“Dentro la Canzone”: un viaggio da fare insieme alla scoperta di emozioni e meraviglie della musica italiana.

Dentro la Canzone: il viaggio continua
la passione per la musica, l’energia con cui viene trasmessa o i contenuti che la riguardano (Foto by Pixabay)

La bellezza dei viaggi è che, un po’ come le persone, non sono mai uguali tra loro.

Persino visitare più volte lo stesso luogo restituirà sempre emozioni diverse, perché a seconda della compagnia, del tuo stato mentale, della molla che ti ha spinto a partire, sarai portato a guardarlo con occhi diversi scoprendone aspetti del tutto nuovi come se lì, in fondo, non ci fossi mai stato.

E poi, soprattutto, finiscono con la stessa velocità con cui li hai immaginati.

Ecco, analogamente anche la seconda parte del mio viaggio musicale con la rubrica “Dentro la canzone” è arrivata al capolinea senza che neppure me ne rendessi conto, tempo di un’estate e di un battito di ciglia, o poco più.

È stato bello tornare piccoli per alcuni minuti grazie a “Giocare”, il nuovo lavoro firmato da Renzo Rubino, parlare con Fausto Leali delle sue molte collaborazioni, tra cui quella con Mina, per poi affacciarsi insieme a Erminio Sinni a quella terrazza da cui si vede scorrere la vita e si coglie l’amore nella sua complessa semplicità.

Abbiamo parlato di donne e pianoforte con Francesco Baccini, accolto l’invito di Beppe Carletti dei Nomadi a riscoprire la nostra umanità e insieme le radici da cui proveniamo e riflettuto sulla superficialità del nostro tempo con Alberto Fortis.

Dentro la Canzone: il viaggio continua
Dentro la Canzone: il viaggio continua (Foto di Bruno Germany da Pixabay)

Lu Colombo a 40 anni da “Maracaibo” ci ha raccontato il suo nuovo progetto e cosa sia per lei la danza, il giovane e talentuoso Matteo Faustini ha spiegato bene che 1+ 1 è sempre la somma di un intero più un altro intero, mai di due metà.

Ed infine Michele Pecora ci ha deliziati con la sua riflessione sui poeti che sanno mantenere accesi i sogni e riescono a raccontare cose che non hanno direttamente vissuto grazie alla loro potente fantasia.

È inevitabilmente forte la tentazione di “rubare” qualcosa da ciascuno di loro, la passione per la musica, l’energia con cui viene trasmessa o i contenuti che la riguardano.

In ogni caso, proprio come alla fine di ogni viaggio ti scopri a sfogliare all’infinito le foto scattate, anche a chiusura della seconda parte di questa rubrica settimanale si alternano nostalgia, gioia e desiderio.

Sì, il desiderio di riprendere il percorso proprio dove è stato momentaneamente interrotto perché di cose da scoprire e di emozioni da provare, semplicemente partendo dal testo di una canzone, ce ne sono ancora molte.

Sono pronta a risalire sul mio treno, stazione dopo stazione (o per meglio dire canzone dopo canzone) e se vorrete tenermi compagnia, sono certa che il viaggio si rivelerà ancora più curioso ed appagante.

I Poeti sanno raccontare anche ciò che non hanno direttamente vissuto, grazie ai sogni e alla fantasia

La Poesia non può essere razionale e così anche i Poeti

Dentro la Canzone: Michele Pecora “I Poeti”
Dentro la Canzone: Michele Pecora “I Poeti” (Foto © Giovanna Gori)

La poesia si trova ovunque, anche nei luoghi dove non avremmo mai creduto di poterla incontrare. Non ha a che fare soltanto con la luna, l’amore o i più nobili dei sentimenti ma anche con quella quotidianità che talvolta appare poco interessante ma che al contrario, osservandola bene, è essa stessa pura poesia.

Non è insolito, pertanto, che anche la musica se ne occupi anzi a dire la verità, non ho mai trovato molta differenza tra chi scrive canzoni e chi componimenti poetici.

Entrambi, raccontano di un mondo interiore e di uno esteriore che si intrecciano in una sorta di caldo abbraccio da condividere con gli altri poiché alla fine riguarda anche loro.

Dentro la Canzone: Michele Pecora “I Poeti”

Michele Pecora ha esordito nel 1977 vincendo il Festival di Castrocaro con “La mia casa”, cui sono seguiti grandi successi come “Era lei”, successivamente ha intrapreso l’attività di autore e direttore d’orchestra finché nel 2019 è tornato in tv come concorrente della fortunata trasmissione “Ora o mai più”.

Proprio in questa occasione ha presentato un inedito bellissimo, dotato di una raffinata dolcezza che racconta come i poeti, costantemente in bilico sulle parole, siano detentori dei nostri sogni e delle nostre speranze.

Dentro la Canzone: Michele Pecora “I Poeti”
Ho iniziato nel ’77 con una canzone che parlava della mia casa ad Agropoli (Foto © Giovanna Gori)

Tra le tante manifestazioni cui hai preso parte manca Sanremo, perché?

Perché alla fine degli anni ’70 questa kermesse visse un momento di crisi, perciò era molto meno allettante di adesso parteciparvi. Piuttosto, chi aveva già uno o più pezzi di successo veniva orientato altrove.

Ebbi un’occasione nell’84 che purtroppo sfumò all’ultimo istante, oggi devo ammettere che è un palco che mi manca e me ne sono reso conto con il passare degli anni.

È vero che sei molto attivo come selezionatore di nuovi talenti?

Si, soprattutto negli anni passati ho preso parte con Mara Maionchi ad importanti manifestazioni di carattere nazionale proprio con l’obiettivo di selezionare giovani promesse.

Ne abbiamo ascoltati molti in giro per l’Italia e devo dire che esiste una realtà incredibile.

L’attenzione verso le nuove generazioni (da cui c’è sempre da imparare) deve restare sempre alta, ciò che dico loro è che il successo discografico è quasi sempre determinato non dalla tv (che dà visibilità) ma dalla radio che da sempre è la collocazione naturale della musica, io ad esempio mi sento figlio delle radio.

E quanti poeti ti è capitato di incontrare?

Qualcuno ne ho trovato con una capacità di scrittura moderna ma al tempo stesso molto poetica. Anzi, ho voluto approfondire quale fosse il loro mondo e le loro aspettative.

Comunque, penso che occorra fare ciò che si ha voglia di fare per il gusto di farlo e non per porsi necessariamente delle mete, è a quel punto che arrivano anche i risultati.

Chi sono per te i poeti?

Sono figure quasi astratte, le ho sempre viste così, come fossero fuori dalla realtà e dal quotidiano. Mi ha sempre affascinato la loro capacità di esternarsi dalla vita di tutti i giorni e dalle varie problematiche.

La dimostrazione di ciò sta nel fatto che i poeti non sono mai come te li aspetti, nella tua fantasia vedi una persona ma quando la conosci scopri che è totalmente diversa da come te la eri configurata.

Dentro la Canzone: “I Poeti”
La poesia è un po’ questo, la possibilità di spaziare e andare in luoghi che non hai mai visto e proprio come se ci fossi stato (Foto © Giovanna Gori)

Perché?

Credo dipenda dalla loro capacità di immaginazione e di intuizione di ciò che scrivono senza averlo necessariamente vissuto.

Hanno dalla loro, la forza dei sogni e della fantasia; perciò, è facile che un lettore si faccia un’immagine di un poeta spesso distante da come sia in realtà.

Mi ci rivedo caratterialmente perché sin da ragazzino ho sempre cercato di creare una sorta di scudo fantastico protettivo che potesse proteggermi dal mondo esterno.

Canti “I poeti sono un soffio di speranza”, e la loro malinconia?

Sono la speranza di poter conservare i nostri sogni come forma di evasione, hanno la capacità di essere un po’ Peter Pan forse proprio grazie a questo meccanismo di auto-difesa.

È vero che sono spesso connotati da un’aurea di tristezza ma del resto Oscar Wilde diceva “Vivo una vita di quieta disperazione”, perciò nella maggior parte delle volte si ha a che fare con malinconia e nostalgia senza scivolare necessariamente nella tristezza.

Dentro la Canzone: singolo in dialetto campano
In autunno uscirà il singolo, una prima ed unica canzone che ho scritto nel mio dialetto campano, un atto d’amore per la mia terra (Foto © Giovanna Gori)

Perché descrivi i poeti come fiori menzogneri?

Lo dico in senso positivo, loro riescono a descrivere cose che non hanno vissuto ma lo fanno talmente bene che è come se raccontassero una parte di sé.

La poesia è un po’ questo, la possibilità di spaziare e andare in luoghi che non hai mai visto e proprio come se ci fossi stato, una cosa che vale anche per le canzoni che è molto raro siano del tutto autobiografiche.

È ciò che si assorbe dalla vita esterna ad ispirare maggiormente.

Michele Pecora “I Poeti”
Dentro la Canzone: Michele Pecora “I Poeti” (Foto © Giovanna Gori)

Ma i poeti troveranno mai un equilibrio?

Lo cercano continuamente ma difficilmente lo trovano perché non ce l’hanno e non ce l’avranno mai. Del resto, l’equilibrio è una cosa razionale e la poesia non può esserlo.

Progetti?

A breve pubblicherò una raccolta con tutti i miei brani ed un album di inediti che è quasi pronto, oltre ad una prima ed unica canzone che ho scritto nel mio dialetto campano, un atto d’amore per la mia terra.

Ho iniziato nel ’77 con una canzone che parlava della mia casa ad Agropoli e a questo punto, dopo tanti anni, arriva un brano dedicato alle mie radici. Il singolo uscirà in autunno mentre i due album tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022.

Matteo Faustini: “1+1” è la somma di un intero più un altro intero, mai di due metà

Il primo passo per amare un’altra persona è amare sé stessi

Dentro la Canzone: Matteo Faustini "1+1"
Dentro la Canzone: Matteo Faustini “1+1” (Foto © Marco Piraccini)

Ci sono cantanti che utilizzano le molteplici sfumature della propria voce come fossero colori da traferire su una tela bianca. Forma e contenuto si mescolano creando nuove fantasie e, nel contempo, accarezzando l’anima come si fa con le corde di una chitarra.

Ma Matteo Faustini, oltre ad esaltare i brani che canta con la propria vocalità, cura i testi con la minuzia di un artigiano, tanto da dirsi ossessionato dal contenuto che sceglie di narrare, e dalle parole con cui lo si racconta.

Classe ’94, il cantautore bresciano (scrive sia testi che musica) ha esordito a soli 13 anni nel coro delle voci bianche del Teatro alla Scala di Milano, inizialmente appassionato di lirica, è approdato infine alla musica pop con in tasca una Laurea in Scienze Linguistiche e Letterature Straniere e una partecipazione a Sanremo 2020, categoria giovani, con il brano “Nel bene e nel male” che gli ha valso il Premio Lunezia. Il suo primo disco “Figli delle favole” ha esordito al secondo posto di Itunes e tra i dischi più venduti della classifica FIMI/Gfk; il secondo è attualmente in lavorazione ed atteso entro i primi mesi del 2022.

Intanto è uscito “1+1”, un singolo dalle vivaci sonorità pop in cui Matteo non si limita a parlare dell’amore ma di come dovremmo rapportarci ad esso, perché per amare qualcuno bisogna prima di tutto saper amare sé stessi.

Dentro la Canzone: Matteo Faustini "1+1" 3
Secondo me il vero amore è fatto da un intero più un altro intero, non da un mezzo più un mezzo (Foto © Marco Piraccini)

Cosa è per te la musica?

Una presenza che c’è sempre stata sono cresciuto a pane e Disney e come veniva proposto un karaoke vi partecipavo, poi ho iniziato a prendere lezione più seriamente a 12 anni quando ho iniziato a studiare lirica, a soli cinque anni obbligavo i miei genitori ad ascoltare Pavarotti in macchina e cercavo già di imitarlo. Prima di trovare la mia strada ne ho provato diverse.

Quanto è importante per te il contenuto di un pezzo?

Moltissimo, ne sono ossessionato. Amo il fatto di utilizzare il contenuto e trasmetterlo per fare del bene, mi piace fare della musica in grado di dire qualcosa.

Come è il caso di 1+1, giusto?

Esatto, in questo mio nuovo singolo racconto che secondo me il vero amore è fatto da un intero più un altro intero, non da un mezzo più un mezzo. Come la maggior parte delle persone sono cresciuto sentendomi ripetere la frase “un giorno troverai la tua dolce metà” e allora mi son chiesto “Se non la trovo sono destinato a rimanere incompleto?”

E quale risposta ti sei dato?

Che l’amore indubbiamente arricchisce, e lo auguro a chiunque, ma deve essere in primis amore per noi stessi. Conosco molte persone che hanno un partner solo perché non riescono a stare da soli e hanno paura di ascoltare i propri silenzi. Non può essere questo il presupposto.

Quale è l’alchimia per amare sé stessi e quindi gli altri?

L’altra persona deve migliorare la tua vita e non farti credere che senza di lei sei perso, alla base deve esserci fiducia e ammirazione per la sua anima, non dipendenza. Il rischio da non correre è annullarsi per l’altro, cosa che comporta tutta una serie di possibili, quanto negative, conseguenze. Se si parte dall’amore verso noi stessi risulta tutto più semplice, mi sono accorto che si riesce persino ad amare meglio.

In fondo amare è prima di tutto un verbo riflessivo.

Come ti spighi che oggigiorno troppo spesso (casi di cronaca alla mano) non si riesca ad accettare la fine di una storia?

Forse sin da piccoli cresciamo, complici i cartoni animati, con un ideale ben preciso, secondo cui le persone fidanzate o sposate sono automaticamente più felici di quelle che non lo sono. Come se fosse uno status symbol. È tutto pianificato, ad una certa età devi avere la macchina, ad un’altra devi farti la famiglia, e così via. Invece trovo che siamo tutti esseri umani allo stesso modo, semplicemente ognuno ha la sua storia e le proprie esigenze.

Dentro la Canzone: Matteo Faustini "1+1" 25 settembre 2021
Matteo Faustini Locandina 25 settembre 2021

L’abuso di social può influire un po’ sul sentimento dell’amore?

Si, da un lato sono meravigliosi, dall’altro stanno facendoci amaramente capire quanto oggi più che mai sia fondamentale l’apparenza. Se hai 500mila followers non sei necessariamente una persona migliore.

Tu sei social?

Solo per lavoro. Non li amo ma li utilizzo come il mezzo per restare in contatto con i miei fan e far conoscere la mia musica.

Dentro la Canzone: Matteo Faustini "1+1" 1 26 settembre 2021
Matteo Faustini – Locandina 26 settembre 2021

Tu che sei così attento al contenuto delle tue canzoni, ti preoccupa che la gente non riesca a coglierlo?

Da morire. Passo il tempo a ragionare affinché i testi non siano banali ma neppure troppo complicati. Impiego poco tempo a buttare giù la melodia e moltissimo tempo a scrivere il testo. Comunque, alla fine l’importante è comunicare e lasciare il segno a anche se a diversi livelli, qualcuno apprezzerà di più i testi qualcun’altro la musica allegra, ma alla fine l’obiettivo è stato comunque raggiunto.

Eventi Live?

Dopo gli altri appuntamenti estivi, tornerò Live il 25 settembre sarò al Teatro Sicomoro di Montirone (BS) special guest Le Deva, Pierdavide Carone, Federica Marinari, Federica Quaranta, mentre l’apertura sarà affidata a Nove e Simone Goccia. Il giorno successivo, 26 settembre mi esibirò invece alla Villa del Bene di Volargne (VR), ci saranno anche Federica Marinari ed Emanuele Corvaglia. Opening act Nove, Simone Goccia e Alessandro Cantalupo.

Lu Colombo: con “Danza” esorcizzo la tristezza dell’assenza

A 40 anni da “Maracaibo” continua a cantare canzoni affatto leggere ma con un coinvolgente sound latino  

Dentro la Canzone: Lu Colombo "Danza"
Dentro la Canzone: Lu Colombo “Danza” (Foto © Roberto Molteni)

Maria Luisa Colombo, più nota al grande pubblico come Lu Colombo, è un artista che ha regalato grandi successi, il più noto dei quali, perlomeno in Italia (il pubblico internazionale ama moltissimo “Gina”) è “Maracaibo”. Un pezzo scritto dalla stessa cantante milanese insieme a David Riondino nel ’75 che ha dovuto attendere ben sei anni per la sua pubblicazione ed il cui testo, a dispetto di ciò che molti credono, ha poco cui spartire con i ritmi allegri e scanzonati della musica che lo accompagna.

La Colombo dopo “Maracaibo” ha continuato a scrivere e cantare, quasi sempre temi importanti, attuali e scomodi come la violenza sulle donne e il femminicidio (trattati nell’EP “Basta” del 2017) ma sempre con il suo inconfondibile sound tropicale che accende la voglia di ballare.

Pochi mesi fa ha pubblicato un nuovo album, “Danza” contenente alcuni dei suoi più grandi successi più tre inediti (tra cui il singolo “Danza”) scritti in buona parte durante il lockdown. La vera, piacevole sorpresa, è realizzare che un’artista navigata come Lu Colombo, fermamente decisa sulla linea musicale da seguire così come su ciò che non le appartiene, si interroghi, oltre che sul risultato finale, se fosse o meno opportuno far uscire questo lavoro proprio ora, proprio in questo momento storico eccezionale. Ennesima dimostrazione di una spiccata sensibilità che va oltre ogni calcolo matematico o mera logica discografica.

 

Dentro la canzone concerto live a Lodi
Il tema dell’assenza. Mi riferisco sia alle perdite umane che nella mia vita ho dovuto sopportare sia ad allontanamenti di tipo sentimentale

In “Danza come in “Maracaibo” tratti temi affatto banali. È la tua cifra?

Effettivamente anche in “Maracaibo” si racconta una storia triste ma in pochi ci fanno caso perché il sound la rende allegra. Il mio obiettivo è sempre stato comunicare qualcosa arrivando al cuore delle persone e, per quanto il vero significato di un testo possa sfuggire a qualcuno, direi che è da considerarsi pienamente raggiunto. Oltretutto, per anni quando andavo in discoteca a cantarla la gente mi parlava in spagnolo, convinta che fosse la mia lingua. In realtà ci sono stati altri esempi celebri di canzoni apparentemente leggere date le sonorità dance, vedi “Enola Gay” o “I will survive. Brano quest’ultimo che io ho tradotto in italiano nel mio disco contro la violenza sulle donne. Non si sospetta sia così, ma in realtà parla proprio di questo.

Una musica allegra può aiutare ad affrontare argomenti importanti?

Alla fine, certe volte la tristezza tramutata in allegria attraverso la samba o i ritmi brasiliani, ha la virtù di trasformare una cosa negativa in una positiva. Maracaibo è un po’ questo.

Cosa che è vera anche per “Danza”…

In effetti si, anzi mentre registravamo il pezzo con il featuring di Tony Esposito, rigorosamente in casa perché in pieno lockdown, è uscito fuori un editto dei jihadisti in cui si proibiva la danza, il canto e la musica. Io che parto sempre dall’attualità per le mie canzoni ho avvertito più che mai l’esigenza di continuare questo progetto e pubblicarlo.

Qual è il leitmotiv che lega questo brano al resto del disco?

Il tema dell’assenza. Mi riferisco sia alle perdite umane che nella mia vita ho dovuto sopportare sia ad allontanamenti di tipo sentimentale. Non sono una che soffre di solitudine ed eventualmente la combatto con la musica, una vera medicina. Anzi, sono felice che attraverso le mie canzoni anche altre persone possano essere riuscite a superare momenti di tristezza o disagio. Mi pare che “Maracaibo” porti sempre gioia. “Danza” comunque parla specificamente di persone che non ci sono più, in “Neve al sole” invece il pensiero va a mio padre e alla sua esperienza come prigioniero di guerra. Adesso, a proposito di mio padre, mi rendo conto veramente di quello che ho perso; anche in “Stelle” (terzo inedito) racconto di una perdita, nonostante si tratti ancora una volta di una canzone molto allegra.

Cover Ep Danza
Lu Colombo – Cover Ep “Danza”

Quanto è attuale l’assenza?

Molto, la pandemia ci ha fatto fare i conti con l’assenza di ciò che consideravamo normale e con la libertà. Questa assenza che tutti abbiamo provato credo che nel bene e nel male abbia lavorato dentro ognuno di noi. La libertà è invece fondamentale specie in questo periodo in cui ne discutiamo affrontando il tema della vaccinazione. Quando nei mesi scorsi sentivo lamentare la gente del fatto che non si poteva fare l’aperitivo mi cadevano le braccia, probabilmente siamo una società troppo viziata.

La danza è un modo di esorcizzare tutto questo?

Per me è qualcosa di importante, negli anni ’80 ho fatto solo pezzi dance. Da giovane scappavo in discoteca perché negli anni ‘60/’70 non arrivavano i dischi di importazione in Italia, probabilmente perché venivano fatte le traduzioni dei pezzi più importanti in italiano. Ma se volevi ascoltare Aretha Franklin o i Rolling Stones dovevi recarti nei luoghi dove si ballava. La danza, come la musica, è sempre stata per me una valvola di sfogo, una necessità.

Lu Colombo (Foto © Lorenzo Banchini)
Lu Colombo (Foto © Lorenzo Banchini)

Cosa ti piace della danza?

Il ritmo. Nella mia testa sento costantemente una batteria dance, mia madre quando ero piccola mi vedeva sempre muovere la testa e non capiva il perché.

Nomadi: quasi 60 anni di coerenza e sincerità

Nel singolo “C’eri anche tu” l’invito a essere più umani e ricordare le nostre radici

Dentro la Canzone: Nomadi "C'eri anche tu"
Dentro la Canzone: Nomadi “C’eri anche tu”

È buffo come a volte il tempo sembri scorrere a diverse velocità.

58 anni non sono certo pochi, specie nella musica, eppure quella che si è rivelata una tra le band più longeve ed amate in assoluto, formata da Augusto Daolio e Beppe Carletti (nostro portavoce per l’intervista che segue) continua ad essere attiva, dividendosi tra album e Live come se non conoscesse l’alternarsi delle stagioni scandite dalle lancette dell’orologio.

Nei primi anni ’60 decisero di chiamarsi Nomadi, un nome evocativo di grandi successi segnati anche dalla preziosa collaborazione con Guccini (basti pensare a “Dio è morto”) e con Salerno/Dattoli che insieme firmarono il manifesto della band “Io vagabondo”. Un nome che non li ha mai traditi proprio come hanno fatto loro con il proprio popolo di fan.

Daolio è scomparso nel 1992, la formazione è cambiata nel tempo intorno a Beppe Carletti rimasto un punto fermo, ma alla fine la coerenza e l’energia dei Nomadi fanno sì che siano sempre gli stessi.

Dentro la Canzone: Nomadi
Nomadi Live – (Foto da fb della band)

Recentemente è uscito un nuovo disco “Solo esseri umani” (tra album in studio e Live è più o meno il numero ottanta) contenente il brano “C’eri anche tu” un pezzo particolarmente sensibile ed attento alla realtà sociale; e attualmente si trovano in tour, prossima tappa domani 5 settembre a Monteodorisio (CH), con l’ennesimo sold out.

Beppe, tu e Augusto avreste mai immaginato un successo così duraturo?

Assolutamente no. All’epoca esistevamo moltissime sale da ballo dove si esibivano le orchestre ecco, il nostro desiderio era riuscire a vivere di musica, semplicemente suonando in queste occasioni oppure alle sagre di paese. Non pensavamo al successo o alla discografia.

Nell’ultimo lavoro c’è un brano dedicato ad Augusto, perché?

Perché era il momento di farlo. Dopo 28 anni, credo che nessuno ci possa tacciare di cavalcare l’onda emotiva. È stato, anzi è un fuoriclasse, perché credo che le persone muoiano solo quando le vuoi far morire.

Chi sono i Nomadi oggi?

Beppe Carletti (tastiere), Cico Falzone (chitarre), Massimo Vecchi (basso e voce), Yuri Cillone (voce), Daniele Campani (batteria), Sergio Reggioli (violino e polistrumentista).

Il sottotitolo dell’album è “Valori, amore, vita”. A quali valori alludete?

In primo luogo, alla coerenza, un valore al quale i Nomadi hanno sempre creduto e rispetto al quale penso siano inattaccabili. La cosa bella è che sin dall’inizio tutto è nato spontaneamente senza essere studiato a tavolino. Non ci sono segreti, basta vederci in concerto per capire come siamo, semplici e privi di infrastrutture. Se un segreto c’è semmai è proprio essere sé stessi.

Dentro la Canzone: "C'eri anche tu"
Bebbe Carletti – Live (Foto dal sito della band)

“C’eri anche tu” che messaggio contiene?

Racconta di una valigia di cartone (“c’eri anche tu con la valigia di cartone a guardare in fondo al mare con in tasca la speranza”), il riferimento è ai migranti che vengono a cercare fortuna ma il parallelo è con quanto accadeva nel secolo scorso quando eravamo noi italiani a partire con quella valigia carica di speranze per recarci in America, nel nuovo mondo, dove non venivamo certo accolti a braccia aperte.

Dentro la Canzone: Beppe Carletti
Beppe Carletti (Foto © Michele Piazza)

Dovremmo ricordarcene più spesso?

In realtà vogliamo far capire che quanto sta accadendo adesso è già successo molti anni fa a noi italiani, il problema è che le persone hanno la memoria corta. Ricordiamoci delle nostre origini, e di cosa hanno fatto i nostri nonni e bisnonni che si lasciavano il Paese con la valigia di cartone, per questo cantiamo “c’eri tu” e in realtà c’erano tutti coloro che sono arrivati dopo anche se dovevano ancora nascere. Capisco che spiegare queste cose alle nuove generazioni (che hanno tutto) non sia semplice, ma vale la pena provarci. Devono sapere.

Tu quanto peso dai al passato?

Io guardo verso il domani ma con un occhio al passato che ci insegna anche a non ripetere gli stessi errori. Del resto, chi non ha un passato non può avere un grande futuro.

Alberto Fortis: tra l’indimenticabile “Milano e Vincenzo” e nuove canzoni pronte per essere pubblicate

“Mi angoscia la troppa superficialità che ci circonda”

Dentro la canzone: Alberto Fortis "Milano e Vincenzo"
Dentro la canzone: Alberto Fortis “Milano e Vincenzo”

Artista dotato di una personalità decisa e al tempo stesso sensibile ai temi sociali tanto da essere ambasciatore e testimonial di varie associazioni umanitarie tra cui Unicef.

Un ingresso nella musica memorabile il suo, dato che l’omonimo album di debutto nel ’79 è tuttora considerato un vero e proprio cult, come se non bastasse interamente suonato dalla PFM.

Alberto Fortis, oltre 40 anni trascorsi tra sala d’incisione (16 album all’attivo, due dischi d’oro e uno di platino) e palco passando da un Live all’altro, sempre con la stessa passione, con la medesima energia.

Uno dei suoi più grandi successi, contenuto nell’album di esordio parla di un Alberto giovanissimo alle prese con la delusione di essere stato parcheggiato da una parte nonostante fosse sotto contratto discografico, una pratica oltretutto affatto desueta al tempo, ma responsabile di aver suscitato la reazione del cantautore che trasferì la sua rabbia in quella canzone “Milano e Vincenzo”, ancora oggi considerata uno dei suoi manifesti.

 Si tratta di un brano del tutto autobiografico?

Si, racconta la rabbia di un giovane che voleva lavorare nella musica. Vincenzo Micocci era un grande discografico ma il sentirmi messo in panchina per quasi due anni suscitò la mia rabbia, oltretutto per un diciannovenne un periodo così lungo equivale ad una vera infinità.

Poi vi siete riconciliati?

Assolutamente sì. Anzi, voglio sottolineare che Vincenzo è stato un grande produttore discografico, nel 2009 ha pubblicato l’autobiografia intitolata “Vincenzo io t’ammezzerò” di cui io stesso ho scritto la prefazione e la cosa più curiosa è che in seguito mi sono trovato a lavorare con i suoi figli per la produzione di almeno un paio di album.

Oggi invece come gestisci le emozioni, compresa la rabbia?

È il tema che tratto proprio nel mio brano “La pazienza”, tema più attuale che mai in un periodo come questo in cui, specie da due anni a questa parte, si trova ad essere messa a dura prova.

Fortunatamente nel corso della vita impariamo e cerchiamo di reagire e maturare, impegnandoci a far fruttare anche i momenti in cui si è obbligati ad attendere, anche perché il mondo ormai va in maniera totalmente diversa rispetto a una volta.

Una cosa su cui amo molto riflettere è il concetto dell’orizzontale e del verticale.

Dentro la canzone: Alberto Fortis
Vincenzo è stato un grande produttore discografico, nel 2009 ha pubblicato l’autobiografia intitolata “Vincenzo io t’ammezzerò” di cui io stesso ho scritto la prefazione. (Foto dal sito dell’artista)

Di cosa si tratta?

Oggi, in quanto figli liquidi del cellulare, siamo tutti malati di simultaneità, abbiamo l’ossessione di essere ovunque e ogni cosa tende a svilupparsi, anche sul piano emotivo, in orizzontale.

Manca la capacità di sondare le cose in profondità, sempre più spesso si aggira l’ostacolo restando in superficie. Questo è un punto sul quale io mi batto molto perché non basta parlare per poi fermarsi lì, bisogna anche agire.

Come fare?

Intanto non dobbiamo essere anacronistici nel proporre questo concetto ma attuali e moderni, io stesso se penso al cantautore pseudo dotto e pesantuccio ho la reazione del rimbalzo.

Secondo me occorre trovare il giusto equilibrio tra stimolare la verticalità e il farlo in maniera divertente. Io, ad esempio, ho portato questa riflessione al centro del mio Festival che si è appena concluso, il Lusenstock.

Lusenstock a Domodossola, mia città natia, in un luogo patrimonio dell’Unesco
Festival che si è appena concluso, il Lusenstock a Domodossola, mia città natia, in un luogo patrimonio dell’Unesco (Foto da FB dell’artista)

Di che evento si tratta?

Un Festival di oltre tre ore di cui sono stato direttore artistico, tre mesi di lavoro alla fine perfettamente ricompensati dal successo tributatogli e dal fatto che nonostante la complessità della kermesse sia filato tutto liscio.

Molti gli ospiti che hanno partecipato tra cui Rossana Casale, Francesco Baccini, Omar Pedrini, Enzo Iacchetti.

Attraverso i collegamenti siamo anche riusciti creare un ponte con le città di San Gimignano e Liverpool.

L’evento si è svolto a Domodossola, mia città natia, in un luogo patrimonio dell’Unesco. Spero che sia stata solo la prima edizione di quello che sarei felice diventasse un appuntamento fisso.

Progetti?

Ho almeno due dischi pronti, uno oramai quasi prodotto, attendo il momento giusto per la pubblicazione, nel frattempo continuo il tour con la nuova formazione della mia band.

Andrea Parodi: Zabala, non solo un disco ma anche il completamento del proprio nome

Centrali i temi del viaggio e della Frontiera (sia geografica che ideale)

Andrea Parodi: "Zabala", fantasia o realtà?
Andrea Parodi: “Zabala”, fantasia o realtà?

“Sono sempre stato dell’avviso che un buon cantautore debba prima di tutto essere un buon ascoltatore” parole di Andrea Parodi che in effetti di musica ne ha ascoltata molta sin da bambino.

Crescendo con i suoi idoli, De Andrè, Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan ha trovato la propria strada, sebbene la vera scintilla sia scattata a 18 anni quando stimolato dall’atmosfera dei falò di montagna cui partecipava con i suoi amici, iniziò a cantare e suonare.

Un giorno d’estate decise, infatti, di partire alla ricerca di una chitarra (essendo Ferragosto i negozi erano quasi tutti chiusi) viaggiando fino a Lecco.

Inizia così la storia di un cantautore che ama viaggiare e che trasferisce ogni città che ha avuto modo di scoprire nella sua musica, un’artista che ha imparato da autodidatta a suonare la chitarra, semplicemente osservando e ascoltando chi già lo faceva prima di lui e che da Cantù è riuscito ad arrivare in America e salire per ben due volte su un palcoscenico al fianco di Bruce Springsteen.

Bruce Springsteen - Asbury Park, New Jersey
Bruce Springsteen – Asbury Park, New Jersey

Quando è successo?

Mi trovavo oltreoceano e per due anni consecutivi sono stato invitato a partecipare ad un Festival di cui The Boss era uno dei fondatori, dedicato alla lotta al Parkinson, è stata una grandissima emozione.

Come sei arrivato in America?

Mi sono innamorato del cantautorato americano con le sue sfumature rock, country, folk, ascoltando Steave Earle e John Prine poi incontrai Bocephus King con il quale ho registrato il mio primo disco autoprodotto “Le piscine di Fecchio” seguendolo fino a Vancouver.

Sono tornato in Canada qualche anno dopo con maggior consapevolezza e insieme a eccellenti musicisti ho inciso “Soldati”. Due anni più tardi fui chiamato a Santa Fè per partecipare alla realizzazione di “Chupadero” un progetto discografico della “Barnetti Bros Band”, eletto disco dell’anno dalla rivista “Buscadero”.

 "Zabala" cover
Zabala – cover

È vero che oltre a suonare organizzi eventi?

Si, lo faccio ormai da molto tempo. Sono il direttore artistico del Festival “Storie di Cortile” al quale partecipano importanti nomi del cantautorato sia italiano che americano e da due anni mi occupo anche della direzione artistica di una parte della kermesse “Piombino 20 Eventi” che si svolge direttamente sul mare, nell’affascinante cornice dello storico Porticciolo di Marina.

Parodi Family
Famiglia Parodi (Foto © Woody Parodi)

Recentemente è uscito il tuo nuovo lavoro, perché il titolo “Zabala”?

In realtà Zabala sono io. Si tratta di un tentativo di darmi uno pseudonimo. Il nome non è totalmente di fantasia in quanto appartenuto ad un giocatore di calcio paraguaiano vissuto negli anni ’80 che mi ha ispirato in quanto il disco è ambientato sul confine tra Stati Uniti e Messico.

C’è un leitmotiv in Andrea Parodi Zabala?

Si, il viaggio perché ogni città che ho incontrato lungo la mia strada è diventata per me una forte fonte di ispirazione, ben rintracciabile nelle mie canzoni; e il concetto di frontiera intesa sia in senso geografico che metaforico. Frontiera è anche quella tra passato e presente.

Zabala sono io
In realtà Zabala sono io (Foto © Pino Bertelli)

Quanto tempo hai impiegato a realizzare il disco?

Molto, l’ho iniziato ben otto anni fa, ad un certo punto ho pensato che non l’avrei mai finito. Sono cambiate molte cose da quando ho concepito il progetto, prima tra tutte essere diventato padre, ho assegnato un ruolo centrale alla famiglia e l’idea di trovarmi sempre in viaggio per promuoverlo un po’ mi spaventava. Credo che inconsciamente una parte di me avesse paura di terminarlo.

Ma alla fine poi ci sei riuscito…

Si, complice il lock down. Ho pensato che in un momento in cui molto ci è stato tolto e in cui non era possibile spostarsi dovevo approfittare per fare quelle che altrimenti non avrei avuto il tempo e l’occasione di realizzare.

Così ho contattato amici sparsi nelle varie città (New York, Austin, Chicago) ed abbiamo iniziato a registrare i pezzi e buttare giù progetti per il futuro.

 "Zabala" Patricia Vonne Austin USA
Andrea e Patricia Vonne Austin USA (foto dal sito Andrea Parodi)

Il disco è stato anticipato da un singolo?

Si, a inizio anno quando c’è stato un tentativo di far tornare i ragazzi in presenza a scuola ho fatto uscire il pezzo “Maya dei girasoli” dedicata proprio ai ragazzi.

È un invito a non smettere mai di sognare e sperare. Di questo pezzo abbiamo anche realizzato in video con le illustrazioni di Bettina Ferrari e le immagini dei miei figli Woody e Geordie.

“La donna ideale non deve esistere, sarebbe noioso”

Dentro la Canzone: Francesco Baccini “Le donne di Modena”
Dentro la Canzone: Francesco Baccini “Le donne di Modena”, quando l’ho scritta mi trovavo proprio a Modena

Victor Hugo sosteneva “È dall’ironia che comincia la libertà”. Molto probabilmente il celebre poeta e scrittore vissuto nel XIX secolo, nel saper cogliere il potenziale di questo fulgido strumento, riuscì a centrare perfettamente la questione.

E Francesco Baccini, artista eclettico, mai banale e pungente, ha fatto dell’ironia uno dei suoi punti di forza. Appartenente alla scuola cantautoriale genovese, ha iniziato ad avvicinarsi al mondo della musica sin da bambino grazie ad una pianola giocattolo ricevuta in dono dallo zio.

Da lì una carriera ricca di esperienze vissuta nel segno della libertà, controcorrente e senza compromessi, e sotto il segno della bilancia ascendente gemelli, secondo lui coincidenza astrologica responsabile di condizionare non poco il suo modo di essere.

Un cantante che in 30 anni ci ha regalato successi come “Ho voglia d’innamorarmi”, “Giulio Andreotti”, “Sotto questo sole” in coppia con Paolo Belli e il bellissimo “Le donne di Modena”.

Quando hai iniziato a studiare pianoforte?

Dopo essermi appassionato alla musica e a questo strumento partendo dalla mia pianolina, mio padre mi mandò a lezione e poi con enormi sacrifici comprò il mio primo pianoforte.

Nel ’68 possederne uno era una vera rarità così ricordo bene che tutti i ragazzini del quartiere volevano salire in casa da me solo per provare l’ebbrezza di schiacciare un tasto.

Che tipo musica ti ha ispirato?

Quando ero bambino ascoltavo solo ed esclusivamente musica classica, per me musica era la sinfonia di Beethoven, tutto il resto non mi interessava.

Poi crescendo sono diventato onnivoro e ricordo bene di essere rimasto folgorato da un’immagine di John Lennon davanti ad un pianoforte a coda bianco in una stanza con grandi vetrate. Immediatamente pensi che un giorno l’avrei avuto anch’io. Ed è andata proprio così.

Perché proprio le “Donne di Modena”?

Fondamentalmente per una questione fonetica. Modena, Genova, Padova, Napoli erano le città con l’accento che cadeva giusto per la mia canzone. E comunque quando l’ho scritta mi trovavo proprio a Modena.

Dentro la Canzone: “Le donne di Modena”

Ma quale caratteristica avevano le donne di cui parli?

Probabilmente a causa del porto che da sempre causa un continuo via vai di persone, le donne di Genova all’epoca erano molto schive e diffidenti. Le poche che si vedevano in giro erano sposate o fidanzate, così quando per un po’ di tempo mi sono spostato in Emilia-Romagna pensavo di trovare una situazione diversa.

Dentro la Canzone: Francesco Baccini “Le donne di Modena”

Dopo due mesi, che ero a Modena la sola donna che avevo conosciuto era la mamma del fonico che passava il tempo a cucinare i ravioli, la canzone è nata così.

Poi c’è da dire che mia nonna materna era napoletana e in quel periodo stavo con una ragazza padovana; quindi, le quattro città che ho toccato nel brano hanno anche una forte legame autobiografico con me.

Francesco Baccini
Dentro la Canzone: Francesco Baccini “Le donne di Modena”

Alla fine, hai capito qual è la tua donna ideale?

Non esiste, non deve esistere la donna ideale. È un po’ come la famosa storia del sabato del villaggio, finché tutti aspettano attendono la festa è bellissimo, poi arriva la domenica ed è una noia spaziale, oppure come il Capodanno, vuoi mettere l’attesa rispetto a quella che sarà una possibile delusione?

Cosa è l’arte?

Un modo per sublimare cose che non possiedi, compreso l’amore. Ed il vero artista è inimitabile altrimenti lo saremmo tutti, la musica oggi è diventata un prodotto ma l’arte è un’altra cosa.

Francesco Baccini “Le donne di Modena”
Quando ero bambino ascoltavo solo ed esclusivamente musica classica, poi crescendo sono diventato onnivoro

Sei sempre stato uno spirito ribelle. Lo sei tuttora?

Si, sono uno spirito di contraddizione nato. Se vuoi farmi fare una cosa devi chiedermi il contrario, secondo me è tutta colpo del mio zodiaco, sono bilancia ascendente gemelli, perciò mi sento il contenitore di 190 persone che abitano in me, il mio modo di essere dipende da chi prende il comando.

Se non altro non mi annoio e nessuno si annoia con me! Questo mi porta a guardare mai indietro ma sempre avanti. Non sono un nostalgico, non ho neppure il tempo di esserlo, perché nella vita c’è sempre qualcosa di nuovo da fare.

Erminio Sinni: raggiungere il successo senza dimenticare chi siamo

Dentro la canzone: La Terrazza
Dentro la canzone: Erminio Sinni “La Terrazza”

Il vincitore di The Voice Senior è in tour e a breve pubblicherà il nuovo album.

Essere onesti con sé stessi e col pubblico, ringraziandolo come si fa con un caro amico per ogni gesto d’amore, la richiesta di un autografo, una canzone cantata in coro da tutti, un applauso sincero.

Semplicissimi punti del vademecum che un artista dovrebbe sempre portare con sé dentro la tasca dei pantaloni, o nella borsetta da passeggio, se trattasi di una donna.

Ecco, Erminio Sinni originario di Bagno di Gavorrano (GR), ricorda bene chi è e chi è stato, così come tutto ciò che abbia contribuito a scrivere una storia partita da lontano e fatta di gavetta, piano bar e Festival di Sanremo.

Il vincitore di The Voice Senior è in tour e a breve pubblicherà il nuovo album

Ma fatta anche di esperienze uniche, come aver cantato insieme a Frank Sinatra, episodio di cui riesce a parlare con orgoglio ma senza alcun vanto.

Insomma, la vittoria a The Voice Senior nel 2020 è stata solo la ciliegina sulla torta di una carriera costellata di punti esclamativi.

E se tra questi ve ne era anche soltanto uno interrogativo, è stato definitivamente spazzato via, come accade alle nuvole quando, più luminoso che mai, esce fuori il sole.

Nell’ultimo singolo “La Terrazza” parla dell’amore dal suo punto di vista ma con tale naturalezza e semplicità che chiunque può riconoscersi riflesso nelle sue parole.

Che ricordo hai di Sanremo?

Bellissimo, era il ’93 arrivai quinto nella sezione Novità col brano “L’amore vero” aggiudicandomi due premi: miglior musica della kermesse e miglior testo.

Un grande momento di notorietà, poi ho continuato a fare piano bar, ho inciso un disco a Buenos Aires “11.167 km” titolo ispirato alla distanza tra la capitale italiana e quella argentina, cui sono seguiti altri album e collaborazioni con Paola Turci (antecedente a Sanremo) e Riccardo Cocciante, oltre ad aver partecipato nel ruolo di giudice ad un importante Festival in Romania.

E The Voice Senior come è arrivato?

Ho partecipato senza aspettarmi niente, mi sono presentato totalmente disarmato. Era il 2020 quindi il mio scopo era principalmente quello di tenermi la mente occupata visto che già avevamo sperimentato le distanze imposte dal Covid e immaginavamo che non sarebbe finita lì, la sottrazione dei rapporti umani e del lavoro, oltre a tutto il resto, sono difficili da metabolizzare.

"La Terrazza" cover
Dentro la canzone: Erminio Sinni “La Terrazza” – cover

Quanto ti è servita la tua esperienza nella musica?

Indubbiamente molto ma nonostante tutto quello che ho fatto, compreso il tour in America in cui ho conosciuto e duettato con Sinatra, mi sono presentato come un semplice pianista di pianobar.

Mi piace scrivere, sono un cantautore ma dentro di me resto un pianista di pianobar. Ciò che non mi aspettavo è che ora quando giro l’Italia in ogni piazza trovo una famiglia che mi vuole bene, sono felice di tutto ciò che sta succedendo.

Quanto conta per te l’umiltà?

Bisogna prendere esempio dai grandi personaggi che non l’hanno mai persa, anche se la gente ti saluta e ti riconosce non sei nessuno. Lo sai io quanto ancora devo faticare per arrivare a livello di mio babbo che faceva il minatore?

Erminio Sinni
Il pubblico vuole ascoltare la propria storia attraverso la musica

Da poco è uscito la ballad romantica “La Terrazza”, che panorama vedi da lì?

È la mia terrazza di casa a Roma. L’ispirazione mi è venuta dai gabbiani, guardandoli capisci che loro non hanno la Google Map ma altri punti di riferimento.

L’obiettivo quando l’ho scritta era dare un po’ di speranza in un momento così difficile, un invito ad assaporare le cose semplici della vita raccontando dalla prospettiva di quella terrazza la storia di due ragazzini.

Quanto è cambiata la terrazza nel tempo?

In realtà è la stessa storia mia, tua o di chiunque altro, solo che se una volta si stava sotto una quercia ora ci si trova dentro una macchina a parlare con uno smartphone in mano, cambia la comunicazione ma la storia è sempre la stessa.

il vincitore di The Voice Senior
Il vincitore di The Voice Senior è in tour e a breve pubblicherà il nuovo album

Nel video c’è Roma, ma quella terrazza potrebbe affacciarsi in qualsiasi città o paese d’Italia, ogni luogo ha il suo lato romantico e la sua storia. Volevo raccontare qualcosa che parlasse di luce e speranza.

Qual contributo può dare la musica in questo senso?

Un contributo enorme. Chi scrive deve precorrere gli eventi, avere intuizione di cosa serve alla gente che poi è lo stesso bisogno che hai tu. Il pubblico vuole ascoltare la propria storia attraverso la musica. E ora c’è bisogno di speranza.

Ti trovi in tour attualmente?

Si sto girando l’Italia con la mia band: Marcello Sirignano (violino), Gianluca Capitani (batteria), Alberto Lombardi (chitarra), Paolo Grillo (contrabbasso). Alla gente piace partecipa  tanto che è come se non ci fosse nessuna distanza tra noi e il pubblico.

Dentro la canzone: Erminio Sinni

Progetti?

A ottobre uscirà un altro singolo, è in ballo una collaborazione con Loredana Berté (mio coach a The Voice Senior) e prima di Natale pubblicherò il nuovo album.

Fausto Leali: l’immensa solarità della voce più nera d’Italia

 

Dentro la canzone: Fausto Leali "“A chi mi dice”
Dentro la canzone: Fausto Leali ““A chi mi dice”

 

Una voce unica, probabilmente la più nera che abbiamo tutt’oggi in Italia.

Una di quelle voci che alla radio riconosci immediatamente, senza troppi indugi, e che lo ha portato a calcare ben 13 volte il prestigioso palco dell’Ariston di Sanremo (la prima volta nel 1968) collezionando molti ottimi piazzamenti e una vittoria, nel 1989, con la struggente “Ti lascerò” insieme a Anna Oxa. Musica dunque, moltissima musica, ma anche televisione e talent come “Ballando con le stelle”, insomma Fausto Leali è uno di quei personaggi che non smette mai di stupire ed il cui graffio è rimasto quello di oltre mezzo secolo fa, sia in termini di timbrica che di invidiabile energia.

Tra i moltissimi grandi successi collezionati nel tempo, ce n’è uno cui si dice particolarmente legato appartenente a “Non solo Leali”, album uscito nel 2016 in cui duetta con illustri colleghi del calibro di De Gregori, Ruggeri, Tony Hadley, Baglioni (e numerosi altri) e anticipato appunto dal singolo “A chi mi dice” cantato insieme alla grande Mina.

Si tratta di una cover?

Si, la musica è della boy band britannica Blue, il titolo originale è “Breathe easy” mentre la traduzione in italiano è stata curata da Tiziano Ferro. Quando ho maturato l’idea di realizzare questo disco la prima collega che ho chiamato è stata Mina la quale ha accettato chiedendomi però di scegliere un pezzo che non appartenesse ai rispettivi repertori. E alla fine ho scelto di fare così non solo con lei ma con quasi tutti gli altri cantanti.

Il brano parla di un addio?

Si, è una canzone d’amore dove però ci si confronta con l’epilogo di una storia, con un addio “Incrocerai lo sguardo mio per poi dirmi addio (…) a chi mi dice che tornerai non credo oramai”.

Dentro la canzone: “A chi mi dice”
Quando ho maturato l’idea di realizzare questo disco la prima collega che ho chiamato è stata Mina la quale ha accettato

Tu come vivi gli addii (e non solo in amore)?

L’addio di per sé è bruttissimo perché la parola indica che non ci vedremo più, ha un peso molto forte caricandosi di un significato negativo.

Meglio un arrivederci?

Decisamente, io sono per lasciare le porte aperte senza sbatterle definitivamente. Anche perché avendo avuto tre mogli e cinque figli sarebbe stato un vero problema, invece sono riuscito a restare in buoni rapporti con tutti. Poi sono solare come mi vedete in tv, non riesco a dire bugie, si capisce immediatamente se sto mentendo, mi sgamano subito!

Addii riguardanti la tua carriera ce ne sono stati?

In realtà non addii, solo alcune cose che col senno di poi avrei fatto diversamente. Ad esempio negli anni ho portato alcune canzoni a Sanremo che solo a posteriori mi sono reso conto non erano quelle giuste per la kermesse. Se il pubblico non risponde come ti saresti aspettato forse significa che non è stata fatta la scelta giusta. Fortunatamente la gente si ricorda le cose belle che ha ascoltato, viceversa quelle che non sono riuscite bene tende a non rimuoverle dalla memoria. Probabilmente me le ricordo solo io.

Ed errori che non rifaresti?

Quando hai una vocalità particolare e ben definita, percorrere strade alternative solo per dimostrare che sai fare altro porta a commettere errori, ed io l’ho provato sulla mia pelle. Nei primi anni ’70 ho sbagliato un paio di Sanremo tanto che non volevo più parteciparvi finché nell’86 non è arrivato Toto Cutugno che mi ha fatto sentire “Io amo” pezzo che ho portato in gara nella città dei fiori l’anno successivo.

E cosa è per te l’amore?

Fa parte della mia vita e ne costituisce una quota importante. L’amore è stare insieme, è riuscire a sorridere col partner e i propri figli, tutti insieme. E poi c’è quello per la musica e per il pubblico e che il pubblico a sua volta ti restituisce come in un grande abbraccio attraverso gli applausi e il suo calore. Purtroppo negli ultimi tempi a tutto questo abbiamo dovuto rinunciare e mi manca molto.

Fausto Leali "“A chi mi dice”
Addio è una parola negativa l’Amore invece è sorridere insieme alla famiglia

Cantare con Mina come è stato?

Bellissimo, avevamo già collaborato fu proprio lei a propormi di cantare insieme già nell’86, si trattava della sigla di “Fantastico”, dopo di che siamo rimasti sempre in contatto, così quando nel 2016 ho pensato di fare questo album ho pensato subito a lei.

Alla luce di tutti questi duetti ce n’è uno che ancora ti manca?

Ho avuto il piacere di cantare davvero con grandissimi artisti. Detto questo, c’è un collega con cui non ho mai duettato ed è Vasco Rossi.

Mi piacerebbe e poi, a Vasco non si dice mai di no!

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