In concerto il 14 luglio al Castello Sforzesco

Goran Bregovic

Goran Bregović, musicista e compositore balcanico tra i più celebri al mondo nato a Sarajevo il 22 marzo del 1950, sarà in concerto al Castello Sforzesco il 14 luglio 2023,  affiancato dalla sua Wedding and Funeral Band – trombe, tromboni, grancassa, clarinetto, sassofono e voci bulgare – il cui virtuosismo ci ricorda che nei Balcani la musica è suonata in versione “turbo folk”.

Capaci di riuscire nella missione impossibile di fondere le armonie della vocalità bulgara, le sonorità del folklore slavo, la polifonia sacra ortodossa e le pulsazioni del rock moderno, questi strumentisti cresciuti nella tradizione gitana portano in scena un melting pot di stili e generi che spingerà il pubblico verso una dolce trance collettiva.

Lo show che Goran Bregović porterà sul palco sarà un mix dei suoi storici successi e brani tratti dai suoi album più recenti, e non mancherà qualche anticipazione sul nuovo progetto che uscirà a breve. Uno spettacolo completo, pieno, forte e divertente che ancora una volta regalerà al pubblico italiano un’esperienza live carica di energia e dinamismo: un concerto.

THE WEDDING AND FUNERAL BAND:

GORAN BREGOVIC: Chitarra, Sintetizzatore, VoceUNA BAND GITANA DI FIATI: Muharem Redžepi – Goc (Grancassa tradizionale), Voce Bokan Stankovic – Prima TrombaDragic Velickovic – Seconda TrombaStojan Dimov – Sax, ClarinetAleksandar Rajkovic – primo Trombone, GlockenspielMilos Mihajlovic – Secondo Trombone

VOCI BULGARE

Ludmila Radkova Trajkova – VoceDaniela Radkova -Aleksandrova – Voce

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Kimono ci parla della sua esperienza personale

Sofia Tornambene

“Un video reverse che rappresenta come, grazie alla musica, riesco ad esorcizzare le mie paure ed uscire dai momenti di difficoltà”, con queste parole Sofia Tornambene, in arte Kimono presenta il video di Tempesta, il suo ultimo brano che parla di un periodo molto difficile della sua vita che è riuscita a superare brillantemente grazie alla musica, arte che le ha permesso di andare oltre la sua naturale timidezza fino a partecipare (e vincere) a un talent prestigioso come X Factor, proprio come ha confidato a noi di Musica 361.

Ciao Sofia, “Tempesta” è un titolo molto evocativo: è la tua tempesta personale?’

Tempesta è il brano più autobiografico che ho scritto fino ad ora e rispecchia esattamente questo periodo della vita che sto vivendo, è un pezzo nato per necessità, terapeutico dopo un periodo difficile con tanti cambiamenti. Durante un momento di mio malessere volevo semplicemente sfogarmi e quindi mi sono messa al pianoforte e ho buttato fuori tutto quello che sentivo nella mia testa. La nostra mente ci porta a stare o troppo nel passato o troppo nel futuro creandoci questo malessere, questo senso di ansia che abbiamo anche paura di esternare. Penso che la crescita di una persona duri tutta una vita, ma per me è importante parlarne e condividerlo con le persone ci fanno stare bene.

Nella canzone ti rivolgi a un tu generico, o specifico?

In quel caso mi riferisco a una persona in particolare, una persona importante della mia vita, ma in generale intendo quella persona che per te ci sarà sempre, quella persona che ti fa sempre stare bene.

A un certo punto dici: “Ti ricordi come era bello nella tempesta…”, quindi c’è anche un aspetto positivo?

Per tempesta si intende questo momento di malessere, un frangente che però ci fa crescere: sono difficoltà che ci fanno maturare, una sorta di lezione di vita…

Hai vinto la 13° stagione di X Factor, cosa ricordi di quella emozione e che peso ha avuto in questa Tempesta?

X Factor è stata un’esperienza indimenticabile che mi porterò per sempre nel cuore e mi ha dato la possibilità di mettermi alla prova. Eravamo in questo loft da soli, lontano dalla famiglia senza nessun contatto con il mondo esterno e avevamo sempre delle giornate abbastanza piene tra prove, trucco, “parrucco”; confrontarsi con altri artisti ed esibirsi con cantanti molto importanti come Tiziano Ferro o Robbie Williams ti dava delle emozioni molto intense e dal punto di vista umano e professionale sono cresciuta molto, da lì la mia vita è stata stravolta.

Il tuo soprannome, Kimono, fa riferimento al karate, i suoi principi ti guidano anche nella vita di tutti i giorni?

Sì, assolutamente, se non avessi fatto karate non sarei riuscita a fare X Factor, mi ha aiutato moltissimo a formare il mio carattere a superare la timidezza. Più che uno sport è una scuola che ti dà tantissimi ideali.

Hai iniziato giovanissima, come definiresti il tuo genere e quali sono i cantanti che ti ispirano?

Sono figlia d’arte, mio padre è pianista jazz, una volta a tre anni durante un suo concerto gli ho detto che avevo imparato una canzone di Nicola Arigliano “Marilù” e gli ho chiesto se potevo cantarla, da lì ho iniziato a prendere lezioni di canto, poi di chitarra e pianoforte e poi ho iniziato a scrivere i miei primi testi e sono diventata una cantautrice. Per quanto riguarda gli artisti ai quali mi ispiro, sicuramente i miei due “pilastri” sono Freddie Mercury e Michael Jackson, ma amo tutta la musica e non escludo nessun genere: ho ascoltato musica classica, musica jazz, anni ’70 e tra i più recenti The Weeknd, Justin Bieber e Billie Eilish.

Ora ci puoi dire qualche progetto per il futuro?

Abbiamo finalmente annunciato un po’ di date live: 26/05/23 – Ortezzano (FM), 01/07/23 – Morrovalle (MC), 04/07/23 – Cecina (LI), 15/07/23 – Montegranaro (FM), 18/07/23 – Piombino (LI), 30/07/23 – Porto Potenza Picena (MC), eventi dal vivo per questa estate che è la parte che mi mancava di più, perché stare a contatto con il pubblico è come l’ossigeno e sempre in estate uscirà nuova musica, ma non posso dire troppo…

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Disponibile in esclusiva a partire dal 30 maggio 2023

ULTIMO - ULTIMO - VIVO COI SOGNI APPESI" IL DOCUFILM DAL 30 MAGGIO IN ESCLUSIVA SU PRIME VIDE

Autore e musicista, Ultimo, è un artista unico e la sua è una carriera eccezionale. Dal suo debutto, infatti, in soli quattro anni, ha già conquistato 59 dischi di platino e 19 dischi d’oro ed è il più giovane artista italiano ad aver intrapreso un tour negli stadi, radunando più di 600mila spettatori.

Ultimo – Vivo coi sogni appesi è un suggestivo viaggio lungo 15 stadi nella vita di Ultimo, il grande cantautore dei record, e per la prima volta offre un inedito punto di vista sulla sua vita da sempre estranea alla narrazione mediatica. L’infanzia segnata dal viscerale bisogno di fare musica, la smodata voglia di esprimere se stesso raccontando emozioni, la rete affettiva della famiglia e degli amici di sempre, che dai palleggi al parchetto dietro casa lo accompagnano fino a un San Siro dove ancora rimbombano le urla del pubblico dopo l’ultima data del tour. Per la prima volta c’è tanto di lui, della vertiginosa ascesa che lo ha portato – in pochissimo tempo – dai club agli stadi, lo stop forzato a causa della pandemia e quel tour che sembrava allontanarsi ogni giorno di più. Ultimo – Vivo coi sogni appesi accende i riflettori sulle emozioni che hanno accompagnato il tanto agognato momento del ritorno sul palco.

L’incredibile carriera di Niccolò è frutto di talento, tenacia, determinazione, sacrificio, e grande lavoro. Ultimo – Vivo coi sogni appesi è la storia autentica e appassionata di un vero e proprio fenomeno della scena musicale italiana, capace d’imporsi ai massimi livelli pur prendendo le distanze dai trend imposti dall’industria: “Perché ad essere ultimi non sempre si perde”. Il docufilm è prodotto da Think Cattleya in collaborazione con Maestro e la regia è a cura dei Broga’s.

 

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Una cantautrice giovane ma saggia e con le idee molto chiare…

Ester Cesile

 

Abbiamo intervistato Ester Cesile, una cantautrice italiana giovane ma con una grande consapevolezza che nel 2020 ha pubblicato il suo primo EP “Scrivo di te” e nel 2022 il suo primo album “Cento Lettere” realizzati entrambi presso il Purple Mix Studio. Nel Novembre 2022 pubblica “Ragazza Triste”, il primo singolo, che anticipa il nuovo Album. Ester come cantautrice sembra desiderare che le sue canzoni, che lei definisce lettere d’amore, vengano lette e ascoltate come confessioni che parlano in modo intimo, vero e consapevole di quelli che sono stati e sono i suoi sentimenti.

Sei una studentessa di lettere, quanto ti ha aiutato questo nella composizione dei testi?

Mi ha aiutato molto perché tutte le storie che studio e leggo influiscono sulle mie idee, sui miei pensieri e quindi automaticamente le riporto nei miei testi. Studiando la letteratura italiana, quella inglese e quella francese ho potuto vedere come il sentimento dell’amore sia infine uguale anche se cambia il secolo, l’ambiente e la cultura.

La gente si lamenta che non si scrivono più lettere d’amore, tu vorresti che proprio così siano interpretate le tue canzoni…

Sì e proprio da questo nasce il titolo “Cento Lettere”: ormai viviamo in una società fluida abituati ad avere tutto e subito e nessuno si impegna più a scrivere una lettera, a cercare le parole giuste, mi piaceva quindi il concetto che le lettere potessero rendere immortale l’amore e poi soprattutto l’idea di dare una valenza poetica alle mie canzoni.

Il tuo ultimo album si intitola “Ragazza triste”, vuoi parlarcene?

Sì, è un singolo che viene pubblicato dopo l’uscita dell’album “Cento Lettere”, mentre in quest’ultimo lavoro ho avuto una visione dell’amore molto romantica,  in “Ragazza triste” questa visione cambia perché c’è il passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta e quindi ho una visione dell’amore più consapevole: ho rivissuto i miei ricordi cercando di capire quelle che sono state le cose giuste e quelle sbagliate.

Come affronti i tuoi momenti di tristezza?

Io vedo la tristezza non come qualcosa di negativo, ma di positivo, perché dal momento in cui prendiamo consapevolezza della nostra tristezza sappiamo quello che non vogliamo più nella nostra vita e quindi cerchiamo di migliorarci, come se la tristezza ci aiutasse a crescere.

Le tue canzoni sono confessioni che parlano in modo intimo, come vedi i rapporti sentimentali nei ragazzi della tua età?

Come dicevo prima, vivendo in una società liquida, abbiamo perso un po’ l’idea del “per sempre”, pensiamo che l’amore che verrà dopo sarà migliore dell’amore che stiamo vivendo adesso, come se la prospettiva di un nuovo amore potesse darci felicità, dal mio punto di vista l’amore è rispetto e costruzione insieme all’altro.

Ora un grande classico: segui Sanremo? Ti piacerebbe partecipare?

Fin da piccolina seguo il Festival ed è un mio sogno quello di partecipare, ma ora sto lavorando a un progetto discografico che mi faccia quasi da mantello, in modo che io possa arrivare alle persone non perché mi hanno visto in un determinato spettacolo, ma vorrei crearmi un pubblico che mi ha scelta per le mie canzoni; è una mia scelta quella di impiegare più tempo, così è molto più difficile e ne sono consapevole, ma a me interessa l’aspetto della scrittura, vedo le canzoni come se fossero un libro.

Quali sono i tuoi modelli artistici?

Quello che mi ha influenzato maggiormente è stata quella vena malinconica che si nasconde nelle canzoni di Tenco, di Cocciante, di Lana Del Rey, quella vena che io ho voluto riportare nei miei testi che comunque sono testi malinconici

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ora sto lavorando al secondo album che è stato recentemente anticipato da “Honey”, il singolo uscito ad aprile di quest’anno, un testo che, come “Ragazza Triste”, ha una concezione dell’amore più consapevole…

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L’attore e musicista si è confidato con noi…

Jonis Bascir
Foto: Gilles Rocca

L’ultima fatica di Jonis Bascir è stato Next!, di cui ha curato la colonna sonora oltre a recitare la parte di uno psichiatra molto sui generis. Il film, che vede coinvolti grandi nomi come Barbara Bouchet, Alessandro Haber, Corinne Clery, Paolo Conticini, Deborah Caprioglio e Fabio Fulco è diretto da Giulietta Revel, che ha girato questa divertente e a volte folle indagine senza pregiudizi sul cambiamento dei costumi e delle scelte sessuali narrando il sogno dello scrittore Alfredo, intellettuale raffinato e sognatore squattrinato, di veder realizzata una sua storia sul grande schermo e avere finalmente riconosciuto il suo talento. Noi di Musica 361 abbiamo intervistato Jonis che ci ha parlato anche degli altri importanti progetti che lo vedono coinvolto.

Ciao Jonis, l’ultimo tuo lavoro è stato NEXT!, un film senza pregiudizi sul cambiamento dei costumi e delle scelte sessuali…

Sì, il protagonista è Alfredo, interpretato da Pietro Romano, che segue una coppia e si trova in altre situazioni che hanno un finale curioso e rocambolesco con molte sorprese. Il cast è molto ricco, molto divertente, ci sono un sacco di personaggi particolari ben definiti, ben recitati dai vari attori, da Barbara Bouchet a Corinne Clery.

E anche un film sul tema del maschio italiano eterno Peter Pan, cosa ne pensi? Ti ci riconosci?

No, non mi ci riconosco, sono stato scapolo per tanto tempo ma non per quel motivo. Il mammonismo e le mamme italiane generano i Peter Pan che vogliono stare in quella posizione comoda, spesso usciamo di casa ma portiamo le camicie da mamma e andiamo a mangiare da mamma…

Un cast di grandi nomi da Haber alla Bouchet, come è stato lavorare con loro?

Con Alessandro Haber avevo già fatto un film,, “Ostaggi”, uscito nel 2021. Alessandro è un attore di grande livello; è stato molto bello conoscere la Bouchet e la Clery, che sono adorabili. La Bouchet è molto seria, molto professionale, molto preparata e una bellissima donna. Con Paolo Conticini abbiamo fatto Full Monty e poi ci conosciamo da tantissimi anni. La Revel è un vulcano, fa tutto: attrice, regista…

Tu hai iniziato con Gigi Proietti, che ricordo hai di un mostro sacro come lui?

Per me lui è il Maestro per eccellenza, chiunque ci abbia lavorato ricorda tutto di lui. Io ricordo un fatto fondamentale, capivi che le indicazioni che ti dava quando faceva la regia (io ho lavorato con lui in televisione e in teatro) erano le sole possibili e interessanti. Preparando uno spettacolo con lui ridevi dall’inizio alla fine, è il più grande! Ci manca moltissimo, io ho avuto anche l’occasione di fare la colonna sonora del documentario di Edoardo Leo “Luigi Proietti detto Gigi”.

Hai recitato in tanti film, molto diversi tra loro, quale registro ti piace di più, comico o drammatico?

Mi piacciono tutti e due, il bello dell’attore è che puoi fare sia uno che l’altro e ogni volta mi piace entrare nel personaggio, mi sono divertito a fare ridere e allo stesso tempo ad avere ruoli drammatici. Mi piacciono entrambi, allo stesso modo.

Nel film Next! reciti e firmi la colonna sonora, cosa ti piace di più fare?

Ultimamente sono tornato alla mia prima passione che era la musica e devo dire che è stato molto bello; ci sto prendendo gusto. Ma io mi diverto a fare uno e l’altro, ultimamente la musica mi tira fuori da certe situazioni relative ai ruoli e legate al fatto che sono mulatto, mentre per fare musica devi essere bravo, sennò arrivederci!

Tu sei italiano ma di origini somale, oggi si parla tanto di inclusione, tu hai mai subito episodi di intolleranza?

Io ho iniziato un sacco di anni fa, quando non se ne parlava. Oggi se ne inizia a parlare, magari tra una trentina d’anni, quando avrò smesso… (ride). Qualche episodiuccio c’è stato, ma io sono alto, ho un’aria di uno al quale forse non conviene dare troppo fastidio, alla fine sono stato abbastanza rispettato.

Per concludere vuoi parlarci dei tuoi progetti futuri?

È appena partita la tournée dello spettacolo di Luca Ward di cui ho fatto la colonna sonora. Domani, 6 maggio, sono a Chieti con Edoardo Leo con un suo spettacolo che si intitola “Ti racconto una storia”, avremo un anno molto intenso, con tante date; inoltre farò la colonna sonora di un corto e in più sono partito con un mio progetto scaturito alla fine della mia seconda laurea in Composizione Jazz, conseguita al Conservatorio con 110 e lode. La tesi è stata pubblicata da Arcana con il titolo “Il jazz e morto!? Ipotesi per una musica nuova” e questo mi ha spinto in un’idea mia che avevo da tanti anni e finalmente ho realizzato dove mescolo jazz e musica romana, siamo partiti da poco e penso di portarlo molto in giro.

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Abbiamo intervistato il musicista che unisce le tradizioni siciliane e brasiliane

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È in radio e disponibile in digitale “Casa” (Athena Produzioni Srls /Artist First), il nuovo brano del poliedrico artista Tony Canto, che partendo dalla Sicilia ha conquistato il Brasile fondendo nella sua musica le tradizioni siciliane e brasiliane. “Casa”, scritto dallo stesso Tony, è un brano dal sound brasiliano, marcatamente influenzato dall’armonia, dal ritmo e dal movimento tipico del paese verde oro.

Lo stile musicale di matrice pop internazionale richiama il samba, l’immancabile chitarra classica, suonata dallo stesso Tony,
e le percussioni fanno da anima del brano e accompagnano il testo scritto prevalentemente in italiano, arricchito da
espressioni inglesi e portoghesi. Tony affida alla musica, che è da sempre riconosciuta come linguaggio universale, un
messaggio di unione tra tutti i popoli e della non appartenenza ad una specifica parte del globo.

Ciao Tony, questo singolo rappresenta in qualche modo un tuo debutto…

È la prima volta che pubblico un singolo, ho pubblicato album ma quando si parla di singolo si entra in una logica più pop che a me è estranea perché io faccio altro: i miei progetti sono sempre stati chitarra classica, quartetto d’archi e percussioni minimali. Questo brano è adiacente al tempo che stiamo vivendo, dal punto di vista del testo parla della nostra casa che è il mondo. Qualsiasi cosa succeda si ripercuote su di noi, dai cambiamenti climatici alla guerra.

Un testo molto impegnato, si parla anche di unione tra popoli…

Sì, siamo un popolo unico, poi abbiamo questa convenzione delle nazioni, una cosa forse anche vecchia, infatti dal punto di vista politico è di difficile gestione. È  una questione anche filosofica-antropologica; gli animali ci insegnano questo, loro migrano per necessità di sopravvivenza senza passaporto. Per me le organizzazioni di persone nella storia hanno provocato grandi danni, ma non lo dico io lo diceva un signore molto più in alto di me: John Lennon. Sono dei totem per giustificare altri interessi, interessi economici. Se noi guardiamo al mondo come casa, l’unica casa possibile è l’esistenza, l’amore in senso laico: è chiaramente un sogno, ma è il mio punto di vista. In questa canzone ci sono molte diversità sia dal lato strumentale che da quello testuale, visto che vengono usati italiano, portoghese e inglese.

Sappiamo di questo tuo grande legame col Brasile, come nasce?

La passione nasce quando da adolescente ho sentito João Gilberto in radio e da allora per me è cambiata la vita, perché ho capito che si poteva fare musica cavalcando il silenzio con quell’eleganza. Poi io suono la chitarra classica quindi i ritmi e le armonie brasiliani sono una cosa incredibile. Sono stato varie volte in Brasile, la mia casa discografica è la Dubas Musica, brasiliana, ho fatto due tournée lì e ho suonato con i musicisti che suonano stabilmente con Caetano Veloso, Maria Bethania e Gilberto Gil.

A parte questi grandi artisti quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?

Io ho avuto la fortuna, la grande fortuna di essere ragazzino quando è esploso Pino Daniele, una grande fortuna per la mia generazione perché ci ha dato la speranza di essere musicisti, di scrivere le canzoni però rispettando la musica; poi lui secondo me è stato un grande contaminatore che mescolava il blues americano, di cui era figlio, con la vera ricerca della tradizione napoletana. È  stato il mio padre putativo dal punto di vista musicale, quando avevo 14 anni imparavo gli accordi delle canzoni di Pino Daniele (che non erano poi così semplici). Se devo citare uno cito lui, poi ci sono altri come Peter Gabriel e tutti quelli che hanno fatto grande la musica pop.

Sei anche scrittore, il tuo libro si chiama “Il sognatore seriale”, come mai un titolo così particolare?

Ci sono delle sparizioni di persone nel paese dove vive il protagonista e si scoprirà che lui li sogna il giorno prima e rimangono intrappolati nei suoi sogni. Il sogno è un mondo terzo, come può esserlo il teatro, il cinema, dove ognuno è regista anarchico, si fa il proprio film e alle volte questa cosa può condizionare la realtà, ma non è un libro di fantascienza, da come si capisce nel finale. È un libro metaforico e drammaticamente ironico.

Sei il produttore di Mannarino, un autore di culto, come è lavorare con lui?

È molto importante, lo è stato già dagli inizi quando abbiamo lavorato al “Bar della rabbia”, dove c’è “Me So’ Mbriacato”, per intenderci. Ho prodotto e arrangiato quattro album per lui, è un puro, al di fuori dei tempi, segue soltanto la sua stella e questo è molto importante e poi secondo me lui ha inventato non il teatro canzone, quello di Gaber, ma la canzone teatro, cioè crea dei personaggi teatrali che si muovono all’interno dei testi delle sue canzoni come se la sua canzone fosse un palcoscenico: quando comincia la canzone si apre il sipario e quando finisce la canzone si chiude. Un artista puro che mi ha dato tanto, anche io penso di avere dato a lui e stiamo continuando a lavorare insieme, questa estate suonerò anche qualche cosa con lui.

E dal punto di vista umano com’è, andate d’accordo?

Sì, andiamo d’accordissimo, siamo molto amici.

In questi tempi imperversano i talent, tu cosa ne pensi?

Non voglio fare il vecchio bacucco, ma devo essere sincero, raccolgo un pensiero comune di quelli della mia generazione che sono cresciuti con altri musicisti, mi sembra tutto un copia e incolla, un linguaggio comune, non mi ci riconosco molto, anche se ci sono un paio di cose che sono molto, molto interessanti come Madame o Mahmood, sono molto eleganti, molto interessanti e soprattutto molto ben strutturati con un’idea artistica chiara. Il resto mi sembra una cosa mordi e fuggi, senza progettualità.

Madame e Mahmood hanno anche un grande successo di pubblico…

Perché il pubblico riconosce la bellezza, la coerenza, la serietà nell’affrontare le cose. Sarebbe bello che i giovani affrontassero questo lavoro come una cosa seria, perché la musica è una cosa seria.

Sia Madame che Mahmood sanno coniugare qualità e quantità e sono andati al Festival, che è un grande spettacolo di massa, forse artisti del genere qualche anno fa non ci sarebbero andati, tu cosa pensi di Sanremo?

Io penso che bisognerebbe cambiare nome, non Festival della musica italiana, ma della visualizzazione italiana. Siccome non si vendono più i dischi, allora i clic sono importanti; ma questo non vuole dire che in Italia si faccia quel tipo di musica, perché  ti posso assicurare che ci sono tanti ragazzi che fanno musica bella, ma non hanno questa opportunità perché non hanno i milioni di visualizzazioni. Poi possiamo anche interrogarci se queste visualizzazioni sono reali o no, ma non è il mio campo. Non voglio fare il nostalgico, ma voglio solo dire che l’approccio non è sempre artistico, ma numerico…

Quali sono i tuoi impegni futuri?

Adesso ho un progetto musicale che si chiama “Ritratti” che condivido con un grande armonicista jazz che si chiama Giuseppe Milici e da luglio cominceremo a fare concerti in tutta Italia. Porteremo le mie canzoni, la sua musica e faremo degli omaggi a dei grandi della musica internazionale. Inoltre sta per uscire un album di Mario Venuti che io ho prodotto, arrangiato e di cui ho scritto tre canzoni.

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Per l’uscita del suo album “The Best of” abbiamo intervistato Gerardo Balestrieri

 

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Foto: Federica Palmarin

 

Oggi 21 aprile esce in digitale la raccolta “THE BEST OF” (L’Orto/Egea) del poliedrico cantautore Gerardo Balestrieri che con questo disco sintetizza il suo percorso discografico tra musica, teatro e viaggi. Una carriera che inizia nel 2007 con l’album d’esordio “I Nasi Buffi E La Scrittura Musicale” arrivato secondo nella categoria “Opera Prima” del Premio Tenco dello stesso anno.

Tra un disco e l’altro Gerardo Balestrieri promuove i suoi album in tour in Italia e all’estero, lavora per il teatro e per il cinema e ad importanti collaborazioni nazionali ed internazionali. Gerardo è un appassionato di swing, di echi tzigani, dell’oriente, dei greci, del jazz e della Francia, del ritmo contagioso, del twist e del Sud America,, proprio come ha confidato a noi di Musica 361. Attraverso testi sfumati e maturi, l’inconfondibile voce dinoccolata e scura, Balestrieri ama giocare con le parole senza perder di vista il ritmo e la danza proponendo “canzoni per anche ed orecchie, per ricci, per pance e per tacchi” come afferma lui stesso.

 

Ciao Gerardo, questo è un album che raccoglie tante influenze e tanti ritmi, ma forse lo swing prevale?

Beh sì, nel caso della raccolta ha prevalso lo swing, ho avuto tanti dubbi perché avendo il piacere di esplorare tanti stili musicali il problema era quello di dover lasciare fuori qualche canzone: soprattutto la parte balcanica e mediorientale non è venuta fuori in questa raccolta. Sostanzialmente è una raccolta più swing ed è anche un po’ voluto…

C’è qualche canzone che vorresti inserire in extremis?

Ad esempio La casa dorata di Samarcanda, tratta dall’album Canzoni del mare salato, disco dedicato a Corto Maltese. Un brano che è un viaggio intorno alla Via della seta in cui ho cercato di mettere strumenti, melodie e i ritmi dispari di quell’area geografica. Ma le scelte sono sempre difficili e alla fine è rimasta fuori

Sei uno sperimentatore anche in altri campi, infatti ti sei laureato con una tesi su “Il sincretismo e la spiritualità nella musica popolare brasiliana”…

Sì, ho fatto il percorso universitario all’Istituto di Lingue Orientali di Napoli negli anni ’90, alla facoltà di lettere, l’idea è stata di accostare a ogni forma di espressione musicale brasiliana una forma spirituale partendo dalle radici indie, europee e africane: e quindi dal canto gregoriano e i riti feticisti sono arrivato alla Bossa nova e mi è venuto da accostare come forma spirituale l’estetica del vuoto presente nello zen, partendo dalla frase secondo cui l’utilità del bicchiere sta in quello che non c’è, anche nella struttura ritmica della Bossa nova la parte sostanziale è proprio la pausa. così ho cercato di fare questo accostamento.

Tanti i riferimenti culturali, tra questi sicuramente Paolo Conte, ma quali sono i tuoi autori di riferimento?

Non sono pochi, negli anni giovanili ho avuto Conte e De Andrè per quanto riguarda gli italiani. Boris Vian, Tom Waits e altri per quanto riguarda gli artisti internazionali. Sentivo di andare verso questo tipo di scrittura, ma dal punto di vista dell’ascolto io ascolto da Bob Marley a Fran Zappa ai Kraftwerk.

Apolide, polistrumentista, canti in varie lingue, ma tu hai un centro?

Un centro di gravità permanente… (ride), apolide lo scrisse una giornalista in una recensione, ha azzeccato la condizione perché è un non stato di fatto: sono nato in Germania da genitori dell’alta Irpinia, ho vissuto sei anni in Germania e poi sono arrivato in Italia vivendo un po’ con i nonni e un po’ con gli zii. Poi dall’Irpinia sono arrivato a Napoli: e una questione di vicissitudini che poi si riversano anche nella musica. Però devo dire che un centro l’ho trovato perché da più di 10 anni vivo a Venezia.

E il cantautorato come sta andando oggi?

La musica è cambiata tantissimo in questi anni, e credo che anche l’industria discografica abbia deciso le sorti dei cantautori. Io di giovani non è che ne conosca tantissimi, so che il percorso è tanto difficile, è difficile anche capire chi rientra nella categoria dei cantautori. Forse un perimetro esiste ed è quello di chi scrive e canta le proprie canzoni utilizzando anche un certo linguaggio, musicale e testuale. La Trap non so se faccia parte del cantautorato…

Ci sono altri canali, ma prediligono altri generi musicali…

È cambiata tanto la fruizione della musica, un tempo il cantautore era legato a un disco fatto di diverse canzoni, oggi si ragiona molto più sul singolo, forse c’erano anche tematiche più complesse. Mi viene in mente il concept album…

Le cose sono cambiate, siamo abituati a cantautori molto critici verso la società e verso i programmi di massa, il cantautore un tempo non andava a Sanremo, ora abbiamo visto al Festival artisti e gruppi che, ad esempio negli anni ’70, mai sarebbero andati…

Dipende anche dalla necessità di avere visibilità, fino a qualche anno fa il cantautore non aveva neanche bisogno del Festival, un De Andrè che andava a Sanremo avrebbe perso pubblico…

Prima di lasciarci vuoi svelarci qualche progetto futuro?

Ora l’intento è quello di promuovere questo album e di organizzare in modo più strutturato i concerti live…

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Intervista a Maria Mirani in vista dell’uscita de “Il desiderio che mi frega”

 

 

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Foto: Orazio Truglio

 

Da venerdì 21 aprile sarà disponibile in digitale “Il desiderio che mi frega”, il nuovo album della band bresciana tutta al femminile Viadellironia. Abbiamo intervistato la cantante e autrice Maria Mirani che ci ha parlato di questo disco, costituito da 9 canzoni, tutte scritte da Viadellironia e prodotte da Davide Luca Civaschi (noto ai più come Cesareo di Elio e Le Storie Tese) eccetto “Tu Mai”, scritta da Edda. Anche l’artwork, come di consuetudine, è stato curato dalla band.

“Definiremmo questo lavoro un album tra il sexy e il santo – racconta la stessa Maria – “Il desiderio che mi frega” canta di come certi antichi significati morali siano nascosti nei nostri corpi, che si vorrebbero tanto liberi. Gli attori di “Il desiderio che mi frega” sono il gin, il corpo che si disfa e che non si sottrae alla volontà della mente, il terrore del fallimento e, ovviamente, l’amore. Se dovessimo assegnare un colore a questo album sarebbe il verde smeraldo, o il verde veronese; in ogni caso sarebbe smaltato, luminoso e sofferente insieme. È un disco intriso di tristezza in maggiore».

Ciao Maria, sono molto incuriosito dal vostro nome, da dove deriva?

Deriva dal Corso di Porta Ticinese a Milano che qualche anno fa è stato “ribattezzato” Via dell’Ironia. Ho vissuto tanti anni lì e quando dovevamo scegliere un nome mi sono imbattuto in questa specie di insegna…

Ma l’ironia è anche una vostra cifra stilistica?

Nella vita sì, a livello testuale no, perché fa venire in mente un atteggiamento tra il frivolo e lo scanzonato e non abbiamo questa cifra.

I vostri punti di riferimento musicali quali sono?

Tra di noi abbiamo punti di riferimento diversi, ad esempio io e la chitarrista come riferimento abbiamo sicuramente i Beatles e poi il cantautorato anni ’90. Per quanto riguarda l’Italia ci sono nomi che piacciono a tutte, un certo rock anni ’90 come i Baustelle e gli Afterhours.

Venerdì 21 aprile sarà disponibile in digitale “IL DESIDERIO CHE MI FREGA”, vuoi parlarcene?

È il nostro secondo disco, rispetto al primo abbiamo lavorato in modo diverso. Ci siamo conosciute meglio, perché il primo disco è stato un banco di prova anche a livello di scrittura, ora ci sono dei suoni un po’ più “sporchi” rispetto al primo e questo ci fa piacere. Un disco più luminoso rispetto al precedente che invece è più claustrofobico. Sono canzoni più ordinate, più compatte a livello di stesura, ci siamo persi meno in arzigogoli musicali. Per quanto riguarda i testi c’è più respiro, si parla tanto di corpi

A proposito di corpi, siete una band tutta al femminile, con voi a collaborato anche Peaches, musicista canadese regina dell’elettroclash e icona della comunità LGBTQIA+, quanto sentite la questione di genere?

La sentiamo molto, è intrisa nel DNA artistico da quando ho iniziato a fare musica, in particolare nel periodo adolescenziale quando hai un dissidio con il tuo corpo (dissidio che peraltro comprendi più avanti negli anni), quando devi fare molto per distinguerti fino a stare male, la musica è stato un criterio di distinzione da questo punto di vista, qualcosa che mi ha aiutato a capirmi meglio.

Prima di lasciarci vuoi rivelarci i prossimi impegni?

Ci sono due date che annunceremo oggi alla Latteria Molloy, a Brescia, il nostro club di riferimento, un po’ la nostra seconda casa e poi stiamo organizzando il nostro tour che inizierà in estate con alcune date promo e poi diventerà più “pesante” in autunno.

 

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Abbiamo intervistato la giovane cantante di It’s not you, it’s me

Camilla Rinaldi

Camilla Rinaldi, 21 anni, cantante, attrice e ballerina, studia canto dal 2010 e danza classica, moderna, contemporanea e jazz da quando è bambina. Si è diplomata nel 2020 al Liceo Musicale con 100 e lode, dove ha studiato canto come primo strumento e pianoforte come secondo. Quest’anno ha partecipato al concorso “Una voce per San Marino“, con il suo inedito “It’s not you, it’s me”, piazzandosi prima in semifinale e poi nella semifinale di ripescaggio, tra più di mille iscritti.

Fresco, innovativo, audace e dalle sonorità pop segnate da una forte impronta dance, “It’s not you, it’s me” è il suo brano d’esordio e attraverso il suo timbro limpido e al contempo accattivante, regala alla canzone una personalità determinata che va a inserirsi in un contesto pop dal sapore internazionale. Una canzone che fa venir voglia di ballare sprigionando good vibes liberatorie così come liberatorio è il suo testo, come ci ha rivelato lei stessa.

 

Ciao Camilla è appena uscito il tuo singolo “It’s not you, it’s me”, un brano molto particolare?

È la canzone più ironica che ho scritto, parla di una persona che è molto attaccata a un’altra che invece vuole togliersela di dosso e lo fa in maniera ironica dicendo: “No, guarda non sei tu il problema, sono io”. Si tratta di un brano che ho scritto un po’ di tempo fa in italiano per poi tradurlo in inglese per “Una voce per San Marino“, concorso volto a scegliere un cantante che andrà a rappresentare San Marino all’Eurovision Song Contest. Hanno partecipato più di mille artisti ai casting e io sono molto contenta di essere stata scelta per le semifinali. Ho ricevuto anche dei complimenti da parte dei giurati che mi hanno spronato a continuare.

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Un brano “Made in Italy” ma dalla connotazione internazionale non solo per l’utilizzo della lingua inglese ma per il sound che strizza l’occhio alle armonie d’Oltreoceano: quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?

Per la canzone mi sono orientata sullo stile “dance”, anche se in realtà le altre mie canzoni sono più dark e si ispirano un po’ di più a Billie Eilish, se vogliamo fare un esempio. Se proprio devo essere sincera in tutta la mia carriera mi sono ispirata ad artiste come Beyoncé, Barbra Streisand e Whitney Houston, artiste che erano in qualche modo complete, sono sempre stata affascinata fin da bambina all’aspetto della Popstar, quindi di colei che canta, che recita, che si vede nei film: che è quello che vorrei fare io, avendo studiato danza, canto e recitazione. Vorrei riuscire a mettere insieme tutte queste cose e con il musical già l’ho fatto.

Sul tuo account Instagram abbiamo visto una tua foto davanti all’Ariston, cosa ci vuoi comunicare?

Avevo fatto i provini per Area Sanremo che permette di arrivare a Sanremo Giovani ed è stata una bellissima esperienza: conosci degli altri artisti pazzeschi che ti sanno dare tanto anche se parli con loro per due minuti. L’ho fatto per due anni consecutivi, è difficilissimo arrivare a Sanremo Giovani perché i fattori in gioco sono tanti. Era la prima volta, prima di San Marino, che mi sono un po’ messa in gioco. Ho postato la foto perché è stata un’esperienza bellissima: ho visto l’Ariston, ho sognato in grande…

Che rapporto hai con i Talent?

Ci sono opinioni contrastanti, alcuni amici che fanno il mio lavoro hanno provato a partecipare, però io sto aspettando di avere un buon numero di pezzi pronti e anche un’idea precisa di quello che voglio essere io e di ciò che voglio mostrare agli altri. Un’idea che sto costruendo negli ultimi tempi ma voglio aspettare ancora un attimo per avere maggiore chiarezza.

Tu sei attrice, danzatrice e cantante su quale ambito investirai in futuro?

Ora come ora sul canto, sulla musica sicuramente. e una cosa piuttosto recente che io abbia iniziato a scrivere canzoni, ho cominciato con la quarantena e ho visto che mi veniva facile, in più ho trovato un team che mi ha saputo valorizzare, perché sono una persona precisa: io porto una mia idea e ho bisogno di una persona che riesca a migliorarla e in questo Nicolò Spinatelli ed Elia Martorini mi stanno aiutando molto.

Lasciaci con qualche chicca sul tuo futuro…

Tra qualche settimana uscirà la versione in italiano, che è quella originale, di “It’s not you, it’s me”: lingua diversa, ma il significato è quello, sempre molto ironico. Ho tanti pezzi pronti da fare uscire prossimamente e poi qualche concorso perché quello di San Marino è stata un’esperienza bellissima.

Intervista alla paladina dell’Alternative Rock che ci ha parlato dei suoi ultimi singoli

Valentina Sguera, in arte She!nothing, ci ha parlato del suo ultimo singolo “The God Undercover” uscito il 27 Marzo, dopo “Ray of Light” uscito il 14 Gennaio, mentre per il 28 maggio è atteso “The Monster”. “I’m not what I seem go deeper and deeper…” ovvero “non sono come sembro andando in profondità…”, questa è la premessa per un tris di brani che affrontano il tema delle mostruosità celate dentro di noi. Un sound ricercato in cui il basso elettrico, suonato dall’artista e produttore Paolo Fattorini, delinea una traiettoria stilistica che non lascia spazio a fraintendimenti.. that’s Alternative Rock!

Ciao Valentina, è appena uscito il tuo ultimo singolo The God Undercover vuoi parlarcene?

Fa parte di tre brani (gli altri sono Ray of Light e The Monster) che affrontano la mostruosità che è dentro di noi, sono partita con Ray of Light in cui si dice “I’m not what I seem go deeper and deeper…” ovvero non sono come sembro andando in profondità. Come filo conduttore c’è un’ombra che è difficile da accettare e questi tre brani parlano di questa tematica.

Ci sono delle differenze rispetto al precedente Ray of Light?

Io stavo seguendo un altro progetto completamente diverso da questi tre brani, ma mi piacevano molto, sia per il tema trattato che per il sound, insieme al mio produttore Paolo Fattorini, che suona anche con me, abbiamo deciso comunque di farli uscire. Questi tre brani a differenza del precedente album hanno un sound più ricercato: è Alternative Rock!

Il terzo uscirà il 27 maggio e si chiamerà The Monster…

Esatto, si chiama così perché parla della mostruosità che c’è dentro ognuno di noi: il terzo brano è proprio la rivelazione della tematica principale.

Una mostruosità anche positiva, che in un certo senso attrae?

Sì, perché dentro di noi abbiamo luci e ombre, la prima è la parte più facile da ascoltare e da accettare, la parte in ombra è quella che con più difficoltà è compresa. Ma siccome esiste la luce, esiste anche il buio, sono due cose complementari.

Quali sono i tuoi gruppi di riferimento?

Sicuramente PJ Harvey, Nick Cave i Foo Fighters, inoltre mi piace moltissimo Diamanda Galás, questo è il genere… per quanto riguarda gli italiani posso dire gli Afterhours degli anni ’90.

Segui il Festival di Sanremo, che negli ultimi anni è molto cambiato?

Sinceramente non l’ho mai seguito, e da quello che ho potuto vedere online non mi sembrano proposte alternative mi sembrano molto in linea con il genere Pop. La società è cambiata e Sanremo si è finalmente adeguato alla società, però comunque io non vedo proposte veramente alternative, i contenuti non ci sono, io sono Alternative Rock dura e pura.

E i vari Talent ti interessano?

No, non sono nelle mie corde. Non mi piacciono, li trovo scontati: sono sempre le stesse cose.

Le donne nel tuo ambiente come sono viste?

Ne ho parlato recentemente in un reel che ho fatto su Instagram, diciamo che la donna continua a essere vista associata a un genere melodico, sicuramente non Alternative Rock e poi, siccome è una società in cui dobbiamo per forza mostrarci, la donna nel Pop riesce sempre meglio, basta guardare Sanremo. Sicuramente è un ambiente maschilista, ma le donne non si mettono in una condizione tale da fermare questa condizione: è una dinamica che si crea e non c’è niente da fare.

Prima di salutarci puoi parlarci dei tuoi prossimi progetti?

Sto preparando un progetto che parla di arte contemporanea e vedrà anche la realizzazione di uno spettacolo insieme al mio produttore Paolo Fattorini, il tutto sarà realizzato tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo.

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