Aaron Raschi: un felice connubio tra musica ambient e una ricerca sonora alternativa
Artisticamente possiamo definirlo vicino all’Indie-Pop, anche se come ascoltatore segue un po’ di tutto, dal Jazz alla Trap, con questo retroterra culturale e con la passione della musica instillata dai genitori fin dalla più tenera età, Aaron Raschi ci presenta Solo, il suo ultimo singolo…
Ciao Aaron, dal punto di vista artistico qual è il tuo genere e quali sono i tuoi punti di riferimento?
Io mi definisco prima un ascoltatore e poi un artista e come ascoltatore ascolto di tutto dalla Trap al Rap al Metal al Blues al Jazz, qualsiasi cosa. Come artista faccio Indie-Pop, chiamiamolo così giusto per dargli un’etichetta. Ho iniziato a suonare grazie ai miei genitori che hanno sempre ascoltato molta musica e mi hanno trasmesso la passione. Ho iniziato a suonare il pianoforte a 16 anni e da lì non ho mai smesso e la scrittura mi ha aiutato in momenti difficili.
Il genere del momento è la Trap, tu cosa ne pensi?
Ci sono varie Trap, quella più “gangster” per me non è un bene per la società, perché i ragazzini prendono dai testi le cose sbagliate. Poi ognuno è libero di fare arte come gli pare, come nell’arte figurativa c’è quella contemporanea e c’è la Gioconda di Da Vinci, così nella musica non deve essere tutta Bohemian Rhapsody, perché sennò sarebbe una rottura. Una persona deve scrivere quello che ha dentro, la cosa che non mi piace di questa generazione è l’ostentazione…
Quali sono le tue tematiche predilette?
Variano molto perché a me piace sempre immaginarmi delle storie e parlo sempre in modo velato di me; è come se mi mettessi in studio a chiedermi: “Che storia mi piacerebbe sentire?” e da lì con un po’ di immedesimazione, un po’ di figure retoriche mi trovo in mezzo a questi racconti.
Parlaci anche un po’ di te in generale…
Sono un ragazzo di 23 anni della Riviera romagnola cresciuto a Rimini, sono molto tranquillo come persona, estroverso, mi piace stare in mezzo alla gente anche se però non amo le folle.
Non a caso il tuo ultimo singolo si chiama “Solo”…
Soloè un viaggio con l’intento di essere un connubio tra suoni ambient, che si sentono all’inizio, e un ritornello molto orecchiabile, ritmato ballabile. Volevo unire questi due mondi perché io ascolto tanta Techno e mi è venuto in mente di usare questi suoni utili per fare atmosfera ma che normalmente non vengono usati in pezzi di questo genere.
Parli anche di un contrasto tra un ideale e la quotidianità, come è la tua quotidianità?
Lavoro, musica, lavoro, musica, cazzeggio con gli amici, questo è. Mi sento di vivere bene, ho persone che mi vogliono bene, una ragazza che mi ama, una bella famiglia E di conseguenza non mi posso lamentare di niente.
Dei classici Talent cosa ne pensi?
Ho provato ad andare ma non è stata una bella esperienza e non mi sento molto legato a quel mondo lì. È ovvio che se è una cosa che si deve fare si fa, ma se devo scegliere non vorrei snaturarmi per andare in un Talent…
La Malcostume, “Materia Prima è dedicata a tutte le persone che abbiamo conosciuto, in tutte le esperienze che abbiamo fatto”
Oggi noi di Musica361 siamo in compagnia del gruppo La Malcostume, un duo musicale di Bologna molto originale a partire dal nome che nasce come “contrapposizione e contrasto alla Buoncostume, un reparto della Polizia di Stato italiana che si occupava della difesa della pubblica morale. Se la Buoncostume aveva come compito quello di censurare e ‘normalizzare’ l’arte e la cultura, noi invece puntiamo all’esatto opposto, ossia a essere completamente liberi da ogni costrizione”…
Ciao, innanzitutto vi chiedo di parlare un po’ di voi agli amici di Musica361…
Ciao, noi siamo “La Malcostume”, un duo alternative pop-rock di Bologna! In particolare, siamo Marco Cardona alla voce e Gianluca Burzi alla chitarra. Il progetto è nato nel 2021 come esperienza solista di Marco, che ha pubblicato così i primi due singoli (“Dove credi di andare?” e “Respira piano”), e poi si è allargato a Gianluca, diventando un duo, a fine 2022, e quindi “Materia prima” è ora il terzo singolo del progetto ma il primo in duo! La nostra mission è quella di fare musica di qualità, che ci piace e ci appassiona veramente, senza seguire le mode musicali del momento (leggi: reggaeton e trap), ma puntando a qualcosa che possa rimanere nel tempo
Molto singolare il vostro nome, perché lo avete scelto?
Il nome “La Malcostume” nasce come contrapposizione e contrasto alla Buoncostume, un reparto della polizia di Stato italiana che si occupava della difesa della pubblica morale. Se quindi la Buoncostume aveva come compito quello di censurare e “normalizzare” l’arte e la cultura, noi invece puntiamo all’esatto opposto, ossia a essere completamente liberi da ogni costrizione (di genere musicale, di argomento, di identità, ecc.), ed eventualmente anche liberi di provocare se serve.
Come definite il vostro genere musicale?
Siamo alternative pop-rock. “Alternative” perché, come già detto sopra, non seguiamo volutamente le mode mainstream del momento, né miriamo soltanto a far soldi o a entrare nelle classifiche, quindi niente musica mordi e fuggi. “Pop-Rock” perché, a seconda dei brani e dei momenti, alterniamo musica più morbida e orecchiabile a musica e sonorità più aggressive e intense, e vogliamo assolutamente mantenerci questa libertà d’azione, senza sentirci in trappola.
Avete base a Bologna, città di grandi musicisti, quali sono i vostri cantanti o gruppi di riferimento?
Per la parte musicale abbiam preso molto dai Nine Inch Nails, dai Muse, dai Subsonica e da Cosmo, ma per i testi e gli argomenti invece ci ricolleghiamo alla musica alternativa italiana degli anni ’90 e primi 2000, come Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena e Baustelle. Puntiamo a una sintesi tra le due anime, ad un mash-up che speriamo fertile.
A proposito di generi musicali, oggi quello che va per la maggiore è la trap che però ha attirato anche tante critiche, cosa ne pensate?
Personalmente a noi la trap non piace, perché riteniamo che, nonostante la quantità d brani e album usciti negli ultimi 10 anni, la roba di qualità e che potrà rimanere (quindi non scomparsa nel tempo) sia davvero poca. Ma in ogni caso il vero tema, per noi, è se, a prescindere dal genere, un artista e i suoi brani sono sinceri, genuini, veri, e non se invece fatti “per moda”, solo perché ora è trendy quel genere. E nella trap vediamo invece molta omologazione, temi e sound quasi sempre troppo uguali, quindi noiosi.
Avete appena pubblicato il vostro brano “Materia Prima”, volete parlarcene?
“Materia prima” è dedicata a tutte le persone che abbiamo conosciuto, in tutte le esperienze che abbiamo fatto, e di tutte le sensazioni ed emozioni che abbiamo provato, fondendo tutti questi elementi in un unico calderone (che è il nostro cervello), che poi lavora tutti questi input (come appunto se fossero materia prima da elaborare) per tirarne infine fuori i nostri brani e le nostre produzioni artistiche. Nel subconscio e nel conscio di ognuno di noi, ogni esperienza vissuta torna prima o poi da qualche parte, e noi volevamo quindi sottolineare questo rapporto inevitabile (di amore e odio, diremmo) che si creare tra noi e gli altri, dove gli altri sono croce e delizia, l’inferno ma anche il paradiso.
Secondo voi quali sono le maggiori criticità nel fare musica in Italia?
Siamo un po’ tristi per la situazione musicale italiana perché ci sembra che, rispetto a quello che in passato è stata capace di produrre, adesso il livello qualitativo sia in calo, e si vede anche dal fatto che le canzoni italiane che vanno all’estero sono molte meno e con un impatto minore rispetto ad una volta. Ci sembra che l’industria musicale italiana si sia adagiata sul breve periodo, sul cercare di fare più soldi possibile con un artista nel breve termine, senza prospettiva di lungo periodo, senza osare o rischiare, senza una progettualità. Ci si accontenta della pura forma (i vestiti, l’immagine, ecc.), ma senza sostanza musicale non si dura.
Cosa ne pensate dei Talent? Vi andrebbe di partecipare?
Mah, forse ci proveremo pure, ma senza aspettative, perché i talent seguono logiche peculiari (non musicali, ma televisive) che non ci fanno impazzire, e quindi ricercano più fenomeni televisivi (se non “da baraccone”) che contributi musicali. Peraltro sono ormai, per fortuna, in una fase calante, sostituiti sempre più dai social, e per noi questo è comunque un bene, perché almeno c’è un rapporto diretto coi fan, senza redazioni televisive che fanno il bello e il cattivo tempo.
Ora parliamo di Sanremo, lo avete seguito? Avete fatto il tifo per qualcuno in particolare?
Seguito solo per le ultime due serate, e distrattamente nell’ambito di serate in casa di amici; poi comunque sfuggire alle news ed alle clip di Sanremo è quasi impossibile in Italia durante la settimana dello show. Non ci piace Sanremo per lo stesso motivo di cui sopra per i talent, e cioè perché non mette davvero al centro la canzone, ma le dinamiche di divismo e di culto della personalità televisiva dei partecipanti; inoltre, non crediamo che la musica debba stare in contesti competitivi, perché non è uno sport, non si possono paragonare fenomeni artistici diversi. In ogni caso, il nostro podio sarebbe stato Brunori SAS primo, Achille Lauro secondo e Willie Peyote terzo.
Prima di lasciarci volete rivelarci i progetti futuri?
Adesso siamo immersi nella promozione di “Materia prima”, divenuta disponibile su Spotify. Ma siamo già al lavoro per la definizione del prossimo singolo, e quindi ora stiamo definendo il produttore artistico che ci accompagnerà nella realizzazione del prossimo lavoro.
Uno&Mezzo, “Anime Intossicate”: il duo strumentale presenta il suo primo Lp
Si conoscono da sempre e hanno anche suonato insieme in passato, ma è solo nel 2024 che Adri e Ale hanno deciso di formare gli Uno&Mezzo, Duo strumentale basso/batteria che ha pubblicato il suo primo LP “Anime Intossicate”. Leggete la nostra intervista e scoprirete di più su questi artisti, a partire dall’origine particolarissima del nome del gruppo…
Ciao, innanzitutto vi chiedo di parlare un po’ di voi agli amici di Musica361…
Ciao a tutti! Siamo un duo strumentale formato da Adri che suona principalmente il basso, ma anche chitarre e synth ed Ale che suona la batteria e gestisce le sequenze dal vivo. Il progetto è recente, ci siamo formati nell’estate del 2024, anche se in realtà ci conosciamo da tantissimi anni ed abbiamo suonato insieme in una precedente esperienza, in una band che si chiama Kitsch. Questo ha fatto sì che il processo di creazione e registrazione delle canzoni sia stato molto veloce ed ispirato.
Vi chiamate Uno&Mezzo perché i vostri brani durano massimo un minuto e mezzo, perché avete scelto proprio questa durata?
Ci sono diversi motivi. Sicuramente c’era la voglia di fare pezzi d’impatto, l’idea è dare una scarica di energia condensata in un minuto e mezzo, anche perché i pezzi sono strumentali e fatti sostanzialmente da due strumenti, quindi anche sviluppare parti più lunghe diventava complicato con il forte rischio di annoiare l’ascoltatore. Inoltre c’è una certa urgenza di dare messaggi forti e diretti, e questo minutaggio aiuta a raggiungere l’obiettivo.
Come definite il vostro genere musicale e quali sono i vostri cantanti o gruppi di riferimento?
Il nostro è un post rock con delle sfumature elettroniche anche se siamo molto liberi, questa formazione ci permette di spaziare tra vari generi senza troppi vincoli. Oltre alla musica curiamo anche l’aspetto visivo proiettando delle immagini durante i live, intervallate da speakeraggi su temi attuali ma allo stesso tempo universali. I nostri riferimenti sono molto vari, ci piacciono band come i Faith No More o più recentemente gli Idles ma anche cose elettroniche tipo Chemical Brothers, ascoltiamo davvero di tutto.
A proposito di generi musicali, oggi quello che va per la maggiore è la trap che però ha attirato anche tante critiche, cosa ne pensate?
Per questioni anagrafiche e di gusti musicali siamo molto lontani dalla Trap, non abbiamo le giuste competenze per dare un giudizio in realtà. Crediamo che, come tutti i generi musicali, possano essere fatti bene o male. Probabilmente la Trap che è nata originariamente in America aveva un senso ed un messaggio, la deriva che ha preso in Italia specialmente negli ultimi anni sembra avere solo aspetti commerciali ed estetici, ma non siamo i migliori interlocutori ai quali chiedere.
Da poco avete pubblicato il vostro primo Lp “Anime Intossicate”, volete parlarcene?
E’ un LP completamente autoprodotto ed è disponibile su Bandcamp (ANIME INTOSSICATE (INTOXICATED SOULS) | Unoemezzo). Lo abbiamo registrato a fine Agosto 2024 al Grand Wazoo Studio di Diego Galeri (batterista Timoria, Miura, Adam Carpet, I Fiumi, Pantalon). Diego è un amico lo conosciamo dai tempi dei Kitsch perché aveva prodotto due nostri dischi con la sua etichetta. Il master è stato fatto da Stefano Bedini al B studio Recording di Milano. Abbiamo anche realizzato un video per la canzone “Piombo” ( Uno&Mezzo – Piombo ) che è stata inserita nella Compilation annuale dei migliori Duo Power Rock da Electric Duo Project, un portale che da anni si occupa solo ed esclusivamente di Duo rock italiani.
Secondo voi quali sono le maggiori criticità nel fare musica in Italia?
Penso sia ormai molto chiara la situazione della musica inedita in Italia, specialmente quella più sperimentale e di nicchia. Gli spazi per suonare sono pochi, i soldi ancora meno. Il pubblico mediamente non ha la cultura per ricevere un certo tipo di proposta. Insomma fare musica inedita in Italia è una missione che richiede un pizzico di pazzia ed inconsapevolezza. Però cerchiamo sempre di restare positivi e portare avanti la nostra musica con coerenza e passione.
Cosa ne pensate dei Talent? Vi andrebbe di partecipare?
Per gli stessi motivi della Trap si tratta di una realtà molto distante dal nostro modo di essere e di vivere la musica, motivo per cui non penso ci iscriveremmo ad un talent. Se dovessero per assurdo proporcelo chissà, in fondo è uno dei pochi trampolini di lancio rimasti oggi per la musica in Italia. Certamente non biasimiamo chi decide di partecipare.
Sanremo è appena finito, lo avete seguito? Avete fatto il tifo per qualcuno in particolare?
Volenti o nolenti Sanremo ti arriva sempre, è inevitabile ascoltare le canzoni. Non abbiamo fatto il tifo per nessuno ma siamo contenti che siano arrivati in alto artisti come Lucio Corsi e Brunori, che al di là dei gusti personali sono artisti che sanno scrivere belle canzoni. Per il resto la qualità della proposta ci è sembrata molto bassa e molte canzoni sembravano il copia e incolla delle cose che hanno funzionato commercialmente negli ultimi 4/5 anni.
Prima di lasciarci volete rivelarci i progetti futuri?
Al momento suonare live il più possibile e portare dal vivo il nostro primo Album. Poi inizieremo a lavorare sul secondo LP, cercando sempre di sperimentare ed esplorare nuove sonorità.
Andrè Le Roux, If One Day You Reach Me: un messaggio di speranza per una relazione tossica
Andrea, in arte “Andrè Le Roux” o “Roux0091”, è un insegnante di chitarra e musicista che con il suo ultimo brano, If One Day You Reach Me, parla di una relazione tossica e di come ci si può sentire sbagliati in queste situazioni: un testo che vuole portare un messaggio di speranza. “Volevo comunicare che si può andare avanti e cambiare rotta per trovare persone migliori e lasciarsi alle spalle quello che ci ferisce”, ci confida l’autore che ha parlato anche dei suoi gusti musicali, di trap e ha risposto a una domanda difficilissima per ogni chitarrista…
Ciao, innanzitutto ti chiedo di parlare un po’ di te agli amici di Musica361…
Ciao a tutti, prima di tutto ringrazio Musica361 per l’interesse a me dedicatomi, è davvero un piacere per me farmi conoscere da voi e i vostri amici. Io sono Andrea, in arte “Andrè Le Roux” o “Roux0091”, sono un insegnante di chitarra e musicista della provincia di Latina ma spesso però dico Roma giusto per farmi figo, mi sono dedicato alla musica dall’età di 13 anni (ora ne ho 33) soprattutto per quanto riguarda l’insegnamento, e solo da poco ho finito di registrare il mio album “When Hopes Fall” con il mio progetto Seven Steps To Die grazie al mio produttore Chris Keya, producer romano. Sono stato il chitarrista di xDemon, e grazie a loro ho avuto la possibilità di suonare nella scena pop punk italiana con artisti come Becko, IN6N, xdiamondx, Holly Francisco ecc..
Come definiresti il tuo genere musicale e quali sono i tuoi cantanti o gruppi di riferimento?
“Se dovessi descrivere il mio genere musicale, lo definirei metalcore/post hardcore/screamo per il tipo di sound e composizione. Indubbiamente band musicali di questo genere con cui sono partito e assuefatto sono i Bullet For My Valentine, Blessthefall, Funeral For A Friend, Hopes Die Last (anche loro di Roma), Bring Me The Horizon, We Came As A Romans, Kill Switch Engage ecc..”
Sei un chitarrista è sappiamo che tra di voi c’è grande indecisione su chi sia il più grande chitarrista di tutti i tempi, qual è la tua personale Top 3?
“Questa è una domanda difficilissima ahahah effettivamente non ho mai pensato ci fosse un chitarrista o musicista migliore o peggiore, penso che conti molto il tipo di scrittura delle canzoni, questo differenzia, secondo me, un musicista, ma, se proprio dovessi scegliere tra le mie top 3 direi: 1° Jani Liimatainen (chitarrista dei Sonata Arctica): ho sempre voluto arrivare al suo livello, 2° Alexi Laiho (Children Of Bodom) e per finire 3° Yngwie Malmsteen,anche se non mi fanno morire le sue composizioni, lo ammiro molto per la velocità e la pulizia di suono, purtroppo nella top 3 non ho potuto inserire Richard Benson, chitarrista romano, ma lo ammiro per altri motivi.”
A proposito di generi musicali, oggi quello che va per la maggiore è la trap che però ha attirato anche tante critiche, cosa ne pensi?
“Penso che il trap abbia molto potenziale ma che sia sprecato da molti esecutori, provo un gran senso di sconforto quando sento cantanti (anche famosi) non avere una metrica vocale all’interno della canzone, assenza di rime, e di testi con un senso compiuto, purtroppo si sentono testi scarni e privi di significato, se non quello della violenza o di quanto sia fico maltrattare persone e donne. Ovviamente non faccio di tutta l’erba un fascio, ma apprezzerei molto di più la trap se ci fossero componenti leggermente più alte.”
Da poco è uscito il tuo ultimo pezzo, vuoi parlarcene?
“Certo! Il mio ultimo brano si chiama If One Day You Reach Me, parla di una relazione tossica e di come ci si può sentire sbagliati in queste situazioni, questa canzone come il mio obiettivo finale è quello di portare un messaggio di speranza, volevo comunicare che si può andare avanti e cambiare rotta per trovare persone migliori e lasciarsi alle spalle quello che ci ferisce.”
Ci sono delle grandi differenze rispetto al precedente “Inside Me “, o segue la stessa linea?
“Indubbiamente la grande differenza è la voce ahahahah, mi spiego meglio, nel mio album ho voluto coinvolgere ben 7 cantanti diversi provenienti anche da nazionalità diversa, proprio per dare un messaggio di speranza da persone diverse, e riprendere il 7 come il nome del progetto “Seven Steps To Die”. Sicuramente anche il messaggio è diverso, Inside Me parla di bullismo, quest’ultima invece di relazioni tossiche, e anche il modo di scrittura è leggermente diverso, in Inside Me volevo qualcosa che facesse capire bene il genere che facciamo essendo il primo singolo, mentre in If One Day ho voluto tenere un atmosfera più intensa e di tensione.
Secondo te quali sono le maggiori criticità nel fare musica in Italia?
Domanda molto delicata, però penso che sia proprio la decisione di fare un determinato genere che si distacchi dal pop/rap/trap italiano come in questo caso il metalcore, anche la scelta di cantare in inglese è una scelta coraggiosa, molte persone spesso mi chiedono il significato dei testi o se farò mai una canzone in italiano perché loro vogliono capire il testo, ma poi ripenso a quando ascoltano trap di basso livello dove il testo è inesistente, e lì penso che la cosa migliore sia fregarsene e suonare quello che più ci faccia esprimere e soprattutto ci piaccia. Un altro punto fondamentale è anche la mentalità e la cultura musicale del paese, purtroppo c’è ancora chi pensa che chi faccia metal sia un satanista.
Sanremo è appena finito, sei stato soddisfatto? Hai fatto il tifo per qualcuno?
Io se devo essere sincero non ho mai seguito Sanremo, oltre al fatto che fanno un genere totalmente diverso dal mio, ma proprio non mi piace, mi dà come l’impressione di finzione, non penso sia una trasmissione così culturale, ma io sono uno di quelli che la TV non la guarda nemmeno di striscio, quindi il mio parere resta dove deve restare
Prima di lasciarci vuoi rivelarci i progetti futuri?
Ho in mente di rilasciare il mio album ad Aprile, in pentola sicuramente bolle un reel sulla voce principale del mio progetto “Francesco Laudato” verso Marzo, e il 28 Febbraio rilasceremo insieme alla cantante Jaycee in arte “Justcosplaysing” la nostra bonus track “Oceans” totalmente in giapponese per la mia fanbase per lo più appunto giapponesi, ovviamente ho anche altri piani in mente ma per ora è troppo presto parlarne.
Matilde Caressa: una Luce Accesa contro mille paure e troppa ansia
Foto: Ufficio Stampa
Figlia del popolarissimo giornalista sportivo Fabio Caressa e della seguitissima conduttrice Benedetta Parodi, Matilde Caressa ha scelto di lavorare nel mondo dello spettacolo ma in un altro ambito rispetto agli illustri genitori, infatti fin dall’infanzia nutre e coltiva una grande passione per la musica, passione che, come dice lei stessa: “In realtà c’è sempre stata, ho iniziato a cantare da molto piccola seguendo Hannah Montana”.
Matilde ha le idee chiare anche sulle sue origini artistiche: “Il mio genere lo definirei Pop, la mia cantante preferita è Taylor Swift, mentre come altri punti di riferimento mi piacciono molto Olivia Rodrigo, Billie Eilish e tra gli italiani mi piace molto Olly e Sangiovanni”. E da ragazza dei suoi tempi usa anche i social, i suoi sono particolarmente curati e raffinati, anche se ci rivela che con essi ha un rapporto di amore e odio: “Amore perché comunque è divertente per farsi conoscere e tutto il resto, odio perché è da quando sono piccola che la gente commentava in modi un po’ strani che mi davano fastidio”.
Matilde inizia a scrivere le prime canzoni e a prendere lezioni di canto a 7 anni, a queste attività unisce lo studio del pianoforte e della chitarra. Il suo stile musicale è immerso nella contemporaneità del pop cantautorale di oggi, nelle sue canzoni Matilde racconta le sue emozioni e la sua vita proprio come fa con “Luce accesa”, il suo nuovo singolo, scritto da Matilde con Alessandro Gemelli, Riccardo Spezziali, Simone Giacomini e prodotta da Gemelier.
“È una canzone alla quale tengo molto”- dice Matilde – “parla di amore e del modo in cui mi piacerebbe essere amata ed è una canzone molto speciale per me. Quando l’ho scritta pensavo di scriverla per un fidanzato, poi l’ho reindirizzata a mia sorella con la quale ho un ottimo rapporto; abbiamo anche un podcast insieme dove parliamo delle nostre vite, l’università, i ragazzi, le ansie…”.
La canzone parla anche di paura, e di come, quando si trova la persona giusta, non bisogna più affrontarla da soli. Nel ritornello recita “stringerti la mano quando trema, se vuoi dormiamo con la luce accesa”, Matilde infatti ha sempre avuto paura del buio ed era proprio la sorella Eleonora con cui condivideva la camera che, nonostante preferisse dormire al buio, sceglieva sempre di accendere una piccola luce, così da far star meglio Matilde.
Laid, “Realign”: dal caos della mania e del dolore emotivo fino al ritrovamento di un equilibrio
Un gruppo bresciano che cerca di unire la potenza sonora con un forte contenuto emotivo: sono i Laid: Luca alla voce, Elia al basso, Michele e Marco alle chitarre, e Andrea alla batteria. Di grande impegno il loro ultimo singolo: “Realign”, che affronta un tema molto importante come la salute mentale…
Ciao, innanzitutto vi chiedo di parlare un po’ di voi agli amici di Musica361…
Ciao! Prima di tutto, un grande grazie a Musica361 per averci ospitato! Noi siamo i Laid, una band di Brescia attiva nella scena underground dal 2013. Nei primi anni di esperienza, il nostro sound e la nostra identità si sono evoluti, ma è nel 2018 che il progetto ha trovato la sua vera direzione, con una formazione stabile: Luca alla voce, Elia al basso, Michele e Marco alle chitarre, e Andrea alla batteria. Il 2018 è stato anche l’anno del nostro debutto discografico con “Here I Am”, un singolo a cui siamo molto legati perché riassume perfettamente la nostra identità musicale. Dopo una breve pausa per esigenze personali, nel 2021 ci siamo ritrovati con nuova energia e nuove idee. Nell’estate del 2024 abbiamo finalmente dato forma a tutto questo registrando “Frames”, il nostro primo album, che vedrà la luce a marzo 2025.
Come definite il vostro genere musicale e quali sono i vostri cantanti o gruppi di riferimento?
Il nostro sound cerca di unire la potenza sonora con un forte contenuto emotivo, ispirandosi principalmente al panorama alternative rock e spoken word, pur attingendo a una vasta gamma di influenze diverse. Per fare qualche esempio: i Foo Fighters con la loro energia travolgente, l’intensità e la poesia dei Lonely The Brave, i Movements con la loro emotività e malinconia, e la sperimentazione e la profondità dei Thrice. Chiaramente, ognuno di noi ha le proprie influenze e una sfera di ascolti personale, che spaziano tra generi e artisti diversi. Questo aspetto rende il nostro processo creativo molto naturale: ognuno apporta la sua impronta personale e le idee si mescolano spontaneamente fino a trovare il loro equilibrio.
A proposito di generi musicali, oggi quello che va per la maggiore è la trap che però ha attirato anche tante critiche, cosa ne pensate?
La trap è sicuramente un fenomeno che ha avuto un enorme impatto sulla scena musicale contemporanea e ha dato voce a una nuova generazione di artisti. Anche se il nostro mondo musicale è lontano da quello della trap, riconosciamo che è un genere che rispecchia la nostra epoca, tanto dal punto di vista sociale quanto nei valori che esprime. Per quanto riguarda le critiche, ogni genere musicale ha sempre suscitato opinioni contrastanti, e questo è normale. Noi, da parte nostra, preferiamo orientarci verso un tipo di musica che esplori emozioni e esperienze autentiche e che ci tocchi nel profondo.
Il vostro ultimo singolo è “Realign”, volete parlarcene?
“Realign” nasce da una storia personale e affronta un tema a noi molto caro: la salute mentale. Abbiamo scelto di raccontarlo attraverso la metafora di un orologio fuori fase, che simboleggia un tempo interiore scosso dalle difficoltà, in un percorso che passa dal caos della mania e del dolore emotivo fino al ritrovamento di un equilibrio. Un aspetto fondamentale del brano è la riflessione sull’importanza di avere persone accanto con cui condividere il peso di questo cammino e in cui trovare conforto. Dal punto di vista musicale, abbiamo voluto includere una parte spoken, quasi un monologo interiore, che rappresenta il flusso di pensieri del personaggio mentre riflette sul proprio stato mentale. Inoltre, la percezione soggettiva del tempo viene enfatizzata da frequenti cambiamenti ritmici, con accelerazioni e rallentamenti, che rispecchiano l’instabilità emotiva vissuta nel brano.
Avete detto che questo brano segna un capitolo importante per la vostra band, in che senso?
Per tanti motivi! Innanzitutto, è stata la prima canzone che abbiamo scritto per il nuovo album, dando il via al processo creativo e tracciando la direzione artistica del progetto. Infatti, ci ha dato l’opportunità di sperimentare, sia a livello sonoro che tematico, esplorando nuove sfumature musicali e affrontando temi che ci stanno molto a cuore. Inoltre, durante le sessioni in studio, il brano è stato oggetto di un lavoro intenso di arrangiamento e ricerca, che ci ha permesso di perfezionare il nostro sound con maggiore consapevolezza. “Realign” rappresenta perfettamente l’identità musicale di questo album e potrebbe costituire una base solida su cui costruire progetti artistici futuri.
Secondo voi quali sono le maggiori criticità nel fare musica in Italia?
La più importante è sicuramente la difficoltà di emergere in un mercato che è ancora molto tradizionale e orientato verso altri generi, come la musica pop. La scena alternativa, purtroppo, non ha lo stesso tipo di visibilità e supporto che potrebbero avere altri stili più commerciali. Inoltre, c’è una scarsità di spazi e opportunità per band emergenti: molte piccole realtà locali che potrebbero essere il trampolino di lancio per nuovi artisti sono in crisi o non riescono a supportare economicamente progetti musicali indipendenti. Questo rende molto difficile riuscire a promuoversi e a costruire un pubblico, considerando anche come i social media tendano a focalizzarsi più sull’immagine e sui contenuti visivi che sulla musica in sé, rendendo ancora più complicato raggiungere un pubblico autentico e farsi conoscere per quello che realmente si suona e si crea. In sostanza, è difficile riuscire a valorizzare la propria musica senza dover scendere a compromessi.
Cosa ne pensate dei talent? Vi andrebbe di partecipare?
Non siamo particolarmente interessati ai talent show. Il mondo dello spettacolo, con i suoi meccanismi, ci sembra piuttosto distante dal nostro modo di vivere la musica. Preferiamo la scena underground, dove c’è più autenticità e libertà di espressione, senza filtri o imposizioni esterne. Detto questo, riconosciamo che i talent possano essere una buona opportunità per alcuni artisti, ma semplicemente al momento non è la strada che fa per noi.
È appena finito Sanremo, avete fatto il tifo per qualcuno in particolare?
Non siamo grandi fan di Sanremo, ma seguiamo sempre il Festival con curiosità: è un’occasione per osservare da vicino la scena musicale italiana mainstream e capire quali sono le tendenze del momento.
I nostri gusti ci portano verso Brunori Sas e Simone Cristicchi, due artisti che hanno sempre saputo raccontare storie ed emozioni con autenticità. Quest’anno, poi, a Sanremo Giovani ha partecipato un nostro caro amico e concittadino, Sidy. Abbiamo avuto il piacere di condividere il palco con lui in diverse occasioni e, anche se purtroppo non è stato selezionato per il Festival, avremmo fatto il tifo per lui senza esitazione.
Prima di lasciarci volete rivelarci i progetti futuri?
Abbiamo un anno intenso davanti a noi, pieno di progetti che non vediamo l’ora di condividere! Il primo grande traguardo sarà l’uscita del nostro album di debutto, “Frames”, prevista per il 14 marzo 2025. Stiamo già lavorando alla sua promozione e non vediamo l’ora che il nostro pubblico possa ascoltarlo. Parallelamente, stiamo organizzando un calendario di concerti tra locali e festival, soprattutto in vista dell’estate, per portare la nostra musica dal vivo e condividere l’energia del disco con il pubblico. Inoltre, siamo in contatto con diverse etichette discografiche per avviare una collaborazione che ci permetta di crescere e ampliare i nostri orizzonti musicali. Infine, non smettiamo mai di scrivere: per noi comporre nuovi brani è il modo più autentico per esprimere quello che viviamo, evolvere il nostro sound e tenere sempre viva la connessione con chi ci ascolta. Insomma, ci aspettano mesi di musica, palchi e nuove sfide… e non vediamo l’ora!
Bianca Fiore: con “Portami dove” canta la sua amica-nemica solitudine
Foto: Ufficio Stampa
Due grandi passioni, il mare e la solitudine, hanno ispirato l’ultimo lavoro di Bianca Fiore, artista poliedrica che si divide con successo tra musica e cinema. “Portami dove” è nata nella sua camera dopo che è tornata da un viaggio in barca a vela: in mare si sente capita, si sente al posto giusto…
Ciao, vuoi parlare un po’ di te agli amici di Musica361?
Ciao a tutti, sono Bianca Fiore, cantautrice e attrice. Ho pubblicato “Portami dove”, il mio ultimo singolo e lavoro anche nell’ambito della recitazione con film e cortometraggi.
Qual è il tuo genere e quali sono i tuoi artisti di riferimento?
Fin da quando ero piccolina Mika è stato il mio artista di riferimento, di grande aiuto e di grande ispirazione. Poi andiamo anche sul cantautorato italiano e parliamo di Mina e di Lucio Battisti. E tra i più recenti Ligabue ed Elisa…
Quali sono le tematiche che affronti nelle tue canzoni?
Va molto in base alle emozioni che provo nel momento in cui scrivo il testo: però sicuramente, in generale, sono più sul sentimentale, nostalgico, malinconico.
Hai già citato il tuo ultimo lavoro, “Portami dove”…
“Portami dove” è nata nella mia cameretta dopo che sono tornata da un viaggio in barca a vela: in mare mi sento capita, mi sento al posto giusto. Quel giorno ero chiusa in casa perché pioveva, c’era brutto tempo. Io ero tornata da poco e avevo un senso di nostalgia molto profondo che mi ha portato a scrivere quei pensieri che poi si sono trasformati nel testo della canzone.
A te piace la solitudine?
Sì, è la mia migliore amica e nemica allo stesso tempo. Amica perché mi dà la possibilità di raccogliere i pensieri quando ho bisogno di ricaricarmi, di stare da sola con me stessa; nemica perché a volte si fa sentire un po’ troppo accentuata e quindi è un po’ difficile da gestire. Mare e solitudine sono sinonimi, perché quando stai in mare stai solo con te stesso e ti porta a fare delle domande esistenziali e quindi a pensare molto.
Sia il testo che il video sono molto malinconici, questa è proprio la tua cifra stilistica?
Sì, al momento sì. Quando scrivo, scrivo perché provo sentimenti principalmente malinconici e ho bisogno di sfogarmi. Quando sto bene e provo emozioni gioiose non mi viene da scrivere.
Hai studiato anche recitazione, tra musica e cinema cosa scegli?
Il mio sogno è sempre stato il cinema, la recitazione, ma cammino a pari passo con entrambe le arti, le porto per mano insieme.
I talent spopolano, cosa ne pensi?
Per come sono non ci andrei, perché non sarebbe il mio posto per esordire. Non mi sentirei a mio agio, ma non ho nulla contro, i talent hanno lanciato artisti validissimi. È giusto che ci siano perché danno quella possibilità.
Ci parli dei tuoi prossimi progetti?
Ho una lista di canzoni e spero di fare un Ep e dato che mi trasferirò a Roma spero nello stesso tempo di poter continuare a lavorare nel mondo del cinema.
Taverna Umberto I: la semplicità delle cose genuine, gesti importanti e sentimenti sinceri
Foto: Ufficio Stampa
Oggi noi di Musica361 siamo in compagnia del gruppo Taverna Umberto I ovvero Giuseppe e Gianfilippo Santangelo. Per Roma è l’ultimo brano dei due artisti sempre pronti a partire e portare ovunque, con amore e passione, le loro canzoni.
Ciao, volete parlare un po’ di voi agli amici di Musica361?
Ciao amici di Musica 361 siamo i Taverna Umberto I ovvero Giuseppe e Gianfilippo Santangelo due fratelli musicisti che portano avanti un progetto di Musica D’autore: l’amore per la musica fin da piccoli e adesso la necessità di trasmettere tutte quelle emozioni che sentiamo per comunicarle agli altri grazie al cantautorato.
Molto curioso il vostro nome, come l’avete scelto?
Il nome “Taverna Umberto I” è un omaggio ad uno storico locale di Piazza Armerina gestito un tempo dai nostri nonni. Ora quel posto non esiste più, ma siamo comunque profondamente legati a un luogo che è soprattutto il paradigma di uno stile di vita, tra semplicità delle cose genuine, gesti importanti e sentimenti sinceri.
La prima traccia “Taverna Umberto I” del nostro primo album “Parole dal Sud” parla proprio delle storie vissute all’interno di quella locanda fatta di amore e tanti sacrifici.
A quali artisti vi ispirate e come definireste il vostro genere?
Gli artisti che ci hanno ispirato maggiormente sono stati i cantautori italiani e americani che ci hanno portato a fare il loro stesso lavoro. Secondo noi il cantautorato ti permette di spaziare con qualsiasi genere musicale dal pop al blues al rock.
Recentemente è uscito il singolo Per Roma, volete parlarcene?
Per Roma è il racconto di due fratelli sempre pronti a partire e portare con amore e passione le loro canzoni ovunque, ma in questo caso l’omaggio va anche a Roma che ci accoglie e apprezza la nostra musica.
Il brano invita a riflettere “sull’importanza della musica come linguaggio universale, capace di unire persone diverse e di superare ogni barriera”, un tema importante, soprattutto in tempi inquieti come i nostri, fatti di guerre e tensioni politiche…
Sì, è un periodo storico difficile in cui la musica potrebbe essere un mezzo per ammorbidire i cuori di chi scatena guerre stupide e inutili ma purtroppo l’uomo a volte preferisce le bombe alle chitarre.
Avete già scelto la prossima tappa del vostro viaggio?
Nel nostro caso è la Musica che sceglie le tappe da percorrere e noi con molta voglia e caparbietà diciamo sempre di sì.
Siamo ormai in clima Sanremese, guarderete il Festival? C’è qualcuno per cui farete il tifo?
Il Festival di Sanremo è un evento che aspettiamo volentieri fin da piccoli, lo abbiamo sempre guardato in tv, in famiglia, canticchiando fin da subito i ritornelli più orecchiabili. Il tifo oggi lo farei per il ritorno della buona e sana Canzone Italiana, scomparsa per noi ormai da tempo.
Oggi imperversano i Talent, cosa ne pensate?
Pensiamo che i talent siano buoni per una visibilità ma non per la musica o per l’arte in generale, non aggiungiamo altro…
Prima di lasciarci volete rivelarci i progetti futuri?
Siamo in fase creativa del nostro nostro terzo disco e di diversi singoli in uscita, oltre ai tanti live in giro per lo Stivale e non solo…
Maca, “Fuori fuoco”: l’essenza dei momenti più vulnerabili e autentici
Foto: Ufficio Stampa
Marco Corveddu, in arte Maca, è un artista poliedrico che riesce a conciliare musica e arti visive: un graphic designer con la passione per la musica che ci ha presentato il suo lavoro. “Fuori fuoco” contiene una riflessione sul valore della imperfezione, un tema d’attualità considerata anche la presenza massiccia dei social che interessano soprattutto i più giovani…
Ciao Marco, vuoi parlare un po’ di te agli amici di Musica361?
Parlare di me è una cosa che mi mette un po’ in crisi e, allo stesso tempo, mi fa sorridere. Come hai detto, mi chiamo Marco Corveddu, ma mi presento come Maca. Sono nato a Lucca, una città di provincia con i suoi pregi e difetti. Sono cresciuto ascoltando i grandi cantautori italiani suonando la chitarra per passatempo, senza mai pensare di cantare o scrivere. Ho iniziato a farlo verso la fine del liceo, quando il cosiddetto indie italiano, o meglio l’itpop, stava iniziando a esplodere. Parlo di artisti come Calcutta, I Cani, Thegiornalisti, Lo Stato Sociale, Brunori, Gazzelle, Canova, Motta, Zen Circus, Ex-Otago, Dente, Giorgio Poi e molti altri. La loro musica, così diretta e imperfetta, quei pezzi a volte stonati, scanzonati, quei testi quasi pulp: tutto ciò mi ha ispirato e dato inconsapevolmente la voglia di scrivere. Ho iniziato con la chitarra, improvvisando accordi e testi senza filtri. Inizialmente era una roba che tenevo per me. Nel 2019 ho co-fondato il Creative Hub, diventato un punto di riferimento per gli artisti emergenti della nostra zona. Grazie ad Alessandro Del Freo (Refo), ho capito che potevo provare a registrare i miei brani e così ho pubblicato il primo EP “Caffé del Mercato” poi il secondo “La vicenda è più importante della carta”. Abbiamo chiuso il 2024 con la pubblicazione dell’album “Fuori Fuoco”. Sempre nel 2024, abbiamo organizzato il nostro mini-festival, TakeOver, che ha portato diversi artisti a esibirsi dal vivo. È stato emozionante creare uno spazio dedicato alla musica live. Comunque è grazie allo studio che è iniziata la mia carriera lavorativa come graphic designer, dapprima con gli artwork dei brani musicali, per poi accrescere il mio portfolio di esperienze.
Ti ispiri ai grandi cantautori italiani, vuoi fare qualche nome? Come definiresti il tuo genere?
Sì, diciamo che sono cresciuto ascoltando il cantautorato. Credo che grazie a loro io abbia imparato ad osservare il mondo con occhi curiosi. Fare dei nomi è come sfogliare l’antologia della canzone italiana: De André, Guccini, Gaber, Lucio Dalla, Battisti, Fabio Concato, De Gregori, Battiato, Rino Gaetano, Califano. Per poi arrivare a tempi più recenti come Samuele Bersani, Luca Carboni, Vasco Rossi. E così via, senza considerare i più attuali già citati prima. Tutti artisti che sono riusciti a creare poesie oltre che canzoni. Almeno per me. Non so se riesco a definire un “genere” per quello che faccio. Mi piace lasciarmi contaminare da quello che ascolto o anche solo dai suoni che mi circondano. Lo definirei cantautorato, almeno quello è il filone narrativo. Poi, per abusare di un cliché, perché definirsi?
Come riesci a conciliare passione per la musica e per le arti visive?
Fin da piccolo ho sempre amato disegnare, e successivamente ho scoperto la pittura… Dipingevo cose assurde e mi divertiva giocare con i colori e le varie tecniche. Non ho una formazione però mi faceva stare bene e la musica era lì. Girava nell’aria, mi trasmetteva cose che poi riflettevo, a mio modo, su tela, tutto in maniera inconsapevole. Come detto prima, ho iniziato a lavorare facendo le copertine per i singoli e da lì, purtroppo, ho messo da parte la pittura. La promessa che mi sono fatto è quella di ritagliare il mio spazio per dipingere. Oggi, il mio lavoro come graphic designer è comunque artistico: progettare mostre, impaginare, creare poster. Tutto un processo che stimola la creatività. Ovviamente sempre con le cuffie nelle orecchie.
Recentemente è uscito il tuo album Fuori Fuoco, vuoi parlarcene?
Molto volentieri. È un albumche raccoglie sette tracce. Sono canzoni che ho iniziato a scrivere dal 2020, più o meno. È come una fotografia scattata “fuori fuoco”, questi brani raccontano l’essenza dei momenti più vulnerabili e autentici che ho vissuto, cercando di trasformare l’imperfezione in una risorsa. Ogni canzone invita a fermarsi, a osservare i dettagli meno definiti della vita e scoprire la bellezza nascosta nell’imperfetto. Racconto quel percorso, tra amore, ansie, vizi e crescita personale. È stato terapeutico per me, e spero che chi ascolta possa ritrovare qualcosa di sé nelle mie canzoni e, magari, sentirsi un po’ meno solo. Il processo è stato intenso e devo assolutamente ringraziare chi ne ha fatto parte. In primis Luca Mongardi (LVKE) che ha prodotto l’album, Alessandro Del Freo (Refo) e Alessio Pippi (Marlow) che lo hanno mixato e masterizzato. Matteo Moscardini e Zeno Marchi che hanno dato un tocco personale e autentico.
L’album contiene una riflessione sul valore della imperfezione, un tema d’attualità considerata anche la presenza massiccia dei social che vogliono tutti perfetti e invidiabili…
Ma sì, e che devo dire? Credo che il passo più difficile per tutti noi sia accettarsi. La ricerca della perfezione è sempre esistita, ma i social l’hanno esasperata, alimentando ansia sociale e un rifiuto delle imperfezioni. Insomma hanno creato un bel disastro, e tutti noi ne stiamo abusando. La perfezione fa schifo. I “difetti” ci rendono vivi e soprattutto unici.
Nell’album parli anche della ricerca di equilibrio, che consigli daresti in questo senso ai tuoi coetanei e ai più giovani?
Parlare di equilibrio è fondamentale, soprattutto oggi. Uno dei consigli più preziosi che posso dare è considerare la psicoterapia: è uno strumento incredibile per conoscersi meglio, affrontare i propri ostacoli e trovare un punto di stabilità. Guardandomi attorno, vedo che ne avremmo davvero tutti bisogno, soprattutto in un’epoca così frenetica e connessa. Un’epoca in cui fermarsi sembra impossibile, ma è necessario. Altri consigli, che possono sembrare banali, sono sicuramente: limitare l’uso dei social, prendersi i propri spazi, imparare a stare da soli, amarsi. È un percorso difficile, ma vale la pena intraprenderlo. L’equilibrio, alla fine, non è qualcosa che si trova ma si costruisce. Non bisogna aver paura a chiedere aiuto, non siamo macchine.
Siamo ormai in clima Sanremese, guarderai il Festival? C’è qualcuno per cui farai il tifo?
Certo! Mi piace come si è evoluto nel tempo e Amadeus ha fatto un lavoro straordinario nel modernizzarlo. Mi piacerebbe vedere meno intermezzi, lasciando spazio alla musica e magari evidenziare i temi sociali o globali attraverso messaggi significativi. Sono in difficoltà nel fare tifo, non mi piace viverla come una competizione. Comunque tre nomi: Brunori Sas, Lucio Corsi e Joan Thiele.
Oggi imperversano i Talent, cosa ne pensi?
I Talent sono un’opportunità, ma richiedono consapevolezza. Possono essere un’arma a doppio taglio Puoi rischiare di entrare in un tritacarne di contratti ed esclusive che poi ti lasciano fermo per anni. Da spettatore mi piacciono ma il percorso musicale deve rimanere autentico e fuori da certe logiche commerciali.
Prima di lasciarci vuoi rivelarci i progetti futuri?
Sto lavorando per portare “Fuori Fuoco” dal vivo. I live sono la cosa più importante, mi diverto e conosco gente. Ho anche in mente nuovi progetti e non vedo l’ora di tornare a scrivere. Sicuramente organizzeremo nuovamente il takeover. Comunque, se vi va, seguitemi per rimanere aggiornati.
Grazie per essere arrivati qui, buona musica a tutti. A presto!
Puscibaua, “Diversivi”: un momento di passaggio tra passato e futuro dell’artista
Artista praticamente da sempre, Puscibaua, nome d’arte di Nicola Papapietro 32enne cantautore umbro di origini italo-francesi, ha iniziato a suonare a 4 anni sempre ispirato da nomi altissimi della musica. Una grande passione artistica e un forte impegno sociale, come dimostra lo spettacolo teatrale “Fortuna” sostenuto da “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” al quale ha partecipato nel recente passato. Il suo ultimo EP, del quale ci ha parlato in questa intervista, si chiama Diversivi.
Ciao, innanzitutto ti chiedo di parlare un po’ di te agli amici di Musica361…
Un saluto a tutti i lettori di Musica361! La mia avventura con la musica è iniziata praticamente da subito, spinto soprattutto da mio padre, regista teatrale francese con una grande passione per la musica e per l’arte in generale. Tra i 4 e i 5 anni ho preso le prime lezioni di organetto (una sorta di fisarmonica in miniatura) per poi passare allo studio del pianoforte. Parallelamente ho iniziato a dedicarmi alla scrittura di poesie e piccoli racconti, ma per diversi anni è stata impensabile per me l’idea di comporre delle canzoni.
Le prime canzoni sono arrivate intorno al 2010, quando ho iniziato a suonare la chitarra da autodidatta sotto gli effetti di una colossale “cotta” per la poetica di Bob Dylan, di Georges Brassens e di alcuni cantautori italiani come Paolo Conte, Francesco de Gregori, Lucio Dalla e Franco Battiato.
Da lì in poi è successo tutto abbastanza rapidamente: grazie all’interessamento di alcuni amici musicisti, nel 2011 sono arrivati i primi concertini ed ha avuto inizio la più classica delle gavette, sui palchi più o meno improvvisati dei locali, dei festival e dei bar della mia regione. Nel 2017 ho pubblicato il mio primo EP autoprodotto (“La bestemmia”, registrato e prodotto da Marco Sensi) e negli anni seguenti ho inciso i singoli “Afrosirene”, “Foligno Nord”, “La terra si muove” e “Lega!”. Nel 2018 ho partecipato al festival Arezzo Wave e, vincendo la finale umbra, ho avuto la possibilità di esibirmi alla finale nazionale.
Nel 2021 ha avuto inizio con il singolo “Un’idea” la collaborazione tutt’ora in atto con il musicista e produttore tosco-napoletano Luca Cappuccio, con il quale ho arrangiato e registrato diversi singoli fino ad arrivare alla pubblicazione, a novembre 2024, dell’EP Diversivi.
La mia avventura musicale si è spesso intrecciata anche con il teatro, un’altra forma d’arte che ho sempre apprezzato moltissimo, sicuramente anche a causa delle mie influenze paterne. Così, dal 2016 al 2019 ho accompagnato Alessandro Sesti nello spettacolo “Fortuna” in una lunga tournée in giro per l’Italia. E nel 2023 ho scritto, insieme a Silvio Impegnoso, lo spettacolo-concerto “Nuove abitudini per la notte”, che ha visto anche la partecipazione del musicista Filippo Ciccioli.
Hai scelto un nome d’arte molto particolare, che significato ha?
“Puscibaua” è un soprannome che mi è stato dato, prima ancora che iniziassi a scrivere canzoni, dai miei compagni di classe delle superiori e la sua origine si perde ormai tra i vecchi ricordi degli scherzi liceali. Al mio primo concerto mi sono presentato come “Puscibaua” semplicemente perché ormai tutti mi conoscevano così, anziché come Nicola. In quel periodo non pensavo al fatto che sarebbe diventato effettivamente il mio nome d’arte, né che quasi 15 anni dopo avrei ancora continuato a scrivere e a pubblicare canzoni.
Sei italo-francese, quale delle due culture ti ha influenzato di più? Sì, sono italo-francese ma essendo nato e cresciuto in Italia la cultura che mi ha influenzato e che mi influenza di più è senza dubbio quella italiana. Tuttavia alcuni artisti francesi mi hanno ispirato profondamente. Penso ad esempio a Brassens per il suo umorismo e la sua visione del mondo teneramente cinica, a Godard per il nonsense e per l’anarchica poesia dei suoi film, agli Air e a La Femme per il loro approccio alla musica elettronica che in qualche modo sta influenzando, insieme ad altre “muse”, i miei ultimi lavori.
Dal 2016 al 2019 sei stato in tour con lo spettacolo teatrale “Fortuna” di e con Alessandro Sesti, sostenuto da “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, dimostrando di essere un artista sinceramente impegnato: quanto ti ha coinvolto un impegno simile e secondo te a che punto siamo con la lotta alle mafie?
Confesso che portare un certo impegno politico e sociale in quello che faccio è uno degli aspetti che mi entusiasma di più. Per me ne sono un esempio le canzoni “Guarda quante cose ti ho lasciato” e “Afrosirene” (dedicate al fenomeno delle migrazioni e del razzismo) e “Lega!” (un goliardico pezzo rock in cui parlo dell’omonimo partito politico e del suo principale esponente).
Perciò sono sempre stato infinitamente grato ad Alessandro per avermi coinvolto in questa esperienza che ci ha permesso di raccontare la terribile storia di Fortuna Loffredo in tantissime repliche dal nord al sud Italia. Le date più emozionanti sono state probabilmente i matinée per le scuole, durante i quali ci siamo commossi insieme a innumerevoli ragazze e ragazzi che si sono mostrati estremamente coinvolti nelle problematiche legate alla mafia, all’omertà, al bullismo e alla violenza in generale. Non voglio né posso esprimermi circa lo stato attuale della lotta alla mafia perché è un argomento estremamente complesso e io non sono la persona più indicata per fornire un’analisi sullo stato delle cose. Quello di cui sono convinto però è che si tratta di un fenomeno così articolato che non credo possa essere risolto unicamente con l’intervento dello Stato. Credo che la partecipazione (emotiva e concreta) della collettività sia indispensabile per tentare di sconfiggerlo o di
renderlo quantomeno più marginale. E in generale credo nell’importanza di dedicare anche solo un po’ di tempo ogni tanto a quei temi che ci stanno davvero a cuore. Penso che se ci impegnassimo tutti un pochino di più il cambiamento risulterebbe molto più a portata di mano di quello che siamo portati a credere.
Il tuo ultimo EP si chiama Diversivi, vuoi parlarcene?
“Diversivi” è il mio nuovo EP, uscito a novembre del 2024. Registrato da e con Luca Cappuccio, contiene tre canzoni inedite e la versione rimasterizzata di “Un’idea”, il brano che 4 anni fa diede il via al nostro sodalizio artistico. “Diversivi” per me rappresenta soprattutto un momento di passaggio tra i miei precedenti lavori e quelli futuri già pronti nel cassetto, un passaggio che potrei riassumere in una transizione pacifica tra il mio vecchio mondo folk e le attuali sperimentazioni con un cantautorato che si avvicina a sonorità elettroniche senza essere necessariamente pop.
Quali sono i tuoi cantanti o gruppi di riferimento e come definiresti il tuo genere?
In realtà fin dai miei esordi ho sempre cercato di non accomodarmi in un determinato genere musicale, mi sono sempre concesso la libertà di seguire il mio istinto artistico senza preoccuparmi troppo di restare all’interno di specifici confini. Questo anche perché i miei ascolti musicali sono estremamente variegati e vanno letteralmente da Bach alla trap (quando scovo qualcosa di interessante).
Sicuramente ci sono stati alcuni pilastri fondamentali, ma gli artisti e le opere che mi hanno influenzato sono innumerevoli.
Ad ogni modo tra i pilastri metterei (in ordine più o meno cronologico di scoperta) Mozart per il Requiem e il Flauto Magico, Brassens, gli 883, gli Articolo 31, i Beatles, De Gregori, Vinicio Capossela, i Nirvana, Bob Dylan, i Sangue Misto, i Metronomy, La Femme… È un elenco prettamente simbolico perché sento di aver preso qualcosa da ogni artista a cui mi sono appassionato. Detto ciò, tornando al “mio genere”, se proprio dovessi definirmi in qualche modo direi semplicemente che sono un cantautore, in quanto la mia passione principale è sempre stata la scrittura dei testi.
A proposito di generi musicali, oggi quello che va per la maggiore è la trap che però ha attirato anche tante critiche, cosa ne pensi?
Io non credo che si possa esaltare o condannare un genere musicale nella sua interezza. Mi capita spesso di ascoltare cose meravigliose nate all’interno di generi che di solito non frequento. Senza dubbio in questo periodo la trap ha monopolizzato gran parte dell’attenzione, ma dal mio punto di vista fa parte anche delle regole del gioco, in modi diversi è sempre stato così. Prendo ad esempio mio nonno che impediva a mia madre di ascoltare i Beatles perché all’epoca venivano considerati troppo eccentrici e sovversivi. Piuttosto se devo essere polemico preferisco esserlo nei confronti dei tanti che criticano la trap, ma poi non sostengono in alcun modo quei generi che secondo loro sarebbero più degni di esistere. Così accade che, al di là delle polemiche infinite, ai concerti degli emergenti ci va sempre meno gente e i locali tendono quindi a modificare la loro programmazione in base a ciò che spinge il pubblico ad uscire di casa.
Quindi la differenza sostanziale è questa: che la trap è “potente” perché è seguita da un pubblico estremamente coinvolto, mentre il “nostro” pubblico sta diventando sempre più pigro e sterilmente brontolone.
Insomma, chi vuole sostenere realmente i bellissimi progetti che nascono attualmente all’ombra della trap può farlo dandosi un po’ da fare, partecipando alle iniziative che vengono ancora faticosamente organizzate, aguzzando la curiosità e abbandonando i paragoni tra il passato e il presente.
Il Festival di Sanremo si avvicina, lo seguirai? C’è un artista per cui farai il tifo (tra l’altro parteciperà anche Lucio Corsi, i cui concerti hai aperto…)?
Sì, ogni anno seguo con interesse Sanremo, mentre accarezzo il sogno proibito di finirci anch’io magari fra qualche tempo. Il Festival mi affascina per il suo instabile equilibrio tra i (pochi) momenti alti e gli innumerevoli scivoloni, gaffe e problemi di qualsiasi tipo che lo affliggono da sempre, come una divertente maledizione.
E sì, quest’anno farò decisamente il tifo per Lucio Corsi. È sempre stato il mio cantautore preferito tra le nuove leve e sono ancora incredulo per il fatto che lo vedremo a Sanremo. Anzi, colgo l’occasione per consigliare a tutti di ascoltare i suoi dischi per arrivare preparati all’appuntamento.
Oggi imperversano i Talent, ti andrebbe di partecipare?
Ogni tanto mi capita di vedere qualche puntata di X Factor, ma secondo me questi programmi vanno visti per quello che sono: semplice intrattenimento, in cui la musica in realtà è solo un pretesto o poco più. Ho conosciuto diversi artisti che ne sono usciti con le ossa rotte e personalmente non solo non intendo partecipare, ma mi sento anche di sconsigliare questo percorso a chi davvero ha a cuore la musica.
Soprattutto perché trovo sempre poco sano accostare il concetto di musica con quello di competizione, di gara. Si finisce per dare ad una classifica le redini della propria autostima ed è pericolosissimo. Sanremo lo salvo in parte proprio perché il format su cui si basa fa sì che la classifica non sia dopotutto così rilevante: sono ben noti molti esempi di artisti divenuti delle icone pur piazzandosi all’ultimo posto.
Prima di lasciarci vuoi rivelarci i progetti futuri, sappiamo che c’è qualcosa che bolle in pentola per questo 2025…
Effettivamente credo e spero che il 2025 si rivelerà piuttosto cruciale. In primavera pubblicherò un nuovo EP di cui sono molto orgoglioso e di cui spero di poter parlare di nuovo ai lettori di Musica361. Ci saranno anche delle altre novità, ma per ora vi invito a seguirmi cercandomi come “Puscibaua” sui miei canali social e sulle varie piattaforme musicali (Spotify, YouTube, Apple Music, ecc…) per rimanere aggiornati sulle prossime pubblicazioni.
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