Livio Magnini 1
Foto: Ufficio Stampa

Nell’intervista concessa a Musica361 Livio Magnini ci ha illustrato un’attività molto particolare e interessante: l’ascolto consapevole sul quale  ha tenuto una masterclass parlando di psicologia della e nella musica e del recupero della capacità di ascolto emotivo. Ovviamente, non potevamo non parlare anche del suo amico Morgan e dell’ultimo Sanremo che ancora tiene banco…

Hai tenuto recentemente una masterclass dedicata all’ascolto consapevole, vuoi chiarire questo concetto così importante?

Si intende una cosa piuttosto semplice, ovvero essere presenti durante l’ascolto. Noi siamo abituati ad avere la musica come sottofondo per qualsiasi cosa, dalla spesa al supermercato all’ascensore, dove è usato come elemento anti-imbarazzo, ascolto consapevole significa volere ascoltare qualcosa non facendo nient’altro.

È anche un modo per applicare il qui e ora in un periodo in cui la concentrazione è messa a rischio da troppi stimoli esterni?

Assolutamente sì, in realtà il “Qui e ora” fa parte di molte espressioni filosofiche, come quelle orientali, ma anche di tecniche recenti come la
Mindfulness o la meditazione trascendentale.

È necessario il distacco digitale ai tempi dei social così invasivi, soprattutto tra i più giovani?

Sì, questo dipende dal bombardamento con il quale veniamo colpiti regolarmente durante la nostra giornata che non ci permette di essere presenti a noi stessi, poi ognuno trova una propria collocazione, c’è chi lo fa attraverso delle dottrine filosofiche e chi attraverso un esercizio fisico: anche l’allenamento riesce a portarti a uno stato di presenza.

Parli di la psicologia della e nella musica, come incide l’ascolto della musica sulla nostra psiche e sulle nostre emozioni?

Tutti noi conosciamo gli ultrasuoni e le relative terapie, ma nessuno si pone il problema di capire che cosa sta succedendo: l’ultrasuono sta facendo un massaggio cellulare, l’ampiezza molto breve dell’onda e quindi la sua ripetizione non fa altro che scaldare, produrre calore e il calore è energia, producendo uno scambio di elettroni tra le nostre cellule che vengono massaggiate. Le frequenze prodotte dalla musica, dal suono sotto i 50 hertz colpiscono invece le nostre onde cerebrali: Theta, Delta, Beta e Alfa e ogni tipologia di queste onde corrisponde a uno stato di concentrazione, rilassatezza, sonno e di predisposizione alla concentrazione. Ci sono stati diversi studi, tra cui quelli di Fulvio Muzio, medico ed ex tastierista dei Decibel, sulla capacità terapeutica della bassa frequenza.

Sei un artista impegnato: il tuo progetto Rezophonic opera con lo scopo di finanziare la costruzione di pozzi in Africa…

Questo è un risvolto sociale della musica, sono due passioni apparentemente disgiunte in realtà convergenti.

Sei parte di un gruppo importante come i Bluvertigo, come è il rapporto con gli altri e in particolare con Morgan?

Il rapporto è come prima, ci sentiamo, ci vediamo, l’anno scorso abbiamo suonato prima dei Duran Duran al Festival “La Prima Estate” poi abbiamo fatto il Rugby Sound Festival con i Subsonica. ognuno ha il suo modo di vivere la musica e di condurre la propria vita. Molto spesso io sono d’accordo con gli “estremismi” di Marco quando lui porta a galla i problemi che conosciamo tutti e di cui nessuno vuole parlare. Ad esempio al Festival di quest’anno tutti i pezzi erano scritti fondamentalmente da tre autori…
Quindi lo giudichi negativamente?

Non do un giudizio, cerco di esaminare gli elementi che ho a disposizione e se questo è il Festival della canzone italiana c’è qualcosa che non va. Intanto è diventato un momento di intrattenimento dove la musica oggettivamente non è la cosa più importante e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Il Festival è nato con altri presupposti: c’erano autori che presentavano le loro canzoni e c’erano pochi interpreti e questo aveva un senso logico molto preciso perché quello che risaltava era la canzone. Quello che succede oggi è l’inversione totale: sono pochissimi autori che scrivono tutti i pezzi, quindi le proposte autoriali sono le stesse, più che il Festival della canzone italiana dovrebbe essere il Festival di chi interpreta…

Vuoi svelarci i prossimi progetti

Da un po’ di tempo ho un duo con un percussionista della Scala, Elio Marchesini, facciamo improvvisazioni e costruiamo paesaggi sonori. andiamo a suonare in luoghi che non sono classici luoghi deputati all’ascolto della musica, come musei di arte contemporanea e gallerie d’arte. È una cosa che mi sta dando molta soddisfazione perché è molto distante dal concetto di hit, dal concetto di gradimento; ogni tanto allarghiamo l’organico e suona con noi Xabier Iriondo degli Afterhours, con cui ho realizzato il mio prossimo progetto discografico che uscirà prima dell’estate e sarà una colonna sonora di luoghi: abbiamo scelto i luoghi che hanno caratterizzato la nostra vita e attraverso il loro cromatismo abbiamo costruito dei brani musicali.

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Gabriele Baldocci 1

 

È disponibile in formato fisico e digitale “AGELESS”, il nuovo album di inediti del pianista e compositore GABRIELE BALDOCCI. Il disco è stato anticipato dall’uscita del singolo “Ageless”, dedicato all’amico e artista Ezio Bosso scomparso nel 2020. Nell’album si intrecciano piano personale e professionale, dediche alla moglie, ma anche a Chopin, Virzì e al Maestro torinese di cui ci ha parlato in questa intervista…

Ciao Gabriele, è uscito “AGELESS”, vuoi parlarcene?

È una pietra miliare nel mio percorso artistico perché per la prima volta debutto con un album di mie composizioni che ha riscosso dei feedback molto buoni ed è stato l’inizio di tante belle cose (adesso ho un altro album in preparazione) e ha aperto una finestra su pubblici che prima non frequentavo.

Un brano Ageless è dedicato proprio a Ezio Bosso, ci lasci un ricordo personale di questo grande artista?

Ezio ed io ci siamo scritti moltissimo quando sono arrivato a Londra, siamo stati presentati da un amico comune che mi ha parlato di questo ragazzo molto talentuoso. Non ci siamo mai conosciuti di persona, ma ci siamo sentiti molte volte per telefono e ci siamo scritti molto. Lui era cresciuto nella Torino operaia, come io nella Livorno operaia e quando parlavamo della nostra infanzia, della nostra adolescenza, lui ripeteva sempre: “Non ce lo potevamo permettere” e questo è stato il leitmotiv della mia vita che mi ha fatto sentire molto vicino a Ezio, perché ce la siamo proprio dovuta guadagnare, con grande soddisfazione poi quando ce l’abbiamo fatta.

Si intrecciano piano personale e professionale, dediche alla moglie, a Chopin, a Virzì livornese come te, c’è qualcuno che per forza di cose è rimasto fuori?

Martha Argerich, è rimasta fuori lei. Le avevo dedicato un paio di pezzi che avevamo suonato insieme tanti anni fa (è stata quella la prima volta che ho fatto il compositore), non volevo farle pensare che doveva suonarmeli, perché di solito quando uno dedica un pezzo a un collega poi il collega lo suona, non volevo che si sentisse obbligata. Però nel prossimo album ci sarà una dedica anche a lei.

Questo disco è il tuo debutto come compositore, cosa ti ha portato a fare questa svolta nella tua carriera?

Diverse ragioni: una è l’esigenza di scrivere che ho sempre tenuta nascosta, nel senso che ho sempre scritto, ma mi imbarazzava pubblicare le mie cose, invece durante il Covid, quando nessuno suonava più, l’unica forma di espressione era quella. Poi è stata la mia grande amica Martha Argerich, una delle leggende del pianoforte, a dirmi che i pezzi sono bellissimi e a consigliarmi di farli sentire: io li ho fatti sentire, i feedback sono stati buoni e sono andato avanti così…

Quali sono i tuoi punti di riferimenti artistici?

Ho una formazione molto “a largo spettro”, non sono il tipico musicista che si è fissato con il piano, quindi spazio molto. Sono molto appassionato di cinema, i grandi registi sono una fonte inesauribile di ispirazione. Per quanto riguarda i pianisti mi sono formato con Vladimir Horowitz, Arthur Rubinstein, più tutti i mostri sacri del Jazz come Oscar Peterson, ma in generale sono molto curioso delle varie forme di espressione.

Imperversano i talent: sono uno sprone oppure creano illusioni?

Un po’ tutte e due le cose, perché c’è il rischio che i giovani possano pensare che ci sia una scorciatoia per il successo e in effetti questi talent la offrono, in ogni caso riesce uno su un milione; invece si ha l’impressione che tutti possano farcela con sforzo zero. Si deve capire che ci deve essere una preparazione, una serietà e una professionalità.

Progetti futuri?

Ho un album praticamente finito con brani che sono tutti basati sul tema dell’infanzia, vissuta da me e che rivivo attraverso gli occhi di mio figlio: è un album nato nel giro di un mese e non vedo l’ora di pubblicarlo. Poi partirà un tour italiano con i due album come motivo conduttore

 

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Francesco Maria Mancarella 1
Foto: Michele Giannone

Pianista, compositore e direttore d’orchestra (quest’anno al Festival di Sanremo ha diretto l’orchestra per Alessandra Amoroso), Francesco Maria Mancarella ha appena pubblicato il progetto discografico “Nord” composto da due EP registrati in Islanda negli Syrland Studio di Reykjavík dove il musicista si è immerso per settimane in un silenzio irreale, a contatto con la natura.

Ciao Francesco, dato che è un argomento abbastanza fresco, puoi parlarci dell’ultimo Sanremo dove tu hai diretto l’orchestra per Alessandra Amoroso?

Un’edizione molto interessante, Amadeus ha dato il massimo prendendo anche l’attenzione di un pubblico giovanile, con artisti in gara interessanti e brani belli e moderni, con grande coralità perché l’orchestra ha suonato tutti i brani ed è molto bello avere due versioni dello stesso brano, una orchestrale e una per la radio da ascoltare tutti i giorni. Per me era la prima volta, ma sono sempre stato un fan del Festival, l’ho visto da quando ero piccolo. Per quanto riguarda il mio lavoro: sicuramente la musica al centro del tutto, ho lavorato in questo senso cercando di trarre il meglio di quello che l’orchestra poteva dare, cercando anche di dare un grande supporto all’artista che era sul palco, per riuscire ad arrivare tutti insieme al cuore del pubblico.

Ora finisce l’era Amadeus, chi potrebbe prendere il suo posto?

È una domanda difficile, non saprei proprio chi poterti dire. Tra di noi, in maniera estemporanea, posso dirti che mi piace molto Bonolis, ma mi piace come presentatore, non per abbinarlo necessariamente al Festival.

Hai appena pubblicato Nord, vuoi parlarcene?

È un disco che ho registrato in Islanda, in questa terra magica, ancestrale, dove l’uomo diventa tanto piccolo di fronte alla grandezza della Natura; noi siamo abituati a distruggerla questa Natura che ci ha fatto diventare quello che oggi siamo, ma in questo paesaggio la prospettiva cambia totalmente per cui questa riverenza nei confronti della Natura si trasforma in una introspezione personale che la mia musica vuole raccontare con i suoni, con i colori dell’aurora boreale, di questo mare che crea scompiglio e spero che la mia musica possa suscitare nelle persone che l’ascoltano proprio questa sensazione di pensiero rivolto a se stessi, dove il Nord non è solo un punto geografico, ma un punto di arrivo personale: Nord visto come orizzonte di vita. “Cosa voglio fare della mia vita?” Se qualcuno prendesse un momento di pausa per pensarci bene, dato che oggi abbiamo questa grandissima velocità, potremmo avere anche una risposta. L’Islanda è scelta per questo, ho registrato al Syrland Studio di Reykjavík ed è un disco con un approccio molto live, io sono arrivato con dei bozzetti per pianoforte, poi ho fatto questo viaggio di una settimana e alla fine ho registrato quelli che erano i bozzetti riadattati con tutto quello che avevo vissuto in questa settimana.

Oltre la Natura quali sono le tue altre fonti di ispirazione?

Quando ero piccolo ho studiato Musica Classica al Conservatorio, successivamente Musica Jazz e poi mi sono diplomato in Musica da Film, poi in Composizione Classica. I miei pianisti di riferimento sono Michel Petrucciani, che io adoro, ma anche pianisti di Musica Classica come Glenn Gould, per tutto quello che ha fatto con Bach, o John Williams per le colonne sonore, ma anche Danny Elfman, insomma cerco di prendere ovunque ci sia qualcosa di interessante, come Bill Evans. Non mi do mai dei limiti tutto quello che mi interessa cerco di studiarlo e provarlo. In più i viaggi che mi portano sempre lontano per lavoro sono una grande fonte di ispirazione perché mi portano a raccontare i posti che visito e le persone che incontro e per me questo è un privilegio.

Sei spesso lontano da casa ma la testa è sempre alle tue radici, il Salento terra alla quale hai dedicato anche alcune composizioni…

All’interno dei dischi porto sempre qualcosa della mia Terra, quando sono fuori e suono utilizzo questo stratagemma per sentirmi più a Casa, ecco perché c’è sempre qualcosa di salentino all’interno di un disco che comunque è registrato a tanti chilometri lontano da casa.

Molto interessante è anche il pianoforte che dipinge…

La pittura si fonde alla musica nello stesso istante e permette di far comprendere al pubblico, che è lì a guardare, cosa è la sinestesia perché può vedere nello stesso istante la pittura insieme alla musica. È un pianoforte che è stato brevettato da me nel 2013 e che mi ha permesso di girare in tutto il mondo, l’ultima esibizione è dello scorso anno negli Stati Uniti a Miami. Sono molto contento di questo perché le opere che ne vengono fuori le utilizzo per creare delle mostre d’arte e chiunque ne acquisti una ha l’opportunità di portare a casa non solo l’opera fisica ma anche il brano. Dipingo un’opera per un brano (tutti miei originali), pertanto è una cosa che è nata per dare forma alle mie composizioni.

Approfittiamo quindi della tua professionalità per chiederti com’è lo stato della musica in Italia?

I miei punti di riferimento sono sempre stati l’impegno e la ricerca: non mi accontento mai! Mi sono abituato a non ascoltare le cose che non mi interessano ed è un consiglio che vorrei dare a tutti: se c’è qualcosa che non piace è meglio non ascoltarla. In linea generale oggi non c’è un approccio metodico nello studio, soprattutto nell’andare oltre a quello che può essere la composizione un po’ più frivola: tutti cercano di fare le stesse cose, si cerca di fare una canzone che possa “funzionare”, non qualcosa che possa rappresentarci, come risultato abbiamo una rappresentazione generale di una società che diventa una società mediocre e abbiamo poche persone che cercano di essere davvero se stesse; la beffa è che quelli che riescono a essere se stessi vengono considerati diversi e talvolta esclusi

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Uragano, lasciatevi trascinare in un vortice di emozioni e situazioni spiazzanti
Foto: fotofottute

Questa settimana noi di Musica361 abbiamo intervistato una band molto particolare: formatisi nel 2013, gli Uragano (Luca – voice, lyrics, guitar, sampling; Alekos – keyboards, sampling, voice; Ometto – bass, voice; Boda – drums, percussions) propongono un approccio al post-hardcore piuttosto strano e unico, il tutto sfociato nel loro album LP1…

 

Ciao, innanzitutto presentatevi agli amici di Musica361…

Ometto: ciao noi siamo gli Uragano!!

Luca: esistiamo da un sacco e in mille forme ma da una manciata di anni siamo: io alla voce e chitarra (su disco non live), Ometto al basso e all’altra voce, Boda alla batteria e percussioni e Alekos ai synth e samples

 

Si dice che il vostro approccio al post-hardcore sia piuttosto strano, da cosa nasce questa particolarità?

Luca: guarda, quando dodici anni fa ho scritto i primi pezzi degli Uragano il gioco era tipo “proviamo a scrivere dei pezzi screamo senza neanche un riff, screamo dentro”. E diciamo che è un po’ rimasto come mindset.

Ometto: ci piace la musica ibrida: meno si capisce cos’è, meglio é

 

Rifiutate ogni associazione ad una precisa corrente musicale, ma avete dei punti di riferimento? Ci sono gruppi o cantanti che vi hanno particolarmente ispirato?

Ometto: personalmente più che una band o un artista la cosa che più mi ha ispirato a percorrere questa strada è in generale la scena diy. Quando ho cominciato a vedere cosa può generare lo sforzo diretto di chi vuole impegnarsi per una scena o l’altra ho capito che si può  ancora essere liberi in qualche modo.

Luca: comunque qualche punto di riferimento sonoro lo abbiamo avuto e lo continuiamo ad avere. Però non è mai stato “voglio suonare come quelli lì”, anzi tutto l’opposto.  Poi dipende quanto vuoi analizzarla al microscopio, le similitudini le trovi…

 

Il vostro è comunque un genere non facile, soprattutto in Italia, quali difficoltà riscontrate?

Luca: mah, ti dirò una cosa: secondo me la scena screamo italiana sta benissimo e, anzi, fa numeri niente male se comparati alla popolarità delle band in sé. Mi spiego: una band piccolina che suona questi generi in Italia potrebbe comunque riuscire a fare un discreto numero di spettatori. In altri generi mi sembra più difficile a volte, tipo nel Pop se non sei conosciuto mi sa che fai fatica. E questo secondo me perché lo screamo/posthc fa riferimento ad una nicchia ben targettizzata di persone interessate.

Ometto: fare musica dove non ti poni troppi limiti a decostruire i tuoi generi preferiti crea della musica che può piacere a nicchie delle nicchie, non ti deve piacere un genere di musica alternativa ma un po’ tutti gli ingredienti della zuppa, le persone la digeriscono a modo loro

Luca: sì ecco forse se avessimo fatto la copia dei Raein l’avrebbero digerita meglio ma va bene così…

 

Possiamo dire che la musica nel vostro caso ha un potere salvifico?

Ometto: ringrazio sempre di avere gli Uragano nella mia vita.

 

Recentemente è uscito il vostro album LP1, ce ne volete parlare?

Luca: sì, ci abbiamo messo veramente un sacco a ‘sto giro ma è uscito. È il primo full length in 11 anni, abbiamo sempre fatto release molto più corte e sparse. (Abbiamo copiato i La Quiete in questo…). Anyway, avevamo appena cambiato la line up con nuove aggiunte e vecchi ritorni, quindi aveva senso fare qualcosa di più corposo. Poi come al solito abbiamo allungato il sound uragano verso nuove direzioni, che qui direi che sono i synth/samples e le voci più “melodiche” e corali.  Come le altre release è un bel viaggione, in questo caso semi-circolare nel senso che parte e finisce “emo”. Poi in mezzo succede di tutto, un sacco di situazionismo in tempi dispari e momenti stranianti. Ecco, sicuramente è il nostro disco più vario.

 

La vostra musica è interessante anche dal punto di vista formale: testi drammatici ed evocativi che puntano sul quotidiano, contaminazioni cinematografiche come in “Indonesia”,  ricorso a metafore ermetiche…

Luca: Sì, i testi Uragano sono sempre stati un misto di narrativa con ambientazione quotidiana o monologhi interiori mega decostruiti ed ermetici e anche quelli di LP1 sono così. Forse questa volta abbiamo spinto ancora di più sull’acceleratore e, proprio come la parte musicale, i testi risultano molto frammentati anche all’interno dei pezzi stessi. Si pensi al testo delirante di Djent oppure ad un brano come Finale che di base parla di ambiente ma in 3 registri abbastanza diversi.

 

Siete di Sanremo, la provincia per voi costituisce un limite o uno sprone a fare di più e meglio?

Ometto: a volte la provincia mi ha spronato a volte mi ha buttato giù con le sue difficoltà: è il motivo per cui tutti ce ne andiamo, ma in un modo o nell’altro si torna ogni tanto a fare quel che dobbiamo fare in quella che era “Casa”.

Luca: siamo sempre stati combattuti tra il cercare di far germogliare qualcosa in provincia e il tenerci il più possibile a distanza da essa.

Domanda che facciamo a tutti i vostri colleghi e specialmente a voi, che venite dalla “Città dei fiori”, avete seguito l’ultimo Festival? Siete soddisfatti dei risultati, dal punto di vista dello spettacolo e della competizione canora? 

Luca: a me piace sempre abbastanza seguire il Festival quando riesco. La competizione canora è sicuramente su alti livelli nelle ultime edizioni.  Si sono aperti ad altre sonorità diverse dal Pop tradizionale italiano ed è interessante per me vedere come se la cavano a gestire questa cosa con ovvie critiche da parte di qualcuno ma anche un riavvicinamento dei giovani ed interessanti crossover musicali. Non male anche dal punto di vista dello spettacolo in sé, è sicuramente il programma di varietà della tv italiana fatto meglio. a mio parere (ma ovviamente avrà un budget infinito rispetto agli altri).

Oggi dominano i talent, siete tentati dal partecipare a un XFactor o simili?

Ometto: SI’.

Luca: sarebbe divertentissimo

 

Prima di salutarci parlateci dei vostri progetti futuri…

Luca: vorrei dirti big things are coming ma mi sa che devo essere noioso e dire come tutte le band: faremo qualche concerto, in Italia e all’estero (purtroppo un po’ dilatati nel tempo causa impegni ma li faremo) e scriveremo dei brani nuovi (pure quello con abbastanza calma).  Nel mentre voi ascoltatevi LP1 che comunque ce n’è da ascoltare!

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Edhera
Foto; Ufficio Stampa

È in rotazione radiofonica e disponibile in digitale “Volano le pagine“, il nuovo singolo della band alternative rock calicese EDHERA. Prodotto dal conterraneo Marco Barusso (noto per le sue collaborazioni con artisti come Pooh, Modà e Lacuna Coil), “Volano le pagine” è un brano dall’anima ibrida, ora introspettivo, ora sanguigno, sospeso tra atmosfere cupe e malinconiche e sezioni più vigorose, scandite da ritmiche serrate, a noi di Musica361 ne ha parlato il cantante Emanuel Reciputi…

Ciao Emanuel, innanzitutto parlaci del vostro nuovo singolo da poco uscito “Volano le pagine”…

La base è nata l’anno scorso e abbiamo capito subito che poteva avere un bel potenziale, quindi una volta registrato in studio e fatte alcune modifiche abbiamo deciso di farlo uscire con annesso video musicale.

Molto suggestivo anche il video, ambientato in un bosco con una costruzione abbandonata, quasi a ricostruire un’ambientazione primordiale, magica…

Esatto, abbiamo avuto la fortuna di trovare questa location abbastanza speciale, è stato molto divertente anche fare le riprese al fiume dove c’è questa casa ricoperta di edera, che si concilia bene con il nome del gruppo. Girato nell’entroterra ligure in un paesino che si chiama Rialto ai piedi del Colle del Melogno, un posto che a noi è molto caro, ci si andava a fare il bagno da piccoli.

Siete un gruppo, trovate delle difficoltà organizzative, relazionali o fila sempre tutto liscio?

Suoniamo insieme dal 2009, eravamo proprio piccolini! Ci sono state varie mutazioni, ma noi quattro siamo la base fin dall’inizio. Per fortuna tra di noi è andato sempre tutto bene, ci conosciamo da tanto tempo e siamo tutti dello stesso Paese.

Avete collaborato con Marco Barusso che vanta collaborazioni con Pooh, Modà e Lacuna Coil, come è stato lavorare con lui?

Per noi è stato sicuramente bello, ci ha istruiti su molte cose. Avevamo anche un po’ d’ansia perché avevamo a che fare con una persona  molto competente e molto famosa nell’ambiente. eravamo molto concentrati per eseguire tutto al meglio; abbiamo seguito alcuni suoi consigli che hanno fatto suonare il pezzo molto bene.

Come definireste il vostro genere e quali sono i vostri artisti di riferimento?

Non saprei definirlo perché spaziamo molto. Abbiamo gusti musicali generalmente molto simili, ma che hanno sfaccettature diverse: siamo tutti sull’Alternative Rock, ma ogni componente del gruppo ha anche altre passioni.

Questa mescolanza di generi si riscontra anche nel vostro ultimo singolo?

Sì, anche se il pezzo è stato catalogato più come Alternative Rock: ha una parte iniziale molto “trascinata” per passare poi a una parte più movimentata e sul finale va di nuovo ad allentarsi un po’.

Qual è lo stato di salute del Rock in Italia?

È difficile da definire perché nella scena italiana c’è un altro genere di punta che ha tirato moltissimo come la Trap, non sono un grande fan ma qualcosa ascolto. Secondo me l’Alternative Rock potrebbe avere un gran ritorno anche grazie ad alcune band che stanno riportando in auge questo genere come i Maneskin sicuramente, ma anche i Fast Animals and Slow Kids e i Pinguini Tattici Nucleari.

Ora una domanda che facciamo a tutti i vostri colleghi, a maggiore ragione a voi, che siete liguri, avete seguito Sanremo, vi ha soddisfatto?

Io sinceramente non ho seguito neanche una puntata quest’anno. Sono una grandissimo fan di Fabrizio De André e come diceva lui: “È una gara di ugole”, alcuni dei partecipanti vengono molto aiutati dalle tecnologie attuali.

Siete stati mai tentati da un talent?

Personalmente non sono un fan e non li seguo, mentre altri componenti del gruppo sì, comunque non abbiamo mai avuto l’input di provarci, anche se stiamo provando a rivalutare questa opportunità: la paura è di fare quel successo momentaneo che poi però va a scemare.

Prossimi progetti lavorativi?

Sicuramente far uscire il più presto possibile un EP di 5 o 6 canzoni con video annessi e poi un album completo con un concerto che segua tutto l’album. È tanto che suoniamo e ora abbiamo trovato una nostra stabilità e vogliamo portarla avanti.

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Phixre

Questa settimana vi presentiamo “bacardi“, il suo nuovo singolo dell’artista italo giapponese, che dopo un primo periodo passato vicino al mondo trap ha deciso di abbracciare la galassia Indie

Ciao, per prima cosa presentati agli amici di Musica361…

Innanzitutto un saluto agli amici di Musica361, io faccio musica dal 2018, ma il mio percorso attuale è iniziato a fine 2023, quando ho aperto un nuovo percorso artistico in termini di generi musicali: io provengo dalla Trap e facevo musica in inglese, poi riscoprendo la musica italiana ho deciso di cambiare totalmente rotta e ho capito che quello che mi piace fare è musica Indie-Pop

Da cosa deriva questo nome d’arte molto particolare?

Inizialmente doveva essere Phiore, ma per una questione burocratica che abbiamo avuto con una label, io e il mio produttore abbiamo deciso di fare un rebranding e di cambiare tutto quanto. Il nome deriva dal fatto che ho origini giapponesi, sono nato a Tokio, e quando sono nato, il 24 marzo, in piena primavera, mia mamma mi ha detto che fuori dall’ospedale c’erano i fiori di ciliegio che erano sbocciati.

Recentemente è uscito il tuo nuovo singolo “Bacardi”, vuoi parlarcene?

Considero “Bacardi” come un appoggio, come una pacca sulla spalla a chiunque stia passando un brutto periodo e penso che quando tu sei in quella situazione hai sempre bisogno di una persona che ti possa ascoltare, con cui tu possa sfogare tutte le tue frustrazioni e da questo singolo ho idee più precise sul mio obiettivo che è quello di non fare musica e basta, ma musica che possa aiutare le persone.

Una solitudine che, ad esempio, in  “Senza me” è accentuata dal fatto di essere in una grande metropoli come Milano (“Milano è sempre la stessa con la gente che abbaia un po’ depressa”)?

La cosa che ho notato visitando anche altre Metropoli nel mondo è che il filo che connette queste città è che la gente è spesso disconnessa dalla realtà perché troppo concentrata sul lavoro e noto questa sorta di solitudine che le persone soffrono: la gente pensa solo a lavorare e poi torna a casa e non sa più cosa fare.

La solitudine trova uno sfogo nei social? E tu che rapporto hai con Instagram e simili?

Io studio molto gli artisti, i miei colleghi, e cerco di capire il loro punto di vista. Se invece uso i social come motivo di svago mi accorgo da solo che non mi aiuto, non mi sento a posto con me stesso. Preferirei il contatto con la realtà ma essendo una persona molto introversa non ho grandi amicizie. In ogni caso tendo a non rendere la solitudine un elemento solo negativo, perché ci aiuta a migliorarci.

Quali sono i tuoi punti di riferimento?

Gli artisti che mi hanno fatto scoprire l’Indie sono stati Calcutta, Psicologi e in genere tutto il roster di Bomba Dischi e, oltre a questi, ci sono anche artisti d’oltreoceano che ho ascoltato e che mi hanno fatto pensare di poter fare qualcosa di simile come Glaive che fa Hyper Pop e Frank Ocean.

“Bacardi” presenta una novità rispetto agli altri pezzi?

Quando facevo il genere Trap, non avendo nessun background “di strada”, ho capito dopo un po’ che non faceva per me, ho preso un momento di riflessione per capire cosa volevo davvero fare: l’Indie mi ha permesso di sviluppare anche altre tematiche.

Hai seguito Sanremo?

Sì, l’ho seguito e devo dire che mi è piaciuto, l’unica critica che faccio è che ho sentito troppa musica con sfumature elettroniche che per alcuni artisti era un po’ forzata, mentre è stata una buona idea introdurre pezzi leggeri, pop, una corrente che negli ultimi Sanremo non si è vista più di tanto. Facendo i nomi dico che mi sono piaciuti i Bnkr44.

Parteciperai a un talent?

Non vado molto a genio con la logica del format, ma li considero una buonissima vetrina per gli artisti per farsi conoscere.

Parlaci dei progetti futuri…

In questo momento il progetto che ho è quello di rilasciare un brano al mese, farmi conoscere e fare qualche live…

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Gretel

 

Gretel, nome d’arte di Greta Palmieri, nasce in Lituania nel 1998 e fin dai 10 anni si dedica allo studio del canto al quale affiancherà quello del pianoforte e della chitarra. Dopo avere pubblicato una trilogia di brani in acustico: Pioggia dei ricordi, L’eco dei Pensieri e Il Giardino Delle Parole, torna con il nuovo singolo “SOLTANTO TU”, che a Musica361 ha introdotto come un dialogo tra noi stessi /la nostra interiorità e il mondo esterno.

Ciao Greta, c’è un legame che unisce i tuoi precedenti brani “Pioggia dei ricordi”, “L’eco dei Pensieri” e “Il Giardino Delle Parole”?

Sì, sono brani un po’ legati tra di loro e sono in acustico, scritti durante la pandemia. “L’eco dei Pensieri” nasce da un momento di malessere, quando vivevamo rinchiusi dentro a una stanza, quindi una bolla, dove i pensieri nascevano dentro di me come se fossero degli echi che rimbombavano. “Pioggia dei ricordi” nasce invece da un bel rapporto con mio padre.

Hai partecipato al Cantagiro e nel 2023 ti sei esibita dal vivo per i casting di Una Voce Per San Marino, che ricordi hai?

Il Cantagiro l’ho fatto nel 2020 e sono arrivata alle semifinali nazionali a Tivoli, è stata un’esperienza magnifica perché vivevamo una settimana immersi nella musica tra formazione ed esibizione, mi ha aiutato a crescere anche nel rapporto con gli altri. Per Una Voce Per San Marino ho fatto un’audizione online che ho passato per andare poi ai casting dal vivo trasmessi dalla TV di Stato San Marino RTV.

Hai seguito il recente Festival di Sanremo? Hai fatto il tifo per qualcuno in particolare?

Sì, sono molto contenta per la vittoria di Angelina Mango perché fin da quando faceva Amici ero sbalordita dalla sua presenza scenica e dalla sua voce e quindi sono molto contenta per la sua vittoria e poi: ‘W le donne!’, dopo dieci anni ha vinto una donna e in Italia questo è molto difficile.

Ora sei tornata con “Soltanto Tu” dopo un periodo di pausa, a cosa è stata dovuta?

Avevo pubblicato questi tre brani e poi ho vissuto un periodo di malessere e “Soltanto Tu” parla dell’unicità della persona, di temi fondamentali come l’omologazione che è richiesta dalla società e penso che sia una canzone che possa offrire un aiuto agli altri per riflettere su questa tematica: al centro ci deve essere sempre la persona.

Come sei uscita da questo malessere?

Scrivendo, sono riuscita a fare musica, a fare i live che ti permettono di  creare una connessione con il pubblico, quindi un’intimità maggiore. Poi un mio amico mi ha iscritto ai casting di Una Voce Per San Marino…

Cosa pensi dei Talent?

Non sono mai riuscita a partecipare perché mi fa un po’ paura il livello di competizione, anche per il mio carattere un po’ timido, introverso, non so se riuscirei a tenere testa a un Talent.

Qual è il tuo genere e quali sono i tuoi cantanti di riferimento?

Vario molto anche in base al mood, ma i miei idoli di riferimento sono Laura Pausini e Freddie Mercury, sono due pilastri della musica che mi piacciono maggiormente, poi ovviamente anche il cantautorato italiano come Dalla, De Gregori, Bennato.

Quali sono i tuoi appuntamenti prossimi?

Ci sarà un mini tour a marzo sia live che in radio per parlare della mia musica. Poi dopo “Soltanto tu” ho un altro brano pronto per uscire e a marzo ci sarà un live a Corridonia, la mia città.

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Emilio Cigliano

Emilio Cigliano, in arte Divento, fa l’avvocato per vivere nel senso reale del termine, mentre per “sentire che è vivo” scrive storie e pensieri, riflessioni e sintesi descrittive che disegnano immagini nella sua mente, alle quali associa una colonna sonora e diventano canzoni come “Mai abbastanza”, inclusa nell’album d’esordio “Faccia al vento”.

 

Ciao Emilio, hai una storia particolare: sei un avvocato di professione…

In realtà scrivo canzoni da quando ero ragazzino e sono andato avanti per un po’ sempre a livello amatoriale, con l’inizio della attività lavorativa ho abbandonato la scrittura per 10-15 anni, poi ho avuto una ripresa della spinta artistica, tanto è vero che il primo pezzo che ho scritto nella nuova fase creativa si chiama “Il fiume”, un fiume che rompe gli argini, quelli emotivi, da lì nasce la mia nuova produzione: in pochi anni ho scritto più di 50 canzoni. Prima ho seguito un progetto musicale amatoriale, ma non mi ha soddisfatto, perché i miei pezzi li volevo sentire “vestiti” ed arrangiati in una certa maniera, quindi ho cercato di passare allo step professionale.

I tuoi riferimenti sono rock, country e cantautorato, ma c’è un genere che preferisci e quali sono i tuoi artisti di riferimento?

I riferimenti sono il Country Rock americano e il Folk, e quindi artisti come Bruce Springsteen, Neil Young, per quanto riguarda il cantautorato italiano posso citare Battisti/Mogol, De Andrè, Guccini, Enrico Ruggeri, tra i più recenti anche Fabrizio Moro. Non dimenticherei anche una strizzata d’occhio al Prog di Jethro Tull e PFM.

Come ti poni rispetto alla tradizione napoletana?

A me piace molto la musica napoletana del primo Pino Daniele, di Avitabile, di Gragnaniello, questa è la musica napoletana alla quale sono legato. Mentre la canzone napoletana classica la conosco, ma non credo faccia parte dei miei riferimenti. C’è stata la polemica sanremese su Geolier, che fa un genere che è al di fuori dei miei riferimenti generazionali, qualcosa di interessante c’è, ma devo dire che non è proprio nelle mie corde. In riferimento alla polemica posso dire che dobbiamo parlare di musica, se piace o non piace, di tutto il resto se ne dovrebbe fare a meno.

Hai scelto un nome particolare “Divento”, qual è il motivo?

Ho sempre l’immagine della poesia di Ungaretti: “Balaustrata di brezza/per appoggiare stasera/la mia malinconia”, una poesia che mi ha sempre suggestionato molto, mi ha sempre suggerito che sul vento si appoggiasse l’emotività, quando sono a contatto con il vento mi capita sempre di avere un alleggerimento dei pesi emotivi. Il vento ritorna in altre canzoni e l’album si chiama “Faccia al vento”, scrivo anche una lettera a mia figlia in cui le dico di vivere “faccia la vento”, senza avere paura di soffrire, in maniera sempre propositiva, senza nascondersi. Se consideriamo la parola tutta unita, allora è legata al divenire, al continuo mutamento di ognuno di noi.

E’ uscito il tuo nuovo singolo “Mai abbastanza” vuoi parlarcene?

E’ un pezzo sulla frustrazione di non poter raggiungere la meta, vera o ideale che essa sia. La presa di coscienza esasperata di non essere mai abbastanza rispetto alle proprie aspettative. Tuttavia, se pure non siamo abbastanza, nel tentativo di esserlo tiriamo fuori il meglio da noi stessi.

Una frase molto significativa recita: “Perché speranza e terrore viaggiano insieme sullo stesso treno”…

È una frase che si attaglia alla vita, in qualunque esistenza la speranza che le cose vadano in una certa maniera e il terrore che il nostro viaggio si concluda con un fallimento sono delle costanti. Però ritorna il discorso di vivere “faccia al vento” senza paura, tra la speranza e il terrore io seguo la speranza, scelgo sempre l’aspetto propositivo, coraggioso, perché secondo me la positività va sempre cercata e quando la cerchi la trovi, magari non dove l’hai cercata, ma in qualche modo la trovi. Alla fine, insomma, il coraggio è sempre un valore aggiunto, sebbene porti parecchia fatica.

Cosa pensi dei vari talent?  

The Voice non l’ho mai visto, XFactor sì, l’ho seguito per vari anni e anche quest’anno e devo dire che qualche talento c’è. Mi sembra di avere capito che talvolta arrivano persone che già lo fanno di mestiere. Non credo di poter partecipare perché penso che ci vogliano delle qualità tecniche di performer tali da permetterti di cantare in maniera convincente brani di altri, penso di avere dei limiti da questo punto di vista perché io sono prevalentemente un autore.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Dopo “Faccia al vento”, sul quale ho lavorato tre anni, è in cantiere un altro disco: ho già la scaletta pronta (ho già le idee piuttosto precise al riguardo)!

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Stefano Nardon 1

Dopo aver debuttato con il singolo “On the Way Home” a gennaio 2023 e aver pubblicato i brani “Thunder”, “Castelli” e “Bread Crumbs”, il virtuoso compositore, cantautore e polistrumentista Stefano Nardon ha rilasciato un nuovo tassello nel suo percorso musicale: “Rootless Tree”…

Ciao Stefano, parla un po’ di te agli amici di Musica361…

Ciao a tutti gli amici di Musica 361 mi chiamo Stefano Nardon e sono un musicista polistrumentista classe ’96 da Vicenza. Da circa un anno ho cominciato a pensare ad una carriera da solista e a pubblicare i miei brani. Compongo, scrivo e registro tutto a casa, il mio sogno è quello di condividere la mia arte con voi in live. Sono consapevole che non è facile riuscire a vivere di musica, ma è la mia più grande passione e ci voglio provare con tutto me stesso.

Suoni più strumenti, tra questi la kalimba che abbiamo sentito nel brano Thunder, uno strumento molto particolare…

Il mio percorso musicale comincia quando avevo 6 anni suonando con mio padre la batteria e le percussioni ogni sera nella ‘’stanza della musica’’. Ho avuto la fortuna di nascere in un ambiente molto fertile per lo sviluppo della mia personalità artistica avendo molti strumenti intorno a me a disposizione. Ho imparato senza imposizioni semplicemente divertendomi e sperimentando suoni nuovi. Ho ancora questa curiosità che mi ha spinto a frequentare il conservatorio per approfondire lo studio del pianoforte, ma continuo a suonare anche la batteria, le percussioni e la chitarra. Per registrare i miei brani suono tutti questi strumenti e a volte inserisco dei suoni inusuali come quello della kalimba che è uno strumento africano.

Ti ispiri a diversi generi (Jazz, RnB, Soul e Funk) ce n’è uno in particolare di riferimento?

Il jazz e il soul sono i generi musicali in cui mi sono immedesimato di più perché quando suono mi sento veramente me stesso e quando improvviso sto raccontando la mia storia.

Quali sono i cantanti o i gruppi che ti hanno maggiormente ispirato?

Stevie Wonder, Herbie Hancock, Jeff Buckley

Hai fatto parte di un gruppo, gli Sticky Brain, preferisci esibirti in gruppo o da solista?

Suonare in gruppo è davvero bello perché c’è ‘’interplay’’ , ci si ascolta e si cresce collettivamente facendo squadra, mentre esibirsi da solista è come mettersi a nudo davanti ad un pubblico e mostrare quello che sei senza filtri.

Recentemente è uscito il tuo singolo Rootless Tree, ce ne vuoi parlare?

Questo brano è nato in un momento difficile della mia vita in cui non sapevo più quale strada prendere e mi sentivo come un albero senza radici alla ricerca di un posto in cui stare bene. Così ho ascoltato il cuore e ho preso la giusta decisione.

Un pezzo ricco di suggestioni e di metafore (la mancanza di radici,  la ricerca dell’acqua)… Tutto è iniziato suonando il riff come un mantra indiano per scacciare i cattivi pensieri, la musica quindi ha un potere salvifico?

Per me la musica è come un’altra dimensione. È sicuramente un pregio perché riesco ad affrontare i momenti belli e brutti in maniera creativa producendo qualcosa, però a volte sto così bene in questa dimensione che mi allontano dalla concretezza e dalla realtà.

Preferisci cantare in italiano o inglese?

Nonostante la mia lingua madre sia l’italiano, anche l’inglese mi stimola molto. Scrivo i testi cercando una coerenza ritmica e melodica con la base strumentale e scelgo la lingua che valorizzi di più il significato e la musica.

Oggi spopolano i talent, cosa ne pensi?

Penso che i Contest e i talent possano essere un buon trampolino di lancio. É un buon modo per crearsi dei contatti in ambito professionale. Sono convinto che il talento debba essere sempre affiancato al duro lavoro e questo fa la differenza nella carriera di un artista.

Siamo ancora in periodo sanremese, l’hai seguito, c’è qualche artista per il quale hai fatto il tifo?

Ho seguito Sanremo e non ho fatto il tifo per gli artisti perché li ho trovati molto omogenei tra di loro. Sarebbe bello assistere ad un festival più variegato non solo dal punto di vista stilistico o estetico. Essendo uno show televisivo è normale vedere dei colpi di scena in diretta, solo che non mi aspettavo fosse così prevedibile dal punto di vista musicale.

Prima di salutarci parlaci dei tuoi prossimi progetti.. 

Attualmente sto per pubblicare il mio primo album da solista che vedrà anche una collaborazione internazionale. Parallelamente sto collaborando con un’etichetta ‘’Time To Play Records’’ per la produzione di un vinile di musica house elettronica e da poco è nato anche un quartetto jazz con dei musicisti davvero formidabili che si chiama ’Wabi Sabi’’. Non vedo l’ora di concretizzare tutti questi progetti dei quali comincio a vedere già i risultati positivissimi. Un abbraccio forte a tutti gli amici di musica 361 ! Il vostro Stefano

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Chiara Turco

Abbiamo intervistato la cantautrice e polistrumentista Chiara Turco di cui è recentemente uscito “Non è mai la fine del mondo” il nuovo singolo dal sound pop elettronico raffinato, prodotto da Alberto Dati. Nel testo troviamo riferimenti ai cambiamenti climatici e ai conflitti, “qui la Terra brucia, non smette di tremare”, alla paura del presente e del futuro, diverso dai giorni della spensieratezza che sembrano essere solo ricordi, ma anche un invito a scoprire e riscoprire quello che invece resta, dove un “tienimi forte” è la voglia di restare uniti mentre tutto intorno sembra dividere.

 

Ciao Chiara il tuo ultimo brano è “Non è mai la fine del mondo”  vuoi parlarcene?

È un brano che ho scritto in un momento molto particolare della mia vita, quando mi sentivo persa, poi mi sono guardata dentro e ho capito che questa è una situazione molto condivisa. “Non è mai la fine del mondo” sta a indicare quella speranza, quell’energia che c’è sempre dentro di noi e cerchiamo di far uscire in qualche modo.

Nell’epoca in cui tutto sembra distrutto, lacerato, vuoto il tuo è un invito a scoprire e riscoprire quello che invece resta; ma cosa resta, cosa vedi di positivo nella realtà che ti circonda?

Ripongo tanta speranza negli affetti, nelle relazioni, nell’amore, nelle cose vere che hanno fatto parte di noi dall’inizio, da quando siamo bambini e abbiamo quell’incoscienza che non ci fa notare tutto quello che c’è intorno, quindi è anche un invito ad abbandonarsi all’emozioni primordiali.

Non neghi i problemi “Dicono che stiamo crescendo, ma forse stiamo andando troppo di corsa”, quindi è anche un elogio della lentezza?

Certo, è un invito a rallentare perché a volte quando si spinge l’acceleratore così forte è come quando guidi una macchina, più veloce vai più ti perdi il paesaggio, quando rallenti invece puoi permetterti di girare lo sguardo, di guardare con altri occhi e di apprezzare quello che c’è intorno

Come definiresti il tuo genere e quali sono i tuoi artisti di riferimento?

Ho iniziato nel 2016 con un progetto di musica Elettropop in inglese e le mie influenze sono state Björk, Massive Attack, Radiohead, insomma musica elettronica principalmente, gruppi del Nord Europa; poi successivamente ho cercato di unire a questo genere il cantautorato, da qui nasce questa mescolanza. Mi piace molto sperimentare: sono una grande amante dei sintetizzatori e dei software elettronici, ma allo stesso tempo il mio strumento principale è la chitarra acustica.

Sei nata in provincia di Taranto, la provincia l’hai vista come un limite o come uno sprone a fare di più?

La provincia mi ha aiutata a scoprire il mio talento, io sono nata a Torricella, non avendo tanti stimoli nella mia cameretta ho iniziato a suonare, non avevo amici con la mia passione anche per questo mi sono appassionata alle loopstation, al fine di creare una band da sola, perché ti permettono di suonare e sovraincidere più strumenti

Hai partecipato alla trasmissione “Tonica”, ti tentano altre strade artistiche?

Sì, io non escludo niente, ho sempre cercato di mettermi alla prova; anche quando amici musicisti mi hanno chiesto di suonare un altro strumento, io l’ho sempre visto come uno stimolo e mai come un limite. Grazie a “Tonica” ho conosciuto il mondo televisivo anche a livello tecnico: i tempi televisivi, la scrittura televisiva; è stato molto bello, sono esperienze che ti arricchiscono, bisogna sempre saperle gestire.

E dei talent cosa ne pensi?

Devi prima essere pronto per arrivare ai talent, perché è una cosa che può essere sì un trampolino di lancio, ma dal trampolino puoi anche cadere. Bisogna proporsi nel momento in cui si è sicuri di riuscire ad affrontare la televisione perché il pressing televisivo è diverso da un concerto, molti ragazzi fanno questa scelta in maniera molto superficiale

Hai seguito Sanremo?

Ho avuto delle emozioni contrastanti, perché appena ho ascoltato le canzoni non ce n’era nessuna che riuscivo a cantare il giorno dopo, a parte quella dei “The Kolors”, poi al secondo ascolto sono brani che ti entrano in mente. Se c’è qualcuno che preferisco? Sicuramente Mahmood, che ha una tecnica spaziale, è bravissimo e Angelina Mango: è una ragazza giovanissima e nel giro di dieci anni si può costruire tantissimo su di lei e se lo merita perché ha una ottima vocalità.

Progetti futuri?

Partirò con un mini tour di quattro date in Puglia, Calabria e nel Centro Italia fino all’uscita del mio prossimo singolo che dovrebbe essere a marzo, inoltre sono al lavoro su un nuovo EP che molto probabilmente mescolerà ancora di più l’Elettropop con il cantautorato, tornando un po’ alla lingua inglese.

 

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