Johnson Righeira, ancora più iconico, con nuove produzioni puntando al ritorno sul palco dell’Ariston dopo 39 anni
Eccolo qui, Johnson Righeira, ancora più iconico dopo la citazione del brano “Italodisco” dei The Kolors: “Mi parte il basso dei Righeira se vado incontro agli occhi tuoi”.
Omaggio che conferma come l’interesse per il duo, che ha segnato la storia della musica italiana con il loro stile unico e inconfondibile, è ancora vivo.
Nel 2024 confeziona tre nuovi pezzi dimostrando che la sua creatività è ancora viva e attuale e ci rivela una volontà rinnovata di tornare sul parco dell’Ariston nel 2025, che aspetta il suo ritorno dal 1986, ben 39 anni!
L’estate, una stagione scritta nel destino, torna nella sua vita con la cover di Franco Battiato “Summer on a Solitary Beach”. Questa reinterpretazione rappresenta una sfida con un brano del Maestro.
Tuttavia, alla proposta dei Milano 84, un duo elettronico di Roma, non poteva tirarsi indietro. La sua versione si realizza come un omaggio rispettoso e innovativo al tempo stesso.
Il secondo pezzo è un desiderio realizzato: la cover del brano degli Extra “Maria Maddalena”. Questo brano, già versione italiana di una canzone spagnola, “Maria Magdalena”, portata al successo dal gruppo Trigo Limpio, viene trasformato da Johnson Righeira in chiave dance.
Con il supporto della DJ Greta Tedeschi e il colore vocale della torinese A L T R O V E, la canzone acquista una nuova vita, pronta a far ballare una nuova generazione.
Infine, il 2024 si arricchisce dell’inedito “Ho sempre odiato gli anni 80”, proposto durante una telefonata a Johnson dal cantautore torinese Gionathan.
Il titolo, un ossimoro per chi è stato protagonista negli anni ‘80, rappresenta una rivincita per quei brani che hanno faticato a trovare il loro posto nel tempo ma che ora sono conosciuti e apprezzati da tutti.
Questo nuovo pezzo promette di essere un successo, confermando che ha ancora molto da dire nel panorama musicale italiano.
Con questi nuovi progetti, Johnson Righeira dimostra che la musica è senza tempo, capace di evolversi e adattarsi ai gusti contemporanei senza perdere la propria essenza.
Il suo percorso è un segno che la buona musica non passa mai di moda e che i veri artisti sanno sempre come reinventarsi, mantenendo viva la passione e l’energia che li ha resi celebri.
Articolo a cura di Vera Nabokov
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Maninni: Un Viaggio Spettacolare tra Musica e Radici
Maninni con il suo tour “Spettacolare”, approda in Abruzzo, portando con sé la sua storia di outsider che ha conquistato Sanremo e il cuore degli ascoltatori, celebrando le radici pugliesi e l’Amore Gourmet
Maninni, approda nei panorami abruzzesi al Virgo Beauty on Stage nel mezzo del suo tour Spettacolare. Arriva salutando con la mano, in modo discreto, sorridendo, così come il suo ingresso sul palco di Sanremo. Ha l’aria di un ragazzo che sa quanto è faticosa la strada che ha fatto, e sa quanto impegno c’è voluto per trovare il suo spazio.
Così come su quel palco di Sanremo, tra tantissimi big, lui, un outsider che è riuscito a imprimersi nella mente degli ascoltatori, raccontando la vita di tutti, i momenti difficili della vita, le cadute, ma soprattutto quella spinta infinita alla rinascita, al rialzarsi e ricordando loro che anche i periodi neri possono essere Spettacolari, trovando soluzione nell’abbraccio e nell’amore: «E ci saranno le giornate bastarde, quelle che non ce la fai più, ma abbracciami, abbracciami, ché è normale, stringerti forte è spettacolare». (Spettacolare, Maninni, 2024)
Maninni, con le sue radici ben chiare, ci racconta della sua scelta di rimanere nella sua terra, la Puglia, che continua a fornirgli ispirazione e linfa vitale. Lo racconta con un senso di gratitudine verso quella Bari che ha fatto da sfondo a tutti quei segni del destino che sono dei segni sulla strada giusta: la chitarra regalata da suo padre, il liceo musicale, la scelta di restare.
Ma quanti viaggi si possono fare pur scegliendo di restare da dove si viene, me lo chiedo mentre penso che io, alla fine, sono andata sempre via. E mentre penso mi trovo a canticchiare, mentre preparo la cena, e ricordando le sue parole mi rilasso un attimo, e mi concentro su quello che ho intorno. “Amore Gourmet”, Maninni lo canta nel suo nuovo singolo, in un mondo di apparente perfezione, dove tutto è diventato Gourmet.
Forse ha ragione, bisogna ricercare questa eccellenza anche nell’amore. E allora, pian piano, mi rilasso dalla frenesia del giorno, e inizio a pensare che forse, sì, anche l’amore può essere gourmet.
Articolo a cura di Vera Nabokov
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Wilma Goich: Icona della musica italiana
Wilma Goich con il suo sguardo accogliente e la sua energia inesauribile, racconta la sua storia di sfide vinte e successi che hanno annullato i confini del tempo e dello spazio, consacrandola come un’icona della musica italiana
La vedo arrivare da lontano, “Born Iconic” recita la sua maglietta bianca, nata iconica, lei Wilma Goich, e io dietro la mia telecamera e il mio microfono penso che sia vero … è la maglietta perfetta per preannunciarsi.
Sguardo accogliente, voglia di parlare, centinaia di parole anche lontano dal microfono, quanta energia… ma come fa ad avere tutta questa voglia di parlare con me? Mi sembra entusiasta di questa intervista, lei, iconica, davanti alla mia telecamera e al mio microfono mi rassicura, si scambia, mi sorride e mi ribadisce: io sono Wilma, Wilma e basta.
Un linguaggio universale quello dei suoi occhi, un po’ come quello delle sue canzoni che nella babele della musica incontrano America, Giappone, Germania e portano l’Italia ad annullare i confini. Perché per essere Iconiche delle sfide bisogna pur averle vinte, e direi che le sfide del tempo e dello spazio, lei, le ha ampiamente superate.
I suoi Anni 60 che sfidano le leggi del tempo, perché il tempo si sa, è solo un concetto derivante da un movimento di pianeti, e questa è una convenzione che Wilma ha compreso e superato: nella sua guida galattica quando negli Anni 80-90 è riapprodata al concorso “Una rotonda sul mare”.
Tappeti di parole davanti a lei, intrecciati minuziosamente dalle mani dei Mogol (padre e figlio), Franco Califano, Edoardo Vianello, Amedeo Minghi, ma anche tappeti preziosi e poco conosciuti silenziosamente fabbricati da Lucio Battisti e Renato Zero. Chissà se nella sua casa i tappeti che preferisce sono quelli tessuti da lei o dagli altri, e come si affiancano bene nell’arredamento complessivo del suo passato.
Iconica e Pionieristica, lei, con Edoardo ne “I Vianella”. Ripercorriamo quel progetto e quegli sguardi consci della sperimentalità di quel tema dell’amore raccontato con un gergo dialettale, dialetto romanesco già di per sé così cullante, che non aspettava altro che il loro amore da accogliere.
E quello stesso dialetto romanesco, portato nei concorsi musicali “Un disco per l’estate”, “Canzonissima”, diventato parte della cultura popolare, l’ha consacrata ad artista parte della tradizione musicale romanesca, l’ha consacrata Icona Folk.
Born Iconic, continuo a ripetermelo mentre vado via e vedo la mia ombra davanti a me, disegnata dal tramonto, con in mano la mia telecamera e il mio microfono. Born Iconic, Wilma, eh sì, hai proprio ragione.
Articolo a cura di Vera Nabokov
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Manupuma torna con “Cuore Leggero” il nuovo album
Manupuma, nome d’arte di Emanuela Bosone, cantautrice e attrice teatrale torna con nuovo album “Cuore Leggero”, prodotto da Taketo Gohara
Nel suo percorso artistico, Manupuma si fa notare nell’edizione 2009 di Musicultura di Recanati quando, in coppia con Michele Ranauro, si aggiudica il premio per la migliore interpretazione con il progetto Manupuma and The Bulletz. Canta in jingle pubblicitari, collabora con Pacifico e apre i concerti di Joan As Police Woman.
Nel 2014 pubblica Manupuma, album d’esordio che esce per Universal, dove partecipano Roberto Dell’Era (Afterhours), Davide Rossi (Coldplay), Ferdinando Masi (Casino Royale e The Bluebeaters), Pierluigi Petris (Sorelle Marinetti), Michele Ranauro e Pacifico nel ruolo di co-autore del brano “Perdersi Perdersi”. L’album viene lanciato dai singoli “Charleston” e “Ladruncoli”, quest’ultima canzone viene usata da Moschino per il lancio della campagna mondiale della fragranza Pink Bouquet.
Durante il lockdown Manupuma, decide di utilizzare alcuni dei suoi brani inediti per progetti trasversali: canta “Nucleare” insieme a Arisa al fine di sostenere il progetto benefico della Fondazione Rava che prevede di devolvere gli introiti ai reparti maternità del Sacco e della Mangiagalli di Milano mentre “Foresta Verde” (2021) viene utilizzata come colonna sonora per una performance video tributo al femmineo.
A fine 2023 esce “Neve”, altro brano inedito che precede la pubblicazione del nuovo lavoro.
“Pioggia” (2024) fa da apripista a Cuore Leggero, il nuovo album di inediti di Manupuma che chiude il percorso iniziato nel 2019 con “Petra” e riunisce, in un unico progetto, brani pubblicati in questi ultimi anni oltre ad alcuni inediti.
Questo album ha una musicalità più ricercata, pezzi che richiedono un ascolto più attento mi danno l’impressione che tu abbia fatto delle colonne sonore. Come stai vivendo questo album?
Mi fa piacere quando dicono che le mie canzoni sembrano delle colonne sonore, perché quando scrivo sono molto visiva. Come hai notato, in questo nuovo album ci sono canzoni con giri melodici diversi, “Vorrei”, ad esempio, è molto diversa da “Polvere” dove io racconto delle storie come se fossero dei “Corti”.
Questo approccio alle canzoni nasce dalla mia esperienza con il teatro, dove ho iniziato a studiare e ho fatto parte, come attrice, di diverse compagnie. Ho lavorato molto sul fatto che un attore deve mettere in scena un personaggio, un’atmosfera o dei paesaggi.
Questo metodo mi è rimasto e l’ho utilizzo quando scrivo testi e musica. Agli inizi di carriera ho scritto diversi jingle per le pubblicità e questo richiedeva un metodo, scrivevo, infatti, immaginando delle scene. Uno dei miei sogni è fare musica per film.
Le canzoni del tuo precedente lavoro erano sicuramente più immediate, penso a “Charleston” o “Ladruncoli”, in questo nuovo lavoro, invece, i brani sembrano destinate a crescere nel tempo.
Il primo album che ho fatto con una major aveva un taglio pop, mentre questo secondo lavoro l’ho scritto in totale libertà e mi piacerebbe presentare con un live che mette insieme musica e teatro. Mi piacerebbe fare rivivere dal vivo questa cosa che hai sentito tu. Uno chiude gli occhi e si sente trasportato a Chinatown.
Nelle tue canzoni racconti il quartiere Chinatown di Milano, le atmosfere di Los Angeles e hai scritto anche una canzone “Il mio Zar”: questa tua dimensione internazionale da cosa nasce?
Io attingo molto anche dai tantissimi film che guardo. Nel testo del brano “Ladruncoli”, parlo di “culi in porcellana”, traendo ispirazione dal film “Il vizietto” del 1978. Gli immaginari mi trasmettono spunti. Non mancano anche situazioni della mia vita personale. Questo album non è immediato come ascolto, ma ho voluto fare un tetto sotto il quale mettere tante canzoni. Nel momento storico in cui viviamo, è importante tirare fuori un tuo messaggio che possa esprimere una cifra/dimensione.
In questo album c’è un’importante collaborazione con il produttore Taketo Gohara. Come è nata questa collaborazione? Come ha inciso nella produzione dell’album?
Anche lui è di Milano e ci conosciamo da quando siamo piccoli. Lui è cresciuto in questo studio, che si chiama “Le officine meccaniche”, dove collaborava con artisti come Ghali, Capossela e altri. Quando era il momento di lavorare sulla produzione dell’album sono andata da diverse persone. Quando Taketo ha sentito i miei provini è scoppiata una scintilla e mi ha detto “Dobbiamo sottolineare la diversità nei brani che deve diventare un valore”. Oltre a creare tappeti sonori meravigliosi è riuscito a tirare fuori da me qualcosa di veramente speciale, mi ha capita e mi ha aiutata prendendomi per mano: un lavoro quasi sartoriale! Lui è molto calmo ed è stato magico stare in studio. Quando registravamo gli archi sentivo la pelle d’oca. Ha creato un’oasi in una Milano, a volte, troppo veloce e schizofrenica.
Nelle tue canzoni non mancano i riferimenti a Milano, che tu racconti con parole romantiche. C’è anche una parte più critica e rischiosa. Questa parte più grigia come la vivi e un giorno la racconterai?
Io sono nata a Milano e vivo la città, sebbene abbia vissuto un po’ in giro. Nel mio immaginario l’ho voluta mettere nella parte romantica perché ci vivo. Ovviamente, scriverò anche della Milano più critica che mi sta entrando nella pelle. Comunque, in “Ladruncoli” ne parlavo e anche in “Charleston”, con una marcetta un po’ scanzonata, parlo di cocaina: parlo anche con ironia di una città che di notte è pericolosa.
È un aspetto che ho messo in forma velata, mai dichiarata. Nella mia scrittura racconto delle sensazioni senza prendere posizioni politiche.
In una precedente intervista ti sei definita “Monica Vitti” per l’ironia insita nelle tue canzoni. Cosa significa per te questo sentimento?
Nasce da come “io vivo” la vita. Anche nelle situazioni difficili della vita l’ironia mi ha salvato. Per giustificare delle situazioni o delle cose della vita, che ogni tanto è tragico comica, ho portato questo modo di essere nelle canzoni. “Vorrei” è un esempio chiaro di questa attitudine, parlo un po’ di gelosia di questo uomo di cui sono innamorata.
Quando ho un grosso dolore, e lo metto nelle canzoni, ho sempre timore che arrivi un messaggio pesante. Per questo spesso uso l’ironia anche per esprimere sentimenti più intimi. In Italia, la donna che scrive, spesso, viene considerata “pesante”: su questo aspetto siamo molto indietro. Per questo, quando scrivo, cerco di trasmettere quello che provo con un filtro.
Prima di scrivere musica, vivevi nel mondo del teatro che stai portando nelle canzoni. Raccontaci questo passaggio.
Sì, ho iniziato con il teatro. Frequentavo l’Accademia delle Belle Arti di Brera dove seguivo la scenografia e lavoravo a Milano con una compagnia teatrale che si chiamava “Anima nera”.
Successivamente, ho approfondito i miei studi con una la regista argentina “Naira Gonzalez” che mi ha seguito per un po’ di anni, che veniva dal teatro di Eugenio Barba. Lei mi ha dato un imprinting vocale “particolare”, mi faceva cantare diverse canzoni di popolazioni del mondo perché mentre cantano usano la maschera in modo diverso.
Quando sono andata a Musicultura ho portato questo modo di sperimentare, che è una caratteristica molto evidente nel secondo album, dove mi sento più me stessa.
Quando potremo vedere Manupuma in un live?
Mi sto preparando per presentare l’album che presenterò entro dicembre nelle città del nord e del centro Italia. C’è anche l’intenzione di creare un minitour per presentare l’album.
Recensione
Dalla città di Milano, irrompe sulla scena “Manupuma” che porta un sound condito di ironia, timbrica vocale travolgente e testi ricercati”. Ti fa ballare con un Charleston, e poi ti porta vicino alla stazione centrale con una marcia per farti conoscere la città, ma sa metterti in guardia. Dopo averla conosciuta, puoi sederti nel suo teatro e ascoltare con “Cuore Leggero” il suo nuovo album, dove scoprire i suoi mondi raccontati con sonorità dipinte come quadri nello spazio.
eroCaddeo: “Blu violento”, l’amore contro ogni avversità
eroCaddeo: “Blu violento”, l’amore contro ogni sfumatura avversa, è un brano pop con sperimentazioni di R&B, che esplora temi d’amore e di vulnerabilità
Damiano Caddeo, in arte eroCaddeo, è un cantautore e interprete pop nato a Modena, cresciuto in Sardegna e trasferitosi a Torino per motivi professionali. Ha lasciato la sua famiglia per trovarne una seconda, la sua etichetta, il Cvlto Music Group. La penna e il foglio bianco lo aiutano a colmare la distanza dalla sua terra. Il suo nuovo singolo descrive l’intensità di una relazione in cui nessuno crede, ma i protagonisti vanno avanti nonostante le avversità e le paure, trovando forza e rifugio reciproco.
Damiano buongiorno e benvenuto tra noi! Che ruolo gioca la musica nella tua vita?
Al momento è il mio piano A, mi sono trasferito da Cagliari a Torino per lavorare con Cvlto, la mia etichetta. Sono qui da quasi un anno ma lavoro con loro già da un paio d’anni. Finora abbiamo fatto un lavorone e sono veramente felice.
Com’è nata la collaborazione con questa etichetta?
Ho partecipato ad un contest qui a Cagliari e l’ho vinto; nella giuria c’era Raige, dei One Mic, il Cvlto Music Group è la sua etichetta. È venuto nel backstage e mi ha chiesto se volessi firmare come con loro. Tra l’altro, sono stato il loro primo artista.
C’è un artista che ti ha influenzato particolarmente o che è stato un tuo punto di riferimento?
Sicuramente lavorando con Raige la mia scrittura è cambiata. In Italia mi ispiro un po’ a Mahmood a livello di sound.
Ti senti di collocare i tuoi brani in un genere preciso?
Mi viene più facile dire che faccio pop, ma ci sono anche influenze R&B.
Da dove viene il tuo nome d’arte?
Il mio cognome è Caddeo, prima era solo questo il mio nome d’arte. Poi quando ho firmato con Cvlto volevo cambiare perché stavo per intraprendere un nuovo percorso ma non volevo perdere il mio cognome, così ho optato per eroCaddeo, ossia passato e presente insieme. “Ero” è anche un tempo verbale imperfetto quindi mi piaceva questo significato dell’imperfezione nella musica che spesso è un valore aggiunto.
Come hai vissuto il trasferimento da Cagliari a Torino?
A Cagliari ho lasciato il clima, il mare, gli amici e la mia fidanzata; a Torino ho trovato una famiglia, la mia etichetta, che sapevo già che mi stava aspettando. Non è stato un cambio così drastico perché ci conoscevamo già da un anno e mezzo.
Torino ti ispira musicalmente?
La mia scrittura ultimamente è influenzata un po’ dalla distanza perché sento che Cagliari è casa mia. Nella mia città la vita scorre molto lentamente, un po’ come le onde del mare; non c’è la fretta di spaccare. D’altra parte, Torino rimane comunque bellissima e a volte mi influenza in positivo.
Parliamo del tuo nuovo singolo “Blu violento”: da dove nasce l’esigenza di scrivere questo brano?
Questa canzone l’ho scritta qualche mese fa, il significato è differente da ciò che scrivo solitamente. Si parla sempre di amore però in questo caso è più universale. Si tratta di due persone molto diverse che vogliono stare insieme ma il contorno gli fa notare la loro diversità come se fosse un punto a sfavore. Entrambi però vogliono provarci lo stesso e vogliono rischiare. Nel ritornello, infatti, dico “anche senza la luna non abbiamo paura”, ovvero anche senza una strada illuminata possiamo arrivare al nostro obiettivo.
Lo scopo di questa canzone qual è?
Ascoltarsi di più e cercare di andare dritti per la propria strada.
Che significato ha quel “violento” vicino al blu nel titolo?
Blu violento è inteso quasi come l’oceano, come il mare, qualcosa di bellissimo ma di pericoloso e vasto, quasi inconcepibile. Violento è una parola forte e il blu ti dà un po’ di serenità, mi piaceva questo contrasto.
Nella seconda strofa metti in evidenza la differenza tra pioggia e temporale. Perché dici di non confonderle?
Perché la pioggia ci può anche rinfrescare, il temporale potrebbe fare danni.
Nel 2024 sono usciti diversi singoli. C’è un legame che li tiene uniti?
L’aspetto in comune è la ricerca stilistica, il suono.
Cosa fai nel tuo tempo libero?
Ho sempre lavorato come grafico, impegno così le mie giornate. Per il resto, guardo film, scrivo canzoni, gioco a calcetto e mi piace cantare cover in generale.
Ti è mai capitato di aprire qualche concerto?
Sì, ho aperto il concerto di Bresh e di Gemitaiz, erano live di circa tre mila persone che mi hanno fatto appassionare ancora di più. Fungono da palestra per un artista emergente come me.
Quando sei sul palco che sensazioni provi?
La solita ansia da prestazione che però si trasforma nel modo migliore. Sul palco canto meglio di quando faccio le prove, poi mi piace anche un po’ intrattenere, mi scrivo delle battute per fare un po’ di comedy.
Programmi per il futuro? A cosa stai lavorando adesso?
Stiamo lavorando sui nuovi pezzi, il prossimo uscirà a settembre. Come sound ci sposteremo un po’, perché ho notato che mi viene molto facile scrivere delle ballad.
Una tua canzone che funge da biglietto da visita?
Il mio manifesto ancora non c’è ma arriverà a breve.
Ci descrivi la tua musica con tre parole?
Freschezza, energia e romanticismo.
Articolo a cura di Simone Ferri
Gazebo, una lettera firmata “From Pasha With Love”
Gazebo “From Pasha With Love”, il brano nasce come Rock ballad, all’indomani della guerra tra Russia e Ucraina, due stati che hanno tanta storia e fratellanza in comune
Torna in radio Gazebo con l’inedito “From Pasha With Love” contenuto nell’EP disponibile dal 14 giugno anche in digitale, con le due versioni extended e le rispettive radio version.
«Ho vissuto la Guerra dei sei giorni nel 1967 perché mio padre lavorava all’Ambasciata italiana ad Amman in quel periodo – racconta Gazebo – a 7 sette anni fu un’esperienza terribile vivere, sentire gli effetti delle bombe sulle case e sulle popolazioni e mi addolora vedere che nel 2024 c’è gente che cinicamente da una stanza dei bottoni decide del destino di civili innocenti, anziani, donne e bambini.
Il titolo parla di Pasha (diminutivo di Pavel, Paolo) che chiude le sue lettere (o dovremmo forse dire sms, mail o whatsapp) alla sua amata Natasha con la frase da Pasha con amore, parafrasando un titolo di un romanzo di Ian Fleming. La canzone è nata all’indomani della guerra in Ucraina, una guerra che mi ha toccato e mi tocca profondamente visto che ho lavorato spesso in Russia ed in Ucraina, due stati che avevano tanta storia e tanta fratellanza in comune».
Il brano nasce come una rock ballad, scritto a Borgo Melograno da Gazebo, con l’aiuto dei musicisti della sua band, che gli hanno inviato i loro rispettivi contributi e di cui è stata realizzata anche una versione più dance e così è nata la Dance Opera Version (epopea da opera Dance) con l’aiuto di Roberto “Ruxxo”.
Paul Mazzolini, Gazebo, nasce il 18 febbraio 1960 a Beirut. La sua vita, come quella dei suoi genitori, è quella di un poliglotta girovago, sempre alla ricerca di nuove facce, culture e sensazioni. Dopo aver vissuto in vari paesi, nel 1974 Paul torna in Italia per completare gli studi. Finita la maturità, trascorre due anni a Londra dove inizia a formare gruppi musicali e a definire il suo percorso professionale.
Tornato a Roma nel 1981, incontra Paolo Micioni, un ex DJ alla ricerca di giovani talenti, e insieme intraprendono l’avventura di una produzione indipendente. Il loro primo brano, “Masterpiece“, diventa rapidamente popolare nelle discoteche e grazie alla Baby Records, raggiunge le classifiche dance di tutto il mondo. Nel 1983, con il singolo “I Like Chopin“, Gazebo ottiene un successo internazionale, raggiungendo il primo posto in numerosi paesi tra cui Germania, Francia, Italia, Svizzera, Austria, Danimarca, Finlandia, Spagna, Belgio, Canada, Giappone, Portogallo, Hong Kong, Corea, Singapore, Turchia, Messico e Brasile, vendendo oltre otto milioni di copie tra il 1983 e il 1984.
Segue il successo con “Lunatic“, consolidando il suo LP “Gazebo” come un autentico best seller, premiato con la Vela D’oro e il titolo di Top European Chart Act 1983 dal settimanale inglese Music Week, superando artisti come The Police e Culture Club. Nel 1984, Gazebo pubblica il suo secondo album “Telephone Mama“, che viene accolto con entusiasmo nonostante la diversità stilistica.
Tuttavia, l’obbligo del servizio militare interrompe temporaneamente la sua carriera musicale. Nel 1986, dopo la leva, esce “Univision”, segnando una svolta verso il pop. L’anno successivo, Gazebo pubblica “The Rainbow Tales“, co-prodotto con Denis Haines, ex tastierista della Tubeway Army di Gary Numan. Nel 1989, l’album “Sweet Life” include una sua versione di “Dolce Vita”, brano co-scritto da Gazebo e portato al successo da Ryan Paris nel 1983. Nel 1992, Paul pubblica “Scenes from the News Broadcast“, un LP in cui ha suonato, scritto, arrangiato e prodotto tutti i brani.
Gli anni ’90 sono dedicati alla produzione musicale e alla creazione della Softworks, società proprietaria del suo catalogo. Nel 1994, esce “Portrait“, una raccolta dei suoi successi, seguita nel 1997 da “Viewpoint“, un album più introspettivo. Viene pubblicato, nel 2000, il cofanetto “Portrait & Viewpoint” che raccoglie i brani più significativi della sua carriera. Nel 2006, Gazebo lancia il suo sito web ufficiale e firma un accordo con The Orchard per la distribuzione digitale del catalogo.
Presenta nel 2008 “The Syndrone“, un nuovo album di 16 brani. Nel 2013, esce “I Like … Live”, una testimonianza live della tournée europea di “The Syndrone“. Nel 2015, anticipato dal singolo “Queen Of Burlesque“, pubblica l’album “Reset”.
Arriva il 2018 con “Italo By Numbers”, CD di 16 brani che include le migliori canzoni del genere italiano che tanto ha venduto nel mondo negli anni ‘80, Gazebo omaggia la Italo Disco. Brani come “Self Control” di Raf, “Tarzan Boy” dei Baltimora ma anche “Survivor” di Mike Francis, “Easy Lady” di Spagna e “Happy Children” di P. Lion. Nell’album c’è un brano inedito “Untouchable” che è proposto anche in italiano (prima volta per Gazebo) “La Divina” una commovente storia dal passato.
Siamo nel pieno dell’ondata Covid e Paul, nel 2020, dopo una serie di versioni unplugged cantate in diretta sui social, decide di presentare al suo pubblico una versione live ‘zoomata’ di “I Like Chopin”, il suo maggiore successo, dove ognuno dei musicisti della sua band ha suonato da casa propria secondo le direttive del lockdown.
Con l’occasione decide di dedicare l’iniziativa a tutti i medici, infermieri e addetti ai reparti di pronto soccorso e terapia intensiva che in quella emergenza epocale hanno dedicato oltre ogni misura il proprio tempo e le proprie energie (qualcuno ci ha anche rimesso la vita) nella lotta al virus. Il brano prima presentato come video su YouTube è oggi disponibile anche negli store digitali.
Nel 2024 rilascia “From Pasha With Love” il nuovo singolo contenuto in 4 versioni nell’EP dallo stesso titolo.
Video intervista a cura di Domenico Carriero
BBrothers: il nuovo brano “Annì” feat Nicola Nite
BBrothers, con “Annì” raccontiamo l’amore e lo scorrere del tempo, lettera scritta da un padre che vede la propria figlia crescere
In radio e in digitale è disponibile “Annì”, il nuovo brano dei BBrothers, duo formato dai fratelli Domenico e Alberto Bazzoni, feat. Nicola Nite, frontman dei Tazenda. Il brano rappresenta un qualcosa di intimo, lo scorrere del tempo e il legame con i propri figli. Infatti, qui, nello specifico, si racconta di una lettera scritta da un padre, che osserva la propria figlia crescere e che, pian piano, si rassegna alla condizione di genitore che, prima o poi, dovrà lasciare ai propri figli la libertà di affrontare la vita da soli.
Insomma, un brano dove in tanti ci si potranno ritrovare e commuoversi. Noti per aver raggiunto il grande pubblico con la partecipazione all’ottava edizione di “X Factor”, i fratelli Bazzoni hanno scritto, composto e prodotto interamente il brano che anticipa anche il nuovo album prossimo all’uscita.
Dal coinvolgente sound etno-pop al videoclip, è disponibile infatti anche il video, diretto da Daniele Paglia e girato durante un suggestivo tramonto sulla spiaggia di Porto Ferro, ad Alghero (Sassari), rafforzando così il rapporto con la propria terra e il messaggio d’amore paterno che la canzone vuole lanciare, grazie anche alla presenza della piccola Anna, figlia di Domenico Bazzoni.
“Annì” è un brano emotivo e importante, immagino che sia anche un brano personale…
“Annì” rappresenta Anna, che è il nome della figlia di mio fratello Domenico (Bazzoni ndr,). Domenico ha voluto dedicare a lei questa canzone, ma è una canzone dove tutti ci si possono ritrovare. Il cerchio della vita, il tempo che passa e l’amore di un padre che resterà per sempre.
Come nasce invece la collaborazione con Nicola Nite?
La collaborazione nasce da un incontro avvenuto durante una rassegna musicale. Dopo la nostra esibizione, Nicola (Nite ndr.) ci è venuto a fare i complimenti e parlando del più e del meno, ci siamo decisi ad organizzare un qualcosa insieme. Avevamo già collaborato con Gigi Camedda, una delle voci storiche dei Tazenda e questa è stata l’occasione per collaborare anche con Nicola. Abbiamo così buttato giù un po’ di brani e la scelta è ricaduta su “Annì”.
Un brano dove in tanti ci si possono rivedere è questa la forza del brano?
Sicuramente sì! I primi feedback sono stati di molti genitori che si sono ritrovati in queste parole. I genitori ci sono e ci saranno sempre per i figli quindi, è bello sapere di aver dato voce a loro e a questa sensazione.
Grande spazio è dedicato alla vostra terra in questo brano. Il videoclip e la collaborazione con Nite sono due prove evidenti, ma qual è il vostro rapporto con la Sardegna?
La Sardegna è sempre con noi. Noi abbiamo iniziato nel 2005 facendo il piano bar, poi abbiamo trovato il trampolino con X Factor e da lì siamo arrivati a tante persone. Così facendo siamo riusciti a portare in giro quell’impronta sarda e a mantenere la nostra identità. Riuscendo a coniugare la tradizione alle sonorità più moderne tipiche dei nostri giorni.
Questo brano farà da apripista al nuovo album di prossima uscita. Cosa ci potete accennare?
“Annì” è l’anteprima di un EP che uscirà prima di dicembre. All’interno di questo progetto ci saranno tutte le collaborazioni che abbiamo fatto e ci sarà anche qualche altro inedito. Insomma, diverse le sorprese che al momento non possiamo raccontare, possiamo però dire che questo è un progetto ambizioso.
Un progetto ambizioso per portare la Sardegna in giro per l’Italia…
Per noi è fondamentale avere un progetto da portare in giro per l’Italia. Per noi, è come dar voce alla Sardegna. Ci vuole tanta determinazione e passione, anche perché non è sempre facile.
Una carriera ricca di momenti, istanti e attimi. Un ricordo particolare lo avete del vostro percorso?
Sicuramente il ricordo è legato al nostro primo disco, fatto e prodotto interamente da noi. È stata dura, ma è stata una bellissima soddisfazione. Da noi l’hanno comprato tutti e abbiamo dovuto fare anche più ristampe. L’affetto delle persone ci ha dato la forza di continuare questo nostro sogno.
Articolo a cura di Francesco Nuccitelli
Setak, con “Assamanù” la Targa Tengo 2024
Setak, con “Assamanù” riesce nell’intento di lasciare un’impronta indelebile e riconoscibile sulla scena musicale italiana
È Assamanù, il disco del cantautore abruzzese Setak, il vincitore della prestigiosa Targa Tenco 2024 come “Miglior album in dialetto”
«Sono senza parole – dice Setak. Non riesco a spiegare bene quello che sto provando. Penso all’entusiasmo e alla passione delle persone meravigliose che hanno collaborato con me, alla fatica, al lavoro senza sosta, alle lacrime, alla solitudine, alla gioia, all’amore e a tutto l’impegno a fondo perduto che è stato dedicato al mio percorso tanto bello quanto fuori da ogni logica.
Vorrei dare una carezza a quel bambino che da piccolo ascoltava emozionato quella cassetta dei genitori con su scritto “Creu” a matita. Senza saperlo stava ascoltando “Creuza de mä”, quel disco fatto da “perfetti sconosciuti” che ha abbattuto ogni barriera e che gli ha cambiato la vita. Quel bambino che adesso, da grande, ha la forza di cantare: ji só ‘ffàtte “Assamanù”.
Ringrazio profondamente il Club Tenco per l’opportunità e tutti i 74 giurati che hanno agganciato le frequenze del disco. La mia infinita gratitudine va al mio produttore Fabrizio Cesare con cui condivido ogni centimetro di questa strada, gli devo tutto. Un grazie di cuore al mio staff, è un onore lavorare con voi».
Un’immersione emotiva nelle profondità della propria storia personale, tracciata dalle corde di una chitarra che abbraccia i suoni globali e proietta le radici verso il futuro, dall’Abruzzo all’infinito.
Uscito il 7 maggio e anticipato dal singolo Curre Curre(guarda il videoclip realizzato in collaborazione con Medici senza frontiere: https://bit.ly/3U3mYYg), “Assamanù” è il culmine di una trilogia musicale iniziata con l’acclamato disco di debutto di Setak, nome d’arte di Nicola Pomponi, “Blusanza” nel 2019 e proseguito con “Alestalè” nel 2021. Un’opera che suggella un percorso interiore che vede ciascun album raccontare le tre fasi più importanti della vita del cantautore: infanzia (“Blusanza”), adolescenza (“Alestalè”) e infine, oggi, la maturità.
Ad accompagnare l’artista fra queste pagine di diario che prendono la forma di canzoni c’è ancora una volta la sapiente produzione di Fabrizio Cesare: un vero e proprio sodalizio artistico iniziato anni fa in una casa di campagna e che non a caso ha portato Setak a riappropriarsi delle proprie radici, intraprendendo un progetto che ha i piedi saldamente legati alla propria terra d’origine e lo sguardo proiettato in avanti.
Il terzo album dell’artista abruzzese è un gioiello che testimonia la sua abilità unica e personalissima nel saldare il dialetto della propria regione al blues, al folk d’oltreoceano e a tutte quelle musiche che hanno segnato la sua formazione emotiva di ascoltatore e musicista.
Setak usa la propria tecnica sopraffina di chitarrista al servizio della scrittura di canzoni universali, setacciando nella propria storia più intima e nei suoi gusti per selezionare solo gli elementi più preziosi, come faceva anticamente lu setacciar, figura della tradizione agricola abruzzese nonché soprannome della sua famiglia, da cui Nicola Pomponi ha preso ispirazione per scegliere il suo pseudonimo.
Come per il nome d’arte, a dare il titolo all’album c’è un’altra parola abruzzese (termine che non appartiene al dialetto di Penne, ma a quello della provincia di Teramo), “Assamanù”, che significa “in questa maniera”: una dichiarazione di identità, un atto liberatorio che rivendica la scommessa che l’artista ha saputo vincere lungo la sua trilogia discografica, mettendo al centro l’anima più sentimentale del dialetto per “dire cose normali condivisibili da tutte le persone del mondo”.
Attraverso le undici tracce dell’album, Setak esplora tematiche profonde come il tempo, la storia, la memoria e l’importanza di setacciare dentro sé stessi, esponendo un rapporto con la propria terra d’origine che sa essere anche critico e che non ha nulla di campanilistico o folkloristico. Perché “conoscere e fare sintesi del passato e della memoria ha un senso solo se serve per guardare al futuro”.
“Assamanù” è costituito da un mix eclettico di sonorità che, nel solco dello spirito global di Paul Simon, riescono a spaziare sapientemente dal country statunitense all’indie-folk di Iron & Wine, dalla tradizione blues del Delta del Mississippi di Ry Cooder al desert blues dei Tinariwen, dalla cultura sudamericana alle lezioni meno scontate della canzone italiana.
Un viaggio musicale sconfinato dove addirittura la chitarra sahariana di Ali Farka Touré incontra con naturalezza il qawwali pakistano di Nusrat Fateh Ali Khan e il senso mantrico della musica popolare indiana, il tutto reinterpretato con l’originale sensibilità dell’artista originario di Penne, una perla di 11.000 anime in provincia di Pescara, tra i “borghi più belli d’Italia”.
Le significative collaborazioni con Simone Cristicchi, Luca Romagnoli (Management) e Angelo Trabace arricchiscono ulteriormente il tessuto sonoro di questo terzo lavoro: puntuali, sapienti e mai invadenti, comprovano la capacità di Setak di creare connessioni autentiche e profonde con altri talenti artistici.
A completare il quadro delle collaborazioni, si è aggiunta la figura di Matteo Cantaluppi che con grande coinvolgimento ed eleganza ha dato un fondamentale apporto al progetto.
In “Assamanù” ogni canzone svela un aspetto peculiare della sfaccettata esperienza di vita e di pensiero di Setak, creando ponti e collegamenti anche con i suoi dischi precedenti.
Il brano di apertura “Lu ride e lu piagne” tratta con ironia le credenze culturali radicate della sua terra d’origine, mentre “La fame e la sete” affronta con critica l’effimera esistenza della sua generazione, sempre più creativamente retromaniaca.
“L’erba ‘nzì fa pugnale” riflette invece sull’importanza del rispetto per la natura, simulando il suono della kalimba con la chitarra. Con la sua immediatezza pop, “Di chj ssi lu fije?” rappresenta una riconciliazione personale con le dinamiche di paese.
Emergendo come una ballata sussurrata, “Curre curre” offre invece dolcezza contrastante con un testo amaro. La title-track, “Assamanù”, si impone come una dichiarazione audace di identità e individualità e nei cori ospita la voce del talentuoso pianista Angelo Trabace (collaboratore di Baustelle, Dimartino, Tommaso Paradiso).
Un riferimento indiretto al capolavoro letterario di John Fante dà il titolo al country arioso di “Chiedo alla polvere”, in cui Setak racconta con commozione il distacco definitivo dalle persone care. “Figli della storia” esplora invece l’importanza della memoria, con la partecipazione del sensibile contributo di Simone Cristicchi.
Sollevando domande sull’oblio e sul futuro, “Troppe parole” offre uno sguardo riflessivo. “A ‘mme” celebra l’accettazione lucida e amorevole delle imperfezioni, con la collaborazione di Luca Romagnoli dei Management alla scrittura e alla voce nel ritornello.
Infine, “Sono felice (Vincenzino)” rende omaggio al maestro dell’artista, Vincenzo Tartaglia, arricchendo il pezzo con un tocco mistico e riconoscente che pesca da “Guantanemera” e dalla musica sudamericana.
Le influenze di Setak, che spaziano da Paul Simon a Peter Gabriel, da John Lennon a Bon Iver, si fondono in un mix unico e al contempo eterogeneo, conferendo a ogni canzone un’anima e una ricchezza di stili diversa. Ogni collaborazione e influenza contribuisce a comporre un quadro emozionale e concettuale più ampio ma sempre personale, regalando un’esperienza di ascolto ricca e mai banale.
All’apice di un percorso che si distingue per la sua autenticità e la sua sperimentazione continua, con “Assamanù” Setak riesce nell’intento di lasciare un’impronta indelebile e riconoscibile sulla scena musicale italiana.
Video intervista a cura di Domenico Carriero
Santi Francesi, da Sanremo ai tanti live
I Santi Francesi durante questa estate stanno portando il loro inconfondibile sound hard-pop sui palchi delle principali rassegne estive in tutta Italia
“La gentilezza salverà il mondo”, ne sono ancora più convinta dopo aver visto i Santi Francesi.
Dal 2016 attivissimi in campo musicale, trovano nuovo battesimo nella religione dell’hard pop nel 2021.
E se in Francia nascevano Santi senza miracoli e senza glorie appositamente per festeggiarne le giornate, sul lungomare abruzzese il miracolo della santità francese si realizza.
La sintonia che solo chi è cresciuto insieme e ha condiviso macchinette del caffè può avere.
Due ragazzi giovanissimi con il destino intrecciato nella musica italiana.
Sfondi diversi in questi mesi, chiese sconsacrate, palco di Sanremo, Circo Massimo, tour estivi a un passo dal mare, sfondi che si alternano e che, come una perfetta cornice, donano un’architettura, un’interpretazione e una declinazione sempre nuova alle loro canzoni.
E la declinazione continua e si mantiene viva anche nei loro dischi, nella maieutica delle loro parole, parole che tra uno spazio e l’altro concedono all’ascoltatore la possibilità di trovare tutti i significati di cui ha bisogno. Perché forse la sensualità è semplicemente questo, trovare quello di cui si ha bisogno, un po’ per caso, senza costruzioni.
E senza costruzioni ricordiamo insieme l’esibizione con Skin, che grazie alle poche prove si è realizzata così viscerale e unica, e la raccontano quasi proteggendo la magia di quel momento, magia che solo quando due pianeti si avvicinano tantissimo senza far crollare l’universo, può accadere.
“In fieri”, il loro ultimo album, in divenire, segno di un bisogno continuo di moto, e i due ragazzi di Ivrea mentre mi salutano mi fanno pensare al loro divenire ma anche al mio, “Un posto ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via” diceva Pavese, e i due giovani andati via da Ivrea nella processione dei tour italiani fanno stazione nella nostra intervista, e vado via anche io, un po’ ubriaco dall’amore in bocca.
Articolo a cura di Vera Nabokov
Video intervista a cura di Domenico Carriero che ha intervistato i Santi francesi dopo il sound check del live a Montesilvano (PE) lo scorso 10 agosto
Centherbe: “Natura docet” come maestra di vita!
Centherbe: “Natura docet”, la natura insegna l’importanza delle proprie origini e delle piccole cose che troppe volte l’essere umano non considera degne di attenzione
Marco Giannoni, in arte Centherbe, è un cantautore toscano, simbolo ed esponente di quella musica che continua ad esplorare il mondo senza piegarsi alle classiche regole della discografia scegliendo la verità alla superficialità. Racconta storie di vita attraverso dei testi ricchi e densi di immagini vivide in cui l’ascoltatore riesce ad immedesimarsi. Dal suo nuovo disco traspare tutto l’amore per la musica suonata, per un progetto che spazia dal pop rock energico al pop folk delicato e raffinato. 12 tracce in cui il cantante pone l’accento su temi come l’innocenza dei vent’anni e i cambiamenti sociali portati dall’avvento di Internet.
Marco benvenuto tra noi! Come hai coltivato la tua passione per la musica nella tua vita?
Parte tutto dalla forte passione per la scrittura, poi la musica è venuta di conseguenza. Ho avuto un grande stop dal 2012 al 2022 per motivi personali e impegni che non mi permettevano di fare le cose al meglio, ma comunque ho continuato a scrivere molto; nel 2022 siamo tornati con un EP di 6 canzoni, nel 2023 abbiamo pubblicato un altro EP con altri 6 brani e nel 2024 abbiamo rilasciato un album con 12 tracce all’interno. In un anno e mezzo abbiamo tirato fuori 24 canzoni, cercando di recuperare un po’ il “tempo perduto”.
Da dove viene il tuo nome d’arte?
Da piccolo andavo sempre al mare in Sardegna con i miei, prendevamo casa in affitto. Un giorno alcuni amici ci fecero assaggiare il Centherbe, c’erano 38 gradi, avevo 16 anni e ci bastò un goccio per andare un po’ su di giri. Non so perché in quel momento mi venne in mente che se un giorno avessi fatto il cantautore mi sarei voluto chiamare così.
C’è stato un artista che ti ha influenzato più di altri?
Più che influenze, io le chiamo fasi; la musica ti porta ad esplorare varie sonorità e vari stili di scrittura. Ho ascoltato Sergio Caputo, Lucio Battisti, De André, De Gregori, Dalla e via dicendo. La mia libreria è molto vasta, anche a livello internazionale.
Come descriveresti la tua penna?
Non amo giudicarmi. Cerco di lavorare sempre molto su ciò che scrivo, non mi accontento mai finché non smetto. È un po’ come un pittore che dipinge un quadro: non è che lui termina il lavoro quando finisce il quadro, lui smette di dipingere che è ben diverso.
Quanto ti senti legato alla tua terra?
Io sono mezzo sardo, mia madre viene da lì e sono molto legato a questa terra. Per quanto riguarda la Toscana, è bellissima come lo è tutta l’Italia. Io abito in campagna “per le colline”, non vivrò mai a Firenze, non mi passerà mai per l’anticamera del cervello. Ci vado da turista o da visitatore, non di più. Vivo in provincia, ti dà più possibilità di riflettere e ti fa condurre una vita più lenta e serena. Il mondo un artista se lo crea con la sua fantasia. Una volta che parte la penna ognuno crea quello che vuole.
A proposito di campagna e di collina, voglio concentrarmi sul tuo nuovo album “Natura docet”: cosa contiene all’interno?
C’è un grande rispetto per la natura intesa come madre terra, intesa come tutto ciò che ci circonda. Nell’ultima traccia che poi dà il nome all’intero progetto dico di stare molto attenti a questo inseguimento folle della novità più attuale da comprare. Mi sembra che si siano persi i punti cardinali, c’è una velocità sfrenata nel voler tutto e subito. Vedo molta aridità a livello umano e sociale.
Come mai in questo progetto ti sei concentrato molto sulla natura?
Credo molto in lei in quanto la natura è qualcosa di immarcabile per noi, è sopra gli dèi, è sopra tutto. La natura si comporta come vuole nel modo che decide, noi ci dobbiamo adeguare. Decide lei quello che siamo e ciò che faremo. Comanda tutto e ci dovrebbe insegnare nuove parole e nuovi modi. Mai mettersi contro natura.
Le 12 tracce che hai scritto potrebbero essere interpretate come un sentiero da percorrere, a me ha dato anche questa impressione. Ce n’è una tra le 12 a cui sei più legato?
Per uno come me che scrive in abbondanza, ho un legame particolare con tutte le canzoni. “La regina delle possibilità” la sento molto mia, “Helen” ha dei chiari riferimenti ad una donna con gli occhi simili alla magia del mare. Tra l’altro, nella copertina del disco c’è una torre aragonese che è il posto dove adoro andare anche adesso.
La copertina nasce da una tua idea ben precisa?
Innanzitutto, volevo ringraziare Fabio Zini, un chitarrista fantastico, che insieme a me è il produttore artistico del disco. Per la copertina lui voleva fare una sorta di collage, mi ha affidato a Roberta Cerone, che ha curato la grafica. Il prodotto finale sembra un po’ cartone animato e un po’ dipinto, con questa donna bellissima con gli occhi azzurri che fa riferimento sia ad Helen che a Calipso che emerge dal mare. Poi ci sono altri elementi come il sole, i fiori, il mare, tutti chiari riferimenti alla natura.
Quando ho ascoltato questo album ho percepito in te una voglia di anni ’90, un gusto per il vintage che sembra quasi stia tornando in voga. Cosa hanno significato per te quegli anni lì? Ti mancano?
Sì, moltissimo. Mi sembra che all’epoca ci fosse più coscienza tra le persone. C’era più etica morale a livello sociale, si viveva più serenamente, c’era una qualità di vita migliore e spensierata. Musicalmente parlando, c’era una bella scena indie fino ai primi anni 2000. Quegli anni lì sono stati in preda ad una delle rivoluzioni più grandi degli ultimi decenni: Internet. Oggi è tutto più accelerato e se torniamo al concetto sulla natura espresso precedentemente, quest’ultima ci insegna che a forza di accelerare non viviamo più.
Che rapporto hai costruito con il tuo pubblico?
Ho riiniziato ad avere un pubblico da pochissimi mesi, mi piace perché è molto eterogeneo. Una volta una signora mi mandò un messaggio su Messenger chiedendomi se il figlio, che faceva il portiere, avesse potuto usare una mia canzone per la sua tesina di quinta elementare. Ci parlai e rimanemmo entrambi super contenti e io molto soddisfatto. Ho un pubblico che va dai 20 ai 50 anni, una fascia d’età che comprende almeno due generazioni. Mi fa piacere che gente giovane che ascolta più rap si ferma ad ascoltare qualche mio brano e ne apprezza il testo.
Quando sei sul palco che emozioni provi?
Quando so che devo suonare sono felice dal primo momento che mi sveglio. Cerco sempre di divertimi, ogni concerto è una festa e va vissuta come tale. Mi piace tutto del concerto, il prima, il sound-check, andare a mangiare con i colleghi, si lavora tanto per poter vivere insieme queste giornate. Ti lascia una grande energia e ti dà carica per il futuro.
Programmi per l’avvenire?
Stiamo lavorando a dei featuring, nel mentre continuo sempre a scrivere e a buttare giù idee. Inoltre, a dicembre uscita un piccolo libro che contiene tutte le mie canzoni editate fino ad oggi, con testi e traduzioni. Si intitolerà “Centherbe e la setta del Dio sole” e all’interno, oltre ai testi, avrà appunto un racconto semi serio. Verrà presentato il primo dicembre, in un paese vicino a Lamporecchio.
Come mai hai deciso di racchiudere i tuoi testi in un libro?
Perché volevo dargli la giusta importanza e credo che dopo questo disco fosse importante fare un po’ il punto della situazione. D’altra parte, io non smetto mai di fare, non mi fermo mai, anche perché da settembre in poi si comincia a lavorare al disco nuovo.
Il tuo sogno più grande?
Poter continuare a dare tanto tempo al mio progetto.
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