“Re Nudo Pop e altri festival – Il sogno di Woodstock in Italia 1968-1976” di Matteo Guarnaccia

Re Nudo e Woodstock a Milano
Re Nudo pop Festival

Per parlare di questo volume, ristampa aggiornata dell’edizione originale del 2010, è necessario fare una premessa perché sono tre i veri “oggetti della memoria” di questo libro: Re Nudo, Andrea Valcarenghi e l’autore, Matteo Guarnaccia, scomparso nello scorso mese di maggio.

Re Nudo è stata una rivista che si è guadagnata uno spazio di grande rilievo nei temi che hanno fatto parte della sia cifra stilista, la controcultura e la controinformazione. Dichiaratamente di natura libertaria, la sua fondazione, che avvenne nel 1970, si deve a un gruppo di intellettuali e di artisti.

Re Nudo Pop e altri festival

Obiettivo primario di Re Nudo era quello di diffondere in Italia informazioni e tematiche proprie della cultura underground internazionale.

In breve tempo diventò il riferimento culturale per una serie di argomenti che, in quel periodo, sulla stampa mainstream ossia musica, in senso ampio del termine, droghe, sessualità libera, pratiche sociali alternative e fumetti, al tempo legati solo al concetto della fumettistica per bambini e adolescenti, introducente quella che, nel mondo, era la fumettistica dedicata al pubblico adulto.

Andrea Valcarenghi, classe 1947, è noto anche con lo pseudonimo di Swami Deva Majid che, in effetti, è il nome che gli fu assegnato dopo il suo viaggio in India.

Editore e scrittore italiano, nel 1967, poiché obiettore di coscienza nei confronti del servizio militare, scontò una pena nel carcere di Gaeta.

Re Nudo e Woodstock a Milano
Re Nudo Pop e altri festival – book cover

E’ tra i fondatori de Gli studenti della città, un mensile di controinformazione del Movimento Studentesco che può essere considerata la sua operazione prodromica alla nascita di Re Nudo, tant’è che, nel 1970, insieme a un piccolo gruppo di amici, diede vita alla rivista che diventò un vero e proprio mensile di controcultura e che diresse per per dieci anni.

Proprio sulla spinta di Re Nudo, tra 1971 e il 1976, Valcarenghi organizzò i pop festival che portarono il nome della rivista, come quello a Ballabio, all’Alpe del Viceré, allo Zerbo e poi gli ultimi tre anni a Milano, al Parco Lambro.

Re Nudo Pop e altri festival

Proprio l’ultimo festival al Parco Lambro, quello nel 1976, fu segnato da incidenti, espropri e violenze che entrarono nell’immaginario collettivo e che, considerazione amara, minimizzarono la grossa spinta culturale che proprio da questi festival arrivò.

Matteo Guarnaccia, artista, storico dell’arte e viaggiatore italiano fu attivo dagli inizi degli anni Settanta, come agitprop culturale della scena alternativa con la rivista psichedelica “Insekten Sekte”, da lui fondata ad Amsterdam e diffusa lungo la “Hippie Trail”.

Re Nudo e Woodstock a Milano Guarnaccia by Joe Zattere
Guarnaccia by Joe Zattere

Con il suo inconfondibile tratto grafico, collaborò con diverse testate contro culturali del periodo, dall’americana “Berkeley Barb” all’italiana “Fallo!”.

Nel tempo ha pubblicato oltre cinquanta saggi sulle avanguardie storiche e sui movimenti creativi antagonisti. È scomparso il 14 maggio 2022.

Il fenomeno dei festival pop negli anni ’70 non fu esclusivamente un fatto musicale ma anche, e soprattutto, di costume.

Nato negli Stati Uniti culminando con gli storici eventi di Woodtsock, Monterey e il tristemente noto Altamont, proseguito in Inghilterra con l’Isola di Wight, prese poi vita anche in Italia con il solito tipico di ritardo.

Di quella stagione, purtroppo, oggi si ricorda solo il suo drammatico epilogo al Parco Lambro nel 1976 ma la storia, fortunatamente, documenta ben altro.

E in questo solco, quello del recupero storico della memoria, s’inserisce il lavoro di Matteo Guarnaccia edito da Volo Libero.

Nelle sue 224 pagine il libro, curato da Claudio Fucci, si ripresenta oggi con un approccio contemporaneo anche grazie all’utilizzo di collegamenti con QR-code a contenuti video e audio che sostituiscono il CD e il DVD allegati alla precedente edizione.

Re Nudo e Woodstock a Milano 3
Re Nudo

Di questa mantiene interventi e contributi di Bruno Casini, Enzo Gentile, Claudio Rocchi e Andrea “Majid” Valcarenghi ma presenta una nuova versione sia per quanto riguarda la parte testuale sia per quella iconografica.

Rispetto all’edizione del 2010 non si perde quello che era il pregio principale, ossia il linguaggio chiaro e senza retorica che rende il lavoro accessibile anche a chi non visse in prima persona quei tempi.

L’autore non si lascia prendere da nessuna apologia, nessuna nostalgia e propone una semplice e chiara sintesi con opinioni di quello che accadde.

Dedicato a chi ha avuto la fortuna di vivere quegli anni ma caldamente consigliato a quanti, in quegli anni, non erano ancora nati.

 “David Bowie. Il divino alchimista” di Dalila Ascoli, biografia che affronta gli aspetti mistici del Duca Bianco

David Bowie: la ricerca di spiritualità
David Bowie (Photo by Michael Ochs Archives/Getty Images)

Un Bowie inedito, almeno per la grande maggioranza dei suoi fans, quello che racconta Dalila Ascoli nel suo “David Bowie. Il divino alchimista” edito da Arcana.

Il ritratto tracciato dall’autrice, in questa occasione, non è quella del musicista, di quel David Bowie che più di una generazione ha amato profondamente ma quello dell’uomo David Robert Jones, dei suoi più profondi pensieri e convincimenti che hanno, inevitabilmente il lavoro dell’altro lui, David Bowie che, di volta in volta si è incarnato nello Ziggy Stardust messaggero del messia alieno, nell’extraterrestre Newton caduto sulla Terra in cerca di acqua per salvare il suo popolo o nel cabalistico Duca bianco alla ricerca del Graal ma anche nel Minotauro di 1.OUTSIDE.

David Bowie: la ricerca di spiritualità 1
David Bowie – Il divino alchimista – book cover

È immediatamente percepibile, sin dalle prime pagine che il volume è relativamente interessato alla musica di Bowie, privilegiando il suo percorso artistico e, soprattutto, il suo percorso mistico-esoterico tanto che uno dei personaggi più ricorrenti è l’esoterista Aleister Crowley, molto amato dei Led Zeppelin.

Ma è proprio vero che David Bowie sia stato un moderno profeta e mago, tra Cristo, Cagliostro e Tesla come è presentato dalla Ascoli che scrive «Bowie condivide con i termini éidõlon, icona e star, la loro fondamentale natura di artifex.

Con l’elogio dell’artificio e la creazione dei suoi innumerevoli alter ego, Bowie in qualità di artifex risveglia la potenza seduttrice e carismatica dei suoi personaggi»?

David Bowie: la ricerca di spiritualità
David Bowie – Blackstar

L’autrice ci accompagna in un viaggio alla ricerca di dettagli, ma anche d’indizi che traspaiono nelle tematiche delle canzoni, analizzando anche le cover dei suoi dischi, i suoi videoclip e alcune dichiarazioni che Bowie rese in alcune interviste.

Di fatto la trattazione dell’autrice è rigorosa molto e appassionata, anche quando è analizzata la sua produzione e i metodi che hanno portato Bowie ad ottenerla.

La costruzione della solidità di Bowie impone a Ascoli di citare solo gli aspetti umani e gli elementi biografici che lo riguardano solo se direttamente utili tanto che non vengono nominate le sue celebri consorti Angela Barnett e Iman Abdulmajid e nemmeno i figli Duncan e Alexandria.

Ma forse, per raccontare “l’uomo caduto sulla terra”, questo era il passo giusto da fare.

Paolo Conte, autore di culto, un gigante della canzone e un narratore strepitoso  

Paolo Conte, ritratto inedito e originale
Paolo Conte – Foto Getty images

Non è anomalo che un documentario sia corredato da un libro soprattutto se, nel suo insieme, riescono ad essere uguali ma necessariamente complementari.

Questo è il caso dell’ultimo libro a firma di Giorgio Verdelli “Paolo Conte”, edito da Sperling & Kupfer.

L’autore e regista di documentari musicali Giorgio Verdelli, dopo il successo del suo docufilm Paolo Conte, Via con me uscito nel 2020, ha deciso di prendere per mano i lettori e accompagnarli alla scoperta delle canzoni del grande cantautore astigiano rilevandone aspetti e forme inedite.

Paolo Conte di Giorgio Verdelli - book cover
Paolo Conte di Giorgio Verdelli – book cover

Il risultato ottenuto è quello non solo di un ritratto inedito e originale, ma anche quello di un racconto corale, un racconto che si sviluppa attraverso le parole dell’autore e di Paolo Conte sapientemente “contaminate” attraverso quelle di altri grandi personaggi del mondo della cultura, della musica e dello spettacolo.

Tra questi Roberto Benigni, a cui l’autore affida la conclusione del volume.

«Conte è il Matisse della musica italiana… ecco, innovativo e nella tradizione. Con queste dolcezze cromatiche, avventure cromatiche ha l’istinto des fauves… è una bestia selvaggia come loro, l’istinto primordiale» scrive Benigni.

Più che mai, come in questo caso, la funzione dei singoli capitoli assume il ruolo di tessera di un mosaico che comparirà nella sua interezza solo dopo l’ultima pagina del libro, permettendo al lettore, grazie a ricordi, curiosità, aneddoti e storie di entrare nel mondo di Conte, pieno di mille e più sfumature, quello che gli hanno permesso di essere il più poliedrico dei narratori musicali della musica contemporanea.

Paolo Conte, Giorgio Verdelli
Giorgio Verdelli

Paolo Conte è senza alcun dubbio un autore di culto, un gigante della canzone e un narratore strepitoso.

Nell’arco della sua carriera è stato capace di raccontare storie attraverso la musica, dominando influenze jazzistiche e tradizione cantautoriale italiana creando un mix unico, capaci di essere apprezzato oltre i confini nazionali.

Piccole, ma importanti, storie di una qualunque provincia del nord Italia sono diventate grazie a lui parte dell’immaginario collettivo di diverse generazioni anche grazie ai suoi testi, descrittivi ma mai didascalici, che ci hanno fatto “sentire” il sudore e l’ansimare di Bartali, “vedere” il colore del cielo, “annusare” l’odore dei vicoli di Genova.

Paolo Conte Live at Venaria Reale - cover
Paolo Conte Live at Venaria Reale – cover

Oltre alla già citata presenza del “piccolo diavolo” toscano, le parole di Renzo Arbore, Pupi Avati, Jane Birkin, Stefano Bollani, Vinicio Capossela, Caterina Caselli, Giorgio Conte, Francesco De Gregori, Cristiano Godano, Guido Harari, Paolo Jannacci, Jovanotti, Patrice Leconte, Isabella Rossellini, Peppe Servillo e Giovanni Veronesi aiutano il lettore a entrare in sintonia con il grande artista che ha fatto propria l’arte del non prendersi mai troppo sul serio, tranne che nella composizione musicale, utilizzando il pentagramma come una tela, con i suoni trasformati in colore, con la cronaca trasformata in poesia.

Anziché aspettare Godot, è sicuramente meglio trovare il tempo per un’altra sigaretta, per un’altra canzone.

“Il figlio del Re” di Mirko Casadei, è il racconto del figlio, Mirko e di suo padre Raoul, una figura con cui fare i conti per tutta la vita e al quale si è sempre paragonati

Mirko Casadei e Zibba: "Il figlio del Re"
Mirko e Raoul Casadei

Già dal titolo di questo libro è evidente che, purtroppo, non si tratta di una biografia di Raoul Casadei.

“Il figlio del re” edito da Bompiani e firmato da Mirko Casadei, figlio dell’immenso Raoul, e Zibba dimostra in realtà che tra Raoul e il figlio Mirko è senza dubbio il primo dei due che meriterebbe una biografia completa e, inevitabilmente, questo volume rappresenta un ibrido senza una precisa ragione di esistere per la predominanza di Mirko rispetto alla narrazione sul Re del liscio Raoul, scomparso il 13 marzo 2021 vittima del Covid.

Probabilmente si tratta di un’occasione perduta perché, pur riconoscendo a Mirko Casadei, direttore dell’orchestra di famiglia, l’Orchestra Casadei, già da molti anni, che ha tenuto concerti all’estero, spettacoli teatrali e televisivi con la Mirko Casadei PoPular Folk Orchestra e che nel corso della sua carriera ha lavorato con artisti come

Mirko Casadei e Zibba: "Il figlio del Re" book cover
“Il figlio del Re” book cover

Enrico Ruggeri, Paolo Fresu, Eugenio Bennato, Goran Bregovic, Irene Grandi, Marc Ribot e Richard Galliano, una sua peculiarità artistica, la capacità di rinnovare il repertorio di famiglia che, in gran parte deriva da Raoul e da Secondo, capostipite dei Re del liscio romagnoli.

Il libro è il racconto del figlio, Mirko, di un padre, Raoul, che, seppur ispiratore delle ambizioni del figlio e del suo futuro, è una presenza ingombrante e, soprattutto, una figura con cui fare i conti per tutta la vita e al quale si è sempre paragonati.

Una relazione padre-figlio sicuramente difficile, piena d’incomprensioni e contrasti, come ben si evince dalla lettura del libro e per il peso che nella narrazione questa dinamica compare in maniera ricorrente.

Raoul Casadei - il Re del liscio
Raoul Casadei – il Re del liscio

Come dichiarato, il libro «è una collezione di ricordi ed episodi condivisi, fatti e racconti di quei fatti, montati con taglio cinematografico secondo il disordine ordinato della memoria» ma, e il lettore se ne renderà conto subito dopo la lettura delle prime pagine, la necessità di una sequenza narrativa cronologica avrebbe reso l’opera più fluida e anche la lettura ne sarebbe stata facilitata.

Frammenti importanti una vita, quella di Raoul, sono troppo spesso messi in secondo piano dalla vita di Mirko.

Ci dispiace che, anziché l’autobiografia di un figlio, se stesso, Mirko avesse messo da parte il proprio egocentrismo e avesse reso un omaggio vero, puro alla memoria di colui che inventò la frase “vai col liscio” e che riuscì, pur

Mirko Casadei e Zibba: "Il figlio del Re" - Raoul Casadei
Raoul Casadei

mantenendo lo spirito e l’essenza inziale, mettere mano al repertorio di Secondo Casadei, il musicista in abito bianco e panama, il violino sulla spalla come un moschetto, che girava per le aie cercando di sconfiggere il boogie-woogie, la musica degli americani.

Prince, di lui rimane la sua musica, la sua immagine e       “Le iconiche chitarre di Prince” di Rudy Giorgio Panizzi

Era il 21 aprile 2016 quando arrivò la notizia della sua morte. Il “folletto di Minneapolis”, com’è stato soprannominato, è morto in circostanze mai chiarite nella sua casa di Minneapolis.

Lui, Prince Roger Nelson, in arte Prince ma che negli anni ha utilizzato, sia per motivi contrattuali sia artistici, nomi come The Artist, sigle come TAFKAP, acronimo di “The Artist Formerly Known As Prince”) o persino un simbolo impronunciabile, incrocio fra il simbolo del maschile e del femminile e noto ai fan come Love Symbol, ha avuto gli ultimi grandi titoli sulle prime pagine dei giornali.

Di lui rimane la sua musica, senza dubbio, la sua immagine, costruita e calibrata nel tempo, e le sue chitarre.

E proprio la sua genialità e il suo estro si sono spesso riflessi anche sulle chitarre che ha suonato, considerate delle vere e proprie opere d’arte.

Un argomento che ha appassionato Rudy Giorgio Panizzi, torinese, in servizio presso la Polizia Scientifica come esperto nell’analisi di impronte digitali.

Le iconiche chitarre di Prince - book cover
Le iconiche chitarre di Prince – book cover

Grande appassionato di Prince, a lui ha dedicato altri due libri, “Prince – A volte nevica in aprile” e “Prince – Il segno dei miei tempi”, coniuga la sua passione e la sua professione affrontando un tema specifico, concentrando la sua ricerca sugli strumenti utilizzati dal musicista, quasi “impronta digitale” dell’artista.

Senza ombra di dubbio si tratta di un tema che, da un lato, interessa in modo particolarmente chi ama gli strumenti musicali, e dall’altro, i fan di Prince.

Un lavoro non per tutti, tanto da poter essere definito di nicchia ma, al contempo, un’analisi dell’estro di Prince che si è spesso riflesso sugli strumenti che ha suonato, considerati delle vere e proprie opere d’arte, oltre che delle naturali estensioni della sua creatività, della sua personalità e della sua ambiguità.

La sera del 14 aprile 2016, pochi giorni prima della sua prematura scomparsa, Prince presentò al mondo la GUS Purple Special, una chitarra dai contorni dorati realizzata per lui da Simon Farmer, la sua ultima chitarra, quella che non riuscì mai a suonare.

Prince
Prince and Telecaster guitar

Il libro è arricchito da disegni e fotografie ma è altrettanto ricco di particolari inediti e contiene le interviste a Jerry Auerswald, il liutaio che ha costruito la chitarra “Love Symbol”, e Simon Farmer, che hanno aiutato a far luce sulla storia di questi meravigliosi oggetti di liuteria anche grazie ad aneddoti curiosi e coinvolgenti.

Ricorderemo Prince per le sue chitarre? No, lo ricorderemo per la sua musica, per quella sua capacità di dedicarsi a composizione, arrangiamento, produzione, canto ed esecuzione dei suoi lavori spesso in totale autonomia.

Lo ricorderemo anche per la sua attività pionieristica sia in campo musicale sia commerciale, tra i primi a sfruttare Internet per la promozione e la vendita online sul suo sito web.

#Notedicarta: la vita di Leonard, dalla sua infanzia all’uscita di “Let love rule” il suo primo album. Autobiografia di Lenny Kravitz che con David Ritz si racconta

 

Lenny Kravitz: “Let love rule”, il libro
Lenny Kravitz

Grazie alla traduzione di Michele Piumini arriva, edito da Mondadori, l’autobiografia ufficiale di Lenny Kravitz.

Non entro nel merito sulla necessità di una biografia del cantautore, polistrumentista, produttore discografico e attore statunitense biografia, peraltro che ripercorre in maniera esclusiva la vita di Leonard, questo il suo vero nome, dalla sua infanzia all’uscita del suo primo album, quel “Let love rule” che dà il titolo al libro.

Dire che questo lavoro si salva solo grazie alla collaborazione di David Ritz, storico coautore di numerose autobiografie celebri, può rappresentare un plus e non un minus ma, in realtà se volete conoscere aspetti della vita di Kravitz che rappresentano sia la sua formazione socio-caratteriale sia quella musicale, forse questo libro vi soddisferà perché David Ritz, nella sua vita, ha scritto romanzi, biografie, articoli per riviste e oltre cento note di copertina per artisti come Aretha Franklin, Ray Charles e Nat King Cole. Ritz è inoltre coautore di 36 autobiografie, comprese quelle di molte celebrità.

Lenny Kravitz: “Let love rule”, il libro 2
Lenny Kravitz: “Let love rule” – book cover

Si tratta del racconto della sua passione principale, la musica, che ha sempre coltivato grazie a quel mix di amore, rispetto, e fascino che il mondo femminile ha sempre esercitato su di lui, anche grazie alle due figure più importanti della sua vita, la madre, l’attrice Roxie Roker e la nonna Bessie cui si è aggiunta Lisa Bonet, diventata sua moglie e madre della sua unica figlia Zoë.

Venticinque anni di vita, il suo primo quarto di secolo, sono quindi il fulcro del racconto che comprende una enorme quantità di ricordi legati alla sua infanzia, alla sua adolescenza e alla vita di quel giovane uomo, non ancora famoso, che, per sua stessa ammissione, non ricorda un solo giorno senza che la musica lo abbia guidato.

Lenny Kravitz: “Let love rule”, il libro 3
Lenny Kravitz Let love rule – album

Quanto ci è proposto, senza dubbio, è lo sguardo affettuoso, e a tratti divertente, che Leonard rivolge a quegli anni formativi che descrive con sincerità, per quanto ne possiamo sapere, e con piglio funzionalmente onesto, raccontando anche la complessa relazione con i suoi genitori e il loro divorzio.

Non tace di raccontare il suo rapporto con i produttori discografici, quelli che inizialmente non sapevano cosa farsene di uno come lui, e con gli artisti che hanno ispirato il suo caratteristico ibrido musicale di soul e rock classico.

Dobbiamo Ricordare che Kravitz è riuscito a vendere, negli anni, più di 40 milioni di dischi vincendo anche quattro Grammy consecutivi.

Lenny Kravitz: “Let love rule”, il libro
David Ritz

Questo fa di lui una rockstar? Sicuramente ne fa un artista che ha ottenuto un ottimo consenso e che, nel tempo, ha sempre cercato di esprimere la sua coerenza musicale attraverso il suo carisma, le sue ottime doti interpretative e per il timbro di voce inconfondibile.

Runnin’ with the devil di Noel Monk un testo imperdibile per gli appassionati del quartetto californiano

Van Halen, il libro: "Runnin' with the devil"
Van Halen (Photo by: Fryderyk Gabowicz/picture-alliance/dpa/AP Images)

Noel Monk, morto lo scorso mese di aprile, fu prima tour manager e poi, dal 1978 al 1985, manager a tutti gli effetti della band, racconta la prepotente presenza nella scena hard rock dei Van Halen, caratterizzata dalla presenza di un chitarrista geniale e innovativo quale è stato Edward “Eddie” Van Halen.

Il volume traccia la loro storia dall’ascesa e della loro prima caduta attraverso un punto di vista tanto diretto quanto inusuale.

Scelto come tour manager da Warner Bros. per il piglio con cui era riuscito a gestire una band complicata come i Sex Pistol, il rapporto con i Van Halen riuscì non solo ad accreditarlo come il loro tour manager ideale ma.

il libro: "Runnin' with the devil"
Monk e Eddie

Grazie al rapporto quasi simbiotico che si creò, furono gli stessi Van Halen a chiedergli di occuparsi di loro come manager.

I successi, peraltro rivendicati da Monk nel libro, conseguiti sono passati alla storia: un nuovo contratto con Warner Bros.

Con maggior vantaggio per la band e lo sfruttamento del merchandising che, ben presto, divenne una fonte di guadagno con cifre da capogiro.

Van Halen, il libro: "Runnin' with the devil" - book cover
“Runnin’ with the devil” – book cover

In questo libro Monk racconta, inoltre, il “dietro le quinte” di una band impossibile da gestire fornendo una serie di aneddoti, alcuni dei quali incredibili, e molti retroscena che nessun altro, se non la band stessa, avrebbe potuto raccontare.

La sua conoscenza personale, nel bene e nel male, della band, gli ha permesso di tracciare un ritratto spesso inedito dei quattro musicisti molto preciso.

Nelle 368 pagine, edite in Italia da “Il Castello editore”, Monk colleziona il peggio e il meglio dei Van Halen realizzando un’esaltante glorificazione e una sonora stroncatura allo stesso tempo tratteggiando il quadro di una band che, seppur in possesso di un potenziale enorme, non riesce pienamente a sfruttarlo soprattutto causa sia di continui conflitti interni e, inevitabilmente, a causa del perenne abuso di alcool e di sostanze stupefacenti.

"Runnin' with the devil"
Eddie (Photo by Paul Natkin/Getty Images)

Il periodo analizzato dall’autore corrisponde sicuramente al miglior periodo dei Van Halen, una carriera con il pedale dell’acceleratore sempre premuto fino in fondo sino alla morte del loro guitar hero, Eddie Van Halen.

Per gli appassionati del quartetto californiano si tratta sicuramente di un testo imperdibile anche per le rare fotografie che corredano il lungo racconto.

Battisti e Beatles: “Un nastro rosa a Abbey Road” di Donato Zoppo

Battisti e Beatles: la fine di un sogno
Lucio Battisti

Si tratta in realtà, della ri-pubblicazione di due lavori precedenti di Donato Zoppo e, per la precisione di “Something. Il 1969 dei Beatles e una canzone leggendaria”, pubblicato nel 2019, e “Con il nastro rosa. L’ultima canzone di Mogol e Battisti e la fine del sogno”, pubblicato nel 2020.

Grazie ad un espediente cronologico, l’autore li accorpa, li rende “omogenei” grazie al sottotitolo “Il 1969 dei Beatles, il 1979 di Lucio Battisti” e, non pago, cerca di renderli omogenei attaccandosi a un aspetto concettuale, quello che entrambi segnano la fine di un forte sodalizio, da un lato quello dei Fab Four e dall’altro quello Battisti-Mogol.

Battisti e Beatles: la fine di un sogno
I Beatles

Immaginate di avere in mano un improbabile long playing a 33 che contiene, da un lato “Something”, dei Beatles e dall’altro “Con il nastro rosa” di Lucio Battisti.

Si tratta, senza dubbio, di un invito ad essere curiosi. Un invito per cercare di capire quanto il tempo e la distanza possano essere effimeri: il 1969 e il 1979, Beatles e Lucio Battisti, Londra e Milano, così lontani ma in effetti mai così vicini.

Pregevole la prefazione di Alberto Fortis, musicista con una storia artistica che ha incrociato sia il mondo beatlesiano, che quello battistiano.

Beatles - Something - cover
Beatles – Something – cover

«“Something” colpisce per l’equilibrio tra le varie componenti, che si traduce in classicità immediata: se è vero che Lennon e McCartney sono stati la risposta inglese degli anni ’60 alle grandi firme della canzone moderna, da Cole Porter a Burt Bacharach, con “Something” George Harrison compete a pari merito» scrive Zoppo, e ancora «”Una giornata uggiosa” chiude un’epoca: Mogol e Battisti prendono altre strade.

È il loro ultimo disco. Si è scritto e detto tantissimo sulla separazione, tanto silenziosa quanto chiacchierata; nessun comunicato stampa, niente dichiarazioni incrociate, prese di posizioni pubbliche, rivendicazioni. Molto semplicemente, i due si allontanano».

Ma quali soni i motivi di questa operazione editoriale? Lo dichiara l’autore in una recente intervista «Era un mio vecchio desiderio, quello di unire i due testi.

Era importante creare una sorta di cucitura, perché il 1969 dei Beatles e il 1979 di Battisti e Mogol erano molto diversi.

Luoghi, tempi, storie, ambienti, musiche, tutto molto differente, eppure un elemento in comune c’era: la fine di un’esperienza, quella di un quartetto che aveva cambiato la storia della musica internazionale, quella di un duo che aveva raccontato la vita sentimentale e quotidiana degli italiani.

Un nastro rosa a Abbey Road - book cover
Un nastro rosa a Abbey Road – book cover

Così ho riveduto, corretto, soprattutto integrato: ho inserito tanti contributi presi da lunghe conversazioni con giornalisti, discografici, musicisti, e ho raccolto una bella e lunga introduzione di Alberto Fortis, che ha tanto da dire sia sui Beatles che Battisti.

Ovviamente dopo l’uscita del filmone Get Back di Peter Jackson era doveroso aggiornare il libro, visto che eravamo grossomodo rimasti alla narrazione ufficiale di Let It be, pur sapendo che le cose non erano andate proprio in quel modo».

Il volume, pubblicato da Pacini editore, è impreziosito dalle ulteriori prefazioni di Michelangelo Iossa e Paolo Morlando, non presenti nelle stesure originali, e dagli interventi di autorevoli giornalisti discografici e di addetti ai lavori, tra i quali Ernesto Assante, Valerio Corzani, Rolando Giambelli, Mario Giammetti, Federico Guglielmi, Maurizio Baiata, Massimo Bonelli, Gino Castaldo, Roberto Manfredi, Carla Ronga e John Vignola.

Battisti: Con il nastro rosa - cover
Battisti: Con il nastro rosa – cover

Un libro che si propone di aprire le finestre socchiuse di un pezzo di storia musicale, contraddistinto da un intrigante decennio.

L’autore, nato a Salerno nel 1975, scrive per i magazine Audio Review e Jam, dal 2006 conduce Rock City Nights (Radio Città BN 95.FM), uno dei programmi rock più seguiti in Italia.

Dal 2005 dirige l’ufficio stampa Synpress44, con cui cura produzioni discografiche ed eventi culturali e musicali.

Ha pubblicato libri su Beatles, King Crimson, Area, PFM, Genesis, Lucio Battisti; alcuni di questi sono diventati fortunati eventi storytelling.

#Notedicarta: Paul McCartney: Music is ideas” le storie dietro le canzoni di Luca Perasi

Paul McCartney il repertorio dal 1970 al 1989
Paul McCartney

È ovvio che sir Paul McCartney non abbia bisogno di presentazioni. Il suo viso da eterno bambino e il suo basso Hofner modello Violin rimarranno per sempre nell’immaginario collettivo di chi ha amato, e ama ancora, i Beatles.

Luca Perasi, l’autore, è sicuramente il maggior esperto di Paul McCartney a livello internazionale e lo dimostra il fatto che la stessa società dell’ex Beatle, la MPL, gli chiede consulenze per le pubblicazioni discografiche di repertorio.

Questo suo Paul McCartney: Music is ideas”, edito da L.I.L.Y. Publishing tratta il repertorio di McCartney dal 1970 al 1989 e la sua uscita è stata accompagnata dall’annuncio che un secondo volume è in stato di avanzata lavorazione.

Paul McCartney il repertorio dal 1970 al 1989 - book cover
Paul McCartney: Music is ideas – book cover

Autore di “I Beatles dopo i Beatles: Le carriere soliste di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr (1970-1980)”, Paul McCartney: Recording sessions (1969-2013)”. “A journey Through Paul McCartney’s songs after The Beatles”, “L’universo McCartney”, Perasi si cimenta in una monumentale opera basata su un’incredibile quantità d’informazioni compressa nelle sue 534 pagine.

Ma non si tratta solo di una paziente raccolta di dati, peraltro già esistenti in forma frammentaria su carta e in rete, perché l’autore le correda d’interviste esclusive realizzate a musicisti e fonici che hanno partecipato personalmente alla realizzazione delle registrazioni delle canzoni di cui nel libro si parla.

Aspetto importante, trattandosi di un artista che nella sua carriera ha composto 25 album pop, 5 di musica classica e circa 500 canzoni, è la profondità del racconto che Perasi mette su carta, portando il lettore alla conoscenza anche della parte, forse, meno conosciuta di McCartney.

Paul McCartney il repertorio dal 1970 al 1989 McCartney - Mull of Kintyre - Foto Keystone-Getty Images
McCartney – Mull of Kintyre (Foto by Keystone-Getty Images)

Qualcuno potrà stupirsi, ad esempio, che il suo singolo più venduto, periodo Beatles escluso, sia “Mull of Kintyre”, suonato con una banda di cornamuse.

Il brano fu pubblicato l’11 novembre 1977, in un momento turbolento per la società e la scena musicale britannica, nel pieno di tumulti sociali e dall’ondata del punk, scelta assolutamente controcorrente e potenzialmente rischiosa per il proseguimento della carriera del baronetto.

“In un quadro economico-sociale così complicato – scrive Perasi sul suo libro – McCartney fu preda di enormi dubbi sulla pubblicazione come facciata A del singolo che aveva in programma di Mull of Kintyre, un valzer d’atmosfera quasi natalizia, o invece di Girls’ School, un brano rock aggressivo.

Si arrese all’incertezza e chiese consiglio a Bob Mercer del reparto marketing della EMI, che dovette fare una faticosa opera di convincimento nei suoi confronti riguardo al potenziale commerciale di Mull of Kintyre, della quale Paul «pensava che non avrebbe venduto una copia».

Paul McCartney il repertorio dal 1970 al 1989 - Paul McCartney e John Lennon
Paul McCartney e John Lennon

La soluzione di McCartney, nonostante il parere favorevole di Mercer, fu quella di non rischiare del tutto, e il brano fu proposto come doppio lato A assieme a Girls’ School, la quale però in America fece da facciata principale.

McCartney: «Ci è mancato poco che non uscisse. A quel tempo la musica era solo punk. Ma ho fatto una verifica con alcuni giovani: a loro piaceva, e allora l’abbiamo pubblicata»”.

Se amate Paul McCartney indipendentemente dal suo periodo nei Beatles avete trovato il libro giusto per voi, in attesa del secondo volume cui non potrete fare a meno.

#Notedicarta: “Italian Futuribili – il pop nostrano che ci ha visto lungo”,  il libro che va oltre la critica musicale tradizionale

Demented Burrocacao: "Italian Futuribili..."
Demented Burrocacao – Stefano Di Trapani

Per il periodo post-feriale, perché suppongo che la maggior parte di voi sia oramai rientrata nei luoghi di lavoro, ho deciso di proporvi la recensione di un libro che, in realtà, è un invito all’ascolto.

Chiariamo subito un punto: Demented Burrocacao è lo pseudonimo di Stefano Di Trapani. L’autore, un’ottima penna del giornalismo musicale che collabora con diverse riviste, pubblica per “Minimun Fax” questo “Italian Futuribili – il pop nostrano che ci ha visto lungo”.

Franco Battiato e Lucio Dalla, Lucio Battisti ed Enrico Ruggeri ma anche Flavia Fortunato o Scialpi, Al Bano e Romina, Amanda Lear, Cicciolina, i Matia Bazar, Giuni Russo ma anche i Pooh sono parte di quel gruppo di artisti che l’autore individua come portatori di un lungo sguardo verso il futuro.

Artisti nei quali c’è, grazie all’autore, all’interprete o all’arrangiatore quel “quid” in più che è rappresentato da un suono, dal testo ma anche da uno spunto o un’idea, che dimostrano la tesi dell’autore, osservatore attento e imparziale, potendosi permettere, e questa è la sua cifra stilistica più significativa, di apprezzare musiche di generi molto diversi, e a volte in forte contrasto culturale, tra loro.

Ricco di brani musicali inaspettati, questo libro si propone di andare oltre alla critica musicale tradizionale proprio perché lo sguardo dell’autore si posa “altrove”, in quell’altrove che spesso viene distrutto dal mainstream che appartiene al momento storico anche per inerzia del pubblico.

Un caso su tutti, che ovviamente incontrerete durante la lettura del libro. Come considerate, ovviamente intendiamo dal punto di vista artistico Pupo, ossia quell’artista che ci ha abituato a brani che sono la fotocopia uno dell’altro e si muovono quasi esclusivamente su giri armonici quasi da principiante.

Demented Burrocacao: "Italian Futuribili..." book cover
Demented Burrocacao: Italian Futuribili – il pop nostrano che ci ha visto lungo – book cover

Pochi sanno che, a metà degli anni ’80, Pupo indossò un abito che stona con quella sua immagine e scrive “Change Generation”, un disco elettronico che definire undergroung è poco perché forse è più undergroung dell’undergroung.

Nel brano ci sono arrangiamenti incentrati sull’elettronica, un intenso uso di campionatori Emulator e strumenti similari, ma, cosa importante che dimostra che “aveva visto lungo” il background musicale proposto svela un concept che immagina scenari di un futuro in cui i giovani sono costantemente iperconnessi.

Dal punto di vista sociale può sembrare un brano scritto nei 2000, non sicuramente negli anni ’80.

«All’arrivo della title track – scrive l’autore – si capisce che siamo proiettati su un altro palcoscenico: pestone elettronico sintetico in cui si narra di “amori in videogame”, di una generazione che comunica a monosillabi americani come l’immancabile ok.

Sembra ispirarsi al Moroder di Scarface o cose del genere, e in effetti si parla di contrasti con la polizia, di una gioventù che vuole solo vivere la sua vita senza cazzi. In un certo senso è un inno all’edonismo, trap prima del tempo (“capelli corti ma lunghi pensieri dentro di noi”) ed è il primo pezzo in cui Pupo sembra davvero a suo agio nei suoni robotici.

Demented Burrocacao Pupo Change generation cover
Pupo – Change generation – cover

In Di nuovo tu i suoni sintetici e computerizzati si infilano nelle crepe di chitarre passate nel mixer, è il racconto di un amore che corre sul filo di una ballata stile Space Age Love Song degli AFOS, ma profuma anche di hyperpop alla AG Cook.

Stessa cosa vale per La mia libertà: togliete Pupo e metteteci una voce contraffatta a mo’ di pop orientale e avremo un brano dell’era digitale perfetto: “La libertà senza una lei che senso ha?”.

Anche il testo sembra uscito da un generatore di brani per la generazione z, sempre coi giri armonici tirati ed elementari, innaffiati da algidi campionatori».

Eliminate i vostri preconcetti musicali e leggete le 352 pagine di questo libro ma, soprattutto, cercate di ascoltare i brani proposti dall’autore perché vi dovrete ricredere su diversi artisti italiani che avete snobbato completamente. Buona lettura e, soprattutto, buon ascolto.

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