalzi emotivi forti, non provoca alterazioni violente, diciamo, quindi mi serve perché se uso musica durante gli esercizi voglio che la persona riesca a trovare lei la sua strada, e con quel tipo di tappeto sonoro non resta molto influenzata.
Ascolto anche tanto Sara Jane Morris, Pink Martini. Sara l’ho conosciuta, la adoro, è molto teatrale. Poi musica pop che piace agli adolescenti: Lewis Capaldi, Ed Sheeran, me li sento volentieri, ma quelli che mi danno peso sono soprattutto i classici. Non mi piace molto il jazz in generale, ma ascolto un po’ di tutto: rap, etnica. Le musiche sono come i libri: bisognerebbe leggere un po’ di tutto, quindi ascoltare un po’ di tutto.
È importante, soprattutto per chi si occupa di arte. Un artista per acquisire più colori sulla propria tavolozza deve ascoltarne tanta di tutti i generi.
Musica a Teatro: Laura Pasetti
La musica nasce col teatro, dagli albori. Oggi nel teatro di prosa ti sembra sia trascurata?
Secondo me abbiamo perso il contatto, abbiamo perso il dialogo con tutto quindi anche con la musica. Se non si tratta di un musical, ritengo che si, che sia trascurata, è spesso solo un accompagnamento, o viene usata per i cambi scena, invece è interessante quando c’è un dialogo. Alcune cose dovrebbero essere affidate solo a lei, in momenti magari in cui in scena non avviene quasi niente, ma grazie a lei si entra in quel mondo lì.
Mi spiace ammetterlo ma anche io finora non ne ho “usata” abbastanza, per motivi diversi, ma penso che la musica sia anche più importante della parola, per quanto è evocativa e sottile, per cui ho intenzione di lavorare di più su questo, anche grazie agli stimoli che mi stai dando con queste domande….
Tu hai lavorato con Strehler, che aveva al suo fianco un musicista eclettico come Fiorenzo Carpi, come al fianco di Brecht c’era ad esempio Weill. Ritieni che un compositore sia, o possa essere, una sorta di altro drammaturgo?
Certo. Io ho vissuto molte prove anche dell’Arlecchino, a cui ho partecipato, e in cui Carpi era presente. La cosa bella è che appunto lui seguiva le prove, poi a un certo punto Strehler gli chiedeva di mettere in musica quello che aveva visto.
Lui si rintanava in una delle aule (guarda caso l’aula Brecht) e ridiscendeva in sala dopo un’ora con un piccolo pezzo, magari semplicissimo, ma che racchiudeva a livello sonoro quello che era avvenuto. C’era un rapporto, tra il regista e il musicista, stretto e bellissimo.
Comunione d’intenti, affinità ecco. Ora succede, ed è successo anche a me, che il regista commissiona, da lontano, spiega al compositore cosa vorrebbe e lui scrive sul pentagramma.
Invece ultimamente ho chiamato una compositrice e le ho chiesto di seguire tutto il corso on line che stavo tenendo, perché ritenevo fosse importante che lei fosse lì a vedere, a vivere quello che stava succedendo. Il compositore dovrebbe essere parte proprio del team di regia.
Il pubblico?
Il pubblico bisogna riabituarlo ad ascoltare, oltre a vedere. Quello che avviene in scena è parola, azione ma anche suono. La gente ha perso l’orecchio, ascolta ogni genere di spazzatura, anche perché da sollecitazioni sonore di ogni genere siamo tormentati, ne siamo immersi … diventa tutto soprattutto rumore.
Si dovrebbe riabituarla ad ascoltare. Un tempo la musica aveva una funzione teatrale, raccontava. Poi è nata l’opera, ma dovrebbe tornare ad essere importante sempre, a teatro, è vero: non solo uno stacchetto.
Gli attori si sentono appoggiati o distratti dalla musica di sottofondo?
Non c’è abitudine. Dipende dall’attore, alcuni apprezzano altri no. Ho diretto uno spettacolo in cui ho inserito una musicista dal vivo, questa è la cosa che mi piace di più in assoluto e sto andando ancora in quella direzione. Per la prossima mia produzione vorrei avere fisarmonica e flauto irlandese in scena. I musicisti però devono essere parte del tutto, avere il loro spazio e il loro senso. Devono essere in scena, essere attori, la loro funzione è essere parte della scena.
Cosa impedisce di cercare autori compositori?
Problema di costi soprattutto. La commissione, a parte i diritti d’autore. Molti altri registi lo farebbero volentieri, cercare un compositore da avere a fianco. Ormai la questione economica soprattutto per le compagnie medio piccole, è decisiva. Peccato perché appunto la musica può fare tantissimo, arrivare dove la parola non arriva. Se ci fosse una società di drammaturghi musicali che avesse a cuore la problematica…Qui in Scozia c’è più consapevolezza per esempio di chiamare un drammaturgo, più che in Italia, per un allestimento, ma per quanto riguarda la musica no. Nemmeno qui.
Se metti in scena Shakespeare pensi alle musiche d’epoca magari già scritte o vorresti inserire tutt’altro?
Vorrei trovare un rapper che facesse una contaminazione, delle variazioni, degli arrangiamenti, una cosa nuova contemporanea partendo dagli spunti antichi, se ci sono. Richiamo al passato ma attualizzato, come da drammaturgo si fa per il resto della messa in scena.
Al cinema la musica è fondamentale, certe musiche sopravvivono anche al film.
Infatti. Sarebbe bello succedesse anche per le musiche scritte per la scena, come abbiamo detto che è successo, ad esempio, con alcune di Carpi o di Kurt Weill. Non disperiamo…
Nelle scelte musicali ti fai aiutare dai tuoi interpreti?
Assolutamente si. Spesso mi capita di dirigere una scena e un’improvvisazione e chiedere a loro: che musica o che canzone ti viene in mente? Io lavoro tanto con i giovani, e i ragazzi ascoltano molta musica, anche molto colta e son capaci di fare collegamenti impensabili.
Ricordo uno dei miei allievi di quindici anni che mi ha citato una canzone di Mino Reitano a proposito di un riferimento sonoro o di testo particolare che cercavo. Incredibile…Son capaci di connessioni inaspettate.
L’incontro con Vassiliev in Russia ti ha dato una svolta di vita fondamentale, vero? Anche per il tipo di teatro che fai ora, non convenzionale.
Eh si. Mi ha davvero aperto la mente in modo speciale. Ho cominciato a pensare al teatro in modo tutto diverso, al suo senso etico, alle sue ancore profonde, alla disciplina. Non sono più riuscita a pensare che il percorso di un attore può essere distinto dal suo percorso di vita.
L’attore per me non fa un mestiere, intraprende una missione. E un “missionario” ha bisogno di un luogo privilegiato, nutriente, stimolante, da proteggere, e da cui farsi proteggere. Ho trovato questa mia terra in Scozia….
E adesso?
Adesso parto con questo nuovo progetto che ho intitolato “Teatro delle Sette Direzioni”, un approfondimento in comunione, sulla missione dell’Artista in questo periodo così buio, sull’Ecoteatro, cioè su una forma di rappresentazione sostenibile, su riconnessioni e su tanto altro.
Si parlerà anche di musica?
Sicuramente…Di musica e di silenzio.
Chi volesse avere più informazioni su Laura Pasetti e i suoi progetti può visionare la sua pagina fb, la sua pagina web o quella di Charioteer Theatre
Articolo a cura di Sergio Scorzillo
Note di Regia: Raffaele Maiolino
La musica è un veicolo di emozioni
Secondo il regista Raffaele Maiolino la musica è un vettore di emozioni e sentimenti. Laureato all’università La Sapienza di Roma in Tecnologia della comunicazione, Maiolino è l’artefice di alcuni dei più bei programmi proposti dalla Rai.
Linea verde, Linea blu, Cose nostre, sono solo alcuni esempi dei documentari che il regista riesce a realizzare per il piccolo schermo con magistrale professionalità, portando all’attenzione del pubblico realtà altrimenti inesplorate. Tradizione, cultura, piccoli momenti di vita quotidiana che sullo schermo, grazie alla magia del montaggio, diventano spettacolo. Una carriera iniziata come assistente al montaggio per la trasmissione di Rai2 “Sms”, per poi proseguire come montatore e aiuto regista. Tante le esperienze che lo hanno visto protagonista, all’interno di diverse realtà televisive nazionali. Ormai da tempo lavora in esterna per la Rai. Il suo rapporto con la musica Raffaele Maiolino la racconta nella seguente intervista.
Note di Regia: Raffaele Maiolino
Quando è nata in te la passione per la musica?
Il mio rapporto con la musica nasce dall’infanzia, quando ho iniziato a suonare e studiare l’organo Hammond. Purtroppo il mio progetto si è arenato nel giro di due anni, perché non ero molto interessato e bravo nel solfeggio. Non ho comunque abbandonato la musica e pochi anni dopo mi sono attrezzato e ho iniziato un percorso come dj. In questo caso la parentesi è stata più lunga perché ho protratto questa attività anche duranti gli anni universitari.
Che significato assume per te musica nel contesto della tua professione?
Nella mia professione la musica è fondamentale. La scelta di un brano piuttosto che di un altro cambia completamente. La musica è un veicolo di emozioni. Ricordo alcuni documentari girati a scopo benefico in cui era proprio la musica a veicolare i sentimenti che si volevano esprimere attraverso le immagini.
Note di Regia: Raffaele Maiolino
Nei momenti più drammatici la musica riesce a sottolineare e a far rivivere allo spettatore il pathos della storia. In altre trasmissioni invece i brani contribuiscono alla caratterizzazione di un personaggio o di un particolare momento. Questo effetto si può ottenere anche tramite contrasto. La musica incide sull’effetto finale di un montaggio circa per il 50%. Nel caso delle trasmissioni tv e i documentari che firmo ho una certa libertà sulla musica, quindi posso spaziare. La libertà rende tutto interessante ma anche più complesso e richiede ampie conoscenze.
Riuscire a veicolare le emozioni non è certo cosa semplice. Come ci riesci e come scegli i giusti brani?
Spesso la musica per me diventa anche un gioco, in particolare durante i viaggi in aereo o in treno: guardando i paesaggi all’esterno cerco di costruire una colonna sonora che sia adatta alle immagini. In realtà nel mio lavoro capita di dover fare proprio questo, cioè abbinare musica e immagini. Avendo un passato da dj ho la fortuna di conoscere bene la musica e quindi riesco a spaziare molto tra i vari generi: classica, jazz, rock, a partire dagli anni ’20 fino alla contemporanea, quest’ultima meno interessante per me. Per quanto riguarda i generi che meno conosco invece mi affido molto a Spotify e a volte anche a consulenti musicali che mi aiutino a comprendere quale sia il genere più efficace.
Quale tra le trasmissioni che hai firmato oggi ti rende orgoglioso del tuo lavoro?
Mi ritengo un professionista molto fortunato perché ho collaborato a trasmissioni che mi hanno dato sempre grosse soddisfazioni. Lavorando in esterna per la Rai si fanno incontri estremamente interessanti: persone che sono autentiche storie di tradizione, vite a volte incredibilmente segnate da situazioni paradossali. Girare un documentario permette di toccare con mano alcune realtà che dall’esterno si possono sottovalutare. Oggi con i mezzi moderni il montaggio è più semplice, quindi anche il nostro lavoro sotto un certo punto di vista, quello che rimane veramente importante è l’idea. I mezzi tecnologici hanno consentito a tutti di poter realizzare e diffondere video e montaggi. L’idea è quello che distingue un lavoro degno di nota e lo rende unico.
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