James Patterson “Gli ultimi giorni di John Lennon” romanzo e thriller, la storia vera di due uomini

#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon
#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon – John Lennon

Forse molti lettori conoscono James Patterson, l’autore di questo libro. E lo conosceranno, soprattutto, gli appassionati dei thriller perché Patterson è il creatore di alcune serie editoriali che, nel tempo, hanno contribuito a definirlo uno dei più importanti autori di thriller del nostro tempo.

A lui si devono le serie “Alex Cross”, “Le donne del club omicidi”, “Maximum Ride”, “Michael Bennett”, “Daniel X”, “Witch & Wizard”, “NYPD Red” e la serie “Private” che vede come protagonista Jack Morgan, ex pilota dei Marines sopravvissuto a una missione in Afghanistan.

Il romanzo è edito da Longanesi e la sua traduzione è curata da Andrea Carlo Nappi, già traduttore di Patterson per “Private” e “NYPD Red”.

“È seduto al suo posto in aereo, avvolto da una nube di fumo di sigaretta. Apre il portafogli e guarda la licenza del porto d’armi. Pensava di comprare una calibro 22, ma il negoziante gli ha raccomandato la calibro 38.

Be’, con la calibro 22, se un ladro le entra in casa le ride in faccia, gli ha detto. Ma con una calibro 38 non c’`e niente da ridere. Con la calibro 38 le basta un colpo per stenderlo.

Il modo più sicuro per trasportarla, gli ha spiegato al telefono la Federal Aviation Administration, è mettere arma e munizioni in valigia.

Così ha fatto lui. La pistola è stata acquistata legalmente alle Hawaii. «Difesa personale», ha detto al negoziante. Le munizioni sono un altro discorso.

I proiettili a punta cava sono illegali nello Stato di New York. Se la sicurezza aeroportuale decidesse di perquisirgli il bagaglio, rischia l’arresto”.

#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon 2
#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon – book cover

Questa volta Patterson si cimenta in quello che si può definire un romanzo storico perché, con il suo tipico piglio, ci racconta due storie, quella di Mark David Chapman, l’uomo passato alla storia per aver ucciso John Lennon, a una settimana dalla sua follia più grande e quella di John Lennon che parte dalla nascita dei Beatles, nei primissimi Anni Sessanta.

Si tratta di eventi veri che diventano nelle mani di Patterson, coadiuvato in questo lavoro da Casey Sherman e Dave Wedge, una sorta di thriller.

In effetti, ma questo era inevitabile, in libro è un po’ sbilanciato nella sua parte storica sui “Fab Four” estremamente ampia, raccontati sin dalle prime strimpellate di chitarra e passando in rassegna ognuno dei loro long playing, ogni singola canzone, ogni concerto, in un racconto che si snoda tra amicizie, amori, storie private, tradimenti, figli, passioni.

Inevitabile anche il fatto che nel racconto storia dei quattro di Liverpool ci sia un occhio di riguardo che vigile costantemente sul più irrequieto dei quattro, John Lennon, sulla sua infanzia difficile, sulle sue follie per droga e sui suoi costanti sbalzi d’umore.

Chapman però, grazie alla penna sopraffina di Patterson, viene tratteggiato grazie ad una immersione nella sua psiche malata e, come succede spesso quando un romanziere mette la sua penna al servizio della Storia, grazie al fascino che lo stesso Patterson ha nei confronti di Chapman.

È un individuo anonimo, Chapman. Nessuno lo ferma ai controlli in aeroporto eppure ha con sé una calibro 38 e alcuni proiettili con la punta cava e, per questo, totalmente illegali nello Stato di New York.

#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon - James Patterson
#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon – James Patterson

Ma Chapman, lo svelerà la Storia, è un individuo assolutamente anonimo, quasi inesistente, vigliacco e codardo che spara a John alle spalle, senza nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi.

C’era bisogno di un’ulteriore biografia dei Beatles perché, in fondo, di questo di tratta? “Tune In” di Mark Lewisohn assolve a questo ruolo tanto da poter essere definita “the ultimate” e lo dimostra lo stesso Patterson che la saccheggia, come risulta da un’amplissima bibliografia, puntualmente citata in cinquanta pagine con ben 1.484 note.

La storia dei Beatles è arricchita da una serie di interviste esclusive ad amici e collaboratori di Lennon, fra cui Paul McCartney.

“John ti piacerà, dice l’amico Ivan Vaughan a Paul McCartney, È un grande. Paul lo conosce già`, ma in realtà solo di vista. John Lennon è più vecchio – ha quasi diciassette anni – e non si sono mai parlati, anche se per andare a scuola prendono lo stesso autobus Allerton-Woolton.

Oggi John canta con il suo gruppo, i “Quarrymen”, alla festa della chiesa di St. Peter. Paul e Ivy, quindicenni, ci sono andati in bicicletta, per vedere com’è. Be’, soprattutto Ivy. Paul ci va per le ragazze. È sabato 6 luglio 1957 e fa già caldo quando i “Quarry Men” salgono sul palco all’aperto”.

#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon Mark David Chapman
#Notedicarta: Gli ultimi giorni di John Lennon – Mark David Chapman colui che sparò e uccise John Lennon

A chi raccomandare questo libro? Forse a chi della storia dei Beatles conosce poco, magari per età anagrafica, ma anche a chi ha voglia di sentirsi raccontare la loro storia come se fosse un romanzo perché, quando ci si avvicina a quel tragico 8 dicembre 1980, il cuore si stringe, il testo diventa ricordi veri, vissuti e si percepisce la frenesia di voler arrivare a cambiarne il finale, di quell’imprevisto che non c’è stato al fine di tenere John Lennon vivo il più a lungo possibile.

“Dante rockstar. L’influenza del Sommo Poeta nella storia della musica pop” di Giuseppe Attardi

#Notedicarta: “Dante rockstar” di Giuseppe Attardi
#Notedicarta: “Dante rockstar” di Giuseppe Attardi

Dante Alighieri? Sicuramente stiamo parlando una popstar ma, nel contempo, di un metallaro e di un rapper.

Il sommo poeta, l’autore della “Divina Commedia”, è il più citato dai parolieri fra i classici della letteratura italiana, «perché in realtà è l’autore che ha codificato la struttura stessa della poesia-canzone d’amore, che nasce dalla sofferenza e dalle lacrime e si nutre di malinconia e nostalgia».

Parola di Giuseppe Attardi che ha pubblicato, per Contanima, “Dante rockstar. L’influenza del Sommo Poeta nella storia della musica pop”.

Se la presenza di Dante nel “canzoniere” italiano è inevitabile conseguenza di reminiscenze scolastiche, può sembrare oltremodo strano rintracciarlo oltre i confini nazionali ma Attardi ci consegna le prove che autori come Dylan, Cohen, Bowie, Cobain, Yorke, Sepultura, Tangerine Dream e Coldplay abbiano seguito le sue tracce e la sua penna.

È evidente che l’immaginario scatenato da Inferno, Purgatorio e Paradiso sia stato declinato in tutte le lingue e in quasi tutti i generi musicali dal pop al rock, dal metal al progressive, dal jazz all’elettronica, all’indie e infine al rap.

 

#Notedicarta: “Dante rockstar” di Giuseppe Attardi
Giuseppe Attardi

La “Divina Commedia di Dante è diventato uno di quei luoghi metafisici all’interno dei quali cantautori come De André, Lauzi, Vecchioni, Guccini, Califano, Tenco, Battisti e Mogol hanno scavato nell’onirico misterioso che è il linguaggio delle assonanze su cui è basata.

E proprio dalle parole di Attardi scopriamo come e perché Dante sia riuscito ad attraversare non solo “la selva oscura” rimanendo vivo, ma anche perché dopo settecento anni dalla sua morte sia riuscito ed evitare si diventare un banale ricordo o una rimembranza accademica e lo fa navigando attraverso un cielo composto da canzoni, tra gli altri di Capossela, Clementino, Cristicchi, Sangiorgi, Antonacci e Francesco Gabbani.

E che dire dell’album con dodici brani dedicati alla figura di Pia dei Tolomei, “Pia come la canto io” della “ghibellina senese” Gianna Nannini che rende così omaggio al “guelfo” Dante?

O dei Baustelle che pubblicano l’album “I mistici dell’Occidente“, raccontando di esseri umani che con il linguaggio hanno tentato, da Dante a Giovanni della Croce, di rinnovare il verbo di Dio?

Gli stessi Colapesce e Dimartino, nel loro nell’album “I mortali” del 2020, trasfigurano le figure di Dante e Beatrice nei loro Rosa e Olindo nel brano che racconta la strage di Erba, trasformandoli negli amanti della Commedia da Bonnot e l’’ex “Assalti Frontali”, Walter Buonanno, nel suo brano “Storia di un imprecato”, che vede la partecipazione di Caparezza, li mette a confronto con Paolo e Francesca.

#Notedicarta: “Dante rockstar” di Giuseppe Attardi copertina del libro
#Notedicarta: “Dante rockstar” di Giuseppe Attardi copertina del libro

E ancora Grazia Di Michele che prende a pretesto la storia dei due amanti di dantesca scrittura per raccontare di tempi in cui ci spendiamo dietro a passioni meno carnali e più vacue nella sua “Paolo e Francesca”, inserita nell’album “Il mio blu” uscito nel 2015.

Un Dante moderno, sconvolgentemente contemporaneo, forse perché proprie le “canzonette”, più o meno colte, hanno continuato a farlo entrare nel nostro immaginario superando a volo d’angelo il tempo per ritrovarsi nel ritornello “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate“ del brano “Tra le granite e le granate” di Francesco Gabbani o nel breve video promozionale, destinato a lanciare uno dei suoi album, di Achille Lauro che ha usato il suo celeberrimo «Nel mezzo del cammin di nostra vita…».

Se desiderate avvicinarvi a Dante in un altro modo, con un altro punto di vista, in maniera alternativa, questo è un libro che fa per voi.

#Notedicarta: “Amy Winehouse Beyond Black. Le lacrime si asciugano da sole” di Naomi Parry

Amy Winehouse: oltre il nero dell’eye-liner
#Notedicarta: “Amy Winehouse Beyond Black. Le lacrime si asciugano da sole” di Naomi Parry

Era la fine del mese di luglio del 2011. A soli 27 anni, Amy Winehouse ci lasciava.

Sono trascorsi dieci anni da quel momento e questo lasso di tempo è servito a Naomi Parry, stylist e amica di Amy, per raccogliere, ordinare e metabolizzare il materiale e le testimonianze che possiamo ritrovare in “Amy Winehouse Beyond Black. Le lacrime si asciugano da sole” edito da Mondadori Electa e tradotto da Marta Tripodi.

Prima ancora che una collaborazione professionale il rapporto di amicizia, vero e solido, era iniziato in un periodo in cui Winehouse non era ancora stata travolta dalla fama e, anche nei momenti più turbolenti e bui della sua breve vita, la Parry è rimasta al suo fianco, diventando così una delle pochissime ad essere ammesse nella cerchia ristretta di amici di Amy, sempre più diffidente a causa delle continue incursioni dei paparazzi nella sua vita privata.

Amy Winehouse: oltre il nero dell’eye-liner copertina del libro
Amy Winehouse Beyond black copertina del libro

Il punto di partenza è Camden, quel quartiere londinese amato dalla cantante e, grazie all’aiuto dell’occhio e dell’obbiettivo del fotografo Andrew Hobbs, Naomi Parry ripercorre la vita, non solo quella artistica, della Winehouse.

Un percorso visivo-narrativo che si svolge come un rullo di pellicola contenente luoghi, concerti, abiti e oggetti, insomma tutto quello che ha contribuito a formare il personaggio Amy.  Scrive la Parry “in queste pagine la sua vita è presentata con equilibrio, onestà ed empatia.

In fin dei conti è una lettera d’amore a un’amica: una persona straordinaria”. Inevitabile anche perché solo un’amica che ha camminato condividendo lo stesso percorso può accompagnarci e riuscire a farci guardare oltre il nero dell’eye-liner alla Amy Winehouse.

“Beyond Black: le lacrime si asciugano da sole” è quindi un ritratto intimo e personale, più che un vero e proprio volume celebrativo.

Amy Winehouse: oltre il nero dell’eye-liner Naomi Parry
Naomi Parry con l’amica Amy Winehouse

Soprattutto perché la Parry ha aperto il suo enorme archivio fotografico e di memorabilia, compreso l’iconico guardaroba di Amy e i suoi oggetti personali, e li ha utilizzati per ricreare minuziosamente gli interni dell’appartamento e della casa di Camden in cui Amy ha vissuto, mostrando come mai prima era stato fatto al pubblico il “mondo di Amy”.

Il volume è corposo, veramente ricco d’immagini e la struttura narrativo-temporale è scandita dagli album a partire da “Frank” (2002-2004), per proseguire con “Back to Black” (2005-2008) e “Lioness” (2009-2011).

Si tratta di un libro in cui la musica, motivo principale per cui conosciamo Amy Winehouse, a tratti ha meno spazio dei sentimenti e dei rimpianti, ma anche i fan più accaniti apprezzeranno questa scelta perché questo potente ritratto rende giustizia all’immagine complessa di una star molto ammirata, con un’anima bella e dolce altrettanto tormentata.

 “Franco Battiato. Come un incantesimo. Le storie dietro le canzoni” di Carla Spessato

Franco Battiato: per non dimenticare
Franco Battiato (Foto da Wikipedia)

Dimenticare Battiato? Come potremmo ma, se proprio a qualcuno venisse la voglia di posizionarlo nel cassettino dei ricordi destinati all’oblio il libro di Carla Spessato, edito da Giunti, farà sicuramente cambiare idea.

Non c’è dubbio che, tra dischi, videoclip, cinema, e memorabilia assortita, Battiato è stato uno e bino, asceta e radicale.

Sarà anche solo per età anagrafica ma io ho preferito l’oscuro sperimentatore che si muoveva sulle sue “Corde di Aires” e l’iconoclasta pop degli album anni Ottanta che superano, soprattutto, in incisività l’esoterico speculatore post-Fisiognomica.

Il mio modestissimo parere è che la ricerca di assoluto del Battiato prima e seconda maniera si avvalga dei valori aggiunti dello sguardo e della preveggenza sociale perché c’è un Battiato che possiede una dialettica arditamente sui generis che coniuga alto e basso culturali, sufismo e critica dei costumi, classica, pop e sonorità mediorientali, neoavanguardia e rock melodico.

Franco Battiato: per non dimenticare copertina
Franco Battiato copertina del libro

Alla luce di ciò mi sia anche concesso scrivere che ritengo Manlio Sgalambro la personalità meno prossima a Battiato, ma diventata, quasi per contrappasso, la più condizionante per l’artista.

Forse Franco Battiato ne ha guadagnato in spessore speculativo ma ha sicuramente perso la sua scorrevolezza.

Le oltre trecento pagine che compongono questo libro permettono di (in)seguire tracce, commenti, retroscena di ogni canzone scritta da Battiato per accompagnarci, quasi mano nella mano, nella immensa carriera “diagonale” di Battiato, dai melodismi iniziali e ancora non maturi di “È l’amore” o di “Il mondo va così” alle mirabili rarefazioni letterarie di “Torneremo ancora”.

Franco Battiato: per non dimenticare - Carla Spessato
Carla Spessato

La Spessato non tralascia nulla, inserendo, per meglio cercare di tratteggiare un artista e intellettuale che non si è mai dato limiti, anche i suoi sconfinamenti, più o meno fortunati, nell’ambito cinematografico e quelli, più riusciti, nella pittura.

Nessuna apologia anche se “Come un incantesimo” analizza una copiosa biografia musicale, utile riepilogo per i seguaci, parola molto più consona al “Battiato pensiero” che non fan, perché troveranno la genesi di ogni loro brano del cuore ma anche propedeutico per i neofiti che si approcciano ai mondi lontanissimi, seppur vicinissimi, di Franco Battiato solo sulla base di una reazione emotiva dovuta alla sua recente scomparsa.

L’appendice, che chiude il libro, è a firma di Franco Zanetti e di Riccardo Bertoncelli e permette di scoprire, ennesimo regalo per i lettori, la realizzazione di un disco-raccolta dei 45 giri del primissimo Battiato, abortito sul nascere diversi anni fa.

Un libro che, con il piglio del romanzo racconta una storia vera, documentata e particolareggiata che non vuole essere semplicemente la storia di Fumo ma, piuttosto, la storia di una città

#Nortedicarta: “Rapsodia in blue note” di Lucio Fumo
Lucio Fumo, Sergio Cammariere e Burt Bacharach

Il volume è un appassionato lavoro sulla memoria di Lucio Fumo, patron del “Pescara Jazz Festival” nella lunga carriera alla guida della manifestazione da lui promossa alla fine degli anni ‘60.

Lucio Fumo è un operatore musicale il cui nome è legato alla nascita e crescita di prestigiose istituzioni culturali abruzzesi tra cui la “Società del Teatro e della Musica Luigi Barbara” fondata insieme ad Ennio Flaiano nel 1967 e al “Pescara Jazz” istituito nel 1969 e di cui ha curato ben 42 edizioni. Con i due enti, Lucio Fumo ha portato nel corso degli anni le principali star internazionali del settore nella sua città.

Lucio Fumo è colui che ha reso Pescara un punto di riferimento ineludibile in Italia e nel mondo per l capacità di rappresentare le numerose anime musicali confluenti nella cultura jazz. Di lui dicono che è un uomo bonario, dal fare discreto e dotato del fascino silenzioso della borghesia di provincia.

#Nortedicarta: “Rapsodia in blue note” di Lucio Fumo - cover
#Nortedicarta: “Rapsodia in blue note” di Lucio Fumo – Cover

Con “Rapsodia in blue note”, edito da “Ianieri edizioni” per la “Fondazione Pescarabruzzo”, Lucio Fumo ripercorre gli anni memorabili del jazz a Pescara: gli esordi stentati, ma subito promettenti, il successo di pubblico e di critica fino ai momenti di fulgida affermazione a livello nazionale e internazionale, quando la manifestazione ha potuto rivendicare una rara autonomia anche di espressione.

Gato Barbieri, Bill Evans, Duke Ellington, Miles Davis, Keith Jarrett, Ella Fitzgerald sono solo alcuni tra i più influenti ed innovativi musicisti del Novecento che hanno aderito, negli anni, alla manifestazione.

Accanto ai nomi “classici” del jazz, dagli anni Novanta, hanno fatto la loro apparizione sul palcoscenico di Pescara anche celebri interpreti e cantautori, che hanno introdotto l’evento alle prospettive della musica leggera più impegnata, del rock e del pop, come James Taylor, Joan Baez, Bob Dylan, Tony Bennett, Tracy Chapman, Burt Bacharach, Natalie Cole.

Un libro, questo, che non è un romanzo ma nemmeno un saggio. Un libro che, con il piglio del romanzo racconta una storia vera, documentata e particolareggiata che non vuole essere semplicemente la storia di Fumo ma, piuttosto, la storia di una città che, sin dal 1963, anno in cui a Pescara si esibì Gato Barbieri e anno in cui nasce la voglia di fondare il “Jazz Club Pescara”, comincia a far compenetrare la musica jazz nei suoi interessi culturali.

#Nortedicarta: “Rapsodia in blue note” di Lucio Fumo
#Nortedicarta: “Rapsodia in blue note” di Lucio Fumo

È il racconto di una generazione, quella che portava con sé il giradischi di famiglia per far ascoltare agli amici una musica che poco aveva a che fare con il bel canto all’italiana. Una musica che gli sarebbe entrata nella vena e che, linfa vitale, avrebbe alimentato una profonda passione per questa musica fatta di sincopi, armonie dissonanti e impasti sonori densi di dinamicità.

Il testo, curato da Marco Patricelli, è il diario di quel lungo viaggio che, anno dopo anno, arriva al 1969, anno in cui si concretizza il primo festival jazz a Pescara, al 1970, anno in cui Pescara viene citata nella copertina dell’autorevole rivista “Jazz magazine” come città di festival jazz assieme a Newport, Montreaux, Carthage e Antibes e poi via veloce, tra “primedonne e contrattempi”, edizione dopo edizione, fino alla conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2016 nel corso della quale fu annunciato che quella sarebbe stata l’ultima edizione.

Un volume pieno di vita e di amore, corredato da una ricca collezione fotografica che riporta il lettore agli anni narrati nel capitolo e, elemento importantissimo, una serie di “plus” che lo rendono un documento storico come la cronologia, con i partecipanti dall’edizione del 1969 e quella del 2016, una bibliografia ragionata e selezionata e un indice dei nomi citati.

#Nortedicarta: “Rapsodia in blue note” di Lucio Fumo Lucio Fumo e Ella Fitzgerald
#Nortedicarta: “Rapsodia in blue note” di Lucio Fumo Lucio Fumo e Ella Fitzgerald

Contravvenite ad una regola: iniziate a leggere il libro proprio dall’indice dei nomi citati dopo di che iniziate a leggerlo nella maniera tradizionale, dalla prima all’ultima pagina.

I nomi riecheggeranno dentro di voi durante la lettura e vi permetteranno di godere ancor di più degli aneddoti che troverete durante il racconto e dello scorrere del tempo.

Visto il periodo, sicuramente potrebbe essere un ottimo regalo da mettere sotto l’albero di Natale. Anche il vostro.

Le label vi devono aiutare in tutte le fasi non solo per diffondere la vostra musica, ma anche il vostro profilo di artista

Etichette discografiche indipendenti: label o records, fidarsi?
Etichette discografiche indipendenti: label o records, fidarsi? (immagine by Pixabay)

Non è sufficiente un nome di fantasia seguito dalla parola “label” o “records” per essere sinonimo di etichette discografica, ossia una vera e propria label.

Una label vera è un’azienda con sua esistenza giuridica, ossia una sede legale, una partita IVA, riferimenti per contattarli, un roster, ossia un elenco di artisti, un catalogo musicale, come qualsiasi azienda seria.

È evidente che, se durante la vostra ricerca vi imbattete in “label” cha hanno solo una pagina sui social e un indirizzo mail attestato ad un provider gratuito è chiaro che dovete approfondire la vostra ricerca anche per evitare di finire in una possibile trappola.

Tenete conto, quindi, che più i riferimenti sono aggiornati e maggiore sono le probabilità che si tratti di un’etichetta in attività e con le “carte in regola” anche dal punto di vista fiscale.

Cosa controllare? Nel sito ufficiale, non sulle pagine social, devono essere presenti le ultime pubblicazioni, l’indicazione dei digital store che utilizza, quali canali distributivi predilige, quali sono i suoi partners commerciali e se si occupa anche delle edizioni musicali.

Followers sui social? Anche se il compito primario di una pagina social per una label è quello di aumentare la visibilità propria ma anche quella degli artisti associati, la presenza di pochi followers e iscritti può indicare una piccolissima label o, probabilmente, una “vanity label”, ossia una label che appartiene all’unico artista presente nel roster, il proprietario che, per diversi motivi, ha scelto di auto pubblicarsi al fine di controllare direttamente tutto il ciclo produttivo e distributivo.

Etichette discografiche indipendenti: label o records, fidarsi? (Immagine by Pixabay)
Etichette discografiche indipendenti: label o records, fidarsi? (Immagine by Pixabay)

Esistono, inoltre, molti studi di registrazione, e spesso il nome è seguito dalla parola “records” proprio per questo, e di produzione musicale che offrono anche servizi di etichetta discografica. Diversi di questi sono presenti da molti anni sono sulla scena discografica e lavorano in modo estremamente serio e professionale.

Non si può dire a priori se la label che ha come base una edizione musicale sia più seria di una derivata da uno studio di registrazione. Il consiglio è quello di evitare i factotum, perché, generalmente, si rivelano come un nulla di fatto o comunque approssimati in una o più delle fasi di produzione e distribuzione.

Hanno personale dedicato e specializzato che si occupa di gestire tutte le varie attività da label?

È fondamentale perché a voi dovranno garantire che saranno in grado di curare il vostro progetto musicale come se fosse il loro, ossia con la stessa cura e passione che voi avete messo per produrlo.

L’incontro fisico può essere rivelatore: se la persona con cui vi apprestate a formare un contratto discografico è il medesimo che vi aveva risposto al telefono, che vi ha risposto al citofono e aperto la porta, che vi ha offerto il caffè o una bibita, che si è messo alla console audio, che lavora al master e che gestirà, magari con l’aiuto di suo cugino, la promozione spesso senza essere un giornalista, c’è qualcosa che non va.

Sappiate che l’insieme dei lavori necessari per gestire un’etichetta spesso sono molto complessi tanto quanto lo è la lavorazione di un brano da parte di uno studio di registrazione.

Etichette discografiche indipendenti: label o records, fidarsi? (Immagine by Pixabay)
Etichette discografiche indipendenti: label o records, fidarsi? (Immagine by Pixabay)

Le label vi devono aiutare in tutte le fasi non solo per diffondere la vostra musica, ma anche il vostro profilo di artista. Vi permetteranno, inoltre, di mettervi a confronto con altri artisti che, come voi, stanno facendo lo stesso percorso.

Inoltre, vi devono aiutare durante la promozione per poter tirar fuori il tuo potenziale dandovi i giusti suggerimenti al fine di monetizzare al meglio la vostra musica.

Ricordate anche che si tratta di un lavoro che, come tutti gli altri, deve avere il proprio compenso o ritorno economico sicuro.

Alle spalle della label ci devono essere professionisti che lavorano assiduamente per diversificare il proprio business, per promuovere il più possibile e al meglio il catalogo musicale, che cercano nuovi e alternativi canali di distribuzione sia digitale sia fisica, che creano e mantengono rapporti con radio, TV e riviste.

Senza personale competente e specializzato, come dicevamo poc’anzi, purtroppo non si va da nessuna parte e, permettete un consiglio, cercate di non andarci con loro.

# Diesis o Hashtag?” di Renato Caruso, fisica, ma non solo, anche informatica, matematica, biologia e tecnologia fanno parte di questo libro; ma soprattutto, la musica intesa come arte

#Notedicarta: “# Diesis o Hashtag?” di Renato Caruso
#Notedicarta: “# Diesis o Hashtag?” di Renato Caruso

Lo sapevate che Albert Einstein, lo scienziato che ha rivoluzionato la fisica del Novecento, suonava il violino? E che Max Planck, fisico tedesco, iniziatore della fisica quantistica e premio Nobel per la fisica, suonava il pianoforte? Oppure che Galileo Galilei, fisico, astronomo, filosofo, matematico e accademico italiano, considerato il padre della scienza moderna, suonasse il liuto?

Da sempre ci sono tanti punti in comune tra la musica e la scienza e non solo negli ultimi cinquant’anni quando, prepotentemente, l’informatica e i suoi strumenti sono entrati, a buon titolo, a far parte della dotazione di quasi tutti i musicisti.

Potrebbe sembrare una provocazione, e dal punto di vista filosofico sicuramente lo è, ma l’obiettivo di # Diesis o Hashtag?”, il libro di Renato Caruso edito da “One Reed”, era quello, riuscito, di mettere in relazione scienza e musica.

“C’è stato sempre questo binomio tra musica e scienza: personaggi come Pitagora, Fourier – dichiara Caruso – “hanno contribuito a far sì che la musica di oggi sia quella che ascoltiamo noi. Senza questi scienziati non avremmo né questi accordi, né queste melodie”.

Il libro è un lungo dialogo tra due amici, Francesca è una giornalista scientifica e scrive articoli di fisica mentre Renato è un chitarrista che gira l’Italia con i suoi concerti.

#Notedicarta: “# Diesis o Hashtag?” di Renato Caruso book cover
#Notedicarta: “# Diesis o Hashtag?” di Renato Caruso – copertina

Sembrano punti di vista lontani anni luce, soprattutto se si pensa alla musica come un’espressione artistica senza alcun vincolo ma, tra opinioni e prospettive differenti, i due amici si rendono conto che arrivano sempre a un punto comune perché, scopriremo durante la lettura del libro che ci sono molti punti in comune tra la scienza e la musica.

“Spesso la matematica è musica e la musica è matematica, anzi, c’è chi dice che la musica è il suono della matematica” dichiara l’autore.

Durante questo dialogo, suddiviso in capitoli i cui titoli sono i nomi degli accordi e dei numeri utilizzati nel linguaggio binario dei computer Francesca insegna a Renato, cos’è la frequenza di un suono, cos’è un computer, un algoritmo, la forza di gravità, come funziona il vecchio vinile, gli strumenti, l’MP3.

Renato, dal canto suo, condivide con lei le sue conoscenze musicali, le spiega chi erano i Beatles, Chopin, le scale musicali, le storie dei grandi compositori, la SIAE, come funzionano i computer e il linguaggio binario.

Fisica dunque, ma non solo. Anche informatica, matematica, biologia e tecnologia fanno parte di questo libro. E, soprattutto, la musica intesa come arte. Il termine tecnologia deriva dalle parole tekné e logos, ossia ”discorso sull’arte” ma anche ”sulla tecnica”, o meglio ancora sul ”saper far qualcosa”.

#Notedicarta: “# Diesis o Hashtag?” di Renato Caruso libro
#Notedicarta: “# Diesis o Hashtag?” di Renato Caruso

Si tratta di un libro per bambini e adulti ma soprattutto per chi ha voglia di scoprire, o far scoprire se regalato ad un amico, aneddoti e curiosità sulla musica e sulla scienza, attraverso una conversazione che comprende storie di vita vissuta e nella quale i due personaggi parlano di sè, raccontano i loro primi amori, le paure, i momenti di crisi, gioie e dolori di tutti i giorni e si lasciano andare a dissertazioni affascinanti attraverso uno stile narrativo incentrato sul puro dialogo di Francesca e Renato.

Trovare la label adatta al proprio genere musicale che condivida i vostri stessi valori e possieda il vostro mondo musicale, quello che costituisce il vostro bagaglio più prezioso

Etichette discografiche indipendenti: come scegliere
Etichette discografiche indipendenti: come scegliere (Foto by Pixabay)

Può sembrare inutile dirlo ma firmare un contratto con un’etichetta discografica, indipendente o meno che sia, può rappresentare un’ottima occasione per la vostra visibilità e per la vostra carriera, permettendovi di entrare all’interno di circuiti commerciali e promozionali che molto spesso sono negati ai “lupi solitari”.

È necessario, però, ricordarsi che le possibilità vanno sempre sfruttate al meglio e che firmare per una label non vuol dire rimanere a casa propria aspettando che il successo invada il proprio spazio vitale.

Molti, nella loro vita, hanno provato a scrivere musica e/o canzoni ma non tutti hanno i “numeri” per poterlo fare e molti altri si sono trovati sopraffatti dall’industria musicale che, a causa del loro stile, li hanno esclusi dal mercato.

Stante l’attuale sviluppo della discografia e i presunti interessi dei fruitori di musica, produrre musica mainstream vuol dire mettersi a confronto con moltissimi concorrenti. Spesso l’artista paga il prezzo di non essere riuscito a creare attorno a se un team e a poter contare su una struttura organizzata che si occupi del progetto musicale.

Voglio essere molto chiaro: se si rompe il rubinetto di casa vostra, sicuramente, vi rivolgete a un idraulico, non ad un carpentiere così come se la vostra auto ha bisogno di pneumatici nuovi immediatamente vi servirete di un gommista e non di un elettrauto.

Purtroppo, nell’era in cui “uno vale uno” si è spesso portati a pensare che chiunque possa fare qualsiasi cosa, compresa la promozione e la divulgazione di musica “tanto basta mandare delle mail” o, ancor peggio, “lo mettiamo su Spotify e il gioco è fatto”. Niente di più sbagliato.

Etichette discografiche indipendenti: come scegliere

Oggi, più che mai, la musica non è esclusivamente la singola impresa di creazione artista. Musica oggi vuol dire business ma anche competenze di vario tipo quali quelle legali, economiche e promozionali pertanto è più che mai necessario creare sinergie con professionisti dell’industria musicale che permettano all’artista di portare avanti il proprio progetto musicale in tutte le sue fasi, dalla nascita alla sua diffusione al grande pubblico.

Il primo passo è trovare la label adatta al proprio genere musicale e che, soprattutto, condividano i vostri stessi valori e possiedano il vostro mondo musicale, quello che costituisce il vostro bagaglio più prezioso. Ancora una volta voglio essere molto chiaro.

Se scrivete musica per colonne sonore è assolutamente inutile che perdiate tempo ed energia inviando i vostri demo a etichette che distribuiscono musica rap, progressive o rock anche se nella vostra musica ci sono queste influenze musicali. Anche se producete it-pop, genere estremamente diffuso oggi ed erroneamente ritenuto trampolino sicuro per il successo, dovete affinare la vostra ricerca.

Etichette discografiche indipendenti: come scegliere
Etichette discografiche indipendenti: come scegliere (Foto by Pixabay)

Il primo consiglio è ascoltare gli artisti che già fanno parte del roster della label e cercare di capire, con la massima onestà possibile, se siete platonicamente simili a loro o se invece potete fare la differenza. Scatenare l’interesse verso di voi e la vostra musica. Per quanto “bello” possa essere il vostro brano se assomiglia alle decine di singoli che sono sfornati oggi, probabilmente faticherete a trovare un interlocutore necessario.

Inoltre, dovete essere consapevoli che il “signor nessuno” fa molta più fatica di chi, a vario titolo, è già introdotto nel mercato discografico e che può permettersi, ma non voi, di uscire con un prodotto leggermente sotto la media.

Dicevo voi e la vostra musica, non solo la vostra musica. Le vostre pagine social, la vostra presenza sui diversi player, il gradimento del pubblico, anche se scarso o locale, diventano elementi da non sottovalutare, anche se siete sconosciuti al grande pubblico.

Non dimenticate che gli “artisti di nicchia” esistono da sempre e che molto spesso sono proprio le “nicchie” gli spazi che possono interessare le label. Ma esiste la label che si occupa del genere musicale che avete scelto come vostro?

Sicuramente sì e Musica361.it vi può dare una mano tramite la sua rubrica “Etichette discografiche indipendenti”, che racconta, tramite la voce dei fondatori o dei produttori artistici, la cifra stilista di moltissime label indipendenti italiane, il genere musicale di cui si occupano e quale tipologia di artisti cercano.

Una volta individuata la, o le, label adatte alla vostra musica dovete proporre la vostra musica consapevoli che non sempre si cattura immediatamente l’interesse e che spesso è necessario, senza diventare degli stalker, proporre diversi pezzi.

Il secondo passo, dopo aver trovata la label interessata alla vostra musica e che vuole proporvi un contratto, è capire quale tipo di supporto realmente può offrivi e che tipo d’investimento economico è disponibile a fare su voi e sulla vostra musica.

Alcune label si occupano di sostenere le spese per la cosiddetta produzione musicale, ossia pagheranno le sessioni in studio, i tecnici del suono, qualsiasi altra persona aggiuntiva coinvolta nella tua musica come i musicisti e il produttore musicale.

Alcune finanziano anche il videoclip che deve accompagnare il brano e il vostro booking fotografico.

Altre label, invece, vorranno ricevere un brano già finalizzato e pronto per la distribuzione lasciando a voi tutti i costi necessari oppure coprendoli solo in parte.

La label, inoltre, si dovrà occupare di tutta la promozione necessaria tramite un addetto stampa e concrete relazioni con stampa, sia cartacea sia online, di settore e in alcuni casi anche di campagne pubblicitarie, concerti o qualsiasi altro spettacolo dal vivo e merchandising.

Etichette discografiche indipendenti: come scegliere
Etichette discografiche indipendenti: come scegliere (Foto by Pixabay)

Sarà prodotto un supporto fisico o la vostra musica sarà disponibile solo in formato digitale? Anche di questo se ne occuperà la label ma se non si è mai occupata di supporti fisici la risposta alla vostra possibile domanda è scontata.

Compito della label è anche quello di proteggervi e trovare anche modi diversi per farvi guadagnare, e qui entra in gioco l’aspetto legale del contratto che riguarda i diritti d’autore e il copyright.

Tutto questo sarà formalizzato dal contratto che firmerete.

Il terzo passo, che in realtà vi deve accompagnare sempre e che dovreste aver fatto prima del “primo passo”, è il dover fare la differenza, essere stimolante e, soprattutto, far vedere non solo quello che, in termini di esperienza, avete alle spalle ma quello che potete realizzare mostrando la parte più oscura e più interiore del vostro essere artista, quella che vi proietta tra dieci anni, quella che vi rende unico, riconoscibile e apprezzabile.

Mi ritengo immerso completamente nelle parole, quelle dei testi dei monologhi e quelle delle canzoni, le parole sono preponderanti e fondamentali, mai un accessorio

 

Giacomo Casaula e il suo teatro-canzone
Giacomo Casaula e il suo teatro-canzone – Nichilismi & Fashion week – cover

Napoletano, classe 1992, Giacomo Casaula non può essere definito semplicemente un cantautore. Nella sua vita il teatro e la musica, anzi le canzoni, hanno sempre viaggiato come due onde sinusoidali che s’intrecciano.

L’abbiamo raggiunto telefonicamente e, insieme a lui, abbiamo cercato di capire di più le scelte che l’hanno portato a usare questa modalità di espressione.

Qual è la prima musica che hai ascoltato, quella che veniva ascoltata a casa tua prima delle tue scelte personali?

I miei genitori ascoltavano la musica degli anni ’60, Gino Paoli, Luigi Tenco ma anche quella più leggera come Edoardo Vianello, Los Marcellos Ferial. Nella fase adolescenziale, invece, è arrivata per la vera bomba, quando ho scoperto e iniziato ad ascoltare Rino Gaetano.

Poi, nel tempo, sono arrivati Fabrizio De André e infine Giorgio Gaber, pezzi fondamentali della mia formazione musicale, e il cantautorato italiano di Venditti, De Gregori e Guccini.

Con Gaber scopri qualcosa di più del cantautore…

Quando lo spettro delle mie conoscenze si è allargato e mi ha portato a scoprire Gaber, ho conosciuto il suo teatro-canzone. Purtroppo, per banali problemi anagrafici, non ho mai potuto vederlo dal vivo ma mi sono rifatto nel tempo andando a cercare e scoprire i suoi concerti e la sua discografia.

Con Gaber ho scoperto la possibilità formale di poter “tenere assieme” il monologo teatrale e le canzoni eseguite dal vivo e questo ha tracciato la mia strada. In quel periodo avevo già iniziato a fare teatro e questa è stata un’illuminazione.

Inizia così la tua esperienza teatrale?

In effetti ero già iscritto a un’accademia teatrale ma con questa conoscenza che si è aggiunta è arrivato il cosiddetto “pezzo mancante” di un puzzle. Da lì ho iniziato con i recital teatrali per approdare poi al vero e proprio teatro-canzone.

Attraverso questo linguaggio riesco ad esprimermi al meglio, in maniera più libera e incondizionata. Amo il teatro a 360° ma questo linguaggio è quello che prediligo.

La parola diventa quindi elemento fondamentale della tua modalità di espressione…

Mi ritengo immerso completamente nelle parole, quelle dei testi dei monologhi e quelle delle canzoni. Anche nel mio ultimo lavoro, “Nichilismi & Fashion Week”, le parole sono preponderanti e fondamentali, mai un accessorio. Proprio in questo lavoro, il cui titolo è ispirato alle modalità di Gaber, ad un frammento di una canzone che diventa “titolo”.

Sei di origini napoletane. Che rapporto c’è tra te e la musica partenopea?

Amo la musica napoletana ma ritengo di non esserne un interprete ideale. Adoro Pino Daniele ma anche le novità musicali che, in questo ultimo periodo, la mia città ha sfornato. Da lì a diventarne divulgatore diretto… beh… forse non sono ancora pronto.

Giacomo Casaula e il suo teatro-canzone - live
Giacomo Casaula e il suo teatro-canzone

“Nichilismi & Fashion Week” è sia un album sia uno spettacolo. Il singolo appena uscito è un assaggio?

“Nichilismi & Fashion Week” è incentrato sui temi delle mode che attraversano quotidianamente individualità e collettività, in una frizzante alternanza tra monologhi di prosa e canzoni, le cui musiche sono state scritte da Davide Trezza.

Da questo spettacolo è stato estratto il primo singolo, intitolato “Indie e De Gregori”, e il relativo videoclip, scritto e diretto da Stefano Poletti.

Sono tre i singoli, “Ballata per Angelina “e “Yuppi 92” sono i titoli degli altri due, che permettono di scoprire l’album che contiene 13 brani.

Sono un po’ il simbolo del mio teatro-canzone. C’è da dire che lo spettacolo, è ancora uno spettacolo “sospeso” perché a causa della pandemia, dopo un’anteprima e una registrazione a teatro vuoto, ci prepariamo per affrontare il pubblico.

Da dove viene la tua necessità di raccontare, quella che ti ha portato a parlare in questo ultimo lavoro delle mode?

Prima di scrivere i testi sia dei monologhi sia delle canzoni c’è stato un lavoro approfondito con Davide Trezza, autore delle musiche, e ci siamo resi conto di come le mode di cui parliamo avessero condizionato l’individuo e il suo modo di rapportarsi con la società, dell’io solitario e dell’io che entra in relazione con un altro individuo e diventa coppia. Probabilmente c’era, in noi, un disagio e da lì è nata la voglia di trattare questo argomento.

Esistenzialisti francesi anni ’60…

Penso di essere più francofono che non anglofono. La Francia, sia dal punto di vista letterario sia dal punto di vista artistico più in generale, è stata per me fonte d’ispirazione. Poco meno di una decina di anni fa ho scoperto Serge Gainsbourg, che ritengo geniale, forse uno dei musicisti francesi migliori del secolo scorso.

Ma per tornare al mio ultimo lavoro, uno degli elementi portanti è l’autoironia e questo look con cui mi presento in scena mi permette di “non prendermi troppo sul serio” e, implicitamente, dichiararmi “vittima” delle mode e di cercare di non prendermi mai sul serio fino in fondo.

Giacomo Casaula e il suo teatro-canzone - primo piano
Giacomo Casaula e il suo teatro-canzone

Oltre al live dello spettacolo, quali sono i tuoi prossimi progetti?

La tournée era prevista nella primavera del 2020 e adesso è diventata una priorità per evitare che questo lavoro diventi retorica pura e questo non era nei miei obiettivi. Con Davide Trezza abbiamo già iniziato la scrittura di diversi nuovi brani.

È presto per parlare di un nuovo disco ma ritengo che nel 2022 alcuni di questi possano vedere la luce e d essere proposti al pubblico. Sto lavorando a un nuovo romanzo, che è oramai pronto e che uscirà il prossimo anno.

Il mare, quanto è importante per te?

C’è un rapporto molto forte, molto viscerale con il mare. Penso che il mare faccia parte di me, sia dentro di me e mi influenzi costantemente arrivando anche a giocare con le parole, e faccio riferimento a “A-mare”, un mio romanzo composto da dodici racconti compiuti che ripercorrono cronologicamente gli ultimi sessant’anni di storia e di costume italiano e che hanno come cerniera il mare.

Lavori con ritmi elevatissimi: teatro, musica, formazione ma come riesci a conciliare la tua vita professionale con quella privata?

Non è sicuramente un equilibrio facile. Ho sempre avuto ritmi di lavoro alti ed è stato complicato conciliare questo con il mio privato. Crescendo, però, ho scoperto che ogni tanto è necessario “staccare”. Lo stesso lockdown, anche se forzato, mi ha permesso di meglio conciliare l’equilibro delle mie due semisfere.

Francesco Guccini, la sua ultima fatica letteraria s’intitola “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)” pubblicato da Giunti Editore

#NOTEDICARTA: “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)”
#NOTEDICARTA: “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)” di Francesco Guccini

Francesco Guccini, modenese, classe 1940, da quando ha smesso di pubblicare dischi sforna un libro dopo l’altro.

Amate essere affabulati? In questo caso queste tre storie saranno pane per i vostri denti.

Tre ce­ne che rappresentano un viaggio da­gli an­ni Tren­ta ai gior­ni no­stri. Due dei racconti so­no ine­di­ti e il terzo uscì qualche an­no fa, nel­la an­to­lo­gia “Rac­con­ti ita­lia­ni del No­ve­cen­to” cu­ra­ta, per i Me­ri­dia­ni Mon­da­do­ri, da Enzo Si­ci­lia­no.

Oggi, le “Osterie di fuori porta” non esistono più. E, se qualcuna la trovate, sicuramente è diventata una “Hosteria”. Forse è questo il motivo che indotto Francesco Guccini ad ambientarle all’interno di una trattoria, segno che il luogo, in fondo, non così è importante perché quello che conta è il tempo e, soprattutto, il destino degli uomini.

Ovviamente non si tratta di tre ce­ne qualsiasi. Le tre cene, ma una è un pranzo, narrate dal cantastorie padano pos­so­no rien­tra­re ne­gli an­na­li, muovendosi fra chi­li di po­len­ta bol­len­te ta­glia­ta, come da tradizione, con il fi­lo di cotone, e un su­go ros­so con pez­zo­ni di car­ne che goc­cio­lan­o gras­so e olio. Il tutto accompagnato da co­ni­gli e pol­li ar­ro­sto. Ma si tratta di ce­ne annaffiate da fiu­mi di vi­no.

#NOTEDICARTA: “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)” book cover
#NOTEDICARTA: “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)” book cover

Tre cene, un viaggio nel tempo perché la prima, “La cena”, vede coinvolti dei giovani sul finire dei ’30, giovani che, nonostante la povertà, vogliono festeggiare l’arrivo del Natale con una cena di quella che alla fine ti vietano di alzarti con disinvoltura.

La seconda invece, “Il ritorno”, scopre il narratore e la sua memoria in un episodio che lo vede protagonista, nel momento della sua maturità, sedersi al tavolo per una cena con solo uno degli amici degli anni suoi primi, perché le pieghe della vita e gli accadimenti, anche negativi, si sono portati via gli altri due.

La terza, “L’eclissi”, no. Come abbiamo già scritto e come il titolo del libro anticipa, non si tratta di una cena. Gli anni passano e il narratore incarna con questa scelta l’età in cui la sera si preferisce “stare leggeri”, come si diceva una volta, e, magari, andare a letto presto.

Forse è vero. Le cene tra amici, quelle in cui ci si perde tra sogni e racconti, quelle in cui il bicchiere di vino scandisce un tempo che non è necessario controllare, quelle di cui poter parlare nei giorni dopo, soprattutto con chi non c’era, sono “cose da giovani”.

Come si può rinunciare ad una ta­vo­la ap­pa­rec­chia­ta con una to­va­glia bian­ca pro­fu­mata, bic­chie­ri ri­col­mi di vi­no e una se­rie di por­ta­te scel­te da Francesco Guc­ci­ni e rea­liz­za­te sul po­sto dai ri­sto­ra­to­ri del suo cuore?

#NOTEDICARTA: “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)”
#NOTEDICARTA: “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)” – Amate essere affabulati? In questo caso queste tre storie saranno pane per i vostri denti

È impossibile soprattutto quando so­pra le no­stre te­ste ci sono, ap­pe­se or­di­na­te fi­le oriz­zon­ta­li e, una se­rie di lam­pa­di­ne ac­ce­se, di quel­le che si ve­de­va­no nei cir­chi e nei lu­na park e che ci ri­man­da­no a cer­te sce­ne dei film di Fel­li­ni, di Jo­do­ro­w­sky, di Ku­stu­ri­ca e di Lyn­ch.

Non è certo la stessa cosa sentir cantare Guccini e leggerlo, non si sente la sua “erre” moscia e fluidificata e non si percepisce quella sorta di cadenza dialettale che trasforma in incedere anche i suoi silenzi.

Non si vede nemmeno il fiasco di vino rosso posato accanto a lui ma rimangono le sue favole, quelle storie che sembrano iniziare e non finire, quelle sue favole dense di Storia, quella con la “s” maiuscola, quella degli uomini.

E l’autore, in questo “Tre cene”, trasforma in favola il Novecento, una favola piena di divertimento ma anche di disincanto.

Una favola che contiene la storia degli uomini, uomini autentici, con pregi e difetti come le persone normali e, inevitabilmente, pieni di rimpianti che però aiutano, in vecchiaia, a sentirsi ancora vivi.

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