Musica e parole da una prospettiva inesplorata
Il suo nome è Nicolas Bonazzi, 36 anni, di Bologna ed è un cantautore. Ha iniziato a scrivere canzoni a 15 anni, mosso dalla timidezza e dal bisogno di raccontarsi …e non ha più smesso. Ha fatto della musica la sua principale terapia. Scrive ogni sillaba di ciò che canta; solo molto raramente ha cantato qualcosa che non fosse uscito dalla sua penna, anche se non gli dispiacerebbe sperimentare di più in questo senso. Ha partecipato nel 2010 al Festival di Sanremo con la mia canzone “Dirsi che è normale” e non ha più smesso di pubblicare musica, per molti o per pochi. Attualmente sta lavorando ad un album e non vede l’ora di pubblicarlo.
Come e quando è nata la passione per la scrittura delle tue canzoni?
Ho sempre amato cantare, fin da bambino. Mi piaceva sperimentare con la voce, e lo facevo di nascosto, perché con la voce cercavo di capire chi ero e lo vivevo come un processo molto intimo. Intorno ai 15 anni ho realizzato che era possibile provare a scrivere qualcosa di mio e ho iniziato a usare la scrittura per affrontare i piccoli grandi traumi di quel meraviglioso casino che è l’età adolescenziale: da lì non ho mai più smesso.
Che rapporto hai con il mondo della discografia?
Un rapporto distaccato, direi. La osservo, vedo come sta cambiando, non sempre evolvendosi al passo coi tempi. Lo streaming e la volatilità del virtuale hanno profondamente modificato il modo di vivere la musica, per chi la ascolta e per chi la fa. Oggi è più difficile vivere di musica, ma più facile arrivare ad essere ascoltati, grazie ai social, ad esempio. Questo ha liberato molte realtà interessanti, dopo anni di discografia patinata e stanca. C’è un buon clima, c’è voglia di dire e c’è voglia di ascoltare!
Come costruisci i tuoi brani?
Si parte sempre da una scintilla, un’idea, un’emozione. C’è l’urgenza di fermare un attimo in musica e tutto il resto viene da sé. Non si seguono formule: non c’è metodo. Spesso sento la canzone – o parte di essa – suonarmi in testa per giorni prima di “buttarla giù”. Vivo vere e proprie ossessioni melodiche e assicuro che non è piacevole. Il parto di un nuovo pezzo è spesso lungo, travagliato e faticoso. Ma quando ce l’ho in braccio e racconta qualcosa di me, ne vado molto fiero.
Quali sono le tematiche che affronti e cosa ispira i tuoi pezzi?
Mi ispirano le atmosfere, gli stati d’animo, le parole che evocano un’emozione. In tanti anni di scrittura ho affrontato molte tematiche, prima fra tutte l’amore e l’eros, in molte sue sfaccettature e da diversi punti di vista. Mi piace calarmi in una prospettiva specifica, possibilmente inesplorata e raccontare la stessa storia da un angolo diverso come se fosse nuova. Uno dei miei ultimi brani, tra i più personali che io abbia mai scritto, “Ali di carta” affronta invece il tema del bullismo scolastico, una confessione tristemente attuale e per me davvero molto personale.
Quale tra gli artisti della musica italiana vorresti cantasse un tuo pezzo?
Ce ne sono molti, è difficile scegliere. Lavoro anche come autore e sono molte le voci che sarei onorato di sentire sulle mie parole.
Che percorso ha fatto Nicolas per diventare l’autore di oggi?
Un percorso a ostacoli, direi… La via per essere cantautori è davvero piena di buche, ed è la persistenza che fa la differenza. Persistere nello scrivere e nel continuare a scrivere cercando di portare la verità dell’emozione, senza seguire necessariamente le mode o le vuote finzioni imposte da un certo tipo di industria. Il segreto per rialzarsi da ogni caduta è quello di continuare a scrivere con l’urgenza di raccontare qualcosa.
Con il brano “Dirsi che è normale” hai partecipato a Sanremo: che ricordo hai del Festival?
Ricordi meravigliosi, confusi ed esaltanti. Provo anche una certa tenerezza per l’ingenuità che potavo con me a debuttare su un palco così importante con la mia canzone, senza una reale esperienza alle spalle. Ingenuità che mi ha permesso di vivere il tutto anche con una certa incoscienza. Oggi, credo, sarei molto più preparato, ma anche decisamente più ansioso.
Cosa rappresenta per te il concetto di “normalità”?
Non ho mai saputo rispondere a questa domanda, tanto che ho dovuto scriverci una canzone, “Dirsi che è normale“, appunto. Normale è ciò che ci diciamo esserlo, ciò che noi decidiamo lo sia. Sono un relativista convinto, forse retaggio del mio passato da sociologo e appassionato di antropologia culturale. Per me non esiste il bianco e il nero; sono un accanito sostenitore della fitta scala di grigi.
Se un giorno dovessi cantare una canzone scritta da un altro autore, a chi ti rivolgeresti?
Ci sono le “nuove leve” della musica indie che hanno tanto da raccontare, e un modo tutto loro di farlo, che non è nemmeno possibile imitare. Penso a Calcutta e Frah Quintale per esempio. Sono artisti che stimo e che mi emozionano. E poi ci sono gli amori di sempre, primo fra tutti quello per Carmen Consoli, che da sempre considero fondamentale tra le mie ispirazioni.
Nicolas Bonazzi lo trovate qui: