Il viaggio virtuale tra le Radio Italiane

“Quando mi intervistano alla radio e mi chiedono cosa mi piace di più tra radio, televisione e cinema rispondo sempre “la radio”, è pur vero che se mi intervistano in televisione rispondo “la televisione” e se mi intervistano alla prima di un film dico “il cinema”.

Ma la radio ha qualcosa in più.” (cit Nino Frassica)

On Air 361
Lorenzo Amatulli negli studi di White Radio (Foto © Lorenzo Amatulli)

E noi di ON AIR 361 vogliamo farvi scoprire cos’è quel qualcosa in più.

Pronti, Partenza, Via!
Parte ON AIR 361 un tour tra le Radio italiane guidato da Lorenzo Amatulli, 36enne pugliese ma toscano d’adozione e speaker radiofonico di White Radio con la passione per la musica, per il gossip e per le interviste.

Con zaino in spalla, barretta di cioccolata, energy drink e Cioè, si andrà alla scoperta di stazioni FM e WEB Radio, di trasmissioni e contenitori interessanti da farvi conoscere.

Ogni Martedi Lorenzo Amatulli ci porterà all’interno delle Radio chiacchierando con speaker e direttori che ci parleranno della loro realtà e la faranno conoscere a tutti i nostri lettori. Un modo per promuovere le Radio ed il grande e meraviglioso lavoro che c’è dietro.

On Air 361: il tour tra le Radio Italiane

Lorenzo Amatulli speacke di White Radio
Lorenzo Amatulli, pugliese ma toscano d’adozione speaker radiofonico di White Radio (Foto © Lorenzo Amatulli)

Scopriremo nuovi programmi, gli artisti che ne hanno fatto parte e le ambizioni di chi la Radio la fa. Conosceremo i loro Ospiti, la musica trasmessa e chiederemo loro una marketta spot.

Lorenzo, emergente nel mondo delle Radio cercherà di carpire le emozioni degli intervistati e di trasferirle ai nostri lettori.

Un autostop immaginario con la Musica a tutto volume perché è sempre bello ascoltare la musica “da Trieste in giù” ma noi di ON AIR 361 ve la faremo scoprire anche da Trieste in su.

L’avventura sta per avere inizio? Sei pronto? E allora vieni con noi, allaccia la cintura e alza il volume della Radio. Ogni Martedi ON AIR 361. Yalla, Yalla!

Articolo a cura di Lorenzo Amatulli 

Fantastico Festival, i concorrenti diventano personaggi e tutto ruota intorno alla loro musica

Non solo talent: Fantastico Festival
Fantastico Festival – logo

Il concorso Fantastico Festival nasce con l’intento di valorizzare i giovani in ambito musicale.
La formula lo rende unico: Fantastico Festival inizia come Concorso, attraverso audizioni live e online, e si conclude come Festival, con una grande serata di musica, luci e ospiti, sopra un colorato e tecnologico palco.

Alla serata finale partecipano coloro che, passate le audizioni, superano anche la fase semifinale che comprende, inoltre, uno stage formativo gratuito.

Coinvolge tanti giovani all’interno di una competizione sana, con regole precise e possibilità di farsi conoscere dagli addetti ai lavori in un’ottica di inserimento nel mondo artistico professionale.

I concorrenti diventano personaggi e tutto ruota intorno alla loro musica!

Una manifestazione ricca di ospiti, che ha visto, tra giurati e parterre, nomi come Aldo De Scalzi, Giorgio Usai, Franco Fasano, Massimo Morini, Massimiliano Damerini, Enrico Bianchi, Lazzaro Calcagno e tanti altri.

Non solo talent: Fantastico Festival 1
Fantastico Festival Teatro di Cicagna, Genova

Nell’ultima edizione, realizzata con una diretta video in streaming e postazione radio nel foyer del teatro, si sono collegate circa 40.000 persone, che hanno seguito in diretta video lo spettacolo attraverso Youtube, Facebook e il sito web di Radio Vertigo One.
Massiccia anche la presenza di spettatori in sala.

Le audizioni iniziano ad ottobre mentre la finalissima si svolge, solitamente, nella seconda metà di maggio.

Al Fantastico Festival possono iscriversi interpreti, cantautori, rapper, cover band e band con brani propri. L’età minima per partecipare al Fantastico Festival è 14 anni compiuti almeno il giorno prima della finale.

Per iscriversi a Fantastico Festival è necessario collegarsi al sito fantasticofestival.it/iscrizione e compilare il modulo d’iscrizione.

Articolo a cura di Roberto Greco 

 

Cafiero Music Pendrive, il progetto per consolidare il legame tra l’artista e il suo pubblico

Cafiero: rock, chitarre e tanta passione
Cafiero rock, chitarre e tanta passione – foto dal profilo Facebook dell’artista

È difficile etichettare Cafiero come un artista emergente. Non tanto per la sua età ma per la moltitudine di esperienze che l’hanno visto coinvolto nella musica. Nel suo curriculum c’è una vastissima esperienza live, in Italia ma anche in Europa e negli States, e molte collaborazioni prestigiose. Il 2011 è l’anno in cui intraprende la sua carriera solista collaborando, prima, con Dolcenera, sua conterranea, e poi con Gianluca Grignani, Eros Ramazzotti, Tiromancino, Nek, Elodie fino al tour, interrotto nel mese di marzo del 2020 causa pandemia, con Raf e Umberto Tozzi.

Nel 2014 è uscito il suo Ep “Suck my Blues”, progetto discografico in lingua inglese, di cui è produttore, autore, cantante e chitarrista. Il suo primo album ufficiale è “Cafiero”, uscito nel 2017 cui segue nel 2018 “Rebirth”.

Nel 2020, in piena pandemia esce “Ti guardo ancora un po’” e nel mese di maggio presenta “Cafiero Music Pen Drive”, il suo nuovo progetto discografico. Si tratta di un lavoro esclusivo in formato Music Pen Drive, dalle dimensioni di una carta di credito, che contiene brani inediti, singoli tratti dall’album di debutto, progetti musicali, sorprese e lascia spazio anche per archiviazione personale.

Quando avviene il tuo incontro con il rock?

Da subito. È stata la prima forma musicale che ho incontrato e che ho potuto apprendere, complici i dischi che ascoltava mio padre. Verso i 10-11 anni ascoltavo Chuck Berry, Elvis Presley, i Beatles. Il rock è stata la mia prima vera influenza musicale. Con le mie prime band ho sempre cercato di andare verso quel genere.

Sono un grande amante di Jimi Hendrix. Penso che il rock’n’roll sia imprescindibile. E poi nel tempo ci sono stati i “Logo”, una band salentina con i quali abbiamo vinto un “Jack Daniel’s Live Tour” che ci ha portato a suonare nel Tennessee, poi i Super Reverb perché quando la musica ti gira attorno non si ferma mai.

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Cafiero: rock, chitarre e tanta passione – foto dal profilo Facebook dell’artista

E il tuo incontro con la chitarra?

Grazie a mio fratello. Lui ha qualche anno più di me e già suonava la chitarra. Io avevo iniziato con il pianoforte, in quel periodo prendevo lezioni e mi stavo orientando, più per volontà di mia madre che mia, verso la musica classica. Mio fratello mi ha coinvolto, vedendomi appassionato alla musica, e mi ha fatto scoprire la chitarra. Abbiamo iniziato a suonare assieme, anche per accompagnarlo. Avevo 8-9 anni quando ho iniziato a strimpellarla e poi è nata quella che è diventata una vera e propria passione.

La tua carriera vede non solo tue produzioni ma anche importanti collaborazioni con grandi artisti come chitarrista. Ci racconti questa scelta?

Per me ha voluto dire potermi confrontare con altri artisti e altri generi musicali. A parte Raf, con il quale ho fatto diversi tour e con cui continuerò a collaborare che già conoscevo perché lo ascoltavo, gli altri artisti con cui ho collaborato non li conoscevo. L’esempio, tra i tanti, è Gianluca Grignani. In quel periodo ero, per così dire, particolarmente esterofilo dal punto di vista musicale e disconoscevo completamente Gianluca e il suo repertorio anche perché non ascoltavo musica italiana.

Lavorare con lui ha voluto dire per me scoprire un artista con il quale condividevo gli stessi gusti musicali e, soprattutto, un grande autore che ha realizzato dei grandi album. Con altri artisti è lavoro e in quei casi è importante mettersi completamente a servizio dell’artista e della sua musica. Per me, comunque, ha sempre voluto dire poter imparare qualcosa di nuovo, da scoprire o da riscoprire e le collaborazioni ti permettono di crescere, non solo musicalmente.

A proposito di Raf, il posto che occupi oggi è quello che fu di Giacomo Castellano, grande chitarrista oltre che grande insegnante dello strumento. Ti sei mai sentito in competizione?

In realtà no. Per me, nella musica, non esiste il concetto di competizione. Ogni chitarrista ha il suo stile, il suo modo di essere. Magari qualcuno ha particolari di doti rispetto agli altri, ma spesso l’artista cerca uno standard, non un fenomeno. Suonare su un palco non è una gara.

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Cafiero: rock, chitarre e tanta passione – foto dal profilo Facebook dell’artista

Il tuo primo album ufficiale è del 2017. Quale emozione hai provato nel vedere il tuo nome come “titolare” sulla copertina del disco?

Più che un’emozione, per me è stata una soddisfazione. Le emozioni hanno, spesso, la caratteristica di arrivare quando le cose sono inaspettate. Fare musica, per me, è invece sempre soddisfazione. In un mondo in cui, spesso, nessuno ti aiuta e nessuno ti regala nulla, poter realizzare un progetto personale grazie alle proprie forze e grazie alle persone che ti vogliono bene, è un’enorme soddisfazione.

È un sentimento che ha un senso compiuto. Io faccio la mia musica. Non ho aspettative di hit radiofonica e di grandi volumi di vendita. È arte, come quando fai un quadro. Il quadro non lo dipingi per venderlo o per esporlo in un museo. Lo fai perché è una tua necessità interiore, indipendentemente da quanti e quali saranno quelli che lo vedranno. Ecco, la mia musica è un po’ così.

Nel 2020 sei uscito con un singolo dal titolo “Ti guardo ancora un po’” e subito pubblichi “Cafiero Music Pendrive”. Vuoi parlarcene?

“Cafiero Music Pendrive” è un album con diversi contenuti speciali. Al suo interno ci sono nuovi e vecchi singoli, anche tratti dal mio primo album di debutto, progetti musicali e sorprese. Per quello che riguarda il singolo, invece, la pandemia è stata, ed è ancora, qualcosa di surreale. Siamo stati costretti a vivere una realtà inaspettata e imprevedibile, come una guerra. In quel periodo ho deciso di dedicarmi a una riflessione interiore.

Una riflessione sull’impossibilità di stare vicino alle persone che ami, ai tuoi parenti, ai tuoi amici, alle persone con le quali condividi i sentimenti. Inoltre si è subito evidenziata la mancanza di fondi, pensiamo alla Croce Rossa, e questo mio granello di sabbia nella grande spiaggia della vita è stata la necessità di mettere la mia arte a disposizione e veicolarla per questo fine. Abbiamo anche voluto utilizzare la musica per raccontare, e quindi sensibilizzare, che era necessario rimanere in casa, che era fondamentale lavarsi le mani.

Il 2020 sarà ricordato non solo come l’anno della pandemia ma anche l’anno in cui non abbiamo potuto fare delle cose, come ad esempio la musica dal vivo. Quanto è difficile fare musica senza poter calpestare i palchi, guardare negli occhi ognuna delle persone che compone il pubblico?

Oggi siamo privi di quella dimensione. Parlando anche con i miei colleghi mi sono reso conto che è inutile pensare a quello che non si può fare perché è fondamentale concentrarsi su ciò che è questa nuova realtà, lo streaming e la musica a distanza. Non ci sono, ancora in questo momento, altre soluzioni. Noi, è vero, viviamo di musica dal vivo, di contatto con le persone, di assembramenti ma tutto questo oggi non è possibile farlo.

Penso che questo sia il modo di reagire senza piangersi addosso. È come se a un contadino, all’improvviso dicessero che non ha più i grandi terreni su cui ha lavorato sino al giorno prima. Che cosa può fare mancando quello che caratterizza il suo lavoro quotidiano? Si deve reinventare. Coltiverà un piccolissimo pezzo di terra, si occuperà dell’orto, pianterà fiori nei vasi. Continuerà comunque a fare il suo lavoro.

Il progetto “Cafiero Music Pendrive” prevede una continua evoluzione. Quali sono i tuoi nuovi progetti per il 2021?

Il progetto è quello di consolidare il legame tra l’artista e il suo pubblico. I live, in questo momento, non possono consolidare questa relazione e ho pensato di usare la tecnologia per creare un legame non statico ma dinamico, essendo aggiornabile. Per me questo rappresenta un continuo stimolo. Sto continuando a produrre. In questo momento ho sufficiente materiale per produrre almeno un paio album. Ho anche riscoperto vecchio materiale che non ho mai fatto uscire e su cui oggi ho ricominciato a lavorare.

In questi anni la fruizione della musica è cambiata e il videoclip è diventato sempre più parte del brano musicale. Qual è il rapporto tra un rocker e questo fenomeno, se mi permetti, poco concreto, poco “roccioso”?

È un’esperienza sempre difficile. Molto spesso il proprio immaginario spazia ma poi la realizzazione pratica risulta essere complicata. Realizzare i videoclip è un altro mondo, è necessaria tanta tecnica, tanta esperienza ed è necessario mettersi nelle mani delle persone giuste.

Nella mia esperienza, compresa quella con Grignani nella quale sono stato coinvolto in molte realizzazioni di videoclip dei suoi brani, ho avuto la certezza che è un campo difficile. Spesso ci si deve accontentare del “minimo sindacale” per problemi di complessità, di mancanza di budget e spesso della mancanza di buone idee.

È molto difficile trovare il balance giusto tra la tecnica necessaria e la capacità di trasmettere l’emozione. Per ora non sono mai rimasto completamente soddisfatto del risultato, né di quelli dei brani né di quelli dei brani di Gianluca.

Hai calpestato i palchi di mezzo mondo, o forse di più. Sogni un palco “irraggiungibile”?

Come musicista non mi è ancora capitato di suonare negli stadi e questa è un’esperienza che vorrei fare, anche se ancora non so con chi e quando potrò farlo. Per quello che riguarda la mia attività autorale, invece, il mio principale obiettivo è quello di fare buona musica e lasciare un’impronta di me per il futuro. Club, locali, piccole piazze, l’importante è che nelle vene della mia musica scorra veloce il sangue del rock.

Buona musica, Cafiero e… let’s rock!!!

Articolo a cura di Roberto Greco 

800A Record  la parola proibita che rappresenta uno statement d’indipendenza mentale e di reazione

800A Records è un’etichetta Palermo based. Attiva dal 2008, abbiamo incontrato Fabio Rizzo, general manager e socio fondatore del progetto e gli abbiamo chiesto di parlarcene.

Etichette indipendenti italiane: 800A Records
Etichette-Indipendenti-italiane-800A-Records

Come nasce l’idea?

Sono un musicista e mi sono sempre occupato, in autoproduzione, della mia musica per la quale ho seguito sempre tutte le fasi, dalla registrazione, all’organizzazione del booking e alla promozione della musica che mi producevo. Questo mi ha permesso di acquisire delle skills che ho cominciato a utilizzare con altre band. Così nasce la consapevolezza che stava diventando qualcosa d’importante e nel 2008 ho deciso di fare il “grande salto”.

Qual è lo stile di 800A Records?

800A Records ha attinto moltissimo, soprattutto ai suoi esordi, dall’underground palermitano. Piuttosto che andare a incidere a Milano o a Roma, diventava possibile farlo a Palermo, dal suo “ventre molle” con la chance di far ascoltare la sua voce e la cifra della sua espressione più genuina. Nel tempo si è tutto sviluppato in maniera naturale. 800A non assomiglia a nessun’altra etichetta indie italiana perchè ha un suo timbro, un suo suono.

Cerchiamo di attingere a formule internazionali, soprattutto come sound, e cerchiamo di contribuire alla costruzione di una nuova scena musicale siciliana, come hanno dimostrato le scelte operate in alcune produzioni di artisti del nostro roster vedi Alessio Bondì e Chris Obehi, artista che proviene dalla Nigeria ma che ha trovato proprio a Palermo e nella musica siciliana una importante vena espressiva. Cerchiamo di collocarci tra il panorama internazionale e la Sicilia.

Etichette indipendenti italiane: 800A Records
Fabio Rizzo courtesy of 800A Records

Da dove viene il nome della tua etichetta? Cosa significa?

Il suo significato è molto palermitano. È una parola cui siamo molto affezionati che, negli ultimi tempi, è stata definitivamente sdoganata. La parola originaria è “Suca” che, come dicevo, ha oggi perso il suo significato più greve. All’inizio 800A celava questa parola “proibita” e oggi, invece, rappresenta uno statement d’indipendenza mentale e di reazione.

Quali i servizi all’artista?

Oggi un’etichetta discografica deve parlare a 360° gradi di comunicazione, d’immagine, di stile, di linguaggio dell’artista. Oltre, ovviamente, del suo sound, delle sue canzoni e tutto ciò che circonda la sua musica.

800A si propone, quindi, come una vera e propria agenzia a tutto tondo intorno ad ogni forma di espressione dell’artista. Tutto ciò salvaguardando e dando continuità al taglio e quindi alle scelte artistiche della nostra etichetta.

Per la registrazione dei brani musicali degli artisti che lavorano con voi, che scelte avete fatto?

Sin dall’inizio, e proprio perché sono un musicista che nel tempo è diventato un produttore artistico, è stata una nostra priorità essere autonomi con un nostro studio di registrazione. Partiamo dall’embrione musicale che l’artista ci propone e, assieme, costruiamo.

Dal provino al brano masterizzato. Non deleghiamo mai, da sempre, a terzi perché è in questa fase che si gioca il sound. Abbiamo creato uno studio, l’Indigo che è situato nel centro di Palermo e che è anche aperto a produzioni di terzi con un nostro staff.

Indigo non è solo uno studio ma un’innovativa residenza artistica che è nata nel 2015 da un’idea oltre che mia, di Oriana Guarino, Francesco Vitaliti, Donato Di Trapani e Maddalena Inglese.

È stata progettata come uno spazio multi-funzionale attrezzato per accogliere artisti, musicisti e viaggiatori. La sua sede è in un luminoso appartamento al primo piano, quello nobiliare, di Palazzo Lampedusa, la dimora che diede i natali e in cui visse Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) scrittore di “Il Gattopardo”.

I miei soci, che sono produttori e ingegneri del suono, con i musicisti che ruotano attorno a noi, quindi batteristi, bassisti ma anche sezioni di archi e di fiati, costituiscono oggi la nostra squadra di lavoro.

È molto importante, oggi, accompagnare il brano con un video anche per poterlo far mandare in onda alle sempre più crescenti “radio-visioni” che stanno affiancando le radio tradizionali. Come vi siete organizzati?

Da pochi mesi, anche in questo caso, abbiamo internalizzato lo staff foto-video. Avevamo sin da subito investito nel nostro studio ma nella nostra prima fase eravamo costretti a cercare partner diversi sia per la parte foto sia per quella video.

Abbiamo trovato le persone giuste e oggi siamo completamente autonomi anche sotto quest’aspetto.

Etichette indipendenti italiane: 800A Records
Rebulait – 800A-Records credit photo by Vincenzo Guerrieri

Quali sono i problemi di distribuzione che incontra oggi un’etichetta indipendente?

I problemi sono quelli che, in generale, riguardano i supporti fisici e il crollo di questo mercato. Nei concerti gli artisti portavano in giro i loro vinili o i loro CD ma proprio questo 2020, un anno in cui le esibizioni dal vivo sono completamente saltate, ci hanno costretto a ripensare la nostra visione. Oggi il supporto fisico va considerato, e trattato, come merchandising dell’artista.

Gli va dato un senso, gli deve essere data una storia ed è necessario promuoverlo nel modo giusto attraverso i canali di comunicazione. Anche sulla distribuzione digitale, però ci sono dei problemi. Se non entri nelle “grazie” dei determinati editor delle principali playlist su Spotify, ad esempio, diventa veramente difficile “fare numeri” che tengano in piedi i progetti. Sono necessari moltissimi streams per poter iniziare a generare guadagni.

È un continuo cercare le strade giuste e necessarie per guadagnare la stima degli editor proponendo qualità e credibilità del progetto al fine di poter realizzare un network con nomi importanti di questo settore. Questa è la sfida che abbiamo oggi davanti a noi.

Qual è lo stato di salute di 800A Records in questo anno caratterizzato dalla pandemia?

È importante il momento, sia quello storico sia quello sociale. Abbiamo voluto farlo fruttare al meglio perché da un lato la pandemia ha fatto saltare tutte le nostre routine, con molte uscite rinviate a causa del lockdown, e sospendere o cancellare i live tour che erano previsti.

Dall’altro, però, ci ha costretti a ripensarci, a chiederci profondamente quale debba essere il ruolo culturale di un’etichetta nel 2020 e quali siano i nuovi mezzi e linguaggi che si possono e si devono utilizzare.

Quest’anno abbiamo avuto la possibilità di verificare ed eliminare le nostre criticità. Siamo riusciti a non fermarci e anzi abbiamo compreso come reagire. Lo dimostrano i nuovi artisti che sono entrati nel nostro roster. Ad Alessio Bondì, Beercock, Chris Obehi, Aurora D’Amico, Angelo Dandelli e i picciotti si sono aggiunti tre new entry che sono Esdra, Gabriele Pirillo e Rebulait.

Etichette indipendenti italiane: 800A Records
Chris Obehi – courtesy of 800A Records

Quindi, nonostante la pandemia, ci sono novità nel roster di 800A Records. Vuoi parlarci di Rebulait?

Lei è una ragazza palermitana, ha vent’anni e la sua cifra stilistica è molto vicina ad un certo avant-pop, simile a quello di Billie Eilish per intenderci.

Super contemporanea, i suoi brani sono realizzati con pochi strumenti, un beat molto importante cui si aggiunge la sua grande attitudine vocale e la sua presenza molto magnetica che fanno tutto il resto.

Altra sua importante caratteristica è che utilizza sia la lingua inglese sia quella italiana, come potrai sentire nel suo primo e prossimo singolo. Debutterà tra qualche settimana con il primo dei suoi due singoli.

Com’è possibile per un artista emergente proporvi la sua musica?

È molto semplice. Ci può inviare un link, ad esempio utilizzando Soundcloud o piattaforme simili che permettono di caricare la propria musica e mantenerla “privata”, o tramite la messaggistica privata delle nostre pagine social oppure con una mail a info@800A.it.

Questa è 800A Records. Se volete sapere di più sui suoi artisti potete consultare il loro sito, che trovate all’indirizzo https://www.800a.it oppure dare un’occhiata alle loro pagine social.

Articolo a cura di Roberto Greco 

Musica e teatro hanno debuttato insieme sulla scena del mondo.

Si son tenuti per mano e sono andati a braccetto per secoli, a volte allontanandosi, a volte sovrapponendosi in intrecci particolari, a volte osservandosi da lontano. E non solo in occidente, ma in ogni dove.

Un rapporto lo tengono sempre, lo tengono ancora. Un filo, stretto o elastico, li lega sempre e li riporta vicini.

Musica a Teatro
Musica a teatro – foto credit Pixabay

Anticamente, quando la rappresentazione era rito sacro, musica, danza, mimica, parola, cercavano insieme la fascinazione del pubblico, poi le forme si sono perfezionate, distaccate, hanno cercato soluzioni diverse. Ed ecco L’Opera lirica, il Musical…il balletto…Ma anche il vaudeville, la commedia musicale, il teatro canzone, il melologo, e tanto altro. In questa mia rubrica che ho intitolato Musica a Teatro voglio indagare lo stato dell’arte, cioè incontrare personalità del mondo dello spettacolo, siano essi registi, attori, pedagoghi, o compositori, e chiedere loro cosa ne pensano di questo rapporto. Come viene utilizzata oggi la musica a teatro, al chiuso o all’aperto, durante uno spettacolo che non sia un “concerto”?

Come pubblico riusciamo a scollegare ad esempio la musica e il film, anche se ci siamo abituati a pensarli insieme. Se pensiamo a un film ovviamente ci aspettiamo che abbia una colonna sonora.

Certe musiche di Williams o di Morricone o di Piovani hanno vita loro, una volta sganciate dalle immagini.

Ma a teatro? È possibile? Per lo meno è ancora possibile pensarli insieme? Si ma come? Accompagnamento? Sottofondo? Elemento drammaturgico a tutti gli effetti?

E così voglio indagare come la musica viene o non viene utilizzata anche prima di uno spettacolo, alle prove, o durante un seminario. E incontrare chi questa particolare musica, che è un testo sonoro, la scrive.  Che forme di spettacolo con musica ci sono oggi e quali sono destinate a un ruolo fondamentale? Scopriamolo insieme.

Magari tirando anche in ballo Weill, Carpi, Purcell, Dowland, Lully, Gaber, Rota o Fo….

Sergio Scorzillo: chi sono?

Musica e teatro sono stati i binari paralleli che han portato il treno della mia vita fino a qui. Mi viene chiesto di allegare il mio curriculum, ma … Come diceva in una battuta che poi diventa canzone uno dei protagonisti di Chorus line: Io sono il mio curriculum? Certamente no. Almeno non solo. (come non sono esattamente solo quello che in foto sorride come richiesto per il servizio).

Il CV ti dice quello che hai fatto ma non ti dice come. Quel che sta dietro. Non si sa per esempio se quel lavoro a cui hai partecipato ti ha lasciato davvero qualcosa, se hai seguito quel seminario felicemente o l’hai mal sopportato, se hai odiato quel regista perché ne sapeva meno di te, se hai pianto in un sottoscala perché in quel momento avevi bisogno anche psicologico di quella parte ma hanno preso un altro…e poi non si vedono le ore passate ad aspettare una chiamata, i fogli strappati perché scrivevi ancora da schifo, prima di avere un riscontro nazionale, e tutti  i panini che hai mangiato sul marciapiede prima delle prove…

Tutto questo, anche e soprattutto, ti forma, e ti fa diventare quel che sei.  Quando si arriva a una certa età si fanno bilanci e si cerca di farli consolatori, per quanto possibile. Si cerca di essere poco duri con sé stessi. Se ci si vuole un po’ di bene. E così: Non ho raggiunto fama e soldi, vero, ma ho fatto un sacco, davvero un sacco di cose con soddisfazione, e sempre con bei riscontri, e ho fatto in fondo tutto quello che volevo, e mica tutti possono dire lo stesso. Recitato, diretto, scritto, cantato… in pochi casi ballato pure (ballicchiato, insomma).

Per parlare di me dal punto di vista artistico potrei iniziare con una frase, un pensiero che mi è venuto ultimamente e che potrebbe attirarmi strali diversi. Spero di essere compreso. “Credo che la mia fortuna come artista di palco sia stata quella di non aver fatto subito una scuola”.

Nel senso che la scuola me la son dovuta fare da solo con quella che in gergo viene chiamata gavettaccia. Che ormai molti non fanno. E quella ritengo sia la scuola migliore. Mi sono affacciato su un palco da piccolo, ho vinto cantando una selezione per lo Zecchino d’oro, e a sedici anni già mi aggiravo con un amico per i tavoli di un ristorante cercando di sperimentare dal vivo, praticamente in diretta, quello che scrivevo la sera prima, fossero sketch o canzoni, e che alternavo a pezzi di altri cabarettisti: Jannacci and company, per dire.

La sensibilità per il pubblico, cercare di capire cosa funzionava e cosa no, sia come attore sia come autore, la devo sicuramente a quello. Gli studi e gli approfondimenti sono venuti dopo, i full a cui ho partecipato per capire meglio la materia, si trattasse di recitazione, di scrittura teatrale o di regia, sono venuti dopo.  Nel frattempo ho sempre recitato, diretto e scritto, e questa è stata una gran cosa.

Musica a Teatro 1
Musica a Teatro – Sergio Scorzillo

Lasciato il cabaret e iniziando ad affrontare la prosa, dopo qualche anno passato come attor giovane e partecipare a piccoli musical per bambini, mi sono messo a disposizione di compagnie per la cosiddetta “la qualunque”, bastava esserci. Quindi suggeritore, il siparista, il tecnico, il fonico, oltre naturalmente l’attore … fatemi fare tutto, ci sto, basta che si metta in scena qualcosa, possibilmente qualcosa di bello, che ritengo valido. Ed ecco tanto teatro del novecento italiano, Betti, Pirandello, Rosso di San Secondo, Fabbri, e i mostri sacri stranieri Jonesco, Beckett, Shakespeare, Roussin, Rostand. Eccetera eccetera eccetera.

Come drammaturgo ho vinto un paio di premi nazionali, come attore solo uno come protagonista, come regista qualcuno ma vabbeh, non sono i premi che fanno la differenza, a mio avviso: certo fanno curriculum. Nel frattempo lavoravo per Ricordi, poi diventata Bmg, poi Universal, poi Hal Leonard e mi occupavo di spartiti. Anche qui musica, ma scritta, stampata.

I binari paralleli, le due strade, le due parti di me (artista o manager) sono sempre riuscito a portarle avanti in contemporanea. Come abbia fatto: mistero, anche per me. Quante ne ho fatte! Cercatemi su Google e un’idea più precisa ve la potete fare.

Così quando si parla di musica e di teatro so di cosa si parla perché di entrambi ho una conoscenza a 360 gradi. Per farla corta adesso dirigo una compagnia che si chiama Reading Gaol (il carcere di Reading dov’era stato imprigionato Wilde) e metto in scena spettacoli scritti da me, di solito scritti su commissione. Trattando temi importanti: Psicoanalisi, Guerra, Rapporti familiari, Mafia, Depressione, Nevrosi. E in tutti la musica è scelta con estrema accuratezza.

Il musical e il cabaret per il momento li ho accantonati ma … mai dire mai. A volte ritornano. Mi rivedrete presto cantare (ancora). Ne sono sicuro. Per ora seguitemi anche qui.

Articolo a cura di Sergio Scorzillo

 

 

Musica, ma non solo note, come la definizione di musica possa essere reinterpretata

Note di Regia: Luca Guerini
Note di Regia Luca Guerini – Sogno (ma forse no) – Alessandro Paolini, Lisa Andreani (foto Valeria Tinti)

È il regista Luca Guerini, dopo 15 anni di esperienza e 87 spettacoli all’attivo, a raccontare come la definizione di musica possa essere reinterpretata.

Laureato in Letteratura, Musica e Spettacolo a “La Sapienza” di Roma, in Sociologia e presso la “Carlo Bo” di Urbino e in Storia dell’arte, il regista debutta come attore il 6 del 1998 in “Equinozio di primavera” scritto e diretto da Pino Leone, per poi frequentare corsi di recitazione, videofilmaker, sceneggiatura presso la Scuola delle arti di Pino Quartullo e proseguendo il suo lavoro di ricerca nel settore attraverso la creazione della Compagnia Skenexodia nel 2004.

La peculiarità degli spettacoli firmati dal brand Skenexodia è che il pubblico non assiste mai in maniera passiva allo spettacolo, ma vi partecipa attivamente.

Da anni Guerini riesce a coinvolgere attori professionisti provenienti da tutta Italia, grazie ad un percorso antropologico ormai collaudato sugli istinti primordiali, che permette di demolire le sovrastrutture e dare libero sfogo alla propria individualità.

Teatro e cinema sono i due campi in cui il regista esprime tutta la sua genialità, nell’uno attraverso il minimalismo e la metamorfosi e nel secondo attraverso le immagini e la fotografia.

Il rapporto con la musica, intesa non solo in maniera classica ma anche come ritmo, lo racconta Luca Guerini nella seguente intervista.

Luca che rapporto hai con le sette note?

Il mio rapporto con la musica è senza dubbio personale oltre che professionale. Ricerco musica particolare, scritta da autori poco conosciuti, che mi appassioni che spesso finiscono nei miei spettacoli.

Conosco bene la musica perché mi sono laureato anche in Letteratura, Musica e Spettacolo quindi ho fatto corsi che mi hanno permesso di conoscerla non solo come ascoltatore ma anche dal punto di vista della scrittura.

Note di Regia: Luca Guerini 1
Note di Regia Luca Guerini – Spoon River – Maria Bartolomeoli (foto Michele Palma)

Il teatro è storicamente la prima forma di rappresentazione. Tu ne sei un geniale esponente. Come impieghi la musica nei tuoi spettacoli teatrali?

Il teatro “secondo Luca Guerini” ha due possibilità: portare in scena uno spettacolo in cui la musica ha un ruolo centrale ed è praticamente sempre presente, oppure portare in scena uno spettacolo in cui la musica sia totalmente assente, o almeno ciò che noi intendiamo tradizionalmente come musica. Non ci sono per me vie di mezzo.

La musica deve avere una funzione, deve dare un piano in più alla storia, serve a dettare delle emozioni o un colore alla scena, non è solo un accessorio riempitivo.

Effettuo quindi una ricerca sulla base delle emozioni che vado cercando.

Note di Regia: Luca Guerini

Non sempre l’emozione viene evidenziata da una musica in linea con la scena che si sta consumando, a volte anche accoppiare scena e musica in totale contrasto provoca interessanti effetti.

Ricordo per esempio “La stanza dei Glicini” in cui avevamo deciso di usare “Memory” come brano musicale di sottofondo durante una scena di violenza.

Questo contrasto tra la delicatezza della canzone e la violenza della recitazione, quindi tra ascolto e visione, è piaciuto al punto da ottenere un importante riconoscimento.

La musica in questo caso ci ha permesso di scandalizzare e stupire al tempo stesso.

Si può stupire in mille modi, anche usando cover particolari di brani noti, dando quindi al pubblico non un brano già interamente noto, ma conosciuto e riadattato alla scena.

L’assenza di musica invece che significato ha per te?

L’assenza di musica pone in certi contesti l’accento sulla recitazione dell’attore. Interessa in quel caso più la creazione di un ritmo attraverso le battute o la voce degli stessi attori.

In realtà anche quella è musica. Sul palco possono nascere ritmi dati per esempio dal battere le mani sul tavolo, quindi parliamo di musica diegetica, che proviene cioè direttamente dalla scena.

Succede spesso che ci sia un autoinnesto della musica dovuto a situazioni particolari, in questo tipo di spettacoli si lascia interamente all’abilità dell’attore il compito di far immaginare al pubblico quello che sta raccontando attraverso la recitazione.

Note di Regia:  Luca Guerini

Capita poi che la musica sia presente in maniera ancora diversa: nelle battute il personaggio cita il titolo di un brano o recita un verso di una canzone popolare oppure gli attori stessi cantano.

Sottolineo inoltre che solitamente porto in teatro scenografie minimaliste, quindi sono gli attori soli in scena a generare le reazioni del pubblico attraverso la recitazione.

Note di Regia: Luca Guerini 2
Note di Regia Luca Guerini – FuoriDentro – Claudio Tombini (foto di Chris Morri)

Nel cinema fai un uso simile della musica o la tua prospettiva cambia?

Spesso ho usato anche nel cinema l’effetto contrario, è una sorta di firma.

In alcuni film genere thriller ho utilizzato brani che stridevano totalmente con quello che stava accadendo sul grande schermo, poi naturalmente attraverso il sincro della battuta con il movimento degli occhi è possibile dare ancora più risalto alla situazione.

Cinema e teatro sono due linguaggi completamente diversi. Anche le storie che trattano sono generalmente diverse, alcune sono adatte ad essere portate in teatro, altre solo sul grande schermo.

In teatro si ha l’attenzione del pubblico presente, che restituisce delle emozioni nell’immediato e mentre si monta la pièce bisogna necessariamente mettere in primo piano le aspettative e le reazioni del pubblico.

In alcuni spettacoli che ho diretto l’ultima battuta smantella tutto lo spettacolo. Il cinema ha due armi in più per sorprendere che si aggiungono alla musica: il movimento della macchina e il movimento della fotografia.

Articolo a cura di Veronica Ruggiero

Roma Music Festival, dare agli artisti la possibilità di sentirsi vivi, di continuare a coltivare la loro passione

Il “Roma Music Festival”, il talent ideato dal produttore Andrea Montemurro con la direzione artistica del maestro Mario Zannini Quirini, è pronto per l’edizione 2021.

Dopo la finale dello scorso 30 settembre, la riapertura delle iscrizioni ha già portato decine di cantautori e interpreti di tutta Italia a proporre la loro candidatura per partecipare alla prossima edizione del “Roma Music Festival”, quella del 2021.

Non solo talent: Roma Music Festival
Roma Music Festival – logo

Il prossimo 6 febbraio, nei prestigiosi studi “Lead” di Roma, si terrà la prima delle audizioni.

In un periodo nel quale l’emergenza Covid ha colpito fortemente il mondo dello spettacolo e della musica, il patron Andrea Montemurro non si ferma e continua a lavorare in modo instancabile alla

prossima edizione: “L’obiettivo prioritario – spiega il produttore e patron dell’RMF – è dare agli artisti la possibilità di sentirsi vivi, di continuare a coltivare la loro passione.

I musicisti e gli artisti in generale stanno soffrendo particolarmente questo periodo di pandemia.

Ai giovani che vogliono proporsi e che vogliono costruirsi una strada nel mondo della musica, costretti a stare fermi da settimane e mesi, vogliamo offrire un’opportunità importante e dare un segnale di presenza, di forza, di continuità.

Il messaggio è quello di non arrendersi alla depressione e alla malinconia portata dall’emergenza sanitaria, ma di reagire con la voglia e la creatività di sempre”.

Era il 2006 quando il “Roma Music Festival” si affacciò alla scena musicale diventandone, anno dopo anno, sempre più protagonista.

Dopo il primo meraviglioso evento che si tenne al Teatro Adriano in Roma, le edizioni successive hanno confermato la qualità artistica e il riscontro discografico della kermesse.

Gli artisti che sono saliti sul podio l’hanno dimostrato.

Tra questi troviamo Jacopo Ratini, vincitore dell’edizione 2009 e poi protagonista sul palco dell’Ariston per il “Festival di Sanremo” e oggi affermato cantautore sulla scena musicale nazionale ma anche Davide Papasidero che, dopo la sua partecipazione al RMF, ha vinto il “Festival di Castrocaro” ed è arrivato alla finale di “X Factor” nelle edizioni italiana e inglese e che oggi è uno dei protagonisti della scena internazionale.

Roma, location del festival, è da sempre stata un elemento fondamentale della kermesse come a voler dimostrare di essere scena musicale consolidata.

Non solo talent: Roma Music Festival 1
Roma Music Festival

Dopo l’esperienza al Teatro Adriano, il festival si è spostato al Teatro Palladium mantenendo inalterate il suo fascino e la sua natura.

Nonostante alcuni anni di fermo, il “Roma Music Festival” è tornato con una maggiore grinta al fine non solo di riprendere a pieno titolo il proprio ruolo all’interno della promozione della musica

emergente ma con la consapevolezza di poterlo fare in grande stile e lo dimostra l’importante campagna mediatica che accompagna l’apertura della call.

Il “Roma Music Festival” non è solo il sinonimo di musica emergente e di talento ma anche un vero trampolino di lancio per il talento artistico.

Una sfida che l’organizzazione affronta con la serietà e la responsabilità di chi propone un importante chance agli artisti partecipanti.

Le iscrizioni termineranno il giorno 31 Marzo 2021 ed è possibile registrarsi sul sito http://www.romamusicfestival.com/

Articolo a cura di Roberto Greco 

 

Viaggio all’interno del mondo delle etichette indipendenti

La nuova società digitale ha reso molto più semplici diverse cose, soprattutto quelle che riguardano la fruizione diretta di quelli che vengono genericamente chiamati “contenuti”.

Ad esempio, è sufficiente accedere al sito web di Youtube per ascoltare musica in modo completamente gratuito.

Se, da un lato, questa cosiddetta democrazia digitale permette a tutti, indipendentemente dalla loro classe sociale o dal denaro o dal luogo in cui vivono, di fruire e operare una scelta diretta della musica da ascoltare, dall’altro rendono inevitabilmente invisibile la filiera del settore musicale.

Etichette discografiche indipendenti, grazie di esistere
etichette indipendenti

A meno che non si voglia credere, e non può essere così, che l’artista faccia tutto da solo, è necessario riflettere sull’importanza che hanno tutti gli addetti ai lavori che concorrono alla realizzazione di un brano musicale.

Ed è necessario altresì riflettere sul fatto che non si tratta di spontaneisti che durante il tempo libero, con la copertura magari di un impiego ben tutelato, producono musica.

È questa la parola magica: producono. Ma chi c’è dietro questa parola magica?

Chi produce, ossia investe capitali, la musica che quotidianamente ascoltiamo spesso in forma gratuita?

Etichette discografiche indipendenti, grazie di esistere

L’industria musicale, perché si tratta di una vera e propria industria anche se spesso sminuita, si compone di diversi pilastri fondamentali, uno dei quali sono le etichette discografiche da cui tutto nasce.

Possiamo, per facilità, dire che le case discografiche si dividono in due grandi categorie.

Le prime, le cosiddette major, sono imprese che detengono la maggior parte del mercato musicale.

Sono legate a multinazionali, sono indipendenti dal punto di vista della gestione e si occupano della produzione, della distribuzione e della promozione di prodotti discografici.

Sono la potenza del mercato discografico e fondamentalmente sono tre: la Sony Music Group, L’Universal Music Group e la Warner Music Group.

Etichette discografiche indipendenti, grazie di esistere

Nei loro cataloghi troviamo i più importanti artisti nazionali e internazionali.

Le seconde, invece, sono etichette di varia dimensione, ma più piccole rispetto alle major.

Si tratta delle etichette indipendenti.

Etichette discografiche indipendenti, grazie di esistere 1

Spesso sono imprese di piccolissime dimensioni che si occupano solo della ricerca degli artisti.

Producono e promuovono i prodotti indipendentemente dalle multinazionali e in maniera indipendente dalle logiche di mercato contrariamente alle major che vedono la musica principalmente come un prodotto da cui trarre profitto.

Le etichette indipendenti, anche dette “indie”, che significa indipendente dall’industria discografica e dai modelli culturali correnti ossia alternative, lavorano in modo autonomo e, in genere, non si legano ad altre industrie.

L’etichetta indipendente non ha un roster, cioè una squadra di artisti, molto ampio e solitamente segue pochi artisti per concentrarsi al meglio su di loro.

Etichette discografiche indipendenti, grazie di esistere

Permettono all’artista una maggiore libertà creativa e un controllo globale della produzione ed anche per questo sono preferite dagli artisti rispetto alle major.

L’etichetta indipendente è spesso specializzata in un unico genere musicale oppure si muove entro un campo d’azione che raggruppa generi musicali molto simili.

È stato negli anni ’90 che le etichette indipendenti hanno preso piede in tutto il mondo, anche grazie alle nuove tecnologie e, contestualmente, alla globalizzazione.

Negli ultimi anni le etichette indipendenti hanno registrato una forte crescita e ciò è dovuto sia alla riduzione dei costi necessari per la produzione e sia alla maggiore possibilità di diffusione dei prodotti anche grazie al web.

Sì, perché le etichette indipendenti hanno difficoltà nell’espansione della diffusione del proprio prodotto soprattutto fuori dai confini nazionali ed è per questo che, spesso, si appoggiano ai

distributori e concedono licenze di distribuzione e, a volte, si recano proprio dalle major per la distribuzione perché, non avendo una propria struttura commerciale, stipulano contratti di

distribuzione con le major o con etichette specializzate in distribuzione, cosa che permette loro di avere i propri lavori disponibili nei negozi di dischi e nei player digitali specializzati.

Etichette discografiche indipendenti, grazie di esistere

Ed è per questo che, oggi, vi è uno strettissimo rapporto tra major e indipendenti. Spesso un artista sotto contratto con un’etichetta indipendente viene proposto ad una major dall’etichetta stessa per

poter accedere ad un altro tipo di contratto che gli permette di rimanere “indie” pur essendo alle dipendenze di una major.

Ma etichetta indipendente non vuol dire necessariamente piccola e sconosciuta. In Italia, ad esempio, molti degli artisti più ascoltati nelle radio e più cliccati nei player digitali provengono da etichette indipendenti che hanno però chiuso contratti di distribuzione con le major.

Etichette discografiche indipendenti, grazie di esistere

Etichette indipendenti famose in Italia sono, ad esempio, la Honiro Label che produce tra gli altri Mostro e CiaoSonoVale, oppure Tanta Roba Label, produttrice di Madman e Gemitaiz, la

Carosello Records, che produce Thegiornalisti ma anche Coez e Federica Abbate, la Artist First, produttrice di Giulia Molino e Giulia Penna, ma anche la Sugar Music, che produce

Negramaro e Malika Ayane, oppure la Newtopia, che produce Fedez e Greta Menchi, la Maciste dischi, produttrice di Gazzelle ma anche Galeffi e Canova, la Milano k3, che nel suo roster ha Nahaze, Boss Doms e altri o la Believe che produce Random.

Al fianco di queste grandi etichette indipendenti ce ne sono di molto piccole, alcune delle quali producono un solo artista.

Un artista, per poter avviare la sua carriera musicale, deve necessariamente fare affidamento su una casa discografica se vuole avviare un percorso a livello professionale.

La rubrica che prende il via oggi si propone di accompagnarvi in un viaggio che vi porterà all’interno del mondo delle etichette indipendenti, sia delle più piccole sia delle più grandi.

Attraverso le parole di chi ha creato l’etichetta e che ha deciso di produrre musica capiremo quante “spine” ha la “rosa” della produzione indipendente e come potete proporre loro la vostra musica.

Articolo a cura di Roberto Greco

 

La musica nel sangue e il musical nel cuore.

È il refrain di Ario Avecone regista di alcuni dei più bei Musical in scena negli ultimi anni nei grandi teatri nazionali.

Partito in grande stile nel 2007 con circa 40 date di “MR – Musical Romantico”, interpretato da Nathaly Caldonazzo, Ramona Badescu e Graziano Galatone, Avecone ha poi proseguito la sua carriera fondando la compagnia “Sipario di luce”, con la quale nel 2009 ha messo in scena “Musical of the world”, scritto, diretto e interpretato dallo stesso regista.

Ario Avecone: intervista al regista che racconta del suo lavoro
Ario Avecone in scena (Foto © Ario Avecone).

Solo tre anni più tardi il percorso dell’artista subisce una svolta creativa dando vita ad “Amalfi 839 AD”, un geniale musical storico immersivo in cui il pubblico ha l’occasione di assistere all’evolversi della storia dal centro della scena, un effetto ottenuto attraverso quindi il totale abbattimento della quarta parete.

Nove anni di vita, più di 700 repliche e decine di migliaia di spettatori da ogni parte del mondo, hanno decretato il successo di un brillante e per nulla scontato nuovo modo di fare teatro.

Virtuoso ma poliedrico il regista sposa la magia e il mistero nel 2018, portando al pubblico “Rebellion” che conferma la propensione per il musical storico narrativo immersivo, ma con un’attenzione totalmente diversa alla creazione di atmosfere, ambienti e con una ricerca appassionata sull’utilizzo delle luci e della musica.

Note di Regia: Ario Avecone

La musica epica orchestrale, tipica dell’epoca in cui è ambientato, è infatti fortemente contaminata dal genere rock e dalla musica elettronica. Una scelta decisamente audace, ma vincente, che ha decretato una lunga vita costellata di soddisfazioni allo spettacolo, sospeso nel 2020 a causa della pandemia.

Italiano, ma con una spiccata ammirazione per il mondo anglosassone, l’autore dopo un viaggio a Londra ha portato in scena in Italia il thriller-noir psicologico: “Murder Ballad – Omicidio in rock” e dopo uno stop obbligato dovuto alla chiusura dei teatri, Avecone tornerà forse ad aprile con “Vlad Dracula” un progetto molto originale di cui esiste una breve versione digitale distribuita su Spotify per gli amanti del genere.

Intervista a Ario Avecone, regista di Musical
Avecone è specializzato in musical (Foto © Ario Avecone).

Ario ci racconti il tuo rapporto sia personale che professionale con la musica?

Prima di diventare un regista ero un autore, cantavo ed ero un chitarrista. Ho fatto molte esperienze come chitarrista e mi sono esibito durante numerosi concerti e festival.

È chiaro quindi che la musica per me è un amore, una passione, che non tramonterà mai. Il mio percorso professionale ha avuto una svolta quando ho partecipato alle audizioni per lo spettacolo Notre Dame” di Cocciante.

Partecipando all’iter di selezione, man mano che superavo i provini, mi appassionavo sempre di più al genere musical e alla regia. Fino a quel momento non ero legato al teatro in nessun modo, non avevo mai avuto esperienze dirette con il genere teatrale.

La musica continua però ad avere un ruolo importante nella mia vita sia a livello professionale che personale. Nell’ambito professionale, come autore e regista di musical, la musica è il leitmotiv di tutto lo spettacolo e molto spesso ne detta proprio le regole.

Il mio lavoro nasce generalmente da un’idea, a cui segue la creazione di un plot. La musica arriva appena dopo. Con un plot già definito inizio a comporre, o in alcuni casi a scegliere, le canzoni a seconda delle atmosfere che devo ottenere. In seguito viene tutto il resto.

La musica ha scelto te o tu hai scelto la musica?

Credo che sia stata la musica a scegliere me. Ho iniziato da bambino a prendere lezioni di pianoforte, ma dopo poco mi annoiavo e così ho abbandonato. In seconda battuta invece, già adolescente, mi sono interessato e avvicinato alla musica ascoltando i grandi gruppi rock degli anni ’80.

Ho quindi iniziato a suonare la chitarra elettrica e mi sono riavvicinato a questo meraviglioso mondo. Attualmente invece faccio le orchestrazioni per i musical e quindi ho messo in stand by la chitarra e mi sono impegnato anche a conoscere gli strumenti classici.

Vista la tua grande esperienza sia come musicista che come cantautore ci spieghi in poche parole in cosa consiste la differenza tra la creazione di un brano pop o rock e quello di uno spettacolo teatrale?

Il cantautore tende spesso ad inserire molto di se stesso e della sua esperienza nei brani che crea, invece nelle colonne sonore deve avere la capacità di vedere l’immagine dei personaggi per riuscire a creare una musica che li accompagni nella storia.

Il tuo rapporto con la musica è cambiato negli anni?

Il mio rapporto con la musica non è cambiato negli anni e soprattutto con il cambiare della mia professione. Ascolto sempre ciò che mi piace e paradossalmente non ascolto mai Musical nei miei momenti di relax e di vita privata.

Nella mia attività professionale, pur essendo un chitarrista, preferisco comporre le basi affidandomi allo strumento classico: il pianoforte.

Per quanto riguarda invece i miei personali gusti musicali, nonostante ci sia una divisione netta tra il mio lavoro e il tempo libero, è naturale che ci siano anche delle contaminazioni nelle scelte professionali.

Regista Ario Avecone
Momento di uno spettacolo (Foto © Ario Avecone).

Il musical è un genere molto particolare che richiede capacità interpretative su diversi livelli. Come selezioni le persone adatte a portare in scena i tuoi personaggi?

Scrivere un’opera significa dare letteralmente vita a dei personaggi, spesso la si scrive pensando proprio all’attore che potrebbe interpretare quel determinato ruolo, è normale lavorare spesso con persone con cui si ha già un rapporto di fiducia e una buona collaborazione.

Naturalmente è stimolante anche lavorare con nuovi professionisti.

Per poter far parte di un musical è fondamentale avere una certa capacità interpretativa musicale, non è sufficiente essere bravi nella recitazione.

Nel nostro Paese abbiamo molti bravi attori, ma pochi attori-cantanti, e soprattutto pochi attori- cantanti che raggiungono una certa popolarità a differenza di quanto avviene nel mondo anglosassone.

Questo dipende dal fatto che la nostra cultura sul musical è ancora giovane e non sufficientemente radicata.

 

Articolo a cura di Veronica Ruggiero

Albert, il nuovo singolo “Fernando” tra maturità e sperimentazione

Albert: alla ricerca del proprio io
Albert

Sperimentare. Lasciarsi andare alla creatività. Scoprire sè stessi trovando nuove sonorità.
Leonardo Benedettini, in arte Albert, sa bene cosa significhi mettersi in gioco alla ricerca del proprio io musicale.

Una continua evoluzione quella del giovane artista milanese che lo ha portato a lanciare lo scorso 15 gennaio “Fernando”, il suo nuovo singolo, prodotto insieme al giovane produttore Davide Capellini.

Un inedito che evidenzia un nuovo modo di approcciare alla musica. Più consapevole, maturo e sicuramente capace di trasmettere valore a chi ascolta.

Un ritorno alla canzone d’autore (che lo ha cresciuto musicalmente grazie ad artisti come Bennato e De Andrè) che però si arricchisce di contemporaneità grazie ad un’alchimia innovativa di sonorità diverse tra loro che, inserite quasi geometricamente, trovano il giusto equilibrio in una storia di vita, quella di un contadino (appunto Fernando) alle prese con una esistenza che non regala nulla.

Le sonorità del brano rendono la canzone subito d’impatto grazie a un ritmo incalzante che scandisce le parole.

Albert: alla ricerca del proprio io 1

Sonorità che si allontanano da un sound pop nel vero senso della parola per avvicinarsi ad un funk moderno che rende la canzone piacevole all’ascolto e permettendo di concentrarsi sul testo.

Siamo in un mondo semplice fatto di poche cose in cui solo i più furbi riescono ad elevare il proprio status a dispetto di quelli che non ce la fanno.

Un brano maturo che svela tratti musicali più indie rispetto ai precedenti lavori a cui ci aveva abituato il giovane cantante milanese con la Warner Music.

Albert sembra così ritrovare le sue origini musicali catapultandoci in un mondo artistico tutto da scoprire che con Ferdinando inizia a fare da colonna sonora alle sue storie.

Albert: alla ricerca del proprio io

Insomma le radici musicali di Albert vengono fuori nuovamente e l’artista prosegue quello che aveva iniziato nel 2013 con il suo ultimo progetto musicale CASAMIA, rappresentativo di una costante crescita umana e artistica dal 2013 ad oggi.

Fernando rappresenta l’inizio di un nuovo percorso musicale e di scrittura in cui le vecchie storie popolari vengono rivisitate e riportate al grande pubblico sotto forma di canzone indie/pop.

La morale che si cela all’interno dei racconti diventa così il perno attorno a cui ruota tutta la storia, ed il protagonista di ognuna riflette i tabù e gli stereotipi tipici dell’epoca in cui si ambientano le storie che altresì risultano altrettanto moderni.

Articolo a cura di Victor Venturelli 

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