Ianez, "Tony Pastello": un'efficace critica sociale sul filo dell'ironia 1

IANEZ è un progetto che vede impegnate più persone, Fabio Tumini della Satellite.rec, Lorenzo D’Annunzio, Cristian Di Foggia e Fabio Mosca. Questa settimana abbiamo intervistato Andrea Iannone che ci ha parlato dell’ultimo singolo Tony Pastello, che mescola ironia a critica sociale…

Ciao Andrea, innanzitutto ti chiedo di presentarti agli amici di Musica361 e di dire quali sono i tuoi punti di riferimento musicali…
Ciao e grazie per il vostro tempo. Musicalmente sono onnivoro e ho avuto formazioni che vanno dal metal al pop passando per il jazz. Non ho dei riferimenti precisi, cantanti o band da citare, quindi le influenze, che sicuramente ci sono, arrivano inconsapevolmente, dettate dal momento e dalla scrittura. Mi è stato detto più volte che ci sono delle assonanze con i Talking Heads, non so se sia vero ma è una cosa che mi piace.

A proposito di Maestri, tu hai collaborato con Gigi De Rienzo, bassista dei Napoli Centrale, realtà molto amata e non solo a Napoli che ha ispirato generazioni di artisti, che esperienza è stata?
Con i René Golconda, la band nella quale cantavo nel 2012 abbiamo avuto la fortuna di farci arrangiare un brano “Eri Distratta” da De Rienzo. Siamo stati a casa sua e poi a registrare allo Splash Recording di Napoli. Lui è un grande musicista, sembrava di stare con un amico di vecchia data. È stata anche la prima esperienza in radio quindi ho un ricordo molto bello, abbiamo avuto anche la fortuna di conoscere Senese e tutti i Napoli Centrale alla fine di un loro concerto.

C’è stato un periodo in cui hai preso una pausa dalla musica, qual è il motivo di questa scelta?
Ho preso una pausa forzata, ero in un momento tormentato, avevo bisogno di solitudine e di elaborare situazioni spiacevoli, quindi ho lasciato la chitarra e preso la penna per scrivere per non essere protagonista e contenere il dolore.

Nel 2018 è uscito il tuo romanzo Sette foglie di oleandro, un noir, genere che ben si presta a una critica dei lati più oscuri della società…
Nella pausa dalla musica ho scritto racconti che qualche volta ho pubblicato sui social, così sono stati notati da una persona che lavora per vari editori che mi ha consigliato di non pubblicarli più e di partecipare a dei concorsi, in questo modo ho vinto la pubblicazione di Sette foglie di Oleandro per lupieditore. Il libro è un percorso nella provincia sociale, nelle zone più paludose dell’essere umano. Sette racconti collegati da un’auto che viene comprata e rivenduta e i suoi proprietari sono protagonisti che s’intrecciano in un reticolo di vita, morte e ambientazioni cupe.

La denuncia dei drammi della nostra epoca passa anche attraverso la tua musica, con Blu hai parlato di violenza contro le donne, tematica quanto mai attuale…
Blu è scritta di getto in una pausa lavoro. La violenza contro le donne è un cancro che va sradicato ed è necessario che tutti ne parlino e si sentano coinvolti. Non c’è femminicidio che non coinvolga un uomo e l’atteggiamento peggiore è pensare di non farne parte, quindi sentirsi estranei al problema. Blu tocca il tema con delicatezza parlando della parte più subdola della violenza, quella che non arriva al telegiornale, fatta di giudizi, pregiudizi e di una morale anacronistica di stampo cattolico.

Non solo impegno, anche ironia nei tuoi testi come si evince dall’ultimo singolo Tony Pastello, vuoi parlarcene?
Tony Pastello è un brano “estivo”, nato per divertire ma anche in questo c’è una critica sociale. Si parla di un cliché, della vecchia generazione che non capisce la nuova e ritiene “sbagliato” o peggiore tutto quello che si scosta esageratamente dai suoi vent’anni. Si ironizza sulla ciclicità dei ruoli e sul fatto che “prima non era meglio, era solo prima”.

Ci sono riferimenti a ben note canzoni del passato, la sua idealizzazione è un comodo rifugio oppure è pericolosa perché distrae dal presente?
L’idealizzazione del passato è naturale, il tempo edulcora i ricordi e poi non si rischia niente, è già tutto successo. Nei ricordi si sta meglio probabilmente, ma ci si può anche perdere: entrambe le cose, può essere un rifugio per chi ne ha bisogno e può essere pericoloso quando riguarda ad esempio la politica, quando vengono riproposti pensieri ed ideali dannosi e ottusi con un cambio d’abito ed una bandiera di diverso colore. New Black, un brano uscito qualche anno fa parla proprio di questo.

Hai partecipato alle finali nazionali di Sanremo Rock, per quanto riguarda l’altro Sanremo, quello tradizionale, cosa ne pensi? Sei stato soddisfatto dell’ultima edizione da record?
Sì, dai… Ci sono state canzoni importanti come quella di Ghali e D’Amico (bravo anche Gazzelle e altri) e brani che mi sono piaciuti meno ma è giusto che sia così. Sanremo negli ultimi anni è radicalmente cambiato, si è aperto ad un pubblico più eterogeneo e non trascura le orecchie più giovani. Questa è una nota positiva e spero che andando avanti cadano regole antiche come limiti di età e tutte quelle scremature che non sono strettamente legate alla qualità del brano presentato.

Dopo questo singolo quali saranno i tuoi prossimi appuntamenti?
Dopo questo singolo abbiamo in mente di far uscire un album, un EP? Non lo sappiamo ancora e lo diciamo da un anno. Ci sono live in vista e siamo sempre alla ricerca di una figura manageriale che possa curare al meglio tutto. Parlo al plurale perché IANEZ è un progetto che vede impegnate più persone, Fabio Tumini della Satellite.rec, Lorenzo D’Annunzio, Cristian Di Foggia e Fabio Mosca. Lavoriamo da band e ci presentiamo come solista, una scelta concordata che funziona.

Lysander

Il cantautore chamber pop Valerio Lysander ha presentato a Musica361 il suo nuovo singolo “Longer Days”, una canzone folk che parla della sensazione di essere bloccati e persi nonostante il passare del tempo, un brano scritto con una procedura molto particolare che ci insegna a non assecondare sempre e comunque la voglia di perfezionismo…

Ciao Valerio, il tuo stile è molto particolare, come definiresti il chamber pop ai lettori di Musica361?
Ciao! Il chamber pop è uno stile che combina la musica pop contemporanea con degli elementi di musica classica, che possono sentirsi, per esempio, nella strumentazione, negli arrangiamenti, nelle armonie. Spesso ci sono strumenti orchestrali come archi e strumenti a fiato e anche armonie vocali complesse. Mi piace molto combinare queste due anime. Ho da sempre avuto una passione per la musica pop e per il cantautorato, ma allo stesso tempo i miei studi di pianoforte mi hanno portato anche ad amare la musica classica, e mi piace molto unire questi due mondi nella mia musica.

Da poco è uscito Longer Days, vuoi parlarcene?
Longer Days è una canzone che ho scritto circa 3 anni fa, nel post-Covid fatto di zone rosse e arancioni. Ero da poco tornato in Italia dopo 8 anni a Londra, e mi trovavo in una nuova città (Milano), dove stavo cercando un nuovo equilibrio. Senza una rete sociale stabile e alla ricerca di un mio posto, mi ritrovavo bloccato negli stessi vecchi schemi di sempre, nonostante il cambio di città.

La canzone parla di questo e del fatto che molto spesso ci ritroviamo a guardare il negativo delle cose, lamentandoci del nostro stato ma incapaci di trovare una soluzione. Nel mio caso, non era pigrizia, ma una sensazione che mi faceva sentire che nonostante tutto quello che facevo, il mondo era comunque più complesso di quello che riuscivo a comprendere e mi sembrava molto difficile trovare un modo per muovermi serenamente.

Mi capita ogni tanto di cadere in questi loop, da cui riesco ad uscire anche grazia al lavoro che ho fatto e faccio continuamente su me stesso tramite il counseling, la psicoterapia e la mindfulness. Ma siamo tutti umani, imperfetti, ed è lecito cadere in questi schemi, senza colpevolizzarsi troppo.

La canzone nasce in una challenge di scrittura. In particolare è stata scritta in una sessione di 30 minuti durante una sfida di 7 giorni in cui hai scritto una canzone al giorno, un modo davvero singolare…
L’impatto che la pandemia ha avuto sulla musica dal vivo è stato immenso. Questo ha sicuramente influito sulla salute mentale di molti musicisti, abituati a uno stile di vita molto diverso. Dal canto mio, in quel periodo avevo trovato questa modalità per tenermi motivato. In particolare, questa canzone è stata appunto scritta in una sessione di 30 minuti durante una sfida di 7 giorni in cui mi ero proposto di scrivere una canzone al giorno. Era solo un esercizio di scrittura, ma alla fine sono rimasto molto contento del risultato e ho deciso di pubblicarla, seppur un po’ di tempo dopo!

Nasconde un concetto molto interessante, solitamente i limiti temporali sono un problema, tu invece hai detto: “Dover scrivere una canzone con un limite di tempo ha aiutato a liberarsi dal critico interiore e dal perfezionismo”…
Esattamente! Dovendo scrivere 7 canzoni in 7 giorni, spesso mi ritrovavo verso sera che ancora non avevo avuto tempo di scrivere la canzone del giorno.

Per questo mi rimanevano gli ultimi minuti della giornata per poter chiudere la canzone e questo mi ha spinto ad abbandonare il perfezionismo. Insieme a quello, lasciavo fuori dalla porta il mio critico interiore. Avendo un limite di tempo, non c’è spazio per poter ripensare mille volte su una frase o una parola, quindi si butta giù tutto quello che passa per la testa.

Questo permette di sciogliere le briglie e lasciare che la creatività lavori senza barriere. Poi c’è sempre tempo per poter correggere successivamente, ma l’importante spesso è iniziare e lasciarsi andare, che non è scontato quando chiediamo molto a noi stessi e esigiamo degli standard troppo alti.

La canzone è anche in qualche modo figlia del Covid, come ti ha segnato quel momento drammatico?
Ho vissuto l’inizio del Covid a Londra, e devo dire che per me è stato un momento di riflessione e crescita molto importante. Sicuramente ha comportato molte sfide, sia relazionali, che finanziarie e psicologiche in generale.

Ma per me in qualche modo è stata un’occasione per fare un punto della situazione, come uno spartiacque che ha creato un prima e un dopo. Infatti, dopo qualche mese dal lockdown ho deciso di tornare in Italia.

Era già da un po’ che volevo provare a cambiare, quindi mi sono trasferito a Milano, un po’ a occhi chiusi perché non conoscevo bene la città (io sono di Roma) e da lì la mia vita si è abbastanza rivoluzionata.

Sei riuscito a trovare un tuo equilibrio nella tua nuova città, Milano, una metropoli che dà tanto, ma che registra anche molti problemi?
Ho faticato molto all’inizio, anche perché mi sono trasferito in un momento in cui il Covid ancora si faceva sentire ed è stato difficile fare amicizie ed esplorare la città. Ormai sono più di 3 anni che sono qui, e come dicevo prima la mia vita è molto cambiata, anche grazie al fatto di essere qui.

Continuo a fare musica e a insegnare canto, ma allo stesso tempo ho intrapreso il cammino verso una nuova professione, seguendo un master di Counseling, che sto per portare a termine, e iscrivendomi all’università per studiare Psicologia. Questi percorsi mi hanno dato numerose opportunità per guardarmi dentro e crescere, trovando un po’ di più il mio posto nel mondo (e non parlo solo di un posto fisico).

Milano sicuramente non è perfetta, ma credo che in Italia sia comunque l’unica città in cui potrei vivere. Nonostante l’aria inquinata e il traffico, che di certo non sono ideali, comunque è una città che offre molto in termini di servizi, eventi, cultura e formazione, e questo per me è fondamentale. Mi mancano i parchi di Londra, ma mi accontento del parco Lambro ogni tanto!

Tra gli artisti che ti hanno influenzato ci sono Sufjan Stevens e Noah Cyrus, hai altri punti di riferimento?
Questa è sempre una domanda difficile! Sono convinto che tutta la musica che ascoltiamo ci influenzi in qualche modo. Tra le mie muse ispiratrici di sempre ci sono Regina Spektor, Alanis Morissette, Fiona Apple, L’Aura e Tori Amos. Chris Garneau mi ha anche molto influenzato in alcune parti della mia vocalità e della scrittura, ma appunto adoro Sufjan Stevens, che è una scoperta che ho fatto solo 5 o 6 anni fa. La lista di influenze sarebbe lunghissima, e comprenderebbe anche qualche compositore classico e la musica popolare italiana, ve la risparmio per ora!

Prima di lasciarci ci sveli i tuoi prossimi progetti?
Dopo questo singolo, ne ho altri pronti da sfornare. Mentre mi barcameno tra il raggiungimento del diploma di counseling e la laurea in psicologia, sto lavorando dietro le quinte per far uscire un nuovo album con canzoni in inglese e in italiano, che prevedo di pubblicare il prossimo anno, dopo aver fatto uscire qualche altro singolo.

LEGGI ANCHE > Il Sogno della Crisalide, con Ipocondria indaga su una paura “bloccante” della nostra quotidianità

Il Sogno della Crisalide 1

 

Il Sogno della Crisalide torna sulle scene musicali con la pubblicazione del nuovo singolo “Ipocondria”, caratterizzato da una struttura musicale riflessiva, abbinata ad un testo che invita all’autoesame. Interessante progetto dietro il quale si cela Vladimiro Modolo, Il Sogno della Crisalide indaga le sfide interiori, proponendo un dialogo profondo e, allo stesso tempo, irriverente sulla percezione della realtà e sui meccanismi di difesa interiori, come ci ha rivelato nella nostra intervista…

 

Il Sogno della Crisalide nasce da una rivista di psicologia. Quanto questa disciplina ha influito sulla tua produzione artistica?
Direi che ha influito ed influisce ancora. Ma sempre lato “paziente”, in quanto non sono uno psicologo e nemmeno un esperto della materia. Più semplicemente sono una persona che si interessa dell’argomento per vicissitudini personali.

Il dilagare dei social rischia di acuire certi problemi psicologici soprattutto tra i più giovani?
Credo di sì. Al contempo credo però che alcuni problemi esistano già PRIMA di utilizzare i social, che semmai possono amplificarli e farli esplodere creando dipendenza. Potrei dire una cosa “forte”, ma i social per alcuni versi possono diventare per qualcuno la droga del nuovo millennio. E poi ci sono giovani, nemmeno adolescenti, i quali rischiano di più degli adulti anche in termini di crisi dell’autostima, senso continuo di inferiorità e bisogno di emulazione.

Da poco è uscito il nuovo singolo “Ipocondria”, vuoi parlarcene?
Ipocondria racconta di una paura “bloccante”, della paura di morire di una patologia spesso indefinita che impedisce di vivere normalmente la quotidianità. Paradossalmente, la paura di morire si trasforma in paura di vivere. Questa è a volte l’ipocondria. Allora ho pensato bene di ironizzarci su e magari di trovare seguaci ipocondriaci con cui condividere le mie paure e farmi più forza…

Il testo è una riflessione sul dubbio e sulla autoconsapevolezza, ma nella tua produzione c’è spazio anche per le tematiche sociali, come dimostra il premio nazionale Augusto Daolio, vinto con il brano “Colpa della fame” sulla vicenda di Stefano Cucchi…
Credo siano due aspetti inscindibili. Spesso ciò che siamo dentro è anche il riflesso di ciò che viviamo fuori di noi. L’interesse per ciò che mi accade intorno risente della mia formazione, o meglio, deformazione sociologica che mi porto dietro dai tempi dei miei studi, ma la vicenda di Stefano Cucchi, così come delle altre persone decedute mentre erano nella mani dello Stato, l’ho sentita particolarmente ed è così che è nata poi la canzone che mi ha permesso tra l’altro di entrare in contatto con la famiglia di Stefano Cucchi.

Tra atmosfere cantautorali e vintage, come definiresti il tuo stile e quali sono gli artisti che ti hanno influenzato di più?
E’ una domanda difficile. Forse non sono in grado di definire il mio stile con esattezza. Senza dubbio ci sono dei rimandi alla musica che mi ha più influenzato nel corso degli anni (dal rock, al pop, alla new wave), il tutto mescolato a un po’ di buon cantautorato italiano.
Tra gli artisti che più mi hanno influenzato penso a Baustelle, primi Bluvertigo, primi Matia Bazar ma anche Moltheni per quanto riguarda la musica italiana. Guardando all’estero, Radiohead, Smashing Pumpkins, Pulp.

Hai presentato un tuo brano all’interno della kermesse di Casa Sanremo, per quanto riguarda il Festival, ti ha soddisfatto dal punto di vista musicale l’ultima edizione?
No. Personalmente l’ho trovata forse la peggiore edizione di sempre. Canzoni che sembravano prodotte dall’I.A. per quanto fossero tutte uguali fra loro. Per carità tutte PERFETTE, forse anche troppo, ma tremendamente finte. Salvo solo Gazzelle e Diodato che almeno le canzoni le scrivono loro…

Tema talent musicali: cosa ne pensi? Ti piacerebbe partecipare?
Credo che i talent siano la risposta delle major a quella che fu nei primi anni 2000 l’avvento delle piattaforme di condivisione musicale, che rendevano di fatto troppo oneroso investire su un artista non affermato e costruire su di lui da zero. Prendere un artista quando il seguito è stato già generato dalla visibilità mediatica dei talent ha rappresentato una svolta di non poco conto, riducendo tuttavia la musica ad una specie di mucca da mungere finché produce introiti, per poi passare subito ad un’altra quando non ne ha più…. Non lo so se mi piacerebbe partecipare, però ultimamente ho apprezzato molto un artista come “Il solito Dandy” che è riuscito all’interno di un talent ad imporre la sua originalità.

Prima di lasciarci ci parli dei tuoi prossimi progetti?
Pochi ma fondamentali. Cercare di suonare tanto dal vivo e poi l’uscita dei prossimi singoli e dell’album prevista per dopo l’estate.

LEGGI ANCHE > Wasichu: dalla saggezza dei nativi americani una critica alla società attuale

Wasichu nella lingua dei Lakota significa ladri di grasso, termine spregiativo con cui erano indicati i bianchi, perché ingordi, avidi, famelici; partendo da una cultura che apprezza molto, l’artista compie una critica alla società attuale come si evince dall’ultimo album pubblicato: “L’effetto della cifra di sinistra”

 

Wasichu
Foto: Ufficio Stampa

 

Ciao Franco, innanzitutto ti chiederei di spiegare l’origine del tuo nome d’arte che ci ha incuriosito molto e che nasconde una tua grande passione…

Sono un estimatore della cultura e filosofia dei nativi americani, in particolare dei Lakota (per i francesi: Sioux), il popolo di Cavallo Pazzo e Toro Seduto, Wasichu è il modo (dispregiativo) con cui i lakota chiamavano i “bianchi” e significa “ladri di grasso”, ossia ingordi, avidi, famelici divoratori di tutto, insaziabili… ed è esattamente quello che siamo, sempre di più.

Da poco è uscito il tuo ultimo album “L’effetto della cifra di sinistra”, vuoi parlarcene?

Io in giovanissima età componevo canzoni, spedii decine e decine di musicassette  (con testi battuti a macchina) in buste imbottite alle varie case discografiche (spendendo anche parecchio!!), ma non ebbi quasi alcun riscontro, quindi che fai chiusi tutto in un cassetto e mi dedicai ad altro! Poi arrivano i 50 anni, la crisi di mezza età, quindi ho riaperto il cassetto e ci ho riprovato (con mail, internet e mp3!!!) Questo disco (come il precedente) è un’accozzaglia di vecchissime canzoni con altre più recenti, non segue un filo logico: è un “mischione” tra quello che è successo e quello che succede: i nonni e i nipoti, come ero prima e come sono adesso.

Si pone come un’accusa alle spietate leggi del marketing, una critica della società…

Spietata lo è davvero! Non ci si ferma davanti a nulla, non ci si fa più scrupoli, tutto è lecito se genera denaro (Wasichu, appunto!!). In questi giorni sta avendo un grande successo il docufilm FOOD FOR PROFIT, beh il filone sarebbe molto più ampio ci sarebbe materiale per girare anche PHARMA FOR PROFIT, ENERGY FOR PROFIT, NATURE FOR PROFIT, POLITIC FOR PROFIT, SPORT FOR PROFIT, MUSIC FOR PROFIT etc. etc.

La domanda sorge spontanea: è un disco per giovani?

Non credo, forse nemmeno per i miei coetanei, forse è un disco solo per me. Penso questo: anche se le mie canzoni piacessero solo a me è comunque un ottimo motivo per scriverne ancora!

Quali tematiche preferisci veicolare attraverso i tuoi testi?

Non c’è preferenza, c’è qualcosa che accade o qualcuno che incontri che ti fa star bene, oppure male e da lì originano parole  (buone o cattive), note (belle o brutte che siano) che poi metti insieme e hai una canzone…

Quali sono i gruppi o i cantanti che ti hanno ispirato maggiormente?

Da adolescente ho consumato le cassette di Bennato poi (fortunatamente) ho allentato il mio fanatismo ed ho ampliato i miei ascolti e nell’autoradio della mia panda giravano i nastri (quasi mai originali) di tutti i grandi classici e storici cantautori italiani, da Vecchioni a De Andrè, Guccini, Finardi, De Gregori, Bertoli, Nomadi, Pfm. L’elenco è lungo… poi ho “aperto” anche al country con John Denver, Neil Joung etc. Gusti decisamente boomer!!!

A questo proposito, in tempi non sospetti hai ironizzato sulla presenza massiccia dei rapper nel panorama musicale, considerato lo strapotere dei trapper non pare che la situazione sia cambiata…

Ironizzo ancora: RAP, TRAP poi avremo la musica GRAP, FRAP; fra qualche anno la KRAP, BRAP. Ma appena finiranno le consonanti torneremo a sentire, in un qualche nuovo pezzo di successo, un violino con un pianoforte, una chitarra, un arpa, una fisarmonica: sarà una rinascita! Spero di esserci quando accadrà… ma accadrà!

Oggi spopolano i talent che cosa ne pensi?

Non mi piacciono, per due motivi: se consideri la musica arte non ha alcun  senso una “competizione artistica” è come fare una gara  di pittura a che serve? Inoltre, i ragazzi sono giudicati su parametri oggettivi (mentre l’arte dovrebbe essere soggettivissima!!) ossia la bellezza della voce e la presenza scenica! Bellissima voce e sei figo/a …VINCI! Il parametro invece più importante ossia LA CREATIVITA’, il genio e l’ingegno creativo non vengono in alcun modo considerati! Se questi talent fossero esistiti negli anni ’60/’70 Bob Dylan sarebbe stato cacciato dopo 6 secondi di provino (i giudici: ”Hey Robert, ma con questa voce dove vuole andare? Lascia perdere, trovati un lavoro!). Neil Young, dopo 10 a casa, anche Lou Reed; bocciati Guccini, Branduardi, Graziani, Bennato, Gaetano, Forti ed altri ancora. Avrebbero davvero fatto un disastro!

Un grande classico è il Festival di Sanremo, lo segui di solito? Ti ha soddisfatto l’ultima edizione?

Non vorrei sembrare snob, ma no: ci provo tutti gli anni, ma poi cambio canale. Ho letto che molte canzoni sono state scritte dallo stesso autore? Ma è vero? Ma che roba è? Un sarto che confeziona più pezzi possibili che poi vengono distribuiti ai fruitori/cantanti? Che tristezza! Un canzonificio di pezzi precotti, poi surgelati tirati fuori all’occorrenza: 3 minuti al microonde e via che si canta! Mi scusi per il sarcasmo ma non fa per me..

Hai appena pubblicato un album quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sono preoccupato per il caldo, per le estati sempre più calde. Un mio prossimo progetto è trovare una casetta in un tranquillo paesino di montagna, sopra gli 800/900 metri e invecchiare lì al fresco, passeggiando per boschi! Sto guardando la Val di Scalve, non è male…

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Questa settimana vi presentiamo gli OREAZON, una band dance-pop di Milano che ci ha parlato del suo ultimo singolo: Fiaba, una favola molto diversa da quelle tradizionali della principessa rinchiusa nella torre, in cui l’eroe arriva sul suo cavallo bianco per salvarla e insieme vivono felici e contenti, la band infatti si chiede cosa sarebbe successo se la principessa non avesse mai desiderato di essere salvata, interrogandosi sulle dinamiche del salvataggio e sulla propensione a voler salvare gli altri senza mai interrogarsi sulle loro reali esigenze e desideri.

Ciao, prima di tutto vi chiedo di presentarvi agli amici di Musica361…
Ciao, siamo Danny, Cecco e Toby: gli Oreazon. È un piacere collaborare con Musica 361 e salutiamo tutti i suoi lettori. Siamo felicissimi di poter rispondere alle vostre domande.
Da poco è uscito il vostro ultimo singolo Fiaba, una favola molto diversa da quelle che siamo abituati a leggere…
“Fiaba” trae ispirazione dai racconti classici dei fratelli Grimm, che, rispetto alle versioni successive entrate nell’immaginario collettivo, si distinguono per una componente più cupa e tenebrosa. La canzone narra la storia di una scelta avventata e delle sue terribili conseguenze.
Il protagonista è un principe che, avendo sentito parlare di una principessa rinchiusa in una torre, sorvegliata da un drago, decide di partire per salvarla. Tuttavia, la principessa si rivela essere lei stessa il drago, avendo ucciso tutti coloro che in passato hanno tentato di “salvarla”. Il principe, ignaro di questo, finirà per condividere lo stesso tragico destino dei suoi predecessori.
Il testo contiene una riflessione sulla tendenza a salvare gli altri senza chiedersi quali siano le loro reali esigenze, a che conclusioni siete arrivati?
La nostra canzone “Fiaba” nasce come metafora di una situazione in cui qualcuno manifesta i propri problemi e qualcun altro decide di volerlo aiutare, senza considerare che magari questa persona si trova a suo agio nella propria condizione e non ha alcun interesse a uscire dalla propria “gabbia”. Il messaggio centrale è che non si può salvare chi non vuole essere salvato. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, saranno proprio i diretti interessati a chiedere aiuto, e non bisogna comportarsi come l’ingenuo principe della nostra fiaba che si lancia in soccorso di qualcuno che non ha affatto richiesto il suo intervento.
Che tematiche preferite affrontare nei vostri testi? C’è spazio anche per l’impegno sociale e politico?
I nostri testi sono prevalentemente storie. Ci piace raccontare vicende ispirate alla realtà, ricorrendo a metafore o creando delle vere e proprie narrazioni; in questo brano, ad esempio, abbiamo utilizzato entrambe queste tecniche. Sebbene non ci siamo mai dichiarati apertamente politici, preferendo lasciare questo aspetto fuori dalla nostra musica, almeno per ora, nei nostri testi e nei nostri video ci battiamo da sempre per l’uguaglianza dei diritti. Riassumendo, si potrebbe dire che, pur non essendo una band politica in senso stretto, alcuni messaggi, a volte non troppo criptici, a favore dei diritti umani si possono cogliere nelle nostre canzoni e nei nostri videoclip.
Quali sono i cantanti o i gruppi che vi hanno ispirato maggiormente?
Il nostro gruppo attinge a diverse influenze che emergono nelle nostre canzoni in tutte le loro sfaccettature. Ad esempio, nelle chitarre delle tracce più soft si possono cogliere fraseggi che ricordano lo stile di John Mayer o di David Gilmour, mentre in quelle più distorte si sentono echi di Slash. Alcune linee di basso si ispirano a quelle di Mike Dirnt dei Green Day, altre hanno un groove più funky che strizza l’occhio ai Daft Punk, come in “Naufraghi Sulla Luna”.
I nostri testi sono influenzati da artisti internazionali come i Green Day e Taylor Swift, ma anche da cantautori italiani come Max Pezzali, Ivan Graziani, Lucio Dalla e Davide Van De Sfroos, solo per citarne alcuni.
Per quanto riguarda lo stile vocale, troviamo grande ispirazione in artisti del pop contemporaneo come Taylor Swift e Charlie Puth.
In Italia, il progetto musicale che forse si avvicinava di più al nostro erano gli 883, anche se noi incorporiamo elementi diversi e siamo molto più contaminati da vari generi.
Siete milanesi, come vi trovate in questa metropoli che offre tante opportunità, ma che è anche al centro di polemiche per la sicurezza e i costi?
Vogliamo essere sinceri: la nostra città offre molte opportunità, ma purtroppo non nel campo musicale. Oggi suonare in città è diventato molto più difficile rispetto a dieci anni fa, sia che si tratti di esibirsi nei locali o di fare busking per le strade. In questo lasso di tempo, il panorama musicale della scena underground è cambiato radicalmente. Inoltre, la nostra città è diventata molto costosa e poco sicura, con aggressioni all’ordine del giorno, nonostante si continui a sostenere il contrario.
Un grande classico musicale italiano è il Festival di Sanremo, lo seguite? Vi piacerebbe partecipare?
Fin da piccoli, abbiamo sempre seguito con passione il Festival di Sanremo. Calcare quel palco rappresenterebbe un sogno per noi, soprattutto per il profondo significato che la manifestazione ha avuto e continua ad avere nelle vite delle persone. Ciò che ci affascina di più è la capacità di questo evento di catalizzare l’attenzione dell’intera nazione per una settimana, ponendo le canzoni in gara al centro di tutto.
Da anni imperversano i talent come XFactor o The Voice, voi cosa ne pensate?
Saremo nuovamente sinceri: non siamo appassionati di talent show e non ne seguiamo nessuno. Riteniamo che questo formato non sia il modo migliore per veicolare il nostro messaggio musicale. Pur essendo favorevoli a una competizione come Sanremo per il suo significato culturale, siamo convinti che cercare di imbrigliare l’arte in un concorso, sottoponendola a una valutazione, sia in contrasto con i principi stessi della creazione artistica.
Prima di salutarci ci parlate dei vostri prossimi impegni?
È già finita?! È stato bellissimo poter rispondere alle vostre domande! Come anticipazione esclusiva, siamo felici di annunciarvi che il prossimo mese, per il terzo anno consecutivo dopo “Naufraghi Sulla Luna” e “FLASH LOVE”, pubblicheremo un nuovo singolo estivo intitolato “Mojito e Guai”.
Inoltre, stiamo lavorando all’organizzazione di alcune date live per poter finalmente abbracciare il nostro amato pubblico. Vi invitiamo a seguire i nostri canali social per rimanere aggiornati su tutti i dettagli!
Monolite 2
Foto: Alessandro Pellegrini

In questo modo la band romana alternative rock ha presentato agli amici di Musica361 il suo ultimo singolo: “Marta“, brano che nasce in seguito a un evento molto importante, una canzone in cui ognuno “può rivedere la storia della propria vita…”

Questa settimana siamo in compagnia dei Monolite, gruppo italiano di Alternative Rock. Innanzitutto vi chiedo di presentarvi agli amici di Musica361… 

Ciao a tutti gli amici di Musica361! Noi siamo i Monolite, una band romana alternative rock attiva dal 2019 formata da Vincenzo Storm (voce e chitarra) e Gianluca Riccio (batteria)

Quali sono le tematiche principali presenti nei vostri brani? 

Le nostre canzoni trattano temi quotidiani, dalle esperienze che ognuno di noi ha fatto e fa, alle paure e alle angosce che portano l’essere umano a risollevarsi ed andare avanti nel miglior modo possibile.

Prima scrivevate in inglese, ora in italiano. C’è una ragione per questo cambiamento? Non pensate che la lingua inglese sia più adatta al vostro genere musicale?

Abbiamo attraversato una fase embrionale dei Monolite dove abbiamo provato a portare avanti brani in lingua inglese ma sentivamo che non riuscivamo ad esprimerci al meglio. Anche se spesso la lingua italiana viene vista nel rock come un ostacolo, noi ci siamo sentiti a nostro agio. Con il nuovo EP lo è stato ancor di più, avevamo il bisogno di esprimerci al massimo sia a livello musicale che compositivo nei testi. Il nuovo lavoro ci rappresenta davvero in tutto quel che siamo e soprattutto pensiamo. La lingua inglese ci toglieva tanto per quanto riguarda l’aspetto cantautorale che è intrinseco in ognuno dei nostri brani.

Vasco Rossi, Ligabue, Piero Pelù sono dei pilastri del Rock italiano. Vi hanno ispirato? O preferite artisti britannici e americani? 

Sicuramente ci hanno influenzato, questo è certo! Hanno dettato un’epoca, soprattutto i lavori fine ‘80 inizio ‘90 ma non possiamo dimenticare tutta la corrente alternativa italiana dagli Afterhours ai Verdena. In merito agli artisti internazionali, in generale la matrice “hard rock ” nella musica deriva sempre da band britanniche e americane, la scuola è sempre la stessa.

Il vostro ultimo singolo è “Marta”, volete parlarcene?

Marta è un brano scritto per la nascita della figlia di Vincenzo. È un viaggio emotivo che parla di come l’amore può illuminare i momenti bui e della consapevolezza che abbiamo rispetto alle cose che contano di più nella vita. Le piccole cose che però al tempo stesso diventano grandi ed essenziali. È un brano dove ognuno può rivedere la storia della propria vita.

Rappresenta una tappa importante della vostra discografia… 

Certamente è un brano che rappresenta un traguardo nella discografia importante perché all’interno di un’evoluzione in ambito sia sonoro che di scrittura.
Siamo stati capaci di fondere in questa canzone l’aspetto romantico e sonorità rock moderne, rendendo il brano fruibile a qualsiasi tipo di ascoltatore.

Continuate a esprimere disagio, inquietudine, a parlare di un “mondo infame”, quali sono i problemi che vi preoccupano di più?

Il disagio e l’inquietudine sono aspetti che ci circondano e viviamo ogni giorno, basta guardarsi un po’ intorno e notare che le cose non vanno mai per il verso giusto o perlomeno non si sposano mai con l’ideale di “mondo perfetto”. La nostra musica parla di queste cose, di come percepiamo il mondo ogni giorno, affrontandolo e scontrandosi con circostanze a volte molto più grandi e potenti di noi, ma sempre con determinazione e ottimismo.

In questo marasma che funzione ha la musica?

La musica è cambiata tanto negli ultimi decenni, ma la sua funzione è sempre la stessa, quella di generare emozioni che siano esse negative o positive; deve suscitare all’ascoltatore qualcosa di concreto. Forse oggi questa funzione si sta un po’ perdendo di vista, in un mercato musicale solamente basato sui numeri.

Oggi imperversano i talent, vi interessano?

La domanda potrebbe essere, noi interessiamo ai talent? La musica che proponiamo è ritenuta “musica da diffondere” da far ascoltare dal mercato musicale, e quindi dai talent controllati da esso? Come raccontiamo nel nostro primo singolo Pezzo Pop, ad oggi per partecipare ad un talent, quanto della nostra musica dovremmo cambiare? Forse troppo.

Prima di salutarci parlateci dei vostri prossimi impegni… 

Adesso stiamo promuovendo i nostri due singoli appena usciti “Pezzo Pop” e “Marta”, e stiamo suonando live in vari locali della capitale e del Lazio. Entro il 2024 è programmata l’uscita del nostro EP “Verbo” e ne siamo entusiasti. Nel frattempo stiamo lavorando alle prossime date e alla stesura di nuovi brani.

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Lisa Manara: "Ho guardato negli abissi senza la paura di caderci dentro"
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Recentemente è uscito “Regina su di me”, il nuovo singolo di Lisa Manara, un canto di rinascita e libertà scritto per “portarmi dietro come una valigia il mio passato e ricordare a me stessa in quali abissi non ricadere”. Per Musica361 abbiamo intervistato l’artista dalla solida formazione classica, amante del Jazz e dell’Africa.

 

Ciao Lisa, recentemente è uscito “Regina su di me”, un brano molto importante che tocca il tema dell’anoressia, vuoi parlarcene?
Sono davvero felice dell’uscita di questo singolo, c’è voluto tempo perché riuscissi a svelarmi nell’intimità più recondita, e con questo brano ho guardato negli abissi senza la paura di caderci dentro. La Regina rappresenta metaforicamente il disturbo alimentare dell’anoressia che
appare come una figura maestosa, affascinante, capace di dare l’illusione di una sicurezza, di non essere sola, di essere potente ma allo stesso tempo rende dipendenti, priva di ogni forza, plagia e riempie di regole, abitudini che finiscono per annullare ogni slancio vitale asservendo ogni azione quotidiana al mantenimento di questa nuova identità. Credo che la malattia rappresenti un rifugio che alcune persone trovano quando non hanno amore per se stesse e per colmare questa voragine si aggrappano a certi meccanismi mentali che creano l’illusione di poter avere il controllo della propria vita e non sentire quella mancanza d’amore così profonda.

Considerando anche la tua esperienza personale che ti ha ispirato nella stesura del brano, che consiglio ti sentiresti di dare alle più giovani che hanno questo problema in modo che anche loro evitino di perdere i loro anni con questo dramma?
D’istinto ti direi che le abbraccerei fortissimo perché l’amore, la comprensione è l’arma più potente per combattere questa malattia. La solitudine invece accresce il meccanismo del controllo, lo rende l’unica soluzione possibile per vivere. Farsi aiutare da figure esperte è l’unica via per uscirne, fare un percorso di crescita che dia ai giovani strumenti per capire le proprie emozioni e inquadrarle in un contesto più ampio, sociale e non solo personale, e frenare quei fattori sociali che rendono fertile il terreno su cui un disagio o una fragilità personale si possono trasformare in un disturbo anche grave. Penso che il tema del riconoscimento del proprio valore sia centrale in questo disturbo, e il problema nasce dal fatto di non essere stati visti, ascoltati, capiti e riconosciuti per quel che eravamo, questo crea una forte sensibilità ai giudizi esterni che creano ansia e per reprimere quest’ansia si tenta di tenere tutto sotto controllo e la cosa più semplice da controllare è proprio il corpo attraverso il nutrimento.

Pensi che l’esposizione mediatica dei più giovani e lo strapotere dei social possa incidere negativamente?

Sicuramente non costituiscono la causa diretta ma possono acuire e cronicizzare la malattia perché il confronto con i modelli proposti amplifica la sensazione di non essere all’altezza ed estremizza l’idea illusoria di perfezione. Questo può portare all’idea di nascondere o di sovraesporre il proprio corpo per un bisogno estremo dello sguardo dell’altro.

D’altro canto però ci sono delle tendenze che suggeriscono alle persone, uomini e donne, giovani e meno giovani, di accettarsi per quello che sono, trasformando i “difetti” in punti di forza, forse è un punto di svolta rispetto al passato quando le immagini di pubblicità, moda e televisione erano piuttosto stereotipate?
Questo credo sia un primo passo per favorire l’accettazione e il rispetto di tutti i corpi indipendentemente dalla loro forma, dimensione e caratteristiche e promuovere certe immagini può aiutare ad ottenere una relazione più positiva con se stessi. Il problema socio-culturale da scardinare rimane però l’eccessivo valore e l’attenzione che la società attribuisce al corpo, ciò che andrebbe incoraggiato è il cercare il proprio valore in altri aspetti costitutivi della propria persona.

Nel singolo precedente, “Lasciami cadere”, parlavi della complessità della figura paterna, hai scelto la linea intimista come cifra stilistica o c’è spazio per altre tematiche come il sociale?
I brani che scrivo parlano di temi che sono entrati in risonanza con la mia vita, quindi seguo il mio percorso, mi appassiono, mi emoziono, vivo e faccio parlare la musica, quindi chissà quali ispirazioni mi regalerà la vita, credo ci sarà spazio per molto altro.

Hai lavorato con mostri sacri come Fabio Concato e Gianni Morandi, vuoi descrivere queste emozioni? Hai un aneddoto, un ricordo personale su questi artisti?

La collaborazione con Gianni è arrivata inaspettatamente. Il caso vuole che il direttore della band Alessandro Magri cercasse cantanti in zona Bologna per un nuovo tour di Gianni Morandi. Quasi un mese di prove per mettere in piedi uno spettacolo che avremmo portato poi sopra circa 70 palchi fra cui l’Arena di Verone in diretta RTL. Un’emozione fuori da ogni verbalizzazione.
Gianni è un gigante nella sua professione, ha già nella sua mente il quadro di ciò che deve essere il suo spettacolo e centinaia di addetti tra musicisti e tecnici sono lì proprio per quello, creare uno spettacolo di qualità che soddisfi le emozioni della gente. Di Gianni ho un ricordo più bello dell’altro, da quando mi portò in visita con lui dal presidente della Repubblica di Malta, a quando mi chiamò all’uscita del mio primo singolo e parlammo per 20 minuti al telefono, ai duetti sul palco in cui era ricorrente la battuta sui miei tacchi che erano troppo alti per lui essendo già io alta 1.74 cm e ce ne sarebbero tanti altri.
Ho avuto l’enorme piacere poi di aprire un paio di concerti di Fabio Concato suonando i brani scritti da me. È stata una magia unica. Mi ritengo davvero fortunata ad avere incontrato due artisti così incredibilmente umili, generosi e pieni di talento a servizio di una musica mai banale ma autentica.

A proposito di “mostri sacri”, quali sono i tuoi punti di riferimento musicali, tenendo conto che spazi da una solida formazione classica al Jazz?

I miei riferimenti artistici sono moltissimi e cambiano continuamente. La mia prima musa ispiratrice fu Janis Joplin che mi folgorò con questa emotività travolgente; nel tempo ho avuto diversi innamoramenti musicali da Nina Simone, a Cesaria Evora, Miriam Makeba, Lhasa De Sela, per poi arrivare ai cantautori italiani come Elisa, Dalla, Battiato. Anthony and The Johnson, Jeff Buckley, Nick Drake.

Oggi imperversano i talent e tu stessa hai partecipato a The Voice of Italy nella squadra di Riccardo Cocciante, è un’esperienza che rifaresti? La consiglieresti a un giovane che voglia intraprendere la carriera artistica?

L’esperienza a The Voice è stata per me molto pesante emotivamente. Non avevo nemmeno vent’anni, ero piccola e immatura e il piccolo schermo ha dinamiche e tempistiche che ignoravo totalmente, di conseguenza fu difficile per me gestire la pressione esercitata dal format e portare sul palco la mia personalità. Ora, più di 10 anni dopo, probabilmente riuscirei a viverla con più leggerezza e ora la rifarei consapevole di ciò che mi può o non può dare. Io consiglierei ai giovani di approcciarsi ad un Talent soltanto quando si ha già un bagaglio di esperienze artistiche e personali già nutrito.
La formazione di un artista deve partire dallo studio, dalla penna che indugia sulle parole, dai palchi che all’inizio sembrano tutti dei giganti inaffrontabili, dal fare musica con altri musicisti, dall’ascolto dei maestri.

Molto interessante anche il progetto “L’Urlo dell’Africanità”, un tributo a questo continente così bello e così martoriato, importante anche dal punto di vista artistico come dicono i nomi di Miriam Makeba o Fatoumata Diawara…

È un progetto a cui tengo moltissimo e in cui mi diverto davvero tanto. Vedere l’entusiasmo della gente che non conosce l’universo della musica africana ma che si lascia trasportare da ciò che gli arriva, è una soddisfazione enorme.
Mi hanno sempre affascinata gli artisti come Makeba, Simone, Evora, Diawara ecc. che hanno fatto della loro musica un’espressione di rivalsa da una condizione di assoggettamento e hanno messo tutto il loro talento al servizio della lotta contro le ingiustizie che li vedevano coinvolti.
Fra qualche settimana uscirà un Ep di questo progetto che potrà essere acquistato a tutti i miei concerti.

Hai partecipato a molti eventi e concerti, quali saranno i tuoi prossimi progetti?

Usciranno nei prossimi mesi altri brani che mi vedono come cantautrice, dimensione sui cui ho intenzione di perseverare sempre di più. Non vedo l’ora di portare in giro la mia musica, la magia più grande sarebbe fare un tour in teatri in cui presentare il mio progetto. Quest’estate ci sono in programma tanti festival in giro per l’Italia in cui presenterò il mio progetto di musica capoverdiana, farò anche concerti in solo in cui presenterò i miei brani e qualche apertura a concerti di artisti affermati.

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Oggi per gli amici di Muisca361 abbiamo intervistato il gruppo hip hop crossover napoletano Radice Cubica formato dal rapper Lilo Frank e dalla cantante e rapper Effesei

 

Ciao, innanzitutto parlateci di voi, presentatevi agli amici di Musica361…

Ciao, noi siamo i Radice Cubica, un gruppo hip hop crossover di Napoli, composto dal rapper Lilo Frank e dalla rapper e cantante Effesei.
Il nostro gruppo nasce ufficialmente nel lontano 2013 quando noi due all’epoca solisti ci incontrammo ad un concorso canoro e da lì scattò un colpo di fulmine sia artistico che sentimentale. Amiamo la musica e cerchiamo di esprimere tutto ciò che pensiamo e viviamo attraverso essa.

Quali sono i vostri gruppi o cantanti di riferimento, chi vi ha ispirato maggiormente?

Bella domanda, diciamo che ascoltiamo tanta musica e sperimentiamo molto, se devo dirti però un artista e un gruppo in particolare ti dico J-Ax e gli Articolo 31, ci hanno influenzato tanto ma credo che tutti i ragazzi della nostra età siano cresciuti con loro.
Poi ne elenco alcuni ma sono proprio diversi tra loro, spaziando dal rock al pop, al rap fino alla musica ironica
Green Day, Linking Park, Gemelli Diversi, Club Dogo, Noyz Narcos, Fabri fibra, Carl Brave, i Gem Boy ecc..

Come vedete la scena hip hop attuale, soprattutto in considerazione dello strapotere della trap?

Siamo del parere che la Trap è semplicemente un’evoluzione musicale che accompagna i tempi moderni, tanti sono stati i generi criticati ma soprattutto gli artisti che fecero scalpore agli esordi. Noi quasi in controtendenza continuiamo a limitare l’uso dell’autotune, ovviamente se in qualche traccia ci può stare bene lo si inserisce, ma non critichiamo chi è amante di questo effetto, diciamo si tratta di gusto personale.
La Trap ha comunque e sicuramente condizionato tanti artisti nuovi che sono usciti.

Mescolate più generi, come riuscite a trovare un equilibrio?

L’equilibrio è proprio il nostro punto di forza, il poter provare più generi pur sempre rimanendo fedeli al nostro stile, il segreto è fare ciò che piace principalmente a noi stessi, che poi possa piacere agli altri è solo un piacere ed un onore

A proposito di equilibrio, siete sposati: è difficile riuscire a conciliare vita professionale e privata? Qual è il segreto?

Unire le due cose è molto semplice perché nella musica come nella vita sentimentale bisogna metterci il cuore, la passione è tutto ciò che c’è di buono e noi lo facciamo. Forse è proprio questa la miscela perfetta, il segreto. D’altronde la musica ci ha fatto incontrare, fidanzare e sposare, le siamo riconoscenti.

Avete scelto il nome Radice Cubica non a caso, perché per voi non bisogna mai dimenticare da dove si viene, che rapporti avete con la straordinaria tradizione napoletana?

Noi siamo napoletani DOC, cioè proprio quelli che sono fieri e felici di tutti gli stereotipi  che spesso ci vengono affibbiati, tipo mangiare tardi la domenica, risolvere tutto davanti a un caffè, che il ragù è sacro, che se il Napoli non vince la partita si sta male: siamo fieri della nostra cultura.

A questo proposito siete stati vittime di uno spiacevolissimo episodio: insulti razzisti nei vostri confronti. Come avete reagito e perché secondo voi certe mentalità sono difficili da debellare?

Appunto come ti dicevo, noi siamo fieri di essere partenopei come penso ogni cittadino di qualsiasi città sia fiero della propria provenienza.
Gli insulti vengono mossi solo dall’ignoranza, la cosa che mi fa più schifo è che nel 2024 esistono ancora commenti discriminatori su una religione diversa o sul colore della pelle ed appunto sulla provenienza.
Noi siamo persone ormai mature quindi possiamo passare sopra a qualche commento discriminatorio scritto sui social magari da qualche idiota che ha bisogno di sfogare la propria frustrazione dietro account falsi e dovrebbe vergognarsi, ma nonostante ciò se accadesse qualche episodio su di noi o anche su terze persone reagirei male e non riuscirei a controllarmi, come è già successo appunto.

L’ultimo Sanremo ha segnato un record di ascolti, siete soddisfatti di come è andata la gara? Per chi facevate il tifo?

Ti dico la verità non l’abbiamo seguito, ma non solo quest’anno, in generale non lo abbiamo mai visto, non ci piace proprio, non me ne vogliate: ripeto, sono gusti.

Oggi imperversano i talent, vi piacerebbe partecipare?

Certo, noi abbiamo partecipato a vari contest e strizziamo l’occhio anche ai talent, ovviamente pur presentando sempre i nostri pezzi.

Avete avuto tanti episodi da ricordare: il live allo stadio di Lanuvio, al Cinecittà World e siete stati ospiti di alcune trasmissioni televisive, per il prossimo futuro quali sono i vostri progetti?

Sì, abbiamo fatto tante, tantissime esperienze ed è stato bellissimo tutto il nostro percorso, non rinneghiamo nulla, dai brani ai live.
Come progetti futuri abbiamo tante novità, possiamo spoilerarti che sono pronti 3 nuovi brani di cui 2 featuring ai quali teniamo particolarmente, poi abbiamo alcuni eventi interessanti che attendiamo solo di poter confermare. E comunichiamo che a breve ci saranno tante belle novità, restate connessi…

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Livio Magnini 1
Foto: Ufficio Stampa

Nell’intervista concessa a Musica361 Livio Magnini ci ha illustrato un’attività molto particolare e interessante: l’ascolto consapevole sul quale  ha tenuto una masterclass parlando di psicologia della e nella musica e del recupero della capacità di ascolto emotivo. Ovviamente, non potevamo non parlare anche del suo amico Morgan e dell’ultimo Sanremo che ancora tiene banco…

Hai tenuto recentemente una masterclass dedicata all’ascolto consapevole, vuoi chiarire questo concetto così importante?

Si intende una cosa piuttosto semplice, ovvero essere presenti durante l’ascolto. Noi siamo abituati ad avere la musica come sottofondo per qualsiasi cosa, dalla spesa al supermercato all’ascensore, dove è usato come elemento anti-imbarazzo, ascolto consapevole significa volere ascoltare qualcosa non facendo nient’altro.

È anche un modo per applicare il qui e ora in un periodo in cui la concentrazione è messa a rischio da troppi stimoli esterni?

Assolutamente sì, in realtà il “Qui e ora” fa parte di molte espressioni filosofiche, come quelle orientali, ma anche di tecniche recenti come la
Mindfulness o la meditazione trascendentale.

È necessario il distacco digitale ai tempi dei social così invasivi, soprattutto tra i più giovani?

Sì, questo dipende dal bombardamento con il quale veniamo colpiti regolarmente durante la nostra giornata che non ci permette di essere presenti a noi stessi, poi ognuno trova una propria collocazione, c’è chi lo fa attraverso delle dottrine filosofiche e chi attraverso un esercizio fisico: anche l’allenamento riesce a portarti a uno stato di presenza.

Parli di la psicologia della e nella musica, come incide l’ascolto della musica sulla nostra psiche e sulle nostre emozioni?

Tutti noi conosciamo gli ultrasuoni e le relative terapie, ma nessuno si pone il problema di capire che cosa sta succedendo: l’ultrasuono sta facendo un massaggio cellulare, l’ampiezza molto breve dell’onda e quindi la sua ripetizione non fa altro che scaldare, produrre calore e il calore è energia, producendo uno scambio di elettroni tra le nostre cellule che vengono massaggiate. Le frequenze prodotte dalla musica, dal suono sotto i 50 hertz colpiscono invece le nostre onde cerebrali: Theta, Delta, Beta e Alfa e ogni tipologia di queste onde corrisponde a uno stato di concentrazione, rilassatezza, sonno e di predisposizione alla concentrazione. Ci sono stati diversi studi, tra cui quelli di Fulvio Muzio, medico ed ex tastierista dei Decibel, sulla capacità terapeutica della bassa frequenza.

Sei un artista impegnato: il tuo progetto Rezophonic opera con lo scopo di finanziare la costruzione di pozzi in Africa…

Questo è un risvolto sociale della musica, sono due passioni apparentemente disgiunte in realtà convergenti.

Sei parte di un gruppo importante come i Bluvertigo, come è il rapporto con gli altri e in particolare con Morgan?

Il rapporto è come prima, ci sentiamo, ci vediamo, l’anno scorso abbiamo suonato prima dei Duran Duran al Festival “La Prima Estate” poi abbiamo fatto il Rugby Sound Festival con i Subsonica. ognuno ha il suo modo di vivere la musica e di condurre la propria vita. Molto spesso io sono d’accordo con gli “estremismi” di Marco quando lui porta a galla i problemi che conosciamo tutti e di cui nessuno vuole parlare. Ad esempio al Festival di quest’anno tutti i pezzi erano scritti fondamentalmente da tre autori…
Quindi lo giudichi negativamente?

Non do un giudizio, cerco di esaminare gli elementi che ho a disposizione e se questo è il Festival della canzone italiana c’è qualcosa che non va. Intanto è diventato un momento di intrattenimento dove la musica oggettivamente non è la cosa più importante e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Il Festival è nato con altri presupposti: c’erano autori che presentavano le loro canzoni e c’erano pochi interpreti e questo aveva un senso logico molto preciso perché quello che risaltava era la canzone. Quello che succede oggi è l’inversione totale: sono pochissimi autori che scrivono tutti i pezzi, quindi le proposte autoriali sono le stesse, più che il Festival della canzone italiana dovrebbe essere il Festival di chi interpreta…

Vuoi svelarci i prossimi progetti

Da un po’ di tempo ho un duo con un percussionista della Scala, Elio Marchesini, facciamo improvvisazioni e costruiamo paesaggi sonori. andiamo a suonare in luoghi che non sono classici luoghi deputati all’ascolto della musica, come musei di arte contemporanea e gallerie d’arte. È una cosa che mi sta dando molta soddisfazione perché è molto distante dal concetto di hit, dal concetto di gradimento; ogni tanto allarghiamo l’organico e suona con noi Xabier Iriondo degli Afterhours, con cui ho realizzato il mio prossimo progetto discografico che uscirà prima dell’estate e sarà una colonna sonora di luoghi: abbiamo scelto i luoghi che hanno caratterizzato la nostra vita e attraverso il loro cromatismo abbiamo costruito dei brani musicali.

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È disponibile in formato fisico e digitale “AGELESS”, il nuovo album di inediti del pianista e compositore GABRIELE BALDOCCI. Il disco è stato anticipato dall’uscita del singolo “Ageless”, dedicato all’amico e artista Ezio Bosso scomparso nel 2020. Nell’album si intrecciano piano personale e professionale, dediche alla moglie, ma anche a Chopin, Virzì e al Maestro torinese di cui ci ha parlato in questa intervista…

Ciao Gabriele, è uscito “AGELESS”, vuoi parlarcene?

È una pietra miliare nel mio percorso artistico perché per la prima volta debutto con un album di mie composizioni che ha riscosso dei feedback molto buoni ed è stato l’inizio di tante belle cose (adesso ho un altro album in preparazione) e ha aperto una finestra su pubblici che prima non frequentavo.

Un brano Ageless è dedicato proprio a Ezio Bosso, ci lasci un ricordo personale di questo grande artista?

Ezio ed io ci siamo scritti moltissimo quando sono arrivato a Londra, siamo stati presentati da un amico comune che mi ha parlato di questo ragazzo molto talentuoso. Non ci siamo mai conosciuti di persona, ma ci siamo sentiti molte volte per telefono e ci siamo scritti molto. Lui era cresciuto nella Torino operaia, come io nella Livorno operaia e quando parlavamo della nostra infanzia, della nostra adolescenza, lui ripeteva sempre: “Non ce lo potevamo permettere” e questo è stato il leitmotiv della mia vita che mi ha fatto sentire molto vicino a Ezio, perché ce la siamo proprio dovuta guadagnare, con grande soddisfazione poi quando ce l’abbiamo fatta.

Si intrecciano piano personale e professionale, dediche alla moglie, a Chopin, a Virzì livornese come te, c’è qualcuno che per forza di cose è rimasto fuori?

Martha Argerich, è rimasta fuori lei. Le avevo dedicato un paio di pezzi che avevamo suonato insieme tanti anni fa (è stata quella la prima volta che ho fatto il compositore), non volevo farle pensare che doveva suonarmeli, perché di solito quando uno dedica un pezzo a un collega poi il collega lo suona, non volevo che si sentisse obbligata. Però nel prossimo album ci sarà una dedica anche a lei.

Questo disco è il tuo debutto come compositore, cosa ti ha portato a fare questa svolta nella tua carriera?

Diverse ragioni: una è l’esigenza di scrivere che ho sempre tenuta nascosta, nel senso che ho sempre scritto, ma mi imbarazzava pubblicare le mie cose, invece durante il Covid, quando nessuno suonava più, l’unica forma di espressione era quella. Poi è stata la mia grande amica Martha Argerich, una delle leggende del pianoforte, a dirmi che i pezzi sono bellissimi e a consigliarmi di farli sentire: io li ho fatti sentire, i feedback sono stati buoni e sono andato avanti così…

Quali sono i tuoi punti di riferimenti artistici?

Ho una formazione molto “a largo spettro”, non sono il tipico musicista che si è fissato con il piano, quindi spazio molto. Sono molto appassionato di cinema, i grandi registi sono una fonte inesauribile di ispirazione. Per quanto riguarda i pianisti mi sono formato con Vladimir Horowitz, Arthur Rubinstein, più tutti i mostri sacri del Jazz come Oscar Peterson, ma in generale sono molto curioso delle varie forme di espressione.

Imperversano i talent: sono uno sprone oppure creano illusioni?

Un po’ tutte e due le cose, perché c’è il rischio che i giovani possano pensare che ci sia una scorciatoia per il successo e in effetti questi talent la offrono, in ogni caso riesce uno su un milione; invece si ha l’impressione che tutti possano farcela con sforzo zero. Si deve capire che ci deve essere una preparazione, una serietà e una professionalità.

Progetti futuri?

Ho un album praticamente finito con brani che sono tutti basati sul tema dell’infanzia, vissuta da me e che rivivo attraverso gli occhi di mio figlio: è un album nato nel giro di un mese e non vedo l’ora di pubblicarlo. Poi partirà un tour italiano con i due album come motivo conduttore

 

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