In tour in tutta Italia non dimentica la musica che ha voluto anche dentro il suo spettacolo

Max Giusti: “Va tutto bene? Mah” tour
Max Giusti: “Va tutto bene? Mah” tour

Divertente, istrionico, acuto.

Tre aggettivi per un artista che invece di sfumature ne racchiude molte di più, trattandosi di un conduttore tv e radio, imitatore, attore, doppiatore e drammaturgo e, verrebbe da dire, chi più ne ha, più ne metta.

Si, perché Max Giusti è un’esplosione di energia non solo in tv ma anche al telefono. Entusiasta della vita (lo si capisce subito) come lo è del suo lavoro che ha già tagliato, è proprio il caso di dire ridendo e scherzando, il considerevole traguardo dei 30 anni di carriera.

Max è il mattatore del gioco dei pacchi su RAI 1, il doppiatore di Gru nella saga “Cattivissimo me” e il conduttore di programmi come “Boss in incognito” o “Boom!” ma è anche interprete e autore, insieme a Giuliano Rinaldi, dello spettacolo “Va tutto bene” che sta portando in tutta Italia, il cui titolo in occasione della tournee estiva (nonché della situazione attuale) è stato rivisto in “Tutto bene? Mah”.

Max va proprio tutto bene?

Diciamo un po’ meglio, certo c’è un mah nella risposta…

Che tipo di spettacolo è?

È il più bello che abbia messo su finora dove si ride dal primo all’ultimo minuto riflettendo su come siamo cambiati in questo ultimo anno e mezzo. Ma attenzione non si parla mai di pandemia, lo spettacolo è totalmente di evasione.

Quali sono i cambiamenti che ti hanno ispirato?

Ad esempio, vi racconterò di come ho imparato a fare shopping online, di quanto sia diventato durante il lock-down un fan di Maria De Filippi e di tutti i suoi programmi (in primis “Uomini e Donne”), e ancora parlo dello smart working e del fatto che standomene più tempo a casa ho realizzato che i miei figli ascoltano la trap o ballano il reggaeton.

Che rapporto hai con la musica?

Ottimo, tanto è vero che l’ho voluta portare anche dentro lo spettacolo. Oltretutto ad un certo punto mi cimento in un parallelo tra le canzoni che suonavamo nell’81 quando si organizzavano le festicciole tra amici e quelle che invece utilizzano i teenagers di oggi per avvicinarsi alle ragazze o passare una serata in compagnia.

Max Giusti: “Va tutto bene? Mah”
Standomene più tempo a casa ho realizzato che i miei figli ascoltano la trap o ballano il reggaeton

E tu che musica ascolti?     

Mi piace molto Gaia, già vincitrice di “Amici” che ha partecipato anche all’ultima edizione di Sanremo e poi apprezzo buona parte del cantautorato italiano come Max Gazzè, i Tiromancino o Daniele Silvestri che mi rappresentano molto.

Sul palco di sicuro mi porto il confronto eterno tra Ligabue e Vasco Rossi con alcune imitazioni qua e là.

Come è stato tornare ad esibirsi in pubblico?

Bellissimo, considera che quando a maggio ho ripreso il tour, alla fine della prima data (a Forlì) il pubblico è partito con un applauso finale interminabile, da record.

Segno evidente non solo del fatto che lo spettacolo sia piaciuto ma anche della necessità di esprimere con un atto liberatorio la necessità di uscire di casa, indossare un bel vestito e recarsi a teatro o ad un concerto.

E comunque non so se è previsto un secondo giro di giostra ma c’è così tanto mondo da scoprire e la vita è talmente bella, che una sola non mi basta.

Renzo Rubino: “Giocare” per crescere, ma con moderazione

Nel nuovo singolo parla dei ricordi e anticipa un disco di favole per grandi e piccini

Dentro la canzone: Renzo Rubino "Giocare"
Dentro la canzone: Renzo Rubino “Giocare”

Anima sensibile, sottolineata da una scrittura affatto banale ma che al contrario negli ultimi otto anni ha prodotto canzoni intense e destinate a lasciare un segno indelebile come “Il postino (amami uomo)”, “Ora” o “Custodire”.

Renzo Rubino si presenta al suo pubblico sempre diverso e con un background di esperienze e di sogni che puntualmente trasferisce nei suoi brani.

A settembre pubblicherà “Giocattoli Marevigliosi” da cui intanto ha scelto di estrarre “Giocare”, vero manifesto dell’album, le cui sonorità rapiscono l’ascoltatore trasportandolo in universi lontani ma paralleli.

Lontani perché possono apparire distanti anni luce dal tempo in cui viviamo nel restituirci lo scatto di un’infanzia passata e paralleli in quanto tanta dolcezza continua a vivere in noi e almeno in parte, se vogliamo, ci è possibile recuperarla.

Basta cedere alle lusinghe del passato, quando eravamo forse più ingenui ma senz’altro più puri di quanto lo siamo adesso.

 "Giocare"
Nel nuovo singolo parla dei ricordi e anticipa un disco di favole per grandi e piccini

Le atmosfere sognanti riprodotte anche del video rappresentano il desiderio di evadere?

Ho scritto “Giocare”, e in realtà l’intero disco, durante il lock down causato dalla pandemia, in un lasso di tempo molto stretto.

Quando si è accesa l’idea di lavorare a un nuovo album ho pensato da subito di dedicare le canzoni ai bambini perché ritengo che nella fase delle chiusure totali siano quelli che hanno sofferto maggiormente.

I giorni, i mesi, gli anni perduti non li potrà mai restituire nessuno e se ciò è vero per chiunque, credo che i più piccoli siano stati fortemente vittime di tale condizione.

Quindi “Giocattoli Marevigliosi” è pensato per i bambini?

Inizialmente era così. Poi mi son reso conto che quelle che stavo scrivendo erano favole per tutti. Di fatto questo è un disco di favole e giocare è in realtà un ricordo.

Mi piace pensare che le persone riescano ad immedesimarsi in ciò che scrivo, immaginandolo appieno e catapultandosi in un universo parallelo.

Nei primi versi parli una conchiglia, si tratta di un ricordo?

Si. Quando ero piccolo capitava, sorprendendomi, di trovarmene alcune in tasca, probabilmente mi erano state regalate e non ricordando di avercele messe, non capivo perché si trovassero proprio li “C’è una conchiglia sulle scale, come ha fatto, da dove arriva?”.

Dentro la canzone: "Giocare"
Abbiamo utilizzato strumenti giocattolo, perciò anche nella produzione abbiamo fatto una scelta precisa e non di facile realizzazione

Qual è il messaggio?

Crescere sì, ma con moderazione. Mi piace pensare che le persone possano trovare nel brano “Giocare” (e nell’intero album) delle istruzioni per ricordarci che nonostante siamo cresciuti ci sono cose che possiamo comunque fare senza vergogna.

Tutto rigorosamente a tema, persino gli strumenti musicali…

Abbiamo utilizzato strumenti giocattolo, perciò anche nella produzione abbiamo fatto una scelta precisa e non di facile realizzazione.

Ho praticamente rubato tutti i giocattoli di mia nipote per suonare tutte le canzoni dell’album cercando così di restituire l’idea del gioco e dei ricordi d’infanzia.

Quanto a musica e testi sono scritti da me.

Renzo Rubino "Giocare"
Ho da sempre un grande legame affettivo con la barca, le conchiglie e il mare che mi riportano appunto, a quando ero bambino.

Come è andato “Porto Rubino”?

Benissimo! In questa terza edizione abbiamo toccato quattro porti dal 19 al 25 luglio ed è stato fantastico. Dal grande palco galleggiante, ovvero il nostro veliero di 22 metri, si sono esibiti molti amici e colleghi ed io ho presentato ufficialmente “Giocare” che ho voluto fosse un po’ la colonna sonora di “Porto Rubino” perché ho da sempre un grande legame affettivo con la barca, le conchiglie e il mare che mi riportano appunto, a quando ero bambino.

Attualmente in tour con la sua chitarra, “La Terza Classe” e altri interessanti progetti

Joe Bastianich: da Masterchef alla Musica Country
Joe Bastianich: da Masterchef alla Musica Country (Foto © Angelo Trani)

Acume, spirito critico e battute divertenti che hanno lasciato il segno.

Joe Bastianich tanto negli Stati Uniti quanto in Italia è diventato un personaggio televisivo che, sebbene l’istituzionalità del ruolo che riveste imponga talvolta un atteggiamento severo, ha saputo conquistare il pubblico con la sua proverbiale simpatia.

Forse non tutti sanno però che al di là di essere giudice in programmi di grande successo come Masterchef o Italia’s Got Talent, Joe è un musicista di grande talento, appassionato di musica rock, country, bluegrass e che attualmente è in tour con alcune situazioni diverse ma sempre accompagnato dalla sua fedele amica chitarra. Voce chiara, profonda, calda e atmosfere che ti trasportano nella sua America.

Si, perché la musica sa fare anche questo, dà la possibilità di viaggiare pur restando esattamente dove siamo.

Tra la cucina e la musica quale è la tua prima passione?

Sicuramente la musica. Il cibo per me è sempre stato un lavoro. Sono diventato imprenditore nell’ambito della ristorazione per seguire le orme della mia famiglia che è sempre stata attiva in questo settore. Ma se mi chiedete quali sono le mie vere passioni non ho dubbi: la musica e il vino.

Joe Bastianich
Le mie vere passioni? Non ho dubbi: la musica e il vino (Foto © Angelo Trani)

Il tuo piatto preferito?

Linguine con le vongole o spaghetti alla matriciana. Un altro piatto, pur nella sua semplicità, che amo molto è la tagliata di carne con rucola e grana.

Quanto contano gli ingredienti?

Moltissimo. Per me i prodotti sono fondamentali, usare la pancetta o il formaggio giusti cambia le sorti del piatto per un risultato finale decisamente migliore.

Una cosa che invece proprio non sopporto è la pasta scotta.

Nel 2019 hai lasciato Masterchef Italia ed hai pubblicato il tuo primo album. È un caso?

Effettivamente il 6 settembre di tre anni fa è uscito il mio primo singolo da solista “Joe Played Guitar” cui è seguito l’album “Aka Joe”. Attualmente sono in tour con la band “La Terza Classe” conosciuta sul set del programma “On the Road”, inoltre mi sono esibito a Riotorto (LI) con il grande cantautore britannico James Maddock mentre a Piombino (LI) il 22 agosto dividerò il palco con Francesco Baccini, Filippo Graziani, Alex Gariazzo per una serata omaggio a John Lennon.

Joe Bastianich: Musica Country
Il 22 agosto a Piombino (LI) dividerò il palco con Francesco Baccini, Filippo Graziani, Alex Gariazzo per una serata omaggio a John Lennon (Foto © Angelo Trani)

Ma ti rivedremo in veste di giudice a Masterchef?

Sto continuando a fare Masterchef USA mentre in Italia ho sospeso (ma non si sa mai!). Diciamo che mi sono trasferito nel mondo dell’intrattenimento e della musica perché mi piace molto e volevo farlo, sto inseguendo la mia passione.

Qual è il tuo genere musicale?

American folk e country ma con la formazione “La Terza Classe” facciamo invece più strettamente bluegrass.

Vi porterò ancora con me “Dentro la Canzone” 

Vi porterò ancora con me “Dentro la Canzone”
Sara Chiarei

Più o meno 11 settimane fa aprivo la mia valigia e mi preoccupavo di metterci dentro un po’ di esperienza, un pizzico di curiosità e molto entusiasmo.

I viaggi mi hanno sempre restituito quello stato di eccitazione febbrile se vogliamo tipico dei bambini, ai cui occhi anche una piccola conchiglia trovata in spiaggia diventa una ghiotta conquista e ogni nuova cosa una grande scoperta.

È con questo tipo di approccio che mi accingo ad intraprendere i miei viaggi, a prescindere che la meta sia materiale o soltanto ideale.

Del resto poco importa, dato che sono sempre stata dedita a grandi voli pindarici e che per la mia mente non è affatto inconsueto abbandonarsi a mete fantasiose.

Tutto questo è ancora più vero quando c’è di mezzo la musica, che amo profondamente e che con me si è sempre dimostrata amica fedele e, appunto, immancabile compagna di viaggio.

Ecco, la rubrica “Dentro la canzone” si inserisce perfettamente in questo contesto.

È stato un iter che mi ha coinvolto settimana dopo settimana portandomi a conoscere e persino familiarizzare con volti noti del panorama musicale italiano, affrontando insieme a loro temi importanti e parlando di esperienze di vita professionale e personale in quelle che più che

interviste (termine di cui ho profondo rispetto ma che spesso trovo un po’ troppo formale) si sono rivelate chiacchierate a cuore aperto dalle quali ho cercato, meno maldestramente possibile, di isolare emozioni e sensazioni da trascrivere sulla tastiera del mio Pc.

Dentro la Canzone: il viaggio continua

La parola d’ordine, per quanto mi riguarda, è condivisione, non tanto di una foto o di un post ma di pezzi di vita e di musica che raccontati, anche a distanza di tempo, hanno la caratteristica di far battere il cuore.

 

Vi porterò ancora con me “Dentro la Canzone”

Ognuno di loro, indistintamente, mi lasciato qualcosa, Orietta Berti, Le Deva, Paolo Vallesi, Red Canzian, Matteo Macchioni, i Dik Dik, Dario Gay, Irene Fargo, Enrico Capuano e Eugenio Finardi e Roberta Faccani.

Dall’omofobia allo scorrere inesorabile del tempo, dagli angeli che vivono sulla terra al delicato tema della donazione fino alla musica ribelle di ieri e di oggi.

Questi alcuni degli argomenti trattati con gli artisti e presi in prestito direttamente dalle loro canzoni, analizzati sotto la lente d’ingrandimento e messi a fuoco per riuscire ad entrare, sempre in punta di piedi, “Dentro la canzone”.

Ma la cosa più bella è sapere che il treno non è giunto al capolinea. Mi attendono ancora dieci fermate ognuna delle quali, ne sono certa, continuerà a regalarmi spunti di riflessione e nuove prospettive per guardare lontano e fermarsi ad ascoltare un brano musicale magari da un’angolatura diversa. Non pretendo migliore, ma diversa.

Per questo ringrazio Mauro, Juditta e l’intera redazione per la rinnovata fiducia che mi auguro di non tradire, né ora né mai.

Ora vado, devo riprendere il viaggio, riaprire la mia valigia e riempirla di parole, emozioni e musica.

Roberta Faccani: Cuore e tecnica per lanciare un “Grido D’Amore”

“La voce va allenata proprio come fa un’atleta “

Dentro la canzone: Roberta Faccani un "Grido D'Amore"
Dentro la canzone: Roberta Faccani un “Grido D’Amore”

Una voce grintosa, potente, inconfondibile, rock, che ti avvolge come un abbraccio e al tempo stesso graffia la pelle con artigli ben affilati.

Roberta Faccani, “Mata” per i suoi   fans (pseudonimo utilizzato per il primo singolo), è un mix di tecnica e cuore. Diplomatasi al c.e.t. di Mogol come “Interprete di musica leggera”, ha collezionato molti premi prestigiosi (tra cui il secondo posto al Festival di Castrocaro nel ’90), ha collaborato con alcuni dei principali artisti della musica italiana, nutre una passione viscerale per il Musical e dirige un corso di formazione artistica per cantanti e performers.

Ma oltre ad una tecnica impeccabile e a corde vocali che le garantiscono una estensione non facilmente raggiungibile da chiunque, a caratterizzare Roberta ci sono anche l’amore per la musica e l’entusiasmo che riesce a trasmettere già semplicemente raccontandosi al telefono.

Da un così grande amore, nel 2005, nasce un brano che portato in gara a Sanremo (piazzandosi al terzo posto tra i gruppi) segna l’inizio dell’avventura con i Matia Bazar.

Quando sei diventata la cantante dei Matia Bazar?

Sono stata scelta nel 2004 quando c’era l’idea di stravolgere il l mondo musicale del gruppo indirizzandolo verso una scrittura più rock, per questo si orientarono su una voce con caratteristiche diverse da quelle sentite fino ad allora.

Quanto sei legata al brano “Grido d’amore”?

Moltissimo, con questa canzone sono andata a Sanremo ed è stata un‘esperienza stupenda, poi lo sento cantare molto spesso ancora oggi, segno che è rimasto nel cuore di molte persone, oltre che nel mio.

Ma quando si ha la necessità di gridare l’amore?

In pochi lo sanno, il testo è firmato da Cassano/Golzi ma quasi tutta la prima parte è scritta da me. Mi fu chiesto di scrivere qualcosa di istintivo, così uscirono le parole “Devi dirlo che mi ami, devi dirlo che mi vuoi, voglio credere in un bacio, dimmi ancora ancora noi”.

Perché proprio quelle parole?

Perché in quel momento non ero innamorata e a dire il vero da un po’ di tempo non nutrivo questo sentimento, così il mio, senza pensarci troppo su, fu un vero grido all’amore, rivolto cioè ad un personaggio che speravo si potesse palesare.

Il grido nasce dunque da una necessità?

Si, in questo brano non si sussurra ma si grida all’amore utilizzando una serie di imperativi “Devi dirlo che mi ami, devi dirlo che mi vuoi…”

Dentro la canzone: Roberta Faccani
Dentro la canzone: Roberta Faccani un “Grido D’Amore” “Devi dirlo che mi ami, devi dirlo che mi vuoi, voglio credere in un bacio, dimmi ancora ancora noi”

Come ti rapporti con l’amore?

Non sono una di facili innamoramenti, avendo una natura molto razionale. Difficilmente il mio cuore batte davvero per una persona, ma una parte di me in quel preciso momento voleva innamorarsi. Il brano nasce dunque non da una delusione (come spesso accade) bensì da un’assenza che diventa necessità.

Ti piace molto il teatro?

Io nasco come cantante ispirata dalla musica dei Genesis, Toto, Police, principalmente band rock anni ’80 che mi hanno molto influenzata nel senso ritmico, nella scrittura dei brani e nell’esposizione vocale ma parallelamente ho sempre fatto anche teatro.

Non a caso sono stata scoperta dal maestro Pavarotti durante i provini di un musical. Lui vide in me qualcosa e mi consigliò di continuare, affiancando alla strada discografica, anche quella teatrale.

Da quel momento sei stata protagonista di numerosi Musical…

“Pinocchio il grande musical”, “Romeo e Giulietta-Ama e cambia il mondo” e ancora “Alice nel paese delle meraviglie-Il Musical” dove interpreto la Regina di cuori che forse è il personaggio cui sono più legata perché il regista mi cucì su misura il ruolo facendomi diventare buffissima ed autoironica, cosa che io amo molto.

Un’altra esperienza da ricordare è stata la collaborazione con Renato Zero (con cui ho da subito stabilito una forte empatia) per il suo spettacolo “Zerovskij” portando in scena il doppio ruolo di Morte e Vita.

Roberta Faccani un "Grido D'Amore"
Difficilmente il mio cuore batte davvero per una persona, ma una parte di me in quel preciso momento voleva innamorarsi

Ci spieghi come riesci a realizzare i tuoi acuti?

Me lo chiedono in molti, tanto che ho creato il metodo “La fabbrica del cantante attore”. Si tratta di un’Accademia di canto e perfezionamento alla vocalità nel musical e nel pop in cui insegno come si canta nel Live, piuttosto che nello studio di registrazione e come si affrontano certi palchi.

Nel mio metodo ho voluto traslare la sperimentazione testata nella mia laringe e nella postura perché cantare non significa solo far vibrare le corde vocali. Ci sono muscoli che si allenano esattamente come fa un atleta, insomma insegno tutto ciò che è professionalità per calcare palchi anche di un certo spessore.

Progetti?

A settembre uscirà un nuovo singolo cui seguirà un album dove mi sono riscoperta in nuove sonorità sia di scrittura che vocali.

Del resto il bello è proprio questo, la vocalità non è mai una sola e non si finisce mai di scoprire.

Al via dal 19 al 25 luglio la terza edizione di “Porto Rubino” tra mare, musica e grandi ospiti

"Porto Rubino" Festival itinerante tra porti e grandi ospiti
Renzo Rubino ha ideato un Festival itinerante (di cui è direttore artistico) caratterizzato dalla presenza del mare, dei porti e di grandi ospiti scelti tra amici e colleghi dell’attuale panorama musicale.

Il legame tra musica e mare è sempre stato particolarmente stretto, tanto da perdere il conto delle canzoni ispirate a questo immenso gigante azzurro fatto di sogni e di gocce d’acqua.

Entrambi beni da tutelare dato che noi “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” per citare William Shakespeare, mentre l’acqua occupa ben il 71% del nostro pianeta.

Renzo Rubino ha ideato un Festival itinerante (di cui è direttore artistico) caratterizzato dalla presenza del mare, dei porti e di grandi ospiti scelti tra amici e colleghi dell’attuale panorama musicale.

Giunto quest’anno alla sua terza edizione, “Porto Rubino” dal 19 al 25 luglio toccherà alcune splendide località marittime rendendole ancora più magiche per una sera grazie ad un evento che cresce di anno in anno, destando sempre maggiore interesse su pubblico e stampa.

"Porto Rubino" Festival itinerante locandina
Porto Rubino 2021 – Locandina

Come è nato il progetto?

Questa è ufficialmente la terza edizione ma in realtà il progetto è nato già nel 2018. Era il periodo dei porti chiusi, si parlava molto di sostenibilità ed ho colto l’occasione di fare un mio Festival sul mare anche per capire se il sentimento diffuso fosse quello di apertura o chiusura rispetto ai porti.

Disponevi già allora di una barca per le esibizioni?

Si, ma era molto più piccola rispetto al veliero di 22 metri che abbiamo quest’anno e che sarà il palcoscenico di ogni tappa.

Quindi vi esibirete da lì?

Esatto. Ogni sera suoniamo a bordo del veliero posto al centro del porto e il pubblico assisterà allo spettacolo dalla banchina.

"Porto Rubino" Sky Arte
Lo scorso anno abbiamo realizzato un documentario poi trasmesso su Sky Arte che è stato anche selezionato per partecipare  alla XV edizione della Festa del Cinema di Roma

Siete riusciti a fare il Festival anche nel 2020?

In realtà non solo ci siamo riusciti ma abbiamo fatto un’edizione molto bella grazie a Giuliano Sangiorgi, Diodato ed altri amici che hanno voluto partecipare.

Oltretutto lo scorso anno abbiamo realizzato un documentario poi trasmesso su Sky Arte che è stato anche selezionato per partecipare  alla XV edizione della Festa del Cinema di Roma.

Quest’anno, nonostante le molte difficoltà dovute al Covid, sarà una super edizione anche perché si respira grande entusiasmo.

Nel momento in cui tutto si è sgretolato intorno alla musica “Porto Rubino” è diventato un approdo, una speranza cui potersi aggrappare.

Ci ricordi le tappe con relativi ospiti?

Il 19 luglio partiremo da Polignano a Mare (BA) con Vinicio Capossela e Micah P. Hinson. Il 21 luglio saremo a Castro Marina (LE) con Edoardo Bennato, Francesca Michielin e Fulminacci.

Il tour proseguirà quindi alla volta di Ostuni- Villanova (BR) con Michele Bravi e Roy Paci per raggiunger il 25 luglio il porto di Maruggio-Campomarino (TA) dove si esibiranno Mahmood, Francesco Bianconi, Giovanni Truppi, Margherita Vicario, Motta e Gino Castaldo.

Come si può notare si tratta di ospiti molto variegati tra loro proprio perché non ho voluto puntare su di un unico target o genere musicale.

"Porto Rubino" Festival itinerante
Ogni sera suoniamo a bordo del veliero posto al centro del porto e il pubblico assisterà allo spettacolo dalla banchina

Ovviamente protagonista delle quattro tappe sarai tu. Presenterai il nuovo singolo?

Certo, si intitola “Giocare” ed è il pezzo che anticipa l’album “Giocattoli Marevigliosi”. Giocare è un po’ il manifesto del mio nuovo lavoro e mi piace l’idea che possa diventare la colonna sonora di “Porto Rubino” anche perché il mare e la barca mi riportano a quando ero bambino e d’estate da Martina Franca dove vivevo, mi recavo in spiaggia o sul mar Ionio o sull’Adriatico.

Per i biglietti?

Si possono acquistare su VIVATICKET.

Eugenio Finardi: 45 anni di “Musica Ribelle”

“La libertà è qualcosa di evanescente, ed è assoluta quando scegliamo di rinunciarvi”

Dentro la Canzone: Eugenio Finardi "Musica Ribelle"
Io spero si scopra nuovamente la realtà hippie e ci si riavvicini al tribalismo inteso proprio come vivere prendendo spunto dalle tribù

Chissà, forse ha ragione Francois Mauriac quando scrive “Il pensiero è ribelle. Impossibile impedirgli di correre dove vuole”.

Fatto sta che essere ribelli forzatamente è come indossare un vestito smanicato in pieno inverno solo perché fa tendenza, oltre a risultare innaturale sarebbe addirittura dannoso. Il minimo che possa accadere è un evitabilissimo raffreddore coi fiocchi.

Chi invece lascia correre il proprio pensiero in un modo che gli è congeniale da sempre è Eugenio Finardi.

Lui non lo fa per convenzione, piuttosto per fedeltà alle proprie idee, natura e musica che nonostante il passare del tempo continua ad essere ribelle, esattamente come 45 anni fa.

Cosa pensi dell’attitudine ad etichettare la musica?

La musica è un fluido, oggi si ha la tendenza a ribattezzare i generi in mille modi diversi etichettandoli talvolta con fantasia. Siamo troppo legati all’apparenza e poco all’essenza.

Eugenio Finardi "Musica Ribelle"
Dentro la Canzone: Eugenio Finardi “Musica Ribelle” – La libertà la riconosciamo solo quando ci manca e in quanto tale è evanescente

Come risolvere questo problema?

Personalmente sto facendo una mia contro battaglia andando in giro con sandali basculanti di 12 anni fa e pantaloncini sfrangiati dall’uso, diciamo che è una mia reazione alle mode e al volere apparire a tutti i costi.

È la tua natura ribelle?

Si, io sono sempre controcorrente. Ho persino fatto su internet un test di personalità ed è venuto fuori che la mia è di una rara specie, il bastian contrario.

Come fai ad inserirti nell’era dell’omologazione?

Io spero si scopra nuovamente la realtà hippie e ci si riavvicini al tribalismo inteso proprio come vivere prendendo spunto dalle tribù. Se hanno fame colgono il frutto direttamente dall’albero, bypassando il consumismo sfrenato e tornando ad una vita più naturale, basata su ciò che è prioritario per la sopravvivenza.

È ribelle la musica di oggi?

La musica ribelle c’è sempre, lo sento. Ad esempio abito a Milano proprio dietro la piazza dove recentemente sono accaduti i fatti di cui hanno molto parlato i telegiornali. Ovvero centinaia di ragazzi si sono ritrovati per realizzare il video di un rapper creando un grande assembramento e sfidando le regole anti Covid. Probabilmente questa è la musica ribelle di oggi.

La tua “Musica ribelle” a chi si rivolgeva?

Ai ragazzi dell’epoca. I protagonisti Anna e Marco, poi ripresi anche da Dalla ed altri autori diventando di fatto iconici, facevano collezione di dischi e rappresentavano un affresco degli anni ’70. Marco “conosce a memoria ogni nuova formazione e intanto sogna di andare in California o alle porte del Cosmo che stanno su in Germania”. Invece Anna sognava con le canzoni e con i libri mentre le arrivavano i primi segnali femministi. Oggi c’è bisogno di un’altra consapevolezza.

Ma oggi siamo nella direzione giusta?

Non credo.

Chi si professa ribelle oggi lo è sul serio?

Per il mondo contemporaneo sì. È chiaro che si vive in un contesto storico sociale totalmente diverso da quello che racconto io nella canzone per cui anche un calciatore non avrà le stesse caratteristiche di un calciatore di 40 anni fa. Probabilmente dovremmo fare un passo indietro e saper rinunciare all’idea di accumulare, togliere qualcosa al molto che abbiamo.

Oltre alla musica quali sono le tue passioni?

Ho realizzato 250 ore in aria e altrettante in immersione sott’acqua. Poi ho dovuto smettere, infatti mi han tolto il brevetto di volo per ultraleggeri a causa di una fibrillazione cardiaca.

Dentro la Canzone: "Musica Ribelle"
La musica è un fluido, oggi si ha la tendenza a ribattezzare i generi in mille modi diversi etichettandoli talvolta con fantasia. Siamo troppo legati all’apparenza e poco all’essenza.

Per te significava essere libero?

Si, specialmente con le immersioni mi sentivo un alieno. È un volo che ti permette di essere statico, e se non tocchi e non disturbi, è come trasformarsi in un’astronave che vola silenziosamente sopra un mondo che non ti appartiene. Una sensazione meravigliosa.

Ribellione e libertà spesso vanno di pari passo. Cosa è per te quest’ultima?

La libertà la riconosciamo solo quando ci manca e in quanto tale è evanescente. Se l’assaggiamo non riusciamo più a farne a meno, come un bambino che ha fatto il primo passo, non si può tornare indietro.

Quando si può parlare di libertà assoluta?

Ogni volta che si può scegliere quando rinunciarvi.

E quando si rinuncia alla libertà?

Ad esempio quando sali su un tram, ti sposi, fai figli o diventi un noto cantautore.

Dario Gay: Quando cambiare una lettera significa cambiare vita

Nel brano “Le Nuvole” racconta una storia vera di omofobia

Dario Gay "Le nuvole"
Dario Gay e Mauro Coruzzi Inno della pettegola (Foto © Valerio Faccini)

La poesia è tra le più dirette forme di espressione comunicativa, filtrata solamente da metafore e altre figure retoriche che in realtà ne esaltano il profondo legame con la vita. Vita da cui trae ispirazione per esternare sentimenti, stati d’animo e fatti. Ma quando capita che si incontri con la musica assistiamo a qualcosa di meravigliosamente vero ed autentico, perché vero è ciò che viene narrato.

Dario Gay è un cantautore che si è fatto notare poco più che ventenne da Rita Pavone e Teddy Reno per voce e capacità di scrittura, un autore importante (ha scritto anche per Ruggeri che definisce suo mentore) capace di usare le parole con maestria, restituendo attraverso di esse un sapore dolce o amaro a seconda dell’oggetto del brano.

“Le nuvole” ad esempio è in grado di emozionare e scuotere le coscienze, ponendo al centro un tema purtroppo sempre attuale come quello dell’omofobia. Dario presentò questa canzone nel 2002 all’Europride Song Contest di Colonia in coppia con l’artista transgender L.A. Cristiana, riportando a casa il ricordo di una meravigliosa esperienza e il terzo posto in classifica.

Dentro la canzone: "Le nuvole"
Dario Gay (Foto © Marie Colosimo Sakamoto)

Il testo de “Le Nuvole” è molto forte. Perché?

Si, ho scelto parole dirette per raccontare una storia realmente accaduta e che purtroppo continua ad essere estremamente attuale.

Quindi non c’è niente di autobiografico?

Fortunatamente non ho vissuto i problemi di questo ragazzo che invece a soli 16 anni venne cacciato di casa dai genitori perché dichiaratosi omosessuale. Nel brano racconto la storia di uno dei miei amici più cari (purtroppo prematuramente scomparso) che una volta ritrovatosi per strada ha saputo reagire, chiedendo ospitalità ad un amico e proseguendo gli studi fino a costruirsi una posizione importante nella moda.

C’è stato un successivo avvicinamento con la famiglia?

Dopo circa 20 anni i suoi familiari lo hanno cercato e lui è riuscito a perdonarli.

Quante nuvole hai visto nella tua vita?

Ce ne sono di molti tipi. Alcune sono leggere e bianche, io le chiamo le nuvole dei sogni, mi piace immaginare che nascosta fra loro ci sia qualche persona che ho amato e che ora mi stia guardando, anzi cerco di riconoscerne il volto.

In generale per me le nuvole rappresentano un pensiero positivo, io poi sono un’ottimista che cerca di sorridere sempre.

Poi certo, ci sono state anche molte nuvole che hanno oscurato il mio cammino. Ad esempio negli anni ’70 e ’80 il tema dell’omosessualità non era trattato come oggi, esistevano già correnti per la libertà sessuale ma la mentalità comune era molto più chiusa di quella odierna.

Quanto era difficile dichiararsi omosessuale?

Molto. Infatti io non ci tenevo a farlo e a sigillare questa mia decisione fu la casa discografica di allora che addirittura decise di cambiare il cognome da GAY in GAI, proprio per timore che qualcuno potesse risalire alla mia vera identità.

 

Dentro la canzone: Dario Gay "Le nuvole" 3
Dario Gay (Foto © Marie Colosimo Sakamoto)

È stata dura?

Si, al tempo convivevo col mio compagno ma agli occhi del pubblico doveva passare solo come un amico (fu così anche a Sanremo), mentre la mia famiglia era al corrente di tutto.

Quando hai deciso di riprenderti la tua “Y”?

Dopo qualche anno ho voluto riappropriarmi della mia vita, oltre che del mio vero cognome. Nel 2001 mi è stato chiesto di fare l’inno ufficiale del Gay Pride e in quell’occasione ho fatto coming out smettendo finalmente di nascondermi.

Cosa pensi dell’attuale dibattito intorno al ddl Zan?

Sono favorevolissimo. È vero che esiste già una legge che tutela le vittime di violenza ma non è completa e trovo giusto prevedere un inasprimento delle pene anche per l’incitamento all’odio. Dovremmo procedere all’adozione del ddl Zan senza nessuna ingerenza esterna.

Hai collaborato, tra gli altri, con Milva. Che ricordo hai della “Pantera di Goro”?

Ci siamo conosciuti a Sanremo nel 1990 e nei primi anni 2000 abbiamo iniziato a collaborare. Per un periodo ho seguito la sua produzione, ci vedevamo tutti i giorni così è nata una bella amicizia. Di lei ho un ricordo bellissimo. Lavorare con Milva è stato divertente, sapeva mettersi al servizio della musica con umiltà e rispetto. Era una bella persona.

Dentro la canzone: Dario Gay "Le nuvole"
Dario Gay e Platinette (Foto © Iwan Palombi)

Progetti?

Dopo “L’inno della pettegola” insieme a Platinette, con cui vorrei realizzare altre cose, ora intendo fare un album da solista. Sto aiutando in qualità di regista Giovanna nel suo nuovo progetto. Una grande casa cinematografica mi ha commissionato regia e montaggio di un docufilm su un cantante di cui ancora non posso anticipare niente. Sono anche impegnato nella produzione del pezzo di un giovane artista.

Inoltre, siccome sto preparando duetti con artisti spagnoli, irlandesi e brasiliani, non escludo affatto l’idea di realizzare un album con sole collaborazioni internazionali.

Irene Fargo: “L’Amore si può trasformare e l’odio è solo una ruggine del cuore”

 

Dentro la canzone: Irene Fargo "Nel mio amore"
Irene Fargo: “Nel mio amore” scelto come tema musicale dell’omonimo film della Tamaro

Alcune persone, più di altre, sono in grado di emanare una luce invisibile a occhio nudo ma il cui calore viene ben percepito da chi le circonda.

Irene Fargo, al secolo Flavia Pozzaglio, possiede anche questa caratteristica oltre ad una voce armoniosa. Voce che abbiamo imparato a conoscere sullo scadere degli anni ’80, con le due partecipazioni a Castrocaro (la prima volta col suo vero nome, la seconda come Irene Fargo) e poi nel 1991 a Sanremo con “La donna di Ibsen”, brano con cui conquistò la seconda posizione nella categoria nuove proposte, piazzamento replicato l’anno successivo con “Come una Tourandot”.

Sono note l’intensità e la dolcezza della sua timbrica che tuttavia disvela anche una forza interiore affatto consueta, uno strumento potente con cui Irene, che oltre ad essere cantante è anche attrice teatrale, riesce a creare attesa, suspense e pathos caricando i testi che canta di una struggente emozione da cui è impossibile non farsi rapire.

Accade così quando omaggia le grandi opere (il drammaturgo norvegese Ibsen piuttosto che Giacomo Puccini), ma anche quando canta l’amore e i suoi legami con l’odio che probabilmente ne è un limite estremo.

E accade esattamente così nel brano “Nel mio amore” colonna sonora dell’omonimo film di Susanna Tamaro che è anche l’autrice del pezzo insieme a Mario Gardini e Giovanni Paolo Fontana.

Dentro la canzone: Irene Fargo "Nel mio amore" 2

Perché hai scelto uno pseudonimo?

All’inizio ero sicura delle mie capacità ma non del fatto che avrei ottenuto successo. Perciò cambiare nome è stato uno scudo protettivo esattamente come la scelta di indossare gli occhiali.

“Nel mio amore” cita l’odio sin da primo verso. Perché?

Perché come si legge nella canzone l’odio che provi per una persona che hai comunque amato tantissimo, non può essere così profondo da non vedere la luce in fondo al tunnel. L’amore a volta si trasforma perché succedono cose che ci feriscono profondamente ma alla fine “forse l’odio è solo amore col tempo andato a male, è una ruggine del cuore”.

Hai accettato subito di prestare la canzone al film?

Io ho scelto la canzone perché mi piaceva molto e avevo intenzione di inserirla in un album, poi ho scoperto che Susanna l’avrebbe voluta nei titoli di coda del film e ho accettato. Il film spiega bene cosa siano l’odio e l’amore e l’attore principale (nel film Fausto) è bravissimo nell’interpretare la sua parte di uomo insensibile.

Nel brano parli di vigliaccheria, cosa è in amore?

A volte si fanno scelte, o non si fanno, proprio perché si è vigliacchi, del resto decidere di troncare una storia importante è sempre difficile.

Può essere letto come un monito a reagire per le molte donne che subiscono violenza domestica?

Assolutamente sì. Si deve capire la natura della storia e laddove non c’è amore, perché se si parla di violenza non può esserci amore, è necessario reagire alla paura e andare oltre la vigliaccheria.

Cosa consiglieresti ad una donna che subisce violenza fisica o psicologica?

Innanzi tutto rivolgersi alle strutture giuste, esistono realtà che possono venire in soccorso. Personalmente sono sostenitrice di una di queste associazioni, purtroppo è un tema sempre agli onori delle cronache quotidiane e trovo sia giusto attivarsi perché finalmente cambi qualcosa.

Dentro la canzone: Irene Fargo "Nel mio amore" sala incisione
Irene Fargo e Giovanni Paolo Fontana in sala d’incisione

Si può guarire dall’odio?

Guarire no, ma si può accogliere quello che è stato per andare avanti affrontando il futuro anche con questo bagaglio, senza dimenticare.

Ti sei sempre riconosciuta nei ruoli interpretati in teatro?

Ho sempre interpretato donne molto forti e ora me le porto dentro, sono trasfigurazioni del mio carattere. Mi hanno donato molto e fatto scoprire aspetti di me che non conoscevo.

Vivere la vita di un altro non ha senso, ma grazie al teatro è possibile porsi di fronte ad uno specchio e confrontarsi con sè stessi partendo dal personaggio che si è chiamati ad interpretare.

Che progetti hai Irene?

Ho nel cassetto canzoni, molte scritte da Giovanni Paolo Fontana, che in passato ho presentato alla commissione del Festival di Sanremo restandone escluse, così sto seriamente pensando di realizzarci un album, perché alcuni di questi brani sono bellissimi ma ad oggi non hanno ancora avuto l’occasione che meriterebbero.

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