A dispetto del cognome Erica Taci ha una parlantina chiara e fluente con la quale ci ha parlato del doppio binario che sta percorrendo la sua carriera artistica, divisa tra musica e televisione e del suo ultimo brano: “Dalla prima all’ultima bugia” che racconta in maniera semplice di come spesso il non parlare porti a delle incomprensioni e di conseguenza a dire bugie.

Ciao Erica, parla un po’ di te agli amici di Musica361…

Ho 25 anni e sono una cantautrice, ho origini toscane e mi divido tra Borgo San Lorenzo e Roma per motivi lavorativi, attualmente sto lavorando in un programma televisivo su Rai Due (BellaMa di Pierluigi Diaco), faccio l’opinionista, ma a volte mi è concesso anche di cantare, inoltre scrivo…

A proposito di scrittura, preferisci scrivere in italiano o in inglese?

Uso entrambe le lingue, ma ho iniziato in inglese, perché io sono cresciuta con mia mamma, mia nonna e con alcune tate di madrelingua inglese e sono molto legata alle melodie in quella lingua, poi con il tempo ho scritto anche in italiano, però mi rimane questo sogno nel cassetto di far uscire un disco tutto in inglese.

C’è una storia che ti ha segnato come ragazza e come artista…

Io purtroppo non conosco mio padre, l’ho “vissuto” quando ero molto piccola, avevo pochi mesi, poi i miei si sono separati e io non ho avuto più notizie. Porto il suo cognome, che è anche scomodo visto che io canto, tanto che una volta volevo prendere quello di mia madre, poi ho detto: perché dargliela vinta, alla fine è un modo per dire “io non ci sto zitta”

Però tu sei riuscita a trasformare questo problema in uno stimolo artistico…

Assolutamente, da bambina ero timidissima e riuscivo a comunicare attraverso la musica perché canticchiavo sempre e da lì è nata in maniera spontanea la voglia di scrivere e buttare giù tutto quello che vivevo, fin da piccola strimpellavo delle chitarrine finte, inventavo canzoni, siamo cresciute insieme io e la musica.

E a proposito di canzoni è uscito il tuo ultimo pezzo che si chiama “Dalla prima all’ultima bugia”, vuoi parlarcene?

Questo pezzo è nato circa un anno fa durante l’esperienza televisiva e racconta di come il non comunicare, nei rapporti di amicizia e di amore, porti a delle incomprensioni. Io sono sempre per la verità, anche se può essere scomoda, come quando ci si accorge che dietro a una persona si nasconde un’altra realtà

Senti il problema della comunicazione anche con i tuoi coetanei, forse troppi social?

Queste sensazioni sono alla base dei rapporti indipendentemente dal fatto che si abbiano 15 anni o 50. Sono problemi universali il mentire o l’avere una comunicazione sbagliata. Non penso che i social abbiano aggravato il problema, penso che diano a chiunque la possibilità di sfogare i propri pensieri, il proprio modo di essere, però penso che si debba saperli usare: il rovescio della medaglia sono le persone che sfogano odio.

Tu sei stata bersaglio di haters?

Devo dire che ho una fanbase molto educata, se mi viene fatta una critica è sempre in maniera costruttiva

Quali sono i tuoi punti di riferimento?

Nel panorama musicale italiano amo particolarmente il modo di scrivere di Ultimo e sarebbe un sogno poter collaborare con lui. Poi ci sono Mengoni, Elisa in cui mi rivedo molto perché anche lei ha iniziato con l’inglese. Per quanto riguarda la musica straniera amo i Coldplay, i Queen…

Cosa ne pensi dei talent?

Penso che siano un trampolino di lancio e che accorcino i tempi per farsi conoscere, non sono contro e ci provo ogni anno ad entrare, ma nel frattempo continuo il mio percorso.

Segui il Festival di Sanremo?

Sì, seguo Sanremo e proprio con questo mio ultimo pezzo “Dalla prima all’ultima bugia”, ho provato a partecipare ad Area Sanremo, ma non sono passata. Seguo Sanremo e anche il Festival è un ottimo trampolino di lancio per gli artisti. Lo seguo sia perché mi piace seguire gli artisti, sia perché nel programma al quale partecipo si parla del Festival

A proposito di televisione come è questa tua esperienza?

È il mio secondo anno e mi trovo molto bene: è una grande famiglia. Pigi Diaco è una persona molto sensibile e molto attenta al lavoro, mi piace molto il suo modo di fare.

Nel futuro ci sarà più musica o televisione?

La musica continua di sicuro, perché io scrivo di continuo (solo nell’ultimo periodo ho scritto una decina di canzoni), ma ho capito che mi piace fare televisione e mi piacerebbe mettermi alla prova come presentatrice.

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Nenzi

 

Nancy Elettrico, in arte Nenzi, 18 anni di Matera ha recentemente iniziato la sua carriera da cantautrice pubblicando su tutte le piattaforme streaming (YouTube, Spotify, Amazon Music etc…) il suo primo inedito, intitolato “3 gradi e mezzo”. Il progetto nasce dalla collaborazione del producer Raffaello D’Agostino (produttore, arrangiatore musicale) con la stessa Nancy Elettrico autrice compositiva di accordi e testo. Noi di Musica361 abbiamo intervistato la giovane artista che ci ha parlato di questa canzone autobiografica, in cui descrive se stessa in modo leggero e simpatico.

 

Ciao Nenzi, innanzitutto presentati ai nostri amici…

Ho 18 anni, sono di Matera e mi chiamo Nancy Elettrico, in arte Nenzi, ho lasciato il cognome perché mi rappresenta: sono una persona molto energica e solare, quindi è un cognome che mi si addice.

Sei di Matera: la provincia è un limite oppure ti dà gli stimoli giusti?

Ora sono davvero agli inizi e voglio farmi conoscere bene soprattutto nella mia regione e nella mia città, però un domani mi piacerebbe guardare la mia musica da un’altra prospettiva, ora la guardo dalla prospettiva di una ragazza di Matera che cerca di fare ascoltare la propria canzone…

Ti piacerebbe percorrere altre strade artistiche?

La recitazione mi piace tanto, ma ora studio al Conservatorio canto jazz, quindi vorrei iniziare a comporre qualcosa in questo ambito, ma sempre in forma moderna, perché voglio modernizzare questo linguaggio in modo che diventi più vicino ai giovani

“3 gradi e mezzo” è il tuo debutto, vuoi parlarcene?

Volevo fare un pezzo che parlasse di me, ma non in modo dettagliato, volevo usare molte metafore e farlo in modo ironico. È un riferimento alle lenti degli occhiali, parte tutto da quello; tutti mi chiedono quanti gradi ho e io rispondo: “3 gradi e mezzo a occhio” e la canzone fa proprio così aggiungendo “e ho tre ore di sonno”, perché andavo a letto tardi per l’idea di scrivere questo testo

Usi molto l’ironia, è la tua cifra stilistica?

Sì, assolutamente, tanto simpatica e tanto ironica, è un bene capire l’ironia e la uso in un modo semplice.

Come definiresti il tuo genere e quali sono i tuoi punti di riferimento?

Il mio genere è indie, per quanto riguarda i miei artisti di riferimento, mi piacciono davvero tanto Calcutta, Annalisa, poi amo Giorgia, amo Arisa, mentre del genere indie ascolto principalmente Calcutta e i Pinguini Tattici Nucleari.

Come è il tuo rapporto con i social?

Buono, ci tengo molto a mostrarmi sul mio profilo Instagram perché è un bigliettino da visita, posso essere interessante per qualcuno che vuole contattarmi e conoscermi come personaggio, quindi cerco di avere una cura del mio profilo in modo da avvantaggiare il mio percorso creativo.

Negli ultimi anni spopolano i talent, come li vedi?

Penso che siano un trampolino di lancio, anche se non sono solo queste le vie per arrivare alla popolarità, vorrei provare con Amici, che secondo me è il talent più difficile, ma non ora. Penso inoltre che siano anche utili i concorsi canori, all’inizio ti danno visibilità, impari ad affrontare un pubblico, a essere sciolto: è una palestra.

Progetti per il futuro?

Nei prossimi mesi uscirà una nuova canzone e sto registrando un videoclip, in generale nel 2024 voglio fare davvero tanta musica!

 

 

 

Acudo 1

“Io vivo”, l’intenso brano di Acudo, artista dal genere e dal nome personalissimi

Avere la fortuna di crescere con due genitori appassionati di musica che fin da piccolo ti fanno ascoltare mostri sacri come i Queen o Elton John oppure, tra gli italiani, gli 883 e Venditti, così è nata la grande passione di Acudo (che noi di Musica 361 abbiamo intervistato per l’uscita della sua canzone “Io vivo“), tutti artisti che gli hanno permesso di innamorarsi della musica fin da bambino per poi, con il passare degli anni, sviluppare dei gusti personali e apprezzare gruppi più alternativi come i Subsonica.

Ma qual è il genere di Musica che Acudo propone? È il cantante stesso a rivelarcelo: “Una musica un po’ più alternativa, più sull’elettronica, ma dalle melodie abbastanza orecchiabili: né troppo ricercata, né troppo commerciale. Il produttore che mi ha mixato il brano mi ha detto che è un genere che faccio solo io: in Italia questi tipi di brani non si sentono e questa cosa mi ha fatto molto piacere”.

Un tipo di musica particolare, come particolare è il suo nome d’arte: “Prendo spunto da Liberato: non si sa chi c’è dietro questo artista, a me piacerebbe tanto portare in giro la mia musica, non tanto far comparire me stesso, da qui la volontà di prendere un nome d’arte e non apparire in prima persona. Per il nome mi sono voluto ispirare a un personaggio di cui conosco la storia: il capo degli zingari spagnoli, Josè Acudo, che mi ha colpito molto perché un giorno ha capito che l’importante non erano i soldi, e ha cercato qualcosa che desse un senso alla sua vita, che poteva essere l’amore, o simili, ma non il riempirsi le tasche a scapito delle persone. Inoltre Acudo è un verbo spagnolo che significa “mi rivolgo”, quindi è anche un modo per parlare alle persone”.

Spunti interessanti offre anche la sua ultima canzone “Io vivo”, una canzone che “parla di un momento particolare della vita in cui per varie ragioni ci troviamo in un limbo da cui non riusciamo a uscire e rischiamo di rimanerci, eppure c’è una persona che ci sta al fianco, un amore che ci salva e ci fa uscire da quella situazione; però, come dico nell’ultimo verso della seconda strofa: ‘Tu mi hai aperto queste porte poi tocca a me trovare la forza e il coraggio di varcarle'”. Considerando che nel caso specifico si parla dell’amore nei confronti della propria moglie pensiamo che non ci sia dedica più bella.

Poco interessato a partecipare ai vari talent che imperversano oggigiorno, anche per la sua ricerca di massima discrezione, segue invece Sanremo perché “comunque è il Festival della canzone italiana, molti cantanti che partecipano io li seguo e da qualche anno anche grazie ad Amadeus c’è un modo più giovanile di condurre”. Acudo è molto impegnato a promuovere questo ultimo suo brano per cui ringrazia chi lo ha mixato (Andrea Ravasio e Gianluca Merenda) e i fotografi Enrico Duratorre e Mario Petrosino; forte anche di un nuovo contratto di distribuzione con la Neda Records è molto preso dalla realizzazione di altri pezzi, un grande impegno per poter dire un giorno “che di lavoro faccio quello che mi piace, perché a quel punto non è più un lavoro”.

 

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Stefano Cinti: trovare la bellezza nei luoghi più nascosti della natura 1

Interessante intervista con il cantautore romano che unisce la passione per la musica con quella per la natura

 

Stefano Cinti è un cantautore romano che ha scritto canzoni su diversi temi: dal razzismo alle migrazioni passando per il cambiamento climatico, le diseguaglianze sociali, la violenza di genere, gli stereotipi, le ipocrisie, le follie ma anche la bellezza della vita e del mondo in cui viviamo, con brani come ‘Io non sono razzista, ma…’ , ‘La fine del mondo’ e  ‘Preghiera in 4/4’. I suoi concerti sono dei piccoli spettacoli di musica e storytelling all’insegna della canzone d’autore, con sfumature pop, jazz, samba e world music, durante i quali coinvolge il pubblico con l’obiettivo di divertire e far riflettere. Il tutto con una buona dose di ironia…

Ciao Stefano, vuoi presentarti agli amici di Musica 361?

Sono un cantautore che cerca di unire la passione per la musica a quella per l’ambiente e per le tematiche sociali.

Parli di razzismo, di cambiamento climatico: i tuoi sono testi molto impegnati… 

Ho sempre cercato di dire quello che pensavo, di lanciare dei messaggi per contribuire a promuovere temi che ritengo siano rilevanti per tutti.

In ‘Io non sono razzista, ma…’, parli del razzismo…

Volevo parlare del pregiudizio senza definirlo ma descrivendolo indirettamente attraverso alcune frasi che ho raccolto negli anni. Il pregiudizio è parte di un meccanismo di allerta che appartiene alla nostra specie e che ci ha permesso di sopravvivere quando eravamo ‘cacciatori-raccoglitori’. Ritengo che sia un meccanismo controproducente per la società moderna nella quale è invece fondamentale l’interazione tra gli individui, la reciproca fiducia e la solidarietà, per perseguire obiettivi comuni. Questo tema l’ho sviluppato nel mio ultimo pezzo che è  “Preghiera in 4/4 “ . Non giova a nessuno avere pregiudizi, soprattutto in una società che diventerà sempre più multiculturale e multietnica.

Hai trattato anche il tema del cambiamento climatico, a chi lo nega cosa rispondi?

Credo che chi nega il cambiamento climatico lo faccia per interessi personali o di gruppo oppure per mancanza di conoscenza. Viviamo in un mondo complesso e in cambiamento continuo e credo che sia necessario sviluppare e diffondere la cultura scientifica con l’educazione e la formazione. E’ importante inoltre che la classe politica sia preparata ed in grado di far fronte alla sfide che ci attendono; i politici dovrebbe secondo me avere competenze e sensibilità diverse. Mi piacerebbe che a scegliere il nostro futuro fossero non solo gli economisti o gli avvocati ma anche persone che si intendono di piante, di animali, di sistemi complessi (sociali, climatici e ambientali), i filosofi, gli psicologi, artisti etc.

I tuoi sono testi molto impegnati come quelli dei cantautori classici, sono la tua ispirazione?

Ho cominciato a scrivere dopo avere sentito alla radio ‘La canzone del sole’ di Lucio Battisti; il suo modo di cantare, la ritmica, la modernità dei cori, queste cose mi hanno influenzato tantissimo. Prima ancora di Battisti ascoltavo il rock progressivo, ero fan degli Yes, dei Weather Report, poi sono approdato anche al jazz. Oggi mi interessano cantautori come Niccolò Fabi, Tricarico, Caparezza e ascolto sempre con piacere anche classici come Venditti e Dalla.

A proposito dei giovani, che fine ha fatto l’impegno sociale? E come vedi la trap?

E’ un genere che non mi piace, però credo sia riduttivo giudicare negativamente i giovani che la fanno o che la ascoltano. La violenza ha ben altre origini. La trap, l’uso dell’auto-Tune, sono conseguenze del tempo in cui viviamo così come lo era il Bebop negli anni quaranta.

Canti anche la bellezza della vita, in cosa si può riscontrare?

Sicuramente nella natura, nelle sue forme più nascoste. Ho iniziato l’attività professionale osservando il mondo al microscopio: le cose più piccole, difficili da vedere ad occhio nudo, nascondono spesso meraviglie.

Usi spesso l’ironia…

Non bisogna prendersi troppo sul serio. Ogni giorno vengono pubblicati circa 200 mila brani inediti su Spotify… Prima di me su questo pianeta sono esistite circa 100 miliardi di persone…Voglio dire, facciamo le cose in cui crediamo e mettiamoci un po’ di ironia.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Continuare con la mia attivita’ artistica e di impegno ambientale e sociale. “Preghiera in 4/4” e’ in promozione ed ho in progetto un nuovo album. Dopo circa venti anni passati all’estero mi sono trasferito da qualche settimana in Salento e sto cercando nuove collaborazioni.

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È uscito VIP l’ultimo brano del cantante italo-tedesco

Rodii è un artista emergente, nato e cresciuto in Germania da genitori italiani, che crede fortemente nella creatività e nell’autenticità. Noi di Musica361 lo abbiamo intervistato dopo l’uscita del suo ultimo brano “VIP”, dedicato alla sua anima gemella, la donna che ha sposato e che è diventata la sua Regina.

 

Ciao Rodii, vuoi presentarti agli amici di Musica361?

Sì, sono Rodii e volevo innanzitutto salutare tutti gli amici di Musica361, sono nato e cresciuto in Germania dove vivo tuttora e dove i miei genitori si erano trasferiti negli anni ’80: mio madre è di Pescara e mio padre di un paesino vicino a Potenza, Calvello.

Sei italiano di origine, ma nato in Germania, hai avuto problemi di integrazione?

No, problemi non ne ho avuti mai. I primi anni ho parlato solo italiano, perché i miei genitori parlavano poco il tedesco e poi quando sono andato a scuola ho imparato il tedesco, che adesso parlo molto meglio dell’italiano, ma sono spesso anche in Italia, ad esempio a Palermo, dove vive mia sorella.

Sei anche presente su Instagram, ti senti molto social?

A me piace di più esprimermi attraverso la musica. Sono sui social, ma a me piace fare musica, che è il mio mondo e anche il mio hobby.

Da dove viene il tuo soprannome?

Non ha un’origine particolare, i miei amici mi chiamavano così: è nato così, spontaneamente.

Come definiresti il tuo genere?

Non c’è un genere in particolare, va dall’afro-pop al reggaeton, passando per il Pop e l’RNB. Arriveranno poi canzoni che vanno più verso l’house pop: a seconda di come mi sento, così produco le mie canzoni.

Quali sono gli artisti di riferimento?

In Italia c’è sicuramente Sfera Ebbasta che ha fatto un po’ di canzoni che a me piacevano molto, anche insieme a J. Balvin, tra gli americani Justin Bieber e Drake.

Il tuo ultimo pezzo è “Vip” che celebra una donna dal fascino irresistibile…

È nato pensando a mia moglie con cui mi sono sposato quest’anno, è l’anima gemella e spesso anche nelle mie canzoni parlo di lei, dei sentimenti che suscita e di come la vedo, di cosa mi piace di lei… e VIP è un esempio di tutto questo.

Cosa ne pensi dei talent?

La musica per me è un hobby, io lavoro in Germania in un altro campo, ho un lavoro fisso e quindi per me è difficile partecipare a programmi come The Voice. In generale possiamo dire che io faccio musica per me stesso, quindi non è che non vorrei andare ad un talent, ma non ho il tempo…

Prossimi progetti?

Non ho un progetto particolare, voglio continuare e fare musica e metterla online collaborando anche con altri artisti. Non amo fare troppi progetti, sono una persona che si mette a lavorare e poi si vede quello che succede…

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È uscito il terzo album del cantautore

 

Fioramante è un cantautore polistrumentista classe ’89, dopo gli album “Ogni cosa è lì, esattamente dove deve stare” e “PULP”, che gli hanno permesso di essere notato nel panorama indie italiano, esce ora Overdrive che fa rinascere il rock a cavallo tra gli anni ’90 e i duemila ritornando alla vecchia formazione chitarra/basso e batteria fondendolo al cantautorato moderno. I temi affrontati passano dalla quotidianità di un amore duraturo al disagio dei temi sociali odierni.

Da poco è uscito il tuo ultimo lavoro Overdrive, vuoi parlarcene?

Era da tanto che volevo fare un album del genere, ma non avevo mai lo spazio e le capacità tecniche per registrami; è una jam session che ho fatto con me stesso, siccome so suonare la batteria, il basso, la chitarra e le tastiere, volevo suonare tutti questi strumenti divertendomi e sono riuscito a creare delle basi, così nel giro di 6 mesi ho fatto questo disco che si chiama in questo modo sia per gli argomenti trattati sia perché ci sono le chitarre distorte: è la prima volta che faccio un po’ di rock.

Ti rifai al rock degli anni ’90, ma i tuoi punti di riferimento quali sono?

Sono quelli con cui sono cresciuto, mi è tornata una voglia smodata di riascoltarli: Red Hot Chili Peppers, Incubus, Foo Fighters, Nirvana, per me è l’ultimo sprazzo di rock figo, quello tra gli anni ’90 e i duemila, anche perché la musica attuale non mi soddisfa, troppe cose digitali, ho voglia di ascoltare un po’ di musica “sporca” e l’ho fatta io.

L’indie e il rock sembrano mondi distanti ma tu li hai uniti…

L’indie inizialmente era pieno di rock, di punk, di tutti i generi musicali, era pieno di gente che faceva musica indipendente, erano da soli e nessuno poteva indirizzarli e uscivano cose un po’ particolari, un po’ diverse dal solito.

“Overdrive è sia il disagio che affligge la vita che la forza che ci vuole per affrontarla”, come hai scritto tu, ma questo disagio da dove deriva?

Nei miei testi emerge il tema del “troppo” al giorno d’oggi, nel senso che siamo troppi nel mondo, che vogliamo troppo, che ci chiedono troppo e ho usato “overdrive”, un termine inglese, per spiegarlo, ad esempio nella canzone Samurai, il troppo sono gli ostacoli nei rapporti di coppia e parlo di come superare questi ostacoli dopo 5 anni di rapporto. Per questo, come ho scritto, l’overdrive è sia il disagio della vita sia la forza contraria che ci vuole per affrontarla.

Questo album viene dopo “Ogni cosa è lì, esattamente dove deve stare” e “PULP”, ci sono delle differenze o c’è una linea di continuità?

Li ho scritti e arrangiati io, quindi si sente che la penna è quella, per la costruzione delle melodie si sente tanto che sono sempre io a scrivere, ma dal punto di vista formale nel primo si sentono suoni molto minimali, in PULP troverai invece i suoni synth pop anni ’80 e ’90, mentre in Overdrive, senti le distorsioni, tanta musica suonata, tanti special, tanti assoli.

Il brano “Chi sono stato e chi non sono ancora” è un bilancio esistenziale?

È un punto di transizione: il futuro cosa mi riserva? Con la canzone “Vortice” do coraggio a me stesso per affrontare questo futuro sempre più incerto insieme alla persona che mi sta a fianco, alla famiglia, agli amici.

Dal punto di vista professionale, come vedi i vari Talent?

Non mi piacciono, sono molto contrario e penso che siano arrivati alla loro coda finale, sono per la cara vecchia gavetta, secondo me uno deve divertirsi nei garage con gli amici, andare nei locali con dieci persone, che poi diventano cinquanta, piano piano cresce e intanto impara a gestire tutto: l’arte, se stesso, se stesso con gli altri.

I prossimi progetti quali sono?

Stiamo montando il video nuovo di “Vortice” che è una figata assurda e pensavo di farlo uscire a gennaio e poi a partire da febbraio vorrei iniziare a suonare in giro come si faceva un tempo.

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È uscito il nuovo singolo del giovane trapper

Young Tommy è un giovane trapper che combina il proprio genere con la linea cantautorale, recentemente è uscito il suo ultimo singolo “Cadere all’indietro”, di cui ha parlato a Musica 361.

Ciao Tommaso, è uscito il tuo ultimo singolo “Cadere all’indietro”, vuoi parlarcene?

Certo, il mio nuovo brano è parte di un mio nuovo progetto che abbiamo iniziato da “Perso”, il brano precedente e segna un nuovo inizio per la mia musica perché lavorando con Tommaso Petrò e Francesco Terrana abbiamo deciso di sperimentare un nuovo sound rispetto a quello che facevo prima, mantenendo il mio bagaglio artistico urban rap, però tramutandolo in qualcosa di più cantautorale.

Il testo riflette su una lotta interiore e una mancanza di connessione con gli altri, noti questo tra i giovani della tua età? Forse la colpa è anche di internet e dei social che tolgono il contatto con la realtà?

Nei social si vede forse troppo, quindi uno desidera sempre di più, quando alla fine basterebbe cercare di connettersi con gli altri per essere appagati. A volte ci si sente di “cadere all’indietro”, appunto, perché non si riesce di fare questa connessione.

Dici: “Non so se è colpa mia o dell’odio che mi porto dentro”, parli anche di una tipica rabbia giovanile? Come va stemperata?

Sicuramente, la noto nei giovani della mia generazione, o di quella successiva, io ho 25 anni e sono a metà tra un mondo giovanile e uno più adulto. Può essere stemperata con l’arte, con la musica, ma anche cercando l’unicità, più che uniformarsi agli altri guardare dentro se stessi e capire qual è la propria unicità e quali sono le cose che ti rendono unico, invece di fare qualcosa solo per farlo vedere agli altri.

“Cadere all’indietro” è il secondo singolo del tuo progetto, il precedente era “Perso”: sono titoli un po’ pessimisti, c’è spazio per una nota positiva, vedi qualcosa di buono nella realtà che ti circonda?

Sì, forse sono brani che ho elaborato in un determinato momento in cui ero di quell’umore, ora cerco di apprezzare sia me che la realtà che ci circonda, scriverò qualcosa che dia una speranza, anche se io una speranza la do’ sempre, ad esempio in “Perso” il ritornello diceva: ‘Ho perso, ma ho trovato un posto sicuro in me’, ho perso, ma perdendo ho capito chi sono, quindi cerco sempre di darla una speranza.

Sei un giovane rapper e un rappresentante della Trap in Italia, questo genere è nell’occhio del ciclone per la crudezza dei suoi testi, cosa ne pensi?

È sempre stata così, ma prima era un po’ più di nicchia, adesso che è per tutti è diventata pericolosa. Si sa invece che la trap è anche un genere ironico, ma se non hai riferimenti scambi la realtà per la finzione, il problema è che molti ragazzi oggigiorno non hanno educazione e magari si scambia la realtà con la finzione.

Ti sei avvicinato al rap con i Club Dogo e Asap Rocky, altri cantanti di riferimento?

Sì, da piccolo ascoltavo questi artisti, ma non li emulavo, era una valvola di sfogo. Poi mi sono avvicinato a cantautori sempre di base urban e rap, ma un po’ più melodici. Adesso seguo molti artisti emergenti americani o francesi, come Brakence e Post Malone.

Sei napoletano, che rapporto hai con la tua tradizione?

Un rapporto di amore e odio, ho collaborato con molti artisti napoletani, io ascolto gli artisti che cantano in napoletano, ma preferisco cantare in lingua. In futuro ci potrà essere un inserto in dialetto, ma sempre all’interno di un brano in italiano.

Progetti per il futuro?

Abbiamo tantissima roba “in cantiere”, recentemente c’è stato il mio primo singolo entrato in Spotify, vogliamo continuare a fare singoli emotional, perché mi vengono spontanei senza dover forzare la mia scrittura e appena possibile vorrei con tutto il cuore fare un album.

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Il cantante della prima band che unisce l’Heavy metal con la tradizione sarda ci parla del singolo Borderline

 

AJO

Il nome della band è AJO mentre quello dei componenti deve rimanere segreto, almeno per adesso; non è la prima band mascherata, ma sicuramente è la prima band che ha unito l’Heavy metal con le maschere sarde con un risultato di grande impatto visivo. Abbiamo intervistato il cantante che ci ha parlato, tra l’altro, dell’ultimo singolo Borderline.

 

Siamo con il cantante del gruppo AJO, vuoi presentarti agli amici di Musica 361?

Questa è una band che omaggia due cose in particolare: la Sardegna e la musica che ci ha introdotto al Metal da ragazzini. Il progetto è nato perché abbiamo visto che il materiale era tanto, e ci dispiaceva lasciarlo perdere, abbiamo avuti tutti altre band e proveniamo tutti dal metal estremo, qui abbiamo deciso di mettere meno note e più armonia, più melodia, abbiamo cercato di creare qualcosa di più musicale, non sempre  “tappeti di cassa” a 250/280. Una parte della band aveva fatto un “rodaggio” insieme tanti anni fa, altri si sono aggiunti strada facendo. Abbiamo avuti tutti il nostro percorso musicale partendo dalla Provincia del Medio Campidano in Sardegna. Abbiamo girato tutta la Sardegna suonando, poi c’è chi ha avuto esperienze nel resto d’Italia, chi all’estero. Con le rispettive band abbiamo anche suonato in apertura di gruppi di risonanza mondiale.

Il vostro è sicuramente un gruppo molto originale, da cosa nasce l’idea di fondere insieme tradizione sarda e musica Heavy metal?

L’idea è nata principalmente dal fatto che stiamo invecchiando (ride), quindi ho detto: ‘Prima di andare in pensione tiriamo fuori ‘sto progetto che esiste da un sacco di anni’. Perché questo progetto l’avevo ideato io nel 2008, l’inizio effettivo della band è del 2015 con materiale che esisteva già dal 2008. Una delle cose più belle è stata la lentezza che ha fatto sì che si creasse tutto. Scrivevo nei ritagli di tempo, poi quando il materiale è diventato sufficiente abbiamo deciso di completare la formazione ed è venuto fuori ciò che è venuto fuori.

Non siete la prima band mascherata della storia, ma sentire schitarrate con le maschere sarde è strano…

Abbiamo questo amore per la nostra Terra che ci porta a renderle omaggio e qual è il modo migliore per rendere omaggio alla Sardegna? Abbiamo le maschere tradizionali, questo è il modo migliore per far vedere la Sardegna in un concerto o in un contenuto online, l’occhio cade lì, le persone si chiedono: ‘Che maschere sono?’. A differenza di altre band mascherate, queste sono maschere realmente esistenti e quelle che vedete nel video sono state create da noi. Abbiamo visto che con l’identità nascosta possiamo muoverci meglio a livello mediatico e organizzativo, nessuno sa di questo progetto, pensa che il percussionista lo ha detto solo due settimane fa alla fidanzata!

Il vostro ultimo singolo è Borderline, volete parlarcene?

Borderline è un brano che è stato scritto nel 2018, la musica ha nove anni, è un materiale che si è generato da solo, perché non c’era fretta, non c’erano obblighi. Molto diverso dal primo brano che è Mockstar, e il prossimo che è in uscita è ancora diverso. Con questi tre brani fuori si avrà la possibilità di capire un po’ a 360 gradi quello che sarà il nostro progetto nel futuro a livello di stile.

Il vostro genere è ben chiaro, ma quali sono in particolare i vostri artisti di riferimento?

Mushroomhead, Limp Bizkit, Slipknot, e altri, abbiamo un sacco di punti di riferimento…

Il vostro genere è molto difficile, soprattutto in Italia…

Sì, un genere di nicchia, non potrai mai competere con chi fa pop o, per quanto mi può far male il cuore dire questa cosa, con chi fa cover.

I Maneskin sono italiani che hanno portato il rock in cima alle classifiche di tutto il mondo, ma hanno ricevuto anche delle critiche, voi cosa ne pensate?

Per chi suona sarebbe un sogno fare quello che fanno loro, quindi cosa si può dire su questi ragazzi, che tra l’altro sono giovanissimi: un ventenne che arriva a quei risultati merita tanto di cappello, può piacere o non piacere, ma è da stringergli la mano e basta.

Progetti futuri?

Sono arrivate delle proposte interessanti, stiamo cercando di capire come sfruttare questa cosa al meglio, rimanendo con i piedi per terra perché è nata come passione e continuiamo a portarla avanti come tale.

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La compositrice argentina ci racconta il suo tentativo di far diventare la musica classica alla portata di tutti

Camila Fawape 1

La compositrice e produttrice argentina Camila Fawape ha parlato a noi di Musica 361 del suo nuovo album, “Eros”, uscito il 3 dicembre su tutte le piattaforme digitali. “EROS” esplora le varie emozioni legate all’amore, questa nuova produzione è una fusione esperimentale tra la musica classica e l’elettronica con un landscape cinematografico, due mondi sonori che si intrecciano in modo perfetto “facendo l’amore”. Un album che è tanto una riflessione sulle complesse realtà dell’amore quanto un esempio di innovazione musicale…

 

Ciao Camila, tu sei argentina, quanto ha influito questo nella tua formazione? 

Sono cresciuta lì, lì ci sono le mie radici, il tango viene da Buenos Aires, la capitale dell’Argentina, mentre io sono nata a Rosario nella provincia di Santa Fe, una  città grande, con più di un milione di abitanti, dove si ascolta la musica folclorica, mentre il tango l’ho conosciuto grazie a mia nonna che era di Buenos Aires, è stato un bel mix di questi due ritmi argentini, per me una grande fortuna: ho studiato composizione classica e portare questi ritmi nella composizione classica è una cosa unica, in Europa non ci sono, ci sono altri ritmi ma questo è tipico argentino

Da 10 anni sei a Milano, come stai in Italia? Come ti trovi a Milano anche alla luce delle recenti polemiche sulla sicurezza? 

Io sono venuta a Milano 10 anni fa quando ho terminato l’Università, sono venuta a fare un Master in colonne sonore; essendo argentina posso dire che anche se Milano adesso è un po’ più insicura non è paragonabile a Rosario: io qua mi sento sicurissima, ero venuta per studiare e poi mi sono fermata definitivamente, è una città che offre tanto ed è anche comoda: prendi un volo e sei a Berlino o a Madrid.

Il 3 dicembre è uscito il tuo album Eros, una fusione di musica classica ed elettronica, qualcuno potrebbe storcere il naso perché potrebbe pensare che sono due mondi inconciliabili…

Infatti, ma io li voglio unire. Guarda, a Milano ci sono tanti concerti gratuiti di musica classica, ma io vedo che la gente che va sono soprattutto persone mature, dai 60 anni in su, la gente giovane manca, poi ho pensato che qui a Milano va tantissimo la musica elettronica (che inizialmente non mi piaceva, ho iniziato ad apprezzarla in Italia), la musica classica invece è un po’ d’elite. Il mio obiettivo principale è quello di fare un’orchestrazione più pop, orecchiabile, facile da ascoltare per tutti. L’album sarà odiato dai puristi della musica classica e di quella elettronica, perché è una via di mezzo.

Eros è anche in parte autobiografico? 

Sì, soprattutto il brano Beba è molto personale e anche molto vicino alle mie radici, si sente una fisarmonica come se fosse il bandoneon di un tango, l’ho scritto per la mia ragazza che è arrivata nel periodo in cui stavo facendo il brano e poi lo abbiamo sviluppato insieme. È molto argentino il brano, anche la mia ragazza è argentina e ha ritmi argentini!

Parli dell’amore in senso lato, anche dell’amore per se stessi? 

Esatto, ogni brano racconta uno stato diverso dell’amore. L’eros è dolce e amaro e io la penso così: che l’amore è una cosa bella, ma che può portare anche sofferenza, l’amore può avere infinite facce, nel mio album ce ne sono sette.

Hai qualche punto di riferimento artistico? 

Mozart, Chopin, Ravel e soprattutto Piazzolla, quello che lui ha fatto con il tango io cerco di farlo con la musica classica e l’elettronica, lui ha fatto un tango in una maniera orchestrale, accademica, quando a Buenos Aires ha presentato le sue opere lo hanno massacrato, lo volevano cacciare via dal Paese. Per quanto riguarda le colonne sonore mi piace John Williams, che per me è il “King” e mi piace molto anche Ennio Morricone. quello delle colonne sonore è tutto un mondo, perché ti puoi ispirare a vari artisti: da Taylor Swift a Piazzolla.

Per terminare quali sono i progetti futuri…

Adesso sono molto impegnata a presentare l’album, ma successivamente la mia idea è quella di fare un volume due di questo lavoro: tutti i brani remixati.

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L’artista romano ha parlato a noi di Musica 361 del suo progetto solista dopo l’esperienza di cantante in vari gruppi

Massi Farina  1
Foto: Ufficio Stampa

Parole semplici e concetti diretti, in questo modo si esprime Massi Farina che scrive senza troppi fronzoli, utilizzando sia l’italiano che il dialetto romanesco, come lui stesso conferma: <<Io utilizzo parole e concetti molto semplici, magari parlando anche di cose delicate perché il mio intento è di arrivare alla gente comune senza troppi giri di parole>>.

La passione per la scrittura e per il canto nascono quasi contemporaneamente. Nel 2005-2015 è il cantante del duo DigitalSoundParadise (DSP), dal 2016 cantante de “Le AnimeNote”, e nel 2018-2020 uno dei cantanti della Band “La Cricca dell’orma”. Ora ci presenta la sua ultima fatica artistica portando avanti il suo progetto solista: <<Avevo delle cose mie che volevo realizzare, erano nel ‘cassetto’, durante il lockdown ho pensato molto a queste cose e mi sono focalizzato su quello che volevo fare nel futuro>>.

Il tao, la dualità di ognuno di noi. Il bene e il male. L’angelo nero e la sua corrispondenza umana. Il nuovo saggio è tutto questo: <<Quando ho scritto questo testo ho pensato a quanto siamo deboli e quanto siamo influenzati anche dal male che esiste ed è intorno a noi. Ho pensato anche alla dualità del tao e di quanto ognuno di noi sia influenzato da una parte positiva e da una parte negativa e partendo da questo concetto mi sono messo a nudo, perché ho parlato anche delle mie problematiche, dei problemi che ho avuto con mio fratello che nel video è rappresentato da un’altra parte di me: l’angelo è anche il nostro cambiamento le nostre trasformazioni>>. Il video del brano è particolarmente suggestivo, cita grandi capolavori del cinema come Il settimo sigillo di Bergman o Il cielo sopra Berlino di Wenders (la regia è di Alessandro Di Carlo, Paco Rianna è il direttore della fotografia, mentre il brano è arrangiato e suonato da Francesco Finori; Mix e Master Simone Coen).

Anche se viene dal rap, Massimiliano non è legato a un genere in particolare, tra le sue influenze si spazia dalla classica all’Heavy Metal, per quanto riguarda i cantanti che lo hanno ispirato si contano Vasco, Litfiba, Negrita, Antonello Venditti, Renato Zero e non poteva mancare Franco Califano, dato che Massi Farina è stato due volte finalista al premio Califano (<<Califano è un riferimento per tutti noi romani, non puoi non subirne le influenze>>).

Per quanto riguarda le tematiche ha decisamente scelto l’impegno, come dimostra anche la canzone “Che è rimasto de loro”, dedicata ai giudici Falcone e Borsellino: <<Non sto facendo uscire canzoni d’amore perché ce ne sono troppe e, senza nulla togliere alle canzoni d’amore che sono bellissime e ci fanno sognare, in questo periodo storico però voglio parlare d’altro: è un periodo molto, molto drammatico, nel video precedente (“Riaccendete i riflettori”) ad esempio ho parlato di Amatrice>>.

Ogni canzone è un mondo a sé, ogni canzone è una storia da ascoltare. Massi Farina è un cantautore e sognatore che per ogni brano ci regala una copertina artistica realizzata dal Maestro Paco Rianna e un quadro dell’artista Barbara Maresti e mentre sta preparando il prossimo video, (non ci ha potuto dire molto ma sappiamo solo che è in cerca di un circo per la location…), ci ha rivelato i prossimi impegnativi progetti: un vinile e, per la seconda metà del 2024, l’intento di portare in giro la sua musica.

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