Il quarto d’ora di notorietà non si nega a nessuno.

Ascoltando le programmazioni musicali proposte dalle radio o leggendo di musica su molti quotidiani o riviste sia cartacee sia online, è sempre più normale trovare artisti e brani musicali derivanti dai diversi talent show televisivi.

Anzi, si potrebbe dire che la loro presenza rappresenta un vero e proprio monopolio dell’informazione musicale.

Da “X Factor” ad “Amici”, da “The Voice” a “Io canto”, per citare i più noti, è un continuo fiorire di format, rigorosamente tutti uguali, che assicurano, grazie alla presenza delle telecamere e al

televoto, quel famoso/famigerato quarto d’ora di notorietà che Andy Warhol diceva non si nega a nessuno, visto che l’attuale tendenza ha convinto che “sei se appari”.

Non solo talent, quando la televisione la fa da padrona

Vittime principali, inevitabilmente, sono gli ascoltatori che sono costretti a sorbirsi i “nuovi talenti”, ossia quell’ampio manipolo di aspiranti artisti giudicati, molto spesso, da altrettanti vincitori di talent oggi assurti all’onore del poter esprime giudizi.

Nessun rischio, peraltro, hanno intenzione di correre le emittenti radiofoniche o quelle televisive perché, oramai, il vecchio e sano concetto di “hit” è svuotato dal suo tradizionale significato e così, l’altra vittima eccellente è la musica perché l’invadenza televisiva, oscura gli autentici “talenti” che non trovano inevitabilmente lo spazio per essere messi in onda, in quanto quello spazio è riempito dai protagonisti dell’attività di “scouting” eseguita dalle varie reti.

Non solo talent, quando la televisione la fa da padrona

Ma di una serie di cose siamo sicuri. Ad esempio che la storia del rock, del pop, del soul è piena di grandissimi artisti che sono stati mandati in onda da coraggiosi disc-jockey che hanno scommesso in prima persona e li hanno imposti nelle scalette di programmazione musicale.

L’altra è che far finta che i talent show non esistano e non siano diventati un fenomeno di massa sarebbe ridicolo, ma far passare il concetto che solo lì, all’interno degli studi televisivi, passi il nuovo modo di fare musica è una stupidità che va assolutamente evitata. E allora?

Proprio nel 2020, quello che sarà ricordato come l’anno della pandemia, i vecchi e sani contest, ossia quelle kermesse che si svolgevano “in presenza” e che fornivano un palco come vetrina, hanno vissuto una inevitabile trasformazione.

Negli anni alcuni di questi contest sono diventati dei veri e propri brand che garantiscono qualità e scelte che non necessariamente tengono conto del mercato istantaneo che oggi sembra la nuova parola d’ordine del mercato discografico.

Non solo talent, quando la televisione la fa da padrona

Chi non conosce il “Premio Tenco” e chi non ha mai sentito parlare di “Arezzo Wave”? Ma questi sono solo i più conosciuti, oltre che longevi.

Ci proponiamo di condurvi in un viaggio attraverso i vari contest che animano tutta la penisola, contest a volte monotematici e in altri casi aperti alla musica a 360 gradi.

Molti, in questo 2020, hanno utilizzato la forza dello streaming per dare continuità al loro percorso mentre altri, più basati sulla forza del live show hanno posticipato i loro appuntamenti ma, come sempre, i giochi sono ancora aperti anche senza i talent.

Articolo a cura di Roberto Greco 

“L’amour toujours” di Gigi D’Agostino rivisitato dai mitici artisti della dance anni ’90!

“L’amour toujours” di Gigi D’Agostino
L’Amour Toujours – cover

“L’amour toujours” il noto capolavoro di Gigi D’Agostino, rivisitato dai noti produttori Dj Jump e Roby Giordana che con perseveranza e grande determinazione chiamano a raccolta gli artisti della dance anni ’90.

Dj Jump, al secolo Giampaolo De Cesare  dichiara: “Abbiamo deciso di riprendere in mano questa storica cover per unirci in un’unica voce e far sentire che non abbiamo mai smesso di lottare in questo periodo grigio. 

La scelta de “L’amour toujours” è perché racchiude quello che fu il periodo più florido della dance in Italia e nel mondo”.

Al progetto hanno aderito con entusiasmo: Nathalie Aarts, Ann Lee, Neja, Haiducii, Kronos, Dj Maxwell, Regina, Luca Zeta, Rebh, Jack Mazzoni, Kim Lukas, Lady Hellen, M-Violet, Dj Samuel Kimkò, Karol Diac, Brothers, Luca B1 Piazzon, Emanuele Caponetto from Mania 90.

Il produttore Roby Giordana aggiunge: “Parliamo di artisti che hanno portato la loro musica dai palchi del Festivalbar alle platee dei Festival Oltre Oceano.

Sono artisti che ancora oggi vivono di musica e che, avendo subito l’arresto forzato dei concerti, si sono trovati senza poter lavorare.

Ecco perché hanno sposato l’iniziativa: per poter cantare, condividere la gioia della musica e il dispiacere del silenzio artistico”.

A confezionare discograficamente il progetto è New Music International, l’etichetta che in oltre 30 anni di attività ha realizzato progetti dance ancora oggi ballati in tutto il mondo.

“L’amour toujours” di Gigi D’Agostino rivisitato dai mitici artisti della dance anni ’90!

Il progetto è uscito  l’11 dicembre su tutti gli store digitali e oltre al valore stesso della canzone, si aggiunge l’atmosfera natalizia del videoclip ufficiale, realizzato con i volti di tutti gli artisti che hanno inviato la loro parte cantata nelle proprie case, nel perfetto clima della festività più amata nel mondo.

La precisa volontà di tutti gli attori coinvolti in questo progetto è stata di devolvere in beneficenza il ricavato della canzone e la scelta è caduta  su Scena Unita, il Fondo per i lavoratori della musica e dello spettacolo, non solo per il valore sociale ma anche per un forte senso di appartenenza all’idea maturata da artisti e da personalità dello spettacolo italiano.

L’obiettivo di SCENA UNITA è di dare un concreto e immediato aiuto ai lavoratori del mondo dello spettacolo colpiti duramente ed impossibilitati ad operare e, al contempo, sostenere progettualità che determinino una ripartenza del settore.

Queste forti motivazioni non hanno lasciato dubbi sulla volontà di condividere lo stesso pensiero, lo stesso valore all’intero team di lavoro.

 

Giovanni Trimani: “L’Arte è di chi riesce ad osservare”

L’arte si rivolge all’uomo, e qualunque uomo, giovane o anziano, lavoratore del braccio o della mente, con istruzione o ignoranza è pur sempre uomo. E tutti li uomini sono in grado di comprendere e osservare il pensiero e le emozioni che si celano dietro un’opera d’arte. Così da dare ancor più valore all’opera stessa, grazie a tutti gli occhi ricchi di sentimenti e pensieri. In questo appuntamento ho avuto il piacere di incontrare l’artista Giovanni Trimani, che ci racconta della sua arte e tutte le sue sfaccettature.

Viaggio tra arte e musica: Giovanni Trimani
Giovanni Trimani – credit Paolo Gobbi

Ciao Giovanni, raccontami di come nasce l’artista che è in te?

Non so dire esattamente quando sia nato l’artista in me. Probabilmente l’influenza di mio padre ha giocato un ruolo importante. Mi ha sempre trasmesso il suo amore per l’arte ed ha collezionato nel corso della sua vita molte opere. Come collezionista sicuramente non era ordinato e strutturato. Però ha avuto la fortuna di conoscere grandi artisti del suo tempo Mino Maccari, Vangelli, Manzù, Hajnal, Scanavino e Fausto Melotti.

Artisti da cui ha avuto il piacere di acquistare delle loro opere. Sono cresciuto fin da bambino in una casa piena di quadri e sculture di grandi autori, ricordo nella mia prima cameretta un bellissimo olio di Mino Maccari.

L’altra grande figura è sicuramente Franco Giacchieri, un importantissimo pittore Romano, che ho avuto la fortuna di incontrare alle scuole medie. È stato lui che mi ha insegnato i rudimenti di molte tecniche e mi ha trasmesso la “passionaccia”. È intervenuta poi la passione, l’impegno costante e quotidiano che mi hanno portato nel 2011 a diventare un professionista.

Come definisci la tua arte?

È sempre difficile dare una definizione della propria arte. Preferisco che la diano gli altri per non risultare autoreferenziale. Il mio lavoro si basa fondamentalmente sul grandissimo rispetto che ho nei confronti dell’osservatore.

Il pubblico è importante per l’artista perché senza di esso l’opera d’arte non esiste. Il contatto con l’altro genera quel processo di scambio tra l’opera e L’Osservatore. Da sola un’opera è morta, muta, è destinata a non volare. Soprattutto in questo periodo trovo disarmante pensare che un video, una foto possano sostituire l’esperienza diretta di qualsiasi forma di arte sia essa, un quadro, una scultura, un brano musicale o uno spettacolo di teatro.

Ho sempre cercato il contatto con il pubblico soprattutto in situazioni non specificatamente vocate all’arte. Il confronto con il pubblico è fondamentale. Credo molto di più in una critica strutturata e ben motivata rispetto ad un mieloso elogio. Spero che la mia arte si possa definire sincera; sincerità non mancanza di complessità. Purtroppo siamo una società che confonde la pacatezza e la calma con una mancanza di contenuti.

Io non urlo nelle mie opere il mio punto di vista, parto sempre dalla mia esperienza cercando sempre una chiave di lettura del presente, del passato e del futuro che sia la più universale. Non amo alzare il volume delle mie affermazioni, come un buon brano musicale tento di far riflettere l’ascoltatore non per portarlo dalla mia parte ma per generare domande, le stesse che incessantemente mi pongo io ogni giorno.

Viaggio tra arte e musica: Giovanni Trimani 1
Giovanni Trimani – “Chair / Man How. Here Me #42” – 2019

Che rapporto hai con la musica?

Ho sempre avuto un grande rapporto con la musica fin da giovane. Ho avuto la fortuna di ascoltare grandi autori grazie ai miei fratelli più grandi, artisti italiani e stranieri. Molto spesso ricordo i brani che ascoltavo durante la lavorazione di alcune opere.

Nel mio primo piccolo studio avevo un vecchissimo mangianastri che mi accompagnava con della buona musica, tutto il tempo. Conservo ancora oggi gelosamente quelle cassette ormai rovinate e consumate.

Sicuramente la scoperta musicale che più mi ha segnato è il Progressive, ho sempre apprezzato la complessità dei brani e la varietà di stili sia nella loro composizione che nell’esecuzione. I Genesis, gli Yes, i Jethro Tull e l’italianissima PFM mi hanno seguito nel mio lavoro.

Esiste secondo te un’alchimia tra arte e musica?

Sia la musica che l’arte visiva hanno la medesima struttura. Ogni quadro deve essere composto in maniera armonica ed avere una struttura portante. Anche la fruizione di un quadro può ricordare quella di un brano musicale.

Sia la musica che le opere visive incidono l’universo dell’osservatore/ascoltatore. Un quadro piega lo spazio e lo riempie. L’Osservatore si accosta all’opera compiendo un percorso nella superfice dell’opera stessa. Come i brani composti da un musicista anche i quadri di un pittore messi vicini danno il sound dell’autore.

Un’opera ben realizzata è un’opera che parla, che suona e che colpisce chi la osserva. Quando giudico una mia opera che non mi convince la definisco muta, incapace di trasmettere. I quadri e le sculture vanno ascoltati. Il rapporto che si instaura tra un’opera d’arte e lo spettatore è un processo che non si limita solo alla sensazione visiva pura e semplice, ma è un complesso processo di identificazione e allo stesso tempo di distanza, una danza interiore ritmata dall’opera stessa.

Un brano, come un quadro non serve a niente, non ha un’utilità primaria, non si mangia e non si beve, ma è necessaria. Necessità che nutre la nostra anima, dobbiamo sfamare il corpo altrimenti gli organi muoiono, ma allo stesso tempo dobbiamo alimentare l’anima altrimenti smettiamo di esistere. Il cibo dell’anima è l’arte, di qualsiasi natura essa sia, che sia un quadro, una canzone, uno spettacolo teatrale o un film

RIMANDATA

Massimo Mauro, presidente di AISLA e Gianluca Vialli, presidente Fondazione Vialli e Mauro, in segno di rispetto per la scomparsa di Paolo Rossi, hanno deciso di rimandare al 21 dicembre la diretta Facebook prevista per questa sera alle 21.00.

Per la puntata del 21 dicembre ore 21 è confermata la presenza di Andrea & Michele di Radio Deejay; del Prof. Mario Sabatelli – direttore della Biobanca Nazionale SLA; Alberto Fontana – presidente dei @Centri Clinici NeMO; Stefano Gambolò – direttore marketing del Gruppo Selex; e di due amici davvero speciali Ron e  Neri Marcorè.

 

Tra il talento di Neri Marcorè, la musica che diventa poesia di Ron e i tutorial degli esperti, ci attendono due settimane ricche di appuntamenti da non mancare

Fondazione Vialli e Mauro, AISLA, AriSLA e Centri Clinici NeMO una rete al fianco della comunità scientifica e dei pazienti

È dalla primavera che la pandemia di Covid-19 tiene il mondo sotto scacco. Solidarietà, sussidiarietà e partecipazione civica, sono i valori che ci hanno permesso di affrontare questa drammatica pagina della nostra storia.

Ron e Neri Marcorè: la ricerca in scena
Ron e Neri Marcorè diretta live

Ed è proprio l’amore con il suo emblema per eccellenza, il bacio, il tema dell’emozionante diretta in programma domani alle ore 21 sulle pagine https://www.facebook.com/AISLA – https://www.facebook.com/nerimarcoreofficial – https://www.facebook.com/Ron.ufficiale.

Condotta da Massimo Mauro e Gianluca Vialli, rispettivamente presidenti di AISLA e di Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport, con gli amici storici Andrea e Michele di Radio Deejay, la puntata ruoterà attorno a due grandi figure dello spettacolo: Neri Marcorè e Ron che, oltre a raccontare aneddoti e storie della loro carriera, proporranno una loro esibizione.

Insieme a loro interverranno Alberto Fontana, presidente dei Centri Clinici NeMO; Stefano Gambolò, direttore marketing di Selex Gruppo Commerciale – terza realtà italiana della distribuzione moderna – e Mario Sabatelli, presidente della commissione medico-scientifica di AISLA e direttore clinico dell’area adulti del Centro Clinico NeMO Roma.

Ron e Neri Marcorè: la ricerca in scena

Durante la puntata saranno dati aggiornamenti sull’attività della prima Biobanca Nazionale SLA. La struttura – deputata alla raccolta organizzata e alla conservazione di materiale biologico (come sangue, tessuto, cellule e DNA) da destinare alla ricerca – è stata inaugurata nel 2019 grazie alla generosa donazione di 301.628 euro del Gruppo Selex e prevede il potenziamento del laboratorio di genetica grazie a un ulteriore contributo di 50.000 euro sempre da parte del Gruppo.

L’appuntamento di domani è particolarmente significativo perché arriva a pochi giorni dall’annuncio dei sette nuovi progetti di ricerca di base, pre-clinica e clinica osservazionale giudicati meritevoli di finanziamento con il Bando AriSLA 2020.

È di 762mila euro l’investimento complessivo erogato dalla Fondazione Italiana di ricerca per la SLA destinato a sette nuovi studi che coinvolgono 9 gruppi di ricerca distribuiti tra Milano, Pavia, Padova, Torino, Trieste e Verona.

Sempre domani, invece, Christian Lunetta, direttore medico di AISLA e neurologo del Centro Clinico NeMO di Milano, presenterà il “Registro Nazionale SLA” nell’ambito del  31°International

Symposium on ALS/MND”, l’annuale convegno mondiale più atteso dalla comunità scientifica. «Questa pandemia ci ha messo tutti dalla parte di chi vive con l’unica speranza che si trovi una cura alla propria patologia.

Ron e Neri Marcorè: la ricerca in scena

Il nostro impegno è fare in modo che la ricerca scientifica in Italia vada avanti finché la SLA non sarà sconfitta e continueremo a mettere in campo ogni strumento utile a sostegno degli studi più validi e innovativi» – Questo è l’appello di Massimo Mauro con l’invito a fare ognuno la propria parte.

Per contribuire: https://nevergiveup.aisla.it/index.html

Ricerca ma anche assistenza. Nei prossimi giorni l’impegno proseguirà con #distantimainformati, il ciclo di eventi formativi sempre in diretta Facebook voluto dall’associazione per rispondere alle tante richieste di aiuto e consigli pratici avanzate dalle persone con SLA e dalle loro famiglie che, in questo periodo caratterizzato dalla pandemia, hanno visto ridursi l’assistenza domiciliare.

Venerdì 11 dicembre alle 17.30 la logopedista Camilla Cattaneo (Centro Clinico NeMO Milano) affronterà il tema della disfagia, dei disturbi del linguaggio e degli aspetti nutrizionali nella sclerosi laterale amiotrofica.

Martedì 15 dicembre alle 17.30 si alterneranno 4 infermiere esperte Serena Forteleoni con Claudia Cavolini (Centro Clinico NeMO Roma) e Giusy Raffa con Giulia Giannetto (Centro Clinico NeMO Sud) che si concentreranno in particolar modo su come eseguire correttamente le  medicazioni, perché piccoli accorgimenti dei professionisti possono fare la differenza.

I due momenti formativi saranno visibili sulle pagine Facebook di AISLA e dei Centri Clinici NeMO e i partecipanti potranno rivolgere ai professionisti le loro domande, scrivendo direttamente nei commenti.

L’Arte che fa riflettere

Alberto Timossi: “Realizzo le mie opere in luoghi che fanno riflettere e pensare, non solo vedere l’opera in sè”.

L’uomo si è sempre ispirato attraverso gli ambienti e panorami naturali, come se fosse una tela pre-dipinta, per esprimere emozioni in continua trasformazione.

Un’arte che mette al centro l’ambiente piuttosto che l’uomo prendendone in prestito gli elementi naturali e dando vita a opere che, spesso, sono destinate a dissolversi con esso, poiché esposte alle intemperie e all’azione del tempo.

L’incontro con la natura e il ruolo secondario dell’uomo rispetto all’ambiente che lo circonda è un insegnamento che oggi più che mai acquista sempre più valore e importanza.

Viaggio tra arte e musica: Alberto Timossi
Alberto Timossi – Segnacoli, Mozia 2019

L’artista Alberto Timossi mi ha condotto verso un affascinante viaggio tra arte e natura. La sua formazione è nata tra Genova e Carrara, dove ha frequentato l’Accademia delle Belli Arti. Da anni si interessa di arte ambientale realizzata con materiali derivanti dall’edilizia.

Le tue sculture difronte ad occhi poco riflessivi potrebbero sembrare solo dei tubi ma dietro si cela un mondo ricco di significato e senso. Ma raccontami dei tuoi progetti con la musica?

Ho avuto molte collaborazioni con musicisti, in particolare con compositori di elettronica e elettroacustica. Insieme al musicista Simone Pappalardo, abbiamo creato delle performance che uniscono scultura e musica. Tra queste mi ricordo con affetto un progetto in particolare, avevo lavorato dei tubi molto grandi dove all’interno danzavano molto lentamente tre ballerini dove il suono dei loro movimenti veniva registrato simultaneamente, così da creare un effetto magnifico.

Anche la tua opera “Crisalide” aveva una struttura analoga?

Si, esatto. Anche in “Crisalide” vi era all’interno della mia scultura una danzatrice che ne usciva fuori con movimenti leggeri e lenti. Il mio intento era proprio rappresentare la vita di una crisalide, una vita che è imprigionata dalla contemporaneità e dalle industrie che caratterizzano il nostro secolo.

Ma nel corso dei miei lavori ho dato vita a opere più mature sul tema delle performance.

E quali sono?

Il primo è una scultura sui suoni dell’acqua. Avevo posizionato dei tubi dentro le rive di un fiume. Ma forse l’opera più strutturata è stata “Variazioni sull’Albero”, realizzata nel 2012, sempre insieme a Simone Pappalardo. Abbiamo partecipato anche a diversi festival sonori, come Emufest dell’accademia di Santa Cecilia di Roma e poi a seguire al festival al Conservatorio di Frosinone.

L’opera aveva la forma di un albero costruita con un tubo che era il tronco e due che fungevano da rami tubolari.

All’interno vi era un meccanismo che se azionato tramite un pulsante attivava una reazione elettro acustica così da far suonare l’albero stesso.

Da cosa nasce l’esigenza di creare un dialogo con il suono?

Nasce da una necessità di dare voce ad una materia, che nel mio caso sono rappresentati attraverso dei tubi.

Bisogno che in seguito si è manifestato anche con il rapporto con lo spazio, quindi ho smesso di lavorare con il suono e mi sono concentrato sulla relazione spaziale. Ho approfondito il rapporto con la natura e con la città.

Queste istallazioni nascono per essere inserite in vari contesti e vari spazi, così da costruire un dialogo con l’ambiente. Questo scambio, vuole affrontare dei grandi temi del cambiamento, come quello ambientale e climatico.  La mia opera “Illusione” vuole richiamare proprio l’attenzione in u luogo che ha bisogno di osservazione. Simula un’intrusione dentro i gradoni delle Cave di Michelangelo di Carrara.

Viaggio tra arte e musica: Alberto Timossi 1
Alberto Timossi – Illusione, Carrara 2015

La musica è interessante anche nel momento in cui non c’è, come le pause, spesso fondamentali.

Ho sentito l’esigenza di intervenire proprio in quell’ambiente per raccontare lo stato di quelle montagne, che si stanno sempre più assottigliando. Illusione, vuole essere il simbolo di un ago che cerca di ricucire la ferita della montagna.

Il simbolo dell’acqua è spesso ricorrente nelle tue opere, cosa rappresenta per te?

Fonte di vita, di rinnovamento e continuo movimento. L’acqua è l’elemento ideale per valorizzare la forma dei miei tubi. Un altro aspetto, forse più concettuale, in natura l’acqua oltre ad essere il bene primario è anche colei che crea ogni genere di esistenza.

Quale potrebbe essere un elemento di congiunzione tra arte e musica?

In questo momento il legame più forte tra la mia arte ambientale e la musica, è il tempo. Ti spiego, la musica ha un ascolto che dura nel tempo, ha una sua architettura interna fatta di regole, per cui per capire quella musica è necessario del tempo. Credo che la stessa cosa succede quando tu guardi un’opera, come ad esempio la mia Fata Morgana, composta da 33 elementi galleggianti sul lago, dove cambiavano a seconda del, tempo, della luce, del vento e del percorso che si faceva attorno alla riva, per cui avevi bisogno di tempo per entrare nell’opera. Il fatto di capire che anche nell’osservare e vivere un’opera devi avere il tempo per analizzare e indagare come in una composizione musicale.

Articolo a cura di Melissa Brucculeri 

La Danza delle Anime dei Palazzi

La musica ci insegna che qualsiasi elemento può prendere moltitudini forme a suon di ritmo. Ma anche l’arte, spesso in modi inaspettati, ci regala opere incredibili, dove anche le forme più rigide e statiche possono assumere forme sinuose. Ho avuto il piacere di incontrare l’artista Antonio La Rosa, artista, performer e libero pensatore.

Viaggio tra arte e musica: Antonio La Rosa
Antonio La Rosa – Murale

Come nasce l’artista che c’è in te?

Tutto quando ero ragazzino. Sono entrato a contatto con il teatro durante il percorso delle medie, che mi ha aperto un mondo surreale e bellissimo. Da qui si insinua il seme della voglia di scoprire cose si cela dietro questo mondo. Da qui nasce l’esigenza di studiare la recitazione a livello professionale. Cosi dalla mia terra madre Sarda mi sono trasferito a Roma per studiare recitazione. Un giorno per puro caso mi sono ritrovato a dipingere una tela, prima di allora mi dilettavo senza pretese a fare piccoli bozzetti, non mi sarei mai immaginato che quella della pittura potesse essere la mia strada. Ma quella prima esperienza mi provoco emozioni fortissime. E così decisi di approfondire la mia conoscenza nel mondo dell’arte, seguendo così diversi artisti e galleristi.

Nasce prima la pittura e poi la scultura…

Dopo la pittura è nata l’esigenza di una tridimensionalità e di prenderlo per le mani. Poi a dire la verità finite le scuole superiori ho iniziato a lavorare con mio padre che aveva un’azienda di lavorazione del ferro e da lì ho iniziato a mettere mano sul materiale, mi ha dato tutte le basi tecniche.

Qual è un simbolo che caratterizza la tua arte?

Diciamo che i palazzi sono po’ la mia firma. La mia arte nasce dall’esigenza di ricreare il ritratto di quella che è la vita moderna e contemporanea. L’ho trovato in questi grattacieli, grandi strutture che rappresentano un po’ lo specchio non solo della nostra società ma della vita stessa.

Che idea si cela dietro a questa rappresentazione di questi palazzi?

È il ritratto di questo secolo. I palazzi sono contenitori di anime di chi li abita, dove accadono infinità di eventi. Le pareti che li contornano sono accompagnate da finestre dove si può scorgere gli individuo che la vivono. Credo che spesso siamo incuranti di tutti questi micro mondi intorno a noi, dove all’interno ci sono mille realtà. Chi sta cucinando, chi studia, chi fa l’amore, chi sta morendo, chi soffre, insomma dentro ogni grattacielo c’è vita. Le metropoli che rappresento sono uno scenario che racconta matrioske di vita. Proprio per questo spesso vengono rappresentati con forme sinuose, perché mi piace pensare che siano un’anima collettiva di chi li abita, superando ogni logica razionale della materia, così da sconfiggere la rigidità, iniziando a danzare a suon di musica.

Come la definiresti la tua arte?

Non so darti una ben precisa. Quello che provo io è un senso di liberazione, come una catarsi. Ma credo, ogni artista ha un’esigenza profonda di sviscerare una propria verità, un proprio fardello.

Viaggio tra arte e musica: Antonio La Rosa 1
Antonio La Rosa – GENIUS_l’abbraccio 500th Leonardo Da Vinci 1519-2019

Ammirando le tue opere ho potuto notare che ci sono rappresentati di musicisti, da cosa nascono?

Si, mi è capitato di dipingere musicisti immaginari circondati dai miei palazzi. Proprio come accennavo prima, sono spinto dall’esigenza di dare un movimento a tutta quella materia rigida, iniziando così a danzare una musica del mondo.

Che tipo di legame hai con la musica? Hai mai avuto esperienze ravvicinate?

Si, durante la mia carriera di attore. Stavo partecipando ad un progetto di una rock opera, mi sono trovato per esigenze di copione a suonare poche note di Amarcord al pianoforte. Da quel momento ho capito quanta vita c’è dentro uno strumento. Dopo questa esperienza a distanza di tempo, casualmente al Gubbio Summer Festival ho avuto il piacere di conoscere il noto compositore Michele Marvulli, che mi ha dilettato con la sua musica al pianoforte.

Inoltre, anni fa è nata una collaborazione molto interessante con dei musicisti jazz. Così abbiamo creato una performance artistica. Partivo da una tela bianca e iniziavo a dipingere a suon di musica, ci contaminavamo e ispiravamo a vicenda. Mentre io dipingevo a ritmo loro suonavano secondo il mio ritmo di pennellate che a seconda del suono si facevano più irruente o più delicate.

Esiste secondo te un elemento di congiunzione tra arte e musica?

Credo nella visione onirica. I colori sono definiti, eppure il pittore riesce a creare un mondo svariato di tonalità, così vale anche per la musica con le sue note. Il lato onirico sta nel riuscire a vedere un qualcosa che in quel momento non esiste e non c’è, che poi probabilmente nasce dalla realtà. Forse è più un’emozione della realtà. Queste visioni nascono da momenti di pura magia, come se si aprisse un canale di flusso tra una coscienza universale e le proprie mani.

Articolo a cura di Melissa Brucculeri

 

Il Superpotere dell’arte

L’arte ci regala il coraggio di vedere oltre le apparenze, di scrutare oltre al razionale e l’oggettivo, ci insegna a guardare gli altri ma soprattutto noi stessi. In qualsiasi espressione essa si manifesti, che sia danza, pittura e musica l’importante che ci regali qualcosa che resta dentro di noi.

Viaggio tra arte e musica: Stefano Trappolini
Stefano Trappolini – sagome leggere

Non faccio  cose per occhi pigri (Stefano  Trappolini)

È meraviglioso cogliere come l’arte ci insegna a vedere oltre i nostri limiti, spesso costruiti da noi stessi.

Io ho avuto il piacere di conoscere un artista a tutto tondo, Stefano Trappolini. Le sue opere sono punto di riflessione e introspezione.

La sua è una pittura semplice, ma che al contempo richiede grande attenzione e cura.

Stefano è nato e cresciuto con la passione dell’arte, una vera e propria vocazione, con sfrenata voglia di esprimersi e osservare ciò che lo circonda.

Che tipo di artista ti definisci?

Curioso e bulimico. Mi affascina tutto ciò che arte e forma di pensiero, anche quella che non condivido. Sono curioso per ogni forma da quelle più classiche fino ad arrivare a quelle più all’avanguardia. Bulimico perché sono sempre in movimento e non smetto mai di disegnare, sono immerso in un flusso continuo di idee.

Come definiresti la tua arte?

Faccio fatica a rispondere. Perché io credo che l’arte sia unica, pittura, scultura, danza e musica. Credo che qualsiasi creazione se trasmette vibrazioni vuol dire che è arte, perché ti lascia un qualcosa dentro. Io sono un artista che deve essere letto con attenzione.

Le mie sagome apparentemente possono sembrare facili, ma in realtà sono semplici, che è ben differente. La semplicità a volte richiede molta più attenzione, perché si possono nascondere mille sfaccettature al tempo stesso ricche di un pensiero profondo, cosi da trasformarsi complesse.

Viaggio tra arte e musica: Stefano Trappolini 1

                                        

Definendoti un bulimico dell’arte in tutte le sue forme nello specifico la musica che valenza ha nella tua vita ed in particolare nella tua arte?

Per me arte è vita, ogni artista è un ricercatore. Trovo che ci sia un parallelismo tra scienza e arte, noi artisti siamo proprio come gli scienziati, passiamo giorni se non mesi, nella continua ricerca di tecniche e colori.

La musica per me è fondamentale, mi stimola e mi accompagna nelle mie continue ricerche e sperimentazioni, trovo che sia importante soffermarsi ad ascoltare. In genere quando dipingo ascolto musica strumentale, ma al contempo amo i classici cantautori da De Andrè a Fossati.

Adoro l’unione di una buona musica a buoni testi, che poi spesso i testi di alcuni artisti sono vere e proprie poesia.

Esperienze più da vicino con la musica ne hai avute?

Si, come ho già detto sono alla continua ricerca, indirizzata sia alla pittura che alla video-arte. Spesso infatti mi capita di collaborare con musicisti. Ho collaborato con Manuel Gordiani. Inoltre, ora insieme ad un mio amico nonché musicista Carlo Delicati interagiamo con le nostre arti. Io gli mando i miei disegni e lui le interpreta con la sua musica. Inoltre, sto lavorando su un progetto di una performance artistica, che consiste in una vera e propria fusione tra pittura e musica. Dipingere a suon di musica live e far sì che la musica entra nel vivo dei miei dipinti.

La tua arte a quale strumento potrebbe corrispondere?

Vado sul classico, un pianoforte. Dico il pianoforte perché a molti tasti e nelle mie continue ricerche faccio uso di tante tonalità e scale di colori, mi ricorda un po’ una tavolozza.

Una delle tue raccolte di opere è intitolata volevo essere Superman, raccontami chi è per te Superman?

Sai ho sempre avuto la passione per l’illustrazione e il disegno sin da piccolo. Infatti mi ricordo che quando leggevo i libri illustrati o i fumetti mi soffermavo più sulla grafica che nella storia stessa.  Mi piacevano i fumetti dei Supereroi e come tutti i bambini ero affascinato dai loro superpoteri, e così mi immaginavo cosa avrei fatto se ne avessi avuto uno. Ma poi con il crescere insieme alla mia arte mi sono reso conto che già avevo un superpotere ed era la mia arte, da qui nasce “Volevo essere Superman senza sapere già di esserlo”. Mi piace giocare molto con il pensiero, infatti è una dedica a tutte le persone che hanno un superpotere ma ancora non lo sanno e per spronarli a tirarlo fuori.

Articolo a cura di Melissa Brucculeri

L’Arte semplice ed essenziale di Sandro Scarmiglia

L’arte da sempre è stata oggetto di trasformazione ed evoluzione. Ogni artista, in tutte le epoche ha plasmato le proprie rappresentazioni artistiche a immagine e somiglianza di un contesto e un’epoca in cui viveva.  Ma vorrei soffermarmi in particolare sull’arte essenziale. Un’estasi della materia, dove nell’opera la materia esce fuori di sé per essere quello che è. L’arte essenziale pone ogni individuo alla radicalità delle questioni fondamentali dell’arte, del pensiero e della vita stessa.

Tratti caratteristici sono una sobrietà del gesto, una distanza dalle modalità spettacolari e comunicazionali a favore di un silenzio creativo, seppur contornato da un brusio di un racconto e della storia. Conta solo l’essenza di un gesto e di un contorno che si crea dietro al gesto stesso e all’opera.

Viaggio tra arte e musica: Sandro Scaramiglia
Sandro Scarmiglia con l’opera Germocavo

Musica e arte hanno lo stesso obiettivo cioè quello di trasmettere un’essenza celata dietro due formule di linguaggio differenti. Prendiamo ad esempio il jazz con l’arte essenziale, entrambe sono composte da pochi elementi ma che portano con sè un mondo di emozioni.  I più bei brani jazz spesso sono stati composti solo con poche note, ma proprio perché erano le note giuste hanno dato vita a brani formidabili. Ho avuto il piacere di entrare nell’affascinante mondo dell’artista Sandro Scarmiglia. Artista romano, ha conseguito gli studi di pittura all’Accademia delle Belle Arti di Brera.

Sempre alla continua ricerca di nuove sperimentazioni di una pittura materica, focalizzando la sua materia d’indagine di uno spazio tattile e visivo che lo spinge verso forme semplici ed essenziali.

Le tue opere richiamano molto un mondo musicale? Le forme delle tue opere si rifanno a strumenti musicali Cosa rappresenta per te la musica?

La musica è importante. La musica è quell’elemento che ognuno di noi porta dentro, è più metafisico che tangibile, l’arte plastica puoi toccarla, mentre la musica entri in contatto attraverso l’udito ed è un qualcosa di puramente trascendente ed emozionale.

Quanto influisce la musica nei tuoi processi creativi?

La componente musicale nel mio lavoro è preziosa, non solo perché quando lavoro ascolto musica, ma perché all’interno della composizione, in qualsiasi circostanza sia nella pittura che nelle sculture, mi pongo in termini musicali, ossia, ho uno spazio come se fosse uno spartito, vado ad aggiungere degli elementi ritmici e delle note che sono i punti di colore. Mi piace lavorare su forme molto semplici, la parte che mi interessa di più non è la scultura o l’oggetto in sé, ma l’allestimento che vado a creare e l’atmosfera che nasce intorno ad essa. È bello vedere quanto un opera può cambiare a seconda delle diverse ambientazioni e composizioni. Ogni elemento è come se fosse una particella della composizione.

Hai un genere musicale a cui sei legato?

Si, non ho una grande cultura musicale, ma cerco di ascoltare musica di qualità. Quella che prediligo è la musica jazz che riesce ad abbracciare tantissimi altri generi. Il jazz è fondamentale per creare nuovi stimoli musicali perché racchiude dentro tante componenti

Osservando alcune delle tue sculture alcune richiamano le forme di alcuni strumenti musicali come ad esempio la tua opera “la chiacchiera” potrebbe rievocare la canna di un organo…

L’idea della musica c’è sempre nel mio lavoro. E adesso sto cercando di introdurla come parte integrante delle mie opere, come parte di un insieme. Vorrei che fosse composta una musica dove il musicista si ritrova a creare proprio mentre guarda le mie opere, nella suggestione delle forme.

Viaggio tra arte e musica: Sandro Scaramiglia 1
Sandro Scarmiglia opera: Comari (La chiacchiera)

Come definisci la tua arte?

Pura, semplice ed essenziale

Hai un’ambizione per la tua arte?

Mi piacerebbe riuscire a trovare nella mia arte quegli elementi che trascendono un po’ quello che è la circostanza temporale, ecco perché la chiamo essenziale, cerco quel filo conduttore che appartiene a tutti, un’essenza di quei momenti che con sè porta la storia dell’arte. Io lo faccio con le mie forme molto elementari e semplici. Perché ogni momento storico ha i suoi modi i suoi archetipi, mi piacerebbe togliere tutto questo e rimanere sulla struttura e sull’osso che perdura. È una mia ambizione lo so!

Articolo a cura di Melissa Brucculeri 

 

Dell’amore e di altri sentimenti…

Michele Pavanello e Paolo Lazzarini parlano del nuovo singolo “Dell’amore non so scrivere”

Ciao Michele e benvenuto, com’è nata la collaborazione con Paolo Lazzarini?

È nata diversi anni fa quando Paolo si è reso disponibile ad accompagnarmi in una serie di live che erano già in programma. Ho scoperto un musicista fantastico che sul palco dava tutto; una grandissima intensità che non lasciava certo indifferente, né il pubblico e nemmeno noi musicisti che eravamo lì con lui. E così abbiamo iniziato a collaborare anche in studio di registrazione e li ho potuto apprezzare le sue qualità anche come arrangiatore. È una persona speciale e un amico; l’attenzione su di lui come compositore e pianista cresce di giorno in giorno e non posso che esserne felice.

Michele Pavanello e Paolo Lazzarini: “Dell’amore non so scrivere”
Cover

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere agli ascoltatori di “Dell’amore non so scrivere”?

Occorre alzare una diga contro il male, che oggi ha anche il nome dell’intolleranza, della menzogna, dell’arroganza, dell’arrivismo, dell’ipocrisia, del bigottismo. Lo si può fare se siamo in tanti, e se siamo in tanti si può anche vincere. Mi viene spesso in mente la scena di Don Camillo che guarda in su verso il Cristo dell’altar maggiore e dice: «Gesù, al mondo ci sono troppe cose che non funzionano». «Non mi pare», risponde il Cristo. «Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano».

Questo brano è il tuo quinto singolo in due anni: esiste un filo rosso che unisce tutte le canzoni fin qui pubblicate?

Non c’è un vero e proprio filo conduttore, sono solo canzoni. Ogni brano ha una storia, è la visione di un momento e poi saranno il caso e il tempo a deciderne il futuro.

Essendo stato registrato in modalità piano-voce, si potrebbe dire che la canzone è “nuda”. Spogliata di tutti gli orpelli di un arrangiamento troppo carico che spesso serve a nascondere qualche mancanza nei brani, ma al contempo richiama alla memoria un tipo di cantautorato di spessore che era concentrato più su quello che si vuole dire che il come. È stata una scelta ragionata, un esperimento o altro?

Il primo arrangiamento era più ricco, fatto anche bene ma c’era qualcosa che non ci convinceva, mancava l’intensità, volevamo che il messaggio del brano fosse inequivocabile. Così abbiamo cancellato tutto e Paolo… ha fatto il resto.

Michele Pavanello e Paolo Lazzarini: “Dell’amore non so scrivere” 1
Paolo Lazzarini e Michele Pavanello

Ora a Paolo Lazzarini vogliamo chiedere: com’è stato lavorare con Michele Pavanello?

Lavorare con Michele è stato semplice e allo stesso tempo entusiasmante: c’è stata fin da subito una bella intesa, il progetto era davvero interessante e il processo creativo è stato fluido e senza intoppi. A Michele mi lega una grande amicizia nella vita, forse per questo le cose sono state “semplici”.

Avete in programma di continuare questa collaborazione?

Michele: Spero davvero sia così. Io e Paolo non ci sentiamo spesso, ma c’è un legame forte che nasce soprattutto dalla stima reciproca. Paolo ha una grande umanità e la sua amicizia per me è un dono.

Paolo: Lo auspico dal cuore, un album completamente in acustico sarebbe meraviglioso.

Nel 2020 la vita corre veloce, perennemente connessa ma non per questo collegata, Paolo: com’è essere compositore in quest’epoca?

Io penso al compositore come un “indagatore dell’anima”, una persona che, con la chiave giusta, entra in chi ascolta anche semplicemente per farlo riflettere su sé stesso. Attraverso la musica giusta si riescono a scorgere parti del proprio io che non erano mai uscite allo scoperto. Con questo brano probabilmente siamo andati in questa direzione.

Quali sono i vostri progetti musicali futuri?

Michele: Ho un paio di brani da arrangiare e poi portare in studio; mi piacerebbe pubblicare una raccolta con gli ultimi singoli e questi due inediti. Poi mi fermerò.

Paolo: Vorrei incidere un disco entro fine anno, un’opera che riesca a riassumere le inquietudini e il desiderio di cambiamento di questo 2020.

Ascoltalo su Spotify: https://spoti.fi/2Hr1VNu

Roberta Morzetti: l’arte oltre il tempo

Un’artista che riesce ad illuminare il corpo femminile con autenticità e pienezza, nella sua essenza semplice e forte. Plasma materiali duri, fino a trasformarli in sculture di forme sinuose, dove dietro celano la loro storia piena di complessità.

Le immagini delle sue opere sono scenari per variopinte sinfonie.

Viaggio tra arte e musica: Roberta Morzetti
Narcotica_20

È così che introduco Roberta Morzetti, frizzante e sensibile artista.

Nasce a Tarquinia nell’agosto del 1979. Consegue la laurea con lode presso l’Accademia delle Belle Arti di Viterbo.

Dopo una breve esperienza nel mondo della moda e del teatro, da circa dieci anni si dedica esclusivamente alla scultura.

Dal 2016 Velia Littera, titolare della Galleria Pavart a Roma, diventa la sua curatrice.

Che artista ti definisci?

Sono un’artista che cerca di raccontare attraverso il suo linguaggio, la scultura, la società ed il tempo attuali attraverso la prospettiva della donna contemporanea.

Ovviamente, essendo nata nella patria dei più grandi artisti, non posso non esserne condizionata.

Nelle mie opere infatti spesso, ad esempio, può affiorare una simbologia e delle forme in cui si può intravedere una rielaborazione del Barocco e della rappresentazione della Vanitas.

Tutto questo ed altro si fondono, attraverso il fuoco della fiamma ossidrica, a richiami del mondo contemporaneo.

Cosa significa per te l’arte?

Ovviamente l’Arte per me è un’esigenza, è la mia vita.

Tuttavia non credo che l’Arte possa essere imprigionata in parole o aggettivi poiché si finirebbe per arginare e quindi mutilare qualcosa che ha in sé bagliori di infinito.

L’Arte, quella vera, essendo oltre il Tempo, riesce a vincere sulla Morte.

Che cos’è per te la musica e quanto incide in un tuo percorso creativo?

Per me la musica è un elemento vitale. Sono cresciuta tra i vinili.

L’unico negozio di dischi di Tuscania, il mio paese, Star Sound, è appartenuto per venti anni alla mia famiglia.

Ho quindi trascorso gran parte della mia infanzia sdraiata con mia sorella sulla moquette verde a maneggiare i vinili dei grandi della musica.

Ricordo ancora che il mio primo quarantacinque giri desiderato e scelto fu quello di Luca Carboni e le canzoni erano “Farfallina” e “Silvia lo sai”.

Era il lontano 1987 ed io avevo otto anni.

Ovviamente poi l’amore per la musica, come i veri amori, non è mai terminato ma continua a crescere.

Infatti, appena mi sveglio, inizio ad ascoltare i miei autori. Sicuramente lavoro sempre con la musica di sottofondo che rispecchia i miei stati d’animo.

Essendo una onnivora musicale ascolto di tutto.

Da Corelli alla tecno, per cui riesco a dare la giusta colonna sonora alle mie ore, incluse quelle lavorative.

Viaggio tra arte e musica: Roberta Morzetti 1
Roberta Morzetti e la sua opera Escape_20

C’è un’opera in particolare che ti ha fatto avvicinare al mondo dell’arte?

La prima opera che realmente mi ha fatto capire di poter utilizzare la scultura come linguaggio e che ha costituito il mio giusto” incipit” è stata BebèBangBang.

In verità questo pannello scultoreo alto due metri e che ora si trova al MAAM, Museo dell’Altro e dall’Altrove a Roma, è stato il quarto lavoro ma il primo di un percorso che ancora sto tracciando.

Nella tua arte si può ritrovate una connessione con la musica?

Tutte le mie opere sono in connessione con la musica perché nascono tra le note.

Tuttavia il lavoro che per me è più legato alla musica è Escape_20 proprio perché la sua gestazione è durata diversi anni ed è stata, dal punto di vista emotivo, sicuramente la più complessa visto che l’avevo iniziata con mio padre, e che purtroppo è venuto a mancare, improvvisamente, poco dopo.  Ritornare a lavorare su di lei per me è stato, a dir poco, lancinante.

Ho trascorso molto tempo ad osservarla ascoltando Ryuichi Sakamoto, mentre tentavo di capire se fossi stata in grado di terminarla.

Fortunatamente ho vinto sulla paura e sul dolore ed Escape_20 è per me la scultura più importante ed alla quale sono più legata in assoluto.

Ancora oggi quando la vedo, sento la presenza ed il profumo di mio padre e il pianoforte di Sakamoto.

Articolo a cura di Melissa Brucculeri 

 

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