Danilo Caravà è regista, drammaturgo e critico teatrale
Musica a Teatro: Danilo Caravà, la musica, nel mio lavoro è una sorta di carica energetica emotiva, psichica, spirituale, in grado di moltiplicare la mia creatività
Tra le sue messe in scena ricordo in particolare Goldoni-Casanova (il teatro della vita e la vita del teatro), la sposa di Ade, Vanja sui Navigli (da zio Vania di Cechov).
Ultimo suo lavoro scritto e diretto è il monologo di gusto testoriano E rid nissun, medra! che ho avuto la fortuna di vedere nella bella rassegna Teatro a casa tua organizzata da Mariagrazia Innecco a Milano.
Una messa in scena minimale in cui una straordinaria Domitilla Colombo impersona, recitando in grammelot, una madre devastata da rabbia e dolore per l’uccisione “casuale” del proprio bambino ad opera di un federale fascista, e che si scontra con l’omertà dei compaesani e l’arroganza del potere, soffocata da un desiderio di giustizia e da una sorte avversa che la porta alla pazzia.
Vicenda personale di famiglia realmente accaduta, che Caravà affronta con coraggio e maestria.
Ha aperto da diversi mesi una interessante web radio che si chiama Koryphaios, in omaggio all’antica Grecia, dove si alternano interviste e vere e proprie lezioni sul teatro di tutti i tempi.
Ho voluto parlare con lui a proposito di Musica a teatro.
Tuo rapporto con la musica, nel lavoro, nelle regie, nei laboratori…
La musica, nel mio lavoro di regista e drammaturgo, è sempre una sorta di stimolante somatico, di carica energetica emotiva, psichica, spirituale, in grado di moltiplicare la mia creatività.
Scrivo spesso ascoltando brani musicali. Prima delle prove ascolto brani che potrei poi utilizzare, ma spesso mi servono per trovare la chiave di lettura giusta per risolvere una scena.
Cerco di inserire la musica fin dalle prime prove, la canto, la faccio cantare, mi invento mille modi per esprimere la musica. In definitiva per me è un modo meraviglioso per aprire questo rito dionisiaco per eccellenza che è il teatro.
Tuo rapporto con la musica nel privato
Nel privato ascolto musica per “doparmi”, per regalarmi piacevoli vibrazioni da cinebrivido, per citare una battuta dell’Alex di Arancia Meccanica.
Spesso ha un valore catartico, curativo, diventa qualcosa di simile a un rimedio omeopatico dell’anima; se sono incline alla tristezza, ad esempio, mi concedo un brano struggente per consumare e liberarmi di tutte le scorie di spleen.
Mi ritrovo spesso, da solo, ad aggiungere all’ascolto una danza selvaggia, che segue certi ritmi forsennati, un modo per scaricare ogni tensione che mi sentirei di consigliare.
Lavori tuoi con musica e come hai operato le scelte
Le mie scelte vanno dalla classica alla musica contemporanea, dal barocco alla musica cantautorale. Mi piace trovare particolari affinità elettive, sulla carta impensabili, ma giuste una volta sperimentate.
Ho dedicato uno spettacolo alla figura di Cosima Wagner e, oltre a brani di Liszt e Wagner, ho scovato delle composizioni per piano di Nietzsche.
Ho voluto un accompagnamento di pianoforte per una trasposizione teatrale delle Affinità elettive, e per la mia regia, che debutterà a breve, delle Troiane ho pensato a sonorità tribali, primitive, unite al brano dedicato a Marte di Holst.
Il lavoro sull’attore, e se ritieni che la voce dell’attore possa o debba anche diventare musica
Il mio lavoro sull’attore diventa fatalmente anche un lavoro su me stesso. Più scavo per cercare il personaggio, più mi ritrovo a cacciare le mani nel ventre della psicologia del profondo, insieme all’interprete.
Cerco di essere maieutico in senso socratico, desidero “far partorire” il personaggio. E per far questo mi servo volentieri della musica, che spesso arriva dove non possono arrivare le parole, tocca corde ancestrali, ataviche, della nostra natura.
Ogni composizione rappresenta una memoria del nostro vissuto, ma anche di tutti i passati che avremmo potuto vivere, e del futuro che sarà, o potrebbe essere.
D’altra parte, mi pare che fosse Gino Paoli ad aver affermato: “La musica è l‘attaccapanni dei ricordi”. Inseguo da sempre quella particolare musicalità che esprime un determinata battuta, un dialogo, un monologo, una scena, o l’intero spettacolo.
Quando Allen Ginsberg cercava il sound della sua poesia beat ascoltava i fraseggi nervosi, intensi, gravidi di rapide emozioni, di Charlie Parker, ecco quando ascolto musica cerco di fare lo stesso.
Cosa stai mettendo in scena ora e cosa pensi di fare nel prossimo futuro
Ora sto appunto lavorando alla regia di questa meravigliosa opera di Euripide, Le Troiane, ovvero la guerra vista dalla parte delle donne, la sconfitta nel ventre del femminile che sembra fatto apposta per mettere al mondo il mondo, per trasformare la più tragica perdita nella più alta forma di Poiesis, questa è la definizione che trovò la poetessa Alda Merini della poesia.
Qualche accenno alla tua “radio”
Continuo ad occuparmi della mia piccola web radio Koryphaios, dedicata al teatro, parva sed apta mihi, per citare Ariosto. Ogni settimana la arricchisco di interviste, critiche teatrali, approfondimenti e podcast dedicati alla storia del teatro.
Grazie Danilo e a prestissimo
Grazie a te e ai tuoi lettori per la gentile attenzione. W il teatro!
Giuseppe Bucci: tra teatro, tv, cortometraggi e spot
Cinema e Teatro? Adoro fare entrambe le cose. Non rinuncerei a nessuna delle due
Giuseppe Bucci vive e lavora tra Napoli e Roma. Tra teatro, tv, cortometraggi e spot ha una particolare inclinazione per le tematiche sociali, in particolare la conquista dei diritti civili per la comunità lgbt. Soprattutto regista e scrittore, (ma anche attore e produttore), i suoi corti hanno ottenuto decine di premi e centinaia di nomination in tutto il mondo.
Ricordiamo, tra i tanti allestimenti sul palco o filmati, In casa con Claude, Luigi e Vincenzo, Una notte ancora, Parlami Orlando e La voce di Laura. Con lui oggi voglio parlare soprattutto di teatro, ma si scivola verso il cinema non appena se ne crea l’occasione…Tanto travolgente è la passione.
Raccontami qualcosa sui tuoi primi approcci all’arte dello spettacolo da piccolo. Cantavi? Imitavi? Scrivevi?
Ho sempre adorato il teatro (e di seguito il cinema) dalle scuole elementari. Ricordo benissimo che io e una mia cara amica Sonia (eh eh sarà contenta che la cito) scrivevamo, dirigevamo e portavamo in scena spettacoli da mostrare a tutta la scuola a fine anno. Eravamo un vulcano di idee da rivisitazioni Shakespeariane a invenzioni tutte nostre.
In vacanza, invece, ero, dai 13 anni in poi, nel cast fisso della commedia estiva inventata dalla scrittrice del parco nel quale avevamo una villetta. Quanto ci siamo divertiti. Recitavo e facevo regia ma imitazioni no. Cantare mi piaceva ma no, non ho mai fatto musical.
Il primo spettacolo “vero” che ricordi con affetto?
È una domanda difficile. Per spettacolo vero poi cosa si intende? Posso dire che il primo spettacolo su un testo importante, all’Accademia popolare dello Spettacolo che ho frequentato dai diciotto anni, con una regia di un professionista (Antonio Ferrante) e un ruolo importante (al primo anno di Scuola ero timidissimo e bloccatissimo, Antonio ha avuto il merito di liberarmi e farmi diventare un piccolo animale da palcoscenico) è stato “Il drago” di Schwarz, in cui interpretavo il perfido Heinrich.
Per la prima volta mi sono sentito un vero attore. Quando poi ho fondato con degli amici una compagnia di Teatro ragazzi (“La Mansarda” tutt’oggi, senza di me, esistente e importante, dopo quasi 30 anni) lo spettacolo più importante e di successo che facemmo era “Le novelle di Calandrino, Bruno e Buffalmacco” (che ero io) da Boccaccio.
Spettacolo riuscitissimo, centinaia di repliche, grande successo e risate, lo ricordo con affetto enorme. Il primo spettacolo di una certa maturità artistica e particolarmente emozionante da interpretare è invece stato “Un tram chiamato Desiderio” di Tennessee Williams con la regia di Gianmarco Cesario. Interpretavo Mitch. Il mio primo ruolo drammatico. Tanto emozionante. Il primo spettacolo proprio da professionista scritturato, che ricordo con enorme affetto è stato “Il ragazzo da i capelli verdi” di Francesco Silvestri.
Per l’occasione dovetti rasare a zero i capelli per circa 4 mesi. Ma era un personaggio bellissimo e toccante. Ancora… il primo spettacolo da “professionista scritturato” di importanza nazionale è stato invece “Il contagio” da Cecità di Josè Saramago per la regia di Carlo Cerciello (fondatore con Imma Villa del Teatro Elicantropo e mio maestro).
Il premio Nobel aveva concesso per la prima volta i diritti su questo suo leggendario romanzo e venne a Napoli a vederlo, puoi immaginare l’infarto collettivo… (a questo teatro e ai suoi fondatori devo alcune delle esperienze più belle come recitare ne “La confessione” o “Italietta” o dirigere il corto “Frammenti da Scannasurice” tratto da uno dei loro più importanti successi teatrali, con le bellissime musiche di Paolo Coletta.
Il primo spettacolo vero da regista invece è stato “Regine” con Rosaria De Cicco del quale ricordo con immensa emozione la mia trasposizione di “La Voce Umana” di Cocteau in chiave lesbo. Un monologo così ben riuscito che ne abbiamo poi girato un corto di grande successo. Stiamo parlando di teatro vero? Perché se poi parliamo dei corti non la finisco più… Ad ogni modo il mio primo vero grande importante cortometraggio è stato “Una notte ancora” con Ivan Bacchi e Marco Cacciapuoti. Autobiografico, emozione allo stato puro.
Il tuo rapporto con la musica. Cosa ascolti nel privato?
Moltissimo, musica leggera per lo più. Anche se amo la classica e l’opera (per due anni ho fatto anche il mimo al San Carlo, beh anche là… meraviglioso). Le canzoni mi tengono compagnia e accompagnano momenti della mia vita, le colonne sonore dei film invece mi sono di grande ispirazione per i miei lavori.
Tra queste posso citare quella del film “The Hours” di Stephen Daldry, musiche di Philip Glass, adoro Shigeru Umebayashi nelle colonne sonore di “In the mood for love” e “2046” del mio idolo Wong Kar Wai ma anche il fantastico Alberto Iglesias nelle magnifiche colonne sonore per Almodovar (“Tutto su mia madre” “Gli abbracci spezzati“). Adoro le colonne sonore.
Una canzone o un cantante che preferisci su tutti?
Cambiano molto a seconda dei periodi della mia vita. Davvero non saprei rispondere. Forse quelle legate a grandi amori come “Because you loved me” di Celine Dion, “Solo un attimo” di Mina (come non amare Mina), “Eppure sentire” di Elisa (cantante che seguo molto) “Bedshaped” dei Keane (gruppo che apprezzo molto) poi si, sono stato un fan di Madonna (ma questa passione però è finita da oltre 15 anni…)
La musica nei tuoi spettacoli teatrali. E il rapporto con il collaboratore che scegli per la musica
Siccome giro più cortometraggi che dirigere spettacoli teatrali metto tutto insieme. Ci sono alcuni musicisti, cari amici, a cui in genere mi rivolgo ma l’utilizzo cambia molto a seconda dello spettacolo o corto. In alcuni è minimale perché tendo a dare il massimo del risalto alla parola dell’attore e alla assenza di commento musicale che rende più scarno e “reale” un momento.
Ad esempio, ne “La voce di Laura” (il monologo e poi corto ispirato a Voce Umana di Cocteau) sia a Teatro che al cinema la musica era quasi assente, sebbene i 30″ del musicista Pericle Odierna nel momento del pianto siano bellissimi e fondamentali.
In altre mi piace invece che la musica acquisti personalità e sia, da sola, un momento dello spettacolo. Penso a “In casa con Claude” dove (sebbene appunto il monologo finale di 20′ sia totalmente privo di commento musicale) i precedenti 40′ dello spettacolo sono accompagnati da coinvolgentissime e strepitose musiche di Jo Coda, al quale mi rivolgo per musiche più ardite e incalzanti.
Lo spettacolo nato con Mario Autore (poi Eduardo ne “I fratelli De filippo”) ed Ettore Nigro è andato così bene che ancora oggi va in scena, dopo la pandemia, con i bravissimi Carlo Di Maio e Andrea Verticchio. Ma la musica è importante anche se penso ai corti “Una notte ancora” e “Luigi e Vincenzo” con i bravissimi Francesco Paolantoni e Patrizio Rispo, malinconica coppia gay, corti scritti e girati con lunghissimi silenzi, sguardi, gesti immaginati per una dolce colonna sonora che impeccabilmente mi fornisce il romantico Pericle Odierna autore anche delle musiche di “Parlami, Orlando”
Il cortometraggio, ora come ora, lo preferisci a uno spettacolo in teatro dal vivo?
Adoro tutte e due le forme di espressione. Sono tanto diverse, penso all’approccio sugli attori, a quanto è diverso preparare un attore per un’ora di spettacolo, lavorando sulla tenuta fisica ed emotiva, approfondendo il personaggio che vive ogni giorno uguale e nuovo sul palco…rispetto al concentrarsi su una scena al cinema che dura 30 secondi e ci si mette due o tre ore per girarla e nel quale l’attore deve ritrovare in pochi istanti tutto il personaggio e le sue emozioni. Adoro fare entrambe le cose. Non rinuncerei a nessuna delle due
Sempre a proposito di Musica in teatro, cos’hai in cantiere?
Mi piacerebbe girare il film dallo spettacolo “In casa con Claude” e in quel caso le musiche distopiche tossiche e perverse di Jo Coda sarebbero la perfetta colonna sonora anche al cinema. E poi girare un corto ispirato ai dipinti della cappella Sistina e qua ricorrerei al poetico Odierna. Insomma, se si tratta di musiche, so a chi rivolgermi.
Mi riferivo al teatro ma vedo che preferisci tornare ai corti….Come possiamo seguire la tua attività?
Non è difficile, sono abbastanza social. Quindi Facebook, YouTube…Comunque i prossimi spettacoli si terranno di certo a Napoli e Roma, ma forse anche a Salerno, Milano, L’Aquila…. Scusa se torno di nuovo ai miei corti ma devo dire che “La voce di Laura” sta girando in tutto il mondo. Ne sono molto contento….
Vuoi aggiungere qualcosa a proposito dell’arte dell’attore, o del regista, ad uso di chi si interessa della materia?
Che sono mestieri bellissimi ma molto difficili al giorno d’oggi. Soprattutto piccole compagnie piccoli teatri e piccole produzioni andrebbero molto più aiutate. Io amo immensamente fare il regista e non ci rinuncerò mai.
Laura Giordani: Il mio rapporto col cinema è “giovane”
Musica a Teatro – Laura Giordani: “Mi piace ascoltare quasi tutta la musica, purché sia bella!”
Laura Giordani, attrice, cantante e regista, nasce a Catania, frequenta la Scuola di Avviamento al Teatro “Umberto Spadaro” del Teatro Stabile di Catania, diplomandosi nel 1996, data in cui avviene il suo primo debutto nel musical di Tony Cucchiara “La baronessa di Carini”.
Nel 2019 partecipa da protagonista al film di Emma Dante:Le sorelle Macaluso.
Il film, presentato in concorso al Festival d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia 77, ha vinto due Premi Pasinetti: all’intero cast femminile, e come Miglior Film; ha concorso con cinque candidature al David di Donatello e ha vinto cinque Nastri d’Argento e due Golden Globe nel 2021.
Dal 1996 ad oggi innumerevoli sono le sue esperienze teatrali: ha partecipato come coreuta alle tragedie “Prometeo, Baccanti, Rane” dirette da Luca Ronconial teatro greco di Siracusa nel 2002, nel 2011 è nel coro dell’Andromaca e nella commedia Donne al Parlamento; va in scena nel 1999 con “Lisistrata“, in tournée nazionale, con il Teatro Politecnico di Roma; affianca nel 2000, Pippo Franco ne “L’Anfitrione“, sempre in tournée nazionale; recita nel “Sistema Ribadier“, con Manlio Dovì nel 2003.
Nel 2018: “Penelope – l’Odissea è fimmina”, prima nazionale al Festival delle Dionisiache 2018, Segesta; “Didone Pop” nel 2022, testi e regia di Luana Rondinelli.
Nel 2017 fa parte del cast de “I Promessi sposi” con la regia di Gisella Calì e Alessandro Incognito. Segue “Save the Cotton’s”, musical inedito di Fausto Monteforte e Daniele Caruso, con Raimondo Todaro.
Importanti anche sono le partecipazioni alle operette: “Addio giovinezza”, “Cincillà‘”, “La Contessa Maritza”, “Al Cavallino Bianco” e “Il paese dei campanelli“.
Ha partecipato, nel ruolo di Fiammetta, alla sit-com “Casa Litterio“, con Enrico Guarneri.
Ha partecipato alla puntata “Giro di boa” della serie televisiva “Il Commissario Montalbano“.
Nel corso della sua carriera molteplici sono i recital cantati, musical, concerti.
Molti anche gli spettacoli scritti su cantanti famosi, tra cui Rosa Balistreri, “Rosa, la cantatrice del Sud”.
Inoltre, ha scritto, prodotto, diretto e interpretato: “Sei Personaggi in cerca di ...; Sud’dui”, spettacolo musicale; il monologo “Donne, plurale universale”, e tante fiabe per bambini, “Peter Pan”, “Spera di Sole”, “Cenerentola”, “Alice nel paese delle meraviglie”, “I tre porcellini”, “I marrunati di Giufa’”, “Mariarosa la civetta paurosa”.
Ho avuto il piacere di assistere al suo “Donne, plurale universale”, un monologo in cui si rivela graffiante, ironica e autoironica, mettendo in scena “quello che le donne di solito non dicono ma a volte sono”. Impariamo a conoscerla meglio.
Parlami dei tuoi inizi nel campo dello spettacolo.
La scelta di fare l’attrice mi è arrivata come un’illuminazione: a nove anni dissi a mia madre, con sconvolgente sicurezza e fermezza, che da grande avrei fatto l’attrice, e così fu.
A diciannove anni feci il provino per entrare a far parte della “Scuola di Avviamento al Teatro” Umberto Spadaro, dello Stabile di Catania, e dopo un triennio mi diplomai, iniziando così a lavorare con compagnie professioniste, catanesi e non, e devo dire che in questi 26 anni (mi sono diplomata nel 1996) ho affrontato una miriade di personaggi, dal comico, al drammatico, tragico, grottesco, persino la soubrette mi vanto d’aver fatto!
Tante sono le soddisfazioni, e di più la curiosità e l’impegno che metto ogni qualvolta mi ritrovo a studiare un nuovo personaggio, come quello di Katia, nel film “Le sorelle Macaluso”, di Emma Dante; un personaggio molto lontano dalla mia persona, totalmente diverso dal mio modo di essere e di agire, per questo ringrazierò sempre Emma per avermi affidato questo ruolo!
Hai fatto molti spettacoli con musica, mi racconti qualcosa in merito? A quale sei più affezionata?
Nel mio curriculum ci sono moltissimi musical, da “La baronessa di Carini”, di Tony Cucchiara, a “Save the Cotton’s” con Raimondo Todaro, per continuare con le operette, e svariate sono le mie produzioni musicali: Sud’dui, che parla di una passeggiata all’interno del mercato detto “fera ‘o luni” di Catania, che mi porta ad una mescolanza di canzoni e testi in svariate lingue del sud del mondo; e Rosa, la cantatrice del Sud, (sapientemente accompagnata dal chitarrista Mimmo Aiola) dove cunto e canto della vita di Rosa Balistreri, cantautrice di Licata, straordinaria donna che visse in forma emancipata gli anni ’50 in Sicilia e poi in giro per l’Italia e oltre, spettacolo musicale per il quale provo un profondo amore.
Amo moltissimo la musica, per me è di fondamentale importanza, quasi quanto la parola, e lo sposalizio più riuscito è la fusione tra testo e musica, cosa che ho spesso portato in scena, ad esempio il mio spettacolo su Jack Kerouac era un incastro perfetto, poesie e note era come se diventassero un tutt’uno, e a volte era come se dialogassero, o si rincorressero, per poi nuovamente fondersi, in quell’atto d’amore che incanta tutti.
Hai studiato musica e canto? Ancora lo fai?
Ho studiato canto alla scuola dello Stabile, ma devo ammettere che non mi hanno dato mai il giusto spazio, me lo sono conquistato in seguito, durante la mia carriera, incontrando grandi professionisti ai quali ho “rubato” qualche segreto del mestiere, e ascoltando moltissima musica. Diciamo che ho imparato sul campo.
Che genere di musica ti piace ascoltare quando non lavori? Hai qualche cantante o cantautore che ami di più?
Mi piace ascoltare quasi tutta la musica, purché sia bella! Uno su tutti il mio adorato Franco Battiato. Paolo Conte, Ivano Fossati, Fiorella Mannoia, i gruppi rock progressive anni ’70, la musica folk, il fado portoghese, che mi pregio di cantare, Goran Bregovic, la musica etnica, per finire in gran bellezza col JAZZZ!
Non mi piacciono assolutamente i vari virtuosismi, come le “svisate”, che moltissime cantanti eseguono nelle loro canzoni, le trovo artefatte e senza anima, non mi arrivano alla pancia, al cuore, sono molto impopolare, lo so!
Trovi differenze di approccio tra gli spettatori “del sud Italia o isole” e quelli del nord?
Mah… in realtà sì, ma per una questione di abitudine, nel senso che al nord circolano più spettacoli, rispetto al sud, e quindi gli spettatori continentali hanno la possibilità di assistere a moltissimi tipi di spettacoli, testi ed attori, mentre al sud è più difficile che circuitino tali performance.
Non è una questione di “cultura”, è una questione di possibilità di tournee e circuitazione dei prodotti, e così al sud ci sono sempre i soliti artisti a rappresentare le loro messinscena, mentre al nord avvengono molti più scambi.
Rapporto col cinema?
Il mio rapporto col cinema è “giovane”, ma molto curioso e affascinante, bellissimo e appassionante.
È diverso dal teatro, molto diverso… a teatro entri a stretto contatto col pubblico, che è diverso ogni sera, e ti metti in gioco in ogni istante, in ogni sguardo, in ogni singola battuta, avverti l’umore e le pretese della gente, capisci fino a dove puoi spingerti, quella sera, in quel teatro. Certo, è più emozionante.
Ma lo è anche stare davanti alla cinepresa, e in qualche secondo concentrarsi a far passare, tramite lo sguardo, tutte le emozioni del momento!
E lo è anche vedersi sul grande schermo, molto emozionante, ecco, come è avvenuto a Venezia, durante la prima proiezione de Le sorelle Macaluso!
Cosa stai facendo ora e cosa ti appresti a fare nell’immediato futuro?
Ora sto in un bel calderone di bellissime cose: a parte le repliche del mio spettacolo Donne, Plurale universale e Rosa, la cantatrice del Sud, questa estate riprenderemo, con degli splendidi colleghi, un testo di Luana Rondinelli, Penelope l’Odissea è Fimmina; girerò una scena in un film internazionale, che ancora non posso svelare; aspetto con ansia l’uscita del nuovo film di Roberto Andò, dove ho un cameo coi due protagonisti, ed ancora una bella sorpresa, che non voglio anticipare!!!
Come possiamo seguire la tua attività?
Sicuramente su facebook, dove aggiorno continuamente la mia attività lavorativa con eventi e post, al più presto seguirà un sito internet dove pubblicare tutte le mie ulteriori novità.
Grazie e a presto!
Monica Faggiani: la mia vocazione è condividere
Musica a Teatro: Monica Faggiani , ho deciso di fare l’attrice “di teatro drammatico” a quattro anni circa
Lavora con molti tra i più importanti registi italiani, tra cui Sergio Maifredi, Guido De Monticelli, Marco Baliani, Antonio Latella, Franco Branciaroli e Giulio Bosetti. Per il Cinema partecipa al film Si può fare per la regia di Giulio Manfredonia e al film Genitori quasi perfetti per la regia di Laura Chiossone.
Partecipa alla fiction Cuori Rubati, alle sit-com Via verdi 49 e A.Q.A. – Attori Quarantenati Anonimi.
È tra le protagoniste della web-serie Rajel prodotta da Oltre l’orizzonte – Contro-narrazioni dai margini al centro.
Doppiatrice, dal 2009 al 2016 ha diretto la Scuola di Teatro Teatri Possibili curando la Direzione Didattica ed Organizzativa della Scuola e ideando particolari progetti formativi.
Dal 2016 al 2018 è stata Direttrice Organizzativa di Teatro Libero. Laureata in Psicologia, è diplomata come Counselor Teatrale e Councelor in Programmazione Neurolinguistica Sistemica. È tra le fondatrici e animatrici di Amleta.
Ho avuto il piacere di recitare con lei nella messa in scena di Cyrano diretta da Gianlorenzo Brambilla, in cui lei era una splendida Rossana e io interpretavo Lebret.
Partiamo con un ritratto “artistico” di Monica da piccola.
Ho deciso di fare l’attrice “di teatro drammatico” a quattro anni circa e passavo tutti i miei pomeriggi allo specchio parlando con le mie amiche e miei amici immaginari…
Gesticolavo e facevo le facce esattamente come faccio anche oggi.
Poi quando mia madre mi disse che ci saremmo trasferiti a Milano da Salerno, città che io non volevo assolutamente lasciare, lei mi promise che avrei potuto frequentare un corso di recitazione che a Salerno allora non esisteva. Fu il solo motivo per cui acconsentii.
Avevo 8 anni e da allora non ho più smesso. Ero determinata e agguerrita esattamente come oggi. Studiavo tanto, sempre, esattamente come oggi. Ed ero appassionata esattamente come oggi.
Quali spettacoli ritieni abbiano creato una svolta importante nel tuo percorso?
Se ripenso a tutto il mio trentennale percorso (oddio trentennale, che paura!) non ho dubbi: in primis Otello con la regia di Antonio Latella.
Antonio era all’inizio della sua carriera, non era ancora l’artista affermato e acclamato che è oggi ma in lui c’era già tutta la sua estrosa genialità che troviamo nei suoi spettacoli (a tal proposito segnalo Chi ha paura d Virginia Wolf al Piccolo, messa in scena incredibile!).
Io ero poco più che una bambina, appena uscita dall’Accademia, inesperta e fragile e lui mi ha preso per mano con fermezza e al contempo dolcezza e mi insegnato l’abc del lavoro sulla costruzione del personaggio che ancora oggi mi accompagna.
Poi, Questa sono io di Federico Guerri con la regia di Alessandro Castellucci.
Ho letto il suo romanzo in una notte e lì ho capito che attraverso quel personaggio e quelle parole avrei potuto raccontare esattamente quello che volevo raccontare: l’oggettivizzazione del corpo delle donne e tutto quello che giovanissime ragazze hanno dovuto affrontare per non rinunciare ai propri sogni.
Ho sempre scelto con attenzione i personaggi femminili da interpretare ma questo è stato il personaggio con cui ho aperto anche il mio modo di affrontare le scene in maniera totalmente femminista e non solo facendo teatro al femminile come si usa dire oggi ma offrendo la possibilità di un nuovo sguardo narrativo.
Hedda Gabler con la regia di Cristina Pezzoli. Ecco… con questa immensa mastra ho capito fino a dove potessi spingere le mie possibilità attoriali e ho capito, per la prima volta, che nel prestare corpo e voce al mio personaggio avrei dovuto chirurgicamente dissezionare anche la mia anima.
Hedda Gabler è un personaggio immenso ma scomodo: è cattiva, manipolatrice, arrogante, sgradevole e fragilissima. Come rendere senza filtri e senza difese tutto questo? Solo guidata dall’abile mano di Cristina ci sono riuscita e dopo questo spettacolo la mia modalità di calarmi nei personaggi non è stata più la stessa.
E quel che resta – A proposito di mobbing shocking e altre amenità. E qui entriamo in un nuovo periodo della mia vita artistica, quello in cui ho cominciato a scrivere. Questo spettacolo è il mio secondo figlio (dopo quello biologico).
Uscivo da un periodo di grande difficoltà personale e professionale e l’unica salvezza e sollievo che trovavo era quello di scrivere, di mettere a fuoco quello che mi stava accadendo.
Piano piano scrivevo e mi sentivo appagata, scrivevo e i miei amici drammaturghi (cui chiedevo consiglio) mi spronavano ad andare avanti. Io sono una persona molto ironica e soprattutto autoironica e ho capito che quella poteva essere la chiave.
E così è nato questo spettacolo che mette a nudo un difficile periodo della mia vita ma che ha fatto da specchio alle fragilità di molte e molti.
Uno spettacolo di rinascita che racconta che abbiamo dentro di noi tante risorse incredibili e nascoste che piano piano possiamo attivare. Ormai lo porto in giro da sei anni senza stancarmi mai.
E da lì ho iniziato a scrivere per me e per altri e ho affiancato in maniera continua la mia vita di attrice a quella di autrice.
Che tipo di musica ascolti? Quale in genere cerchi per “rilassarti”, quale per darti energia?
Devo dire che sono piuttosto onnivora. Amo i cantautori italiani, quelli classici, amo il rock e amo le pop star! L’opera la apprezzo ma non la amo. Se ascolto Carole King so che mi torna il sorriso. Se ascolto Janis Joplin mi viene voglia di spaccare tutto.
Miles Davis mi mette addosso la malinconia. Tom Waits mi ricorda che avrei potuto vivere una vita perduta ma mi sono salvata. Emozioni, la musica mi attiva emozioni, e ricordi e possibilità.
Spettacoli con musica, registrata o dal vivo, che ami ricordare in particolare?
Proprio in questi giorni sono in scena con dei recital con musica dal vivo (in due bellissime case teatrali: MTM e Alta Luce Teatro).
La musica accompagna le parole e le sostiene e ne decreta l’importanza. Nella prosa classica preferisco poche musiche, ben scelte, e non dal vivo.
La musica è potente e può essere usata in modo molto manipolatoria, non faccio nomi ma diversi registi la usano per decretare cosa il pubblico dovrà provare in quel determinato momento e per me è davvero disturbante oltre che scorretto.
Io scelgo le musiche per uno spettacolo in maniera significante cioè anche la musica non induce emozioni (non solo almeno) ma racconta storie e quindi deve sostenere e raccontare insieme a me la storia che sto mettendo in scena. Una sorta di scelta analogica e narrativa.
Ora come ora preferisci lavorare in team o prediligi il monologo?
Mi piace alternare. Adoro Mi piace raccontare le “mie” storie ma amo condividere le mie avventure teatrali con colleghe e colleghi. Mi piace sapere che non sono sola sulla scena e che quello scambio che avviene sarà unico e prezioso.
Anche quando sono sola in scena ho sempre un team che lavora con me perché l’autoreferenzialità in teatro non premia mai.
Qualcosa sulla tua attività di insegnante di scrittura teatrale autobiografica, com’è nata l’idea?
Quando ho iniziato a scrivere l’ho fatto con l’istinto e con la passione. Ma, come in tutto, ho capito che serviva anche la tecnica. Mi sono messa a studiare. Ho seguito molteplici corsi e fatto dei percorsi privati con drammaturghi e drammaturghe che stimo.
Mi sono fatta le ossa studiando e scrivendo. E poi, visto che la mia vocazione è sempre di condivisione, mi sono detta: ma potrei trasmettere quello che ho imparato e che so fare?
E, magari presuntuosamente, mi sono risposta di sì.
L’incontro con Valentina Pescetto di Factory 32, la sua curiosità e la sua voglia di sperimentare hanno aperto la strada. Nello specifico cosa so fare meglio? Scrivere di me e della mia storia e così il corso ha messo il fuoco sulla scrittura autobiografica.
Anche se dico sempre alle mie allieve e ai miei allievi: esiste scrittura che non sia autobiografica? Io credo di no.
Due parole su Amleta…di cosa si tratta?
Amleta è una associazione di promozione sociale che combatte tutte le disparità di genere (dagli stereotipi, agli abusi, alla violenza) nel mondo dello spettacolo.
Ventotto fondatrici sparse su tutto il territorio italiano che si stanno attivando in maniera concreta su tutte queste tematiche convinte che solo insieme è possibile intraprendere un percorso di cambiamento.
A maggio, in alcuni tra i più importanti teatri milanesi e con quattro giornate conclusive al Teatro Leonardo (MTM), Amleta presenterà il suo primo Festival diffuso che vuole raccontare il suo percorso e le sue battaglie in maniera festosa e “teatrale”.
Sui social potete trovare tutte le nostre attività, seguirci e soprattutto tesserarvi per sostenerci!
Cosa stai mettendo in scena ora e cosa stai preparando?
Sono tanti i progetti che bollono in pentola.
Sicuramente quello cui tengo di più in questo momento è la mia prima stand up: anche qui in maniera autobiografica ho scritto un testo che racconta le vicissitudini di una madre attivista alle prese con il figlio maschio adolescente.
Un monologo comicissimo che con autoironia fa luce sulle contraddizioni della nostra società patriarcale in cui siamo tutte e tutti immersi e invischiati.
E poi è in corso il progetto Le Milanesi curato dall’associazione di cui faccio parte: Teatro dell’Allodola – Le Irriverenti (fondata da Valentina Ferrari, amica e collega, con cui condivido il palcoscenico da diversi anni): recital su donne che hanno reso grande Milano (abbiamo già fatto il primo incontro e proseguiremo fino a giugno): Franca Valeri, Biki, le sorelle Giussani, Marta Abba e Dina Galli.
Un format originale che MTM ha accolto con entusiasmo e che spero possa andare avanti anche nella prossima stagione.
A maggio ancora ad Alta Luce Teatro debutterò (dopo una presentazione on line) con una mia nuova drammaturgia scritta a quattro mani con un’altra cara amica e collega, Silvia Soncini: A proposito di lei.
Anche qui siamo partite da uno spunto autobiografico per raccontare un argomento spinoso: quello delle donne che odiano le donne.
E da ultimo, ma non per importanza, potevo farmi mancare una regia? Certo che no:
Stordita – Il Musical, e qui me la gioco con varie artiste e artisti che amo, ne cito due sopra tutti: Tobia Rossi alla drammaturgia, Ilaria Fioravanti unica interprete per 12 personaggi. La produzione dell’amico di sempre Paolo Scotti.
Naturalmente ancora musica dal vivo con canzoni interpretate dalla bravissima Ilaria.
Il tema? Ovviamente una carrellata di donne che danno vita ad un universo femminile sfaccettato e poliedrico ambientato durante la finalissima del più importante concorso di bellezza: Miss Italia.
Come possiamo seguirti? Link?
Mi trovate sui social (Fb e Ig) con il mio nome.
Seguitemi e scrivetemi per tutto, non solo per i complimenti!
Ettore Nigro è attore, regista, autore e insegnante
Musica a Teatro: Ettore Nigro “All’inizio volevo fare il chimico e salvare il mondo dall’inquinamento… Ma a un certo punto seguii un laboratorio teatrale a Napoli”
Dopo aver seguito il Laboratorio teatrale al Theatre de Poche con Lucio Allocca, si è iscritto e diplomato All’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico .
Ha seguito poi vari Corsi di perfezionamento per attori professionisti: sulla commedia dell’arte, presso la Scuola del Teatro Mercadante diretta da Luca de Filippo, oltre che sul teatro di figura, e anche sulla danza butho.
Molte le sue interpretazioni a teatro, tra cui ricordo, tra le ultime, in “In casa con Claude”, per la regia Giuseppe Bucci, presso il teatro Galleria Toledo di Napoli (La ripresa cinematografica dello spettacolo teatrale è stato vincitore di Europeff – Best Feature, Vesuviusinternationalfilmfest – Best Feature, Best lgbt feature e Best poster, Directors screen awards – Best director, Omovies film festival – Best actor under 30 (Mario Autore).
Al Vesuviusinternationalfilmfest è stato miglior lungometraggio del festival, e numerose altre sono state le nomination e le selezioni ufficiali.
Poi in “Aldilaldiqua – Le maschere della Commedia dell’arte incontrano la Divina Commedia di Dante Alighieri” (in occasione del Settecentenario della morte di Dante Alighieri) da un’idea sua, con la regia di Giovanni del Prete.
In allestimento per prossima stagione teatrale; “La cena di Capodanno” di M. Maglietta ed E. Nigro, sua regia, anche in scena come attore, in allestimento, ha partecipato al progetto di residenza del teatro Sannazaro di Napoli “Sartorie teatrali”, sotto la direzione artistica di Francesco Saponaro.
Diverse le sue esperienze in TV, in particolare in “Gomorra”, nel ruolo di Pasquale, e ne “Il commissario Ricciardi”, regia Alessandro d’Alatri, nel personaggio di Peppino il Lupo
Come hai iniziato, da piccolo? Non so…recitavi o cantavi in cameretta?
È sempre stato un grosso neo, cantare. Di sicuro costruivo cose, magari col legno. Giocavo a fare l’astronauta, il ninja, non mi attirava il teatro, non c’è stata in famiglia un’educazione teatrale, ma io giocavo molto con la fantasia.
Disegnavo, dipingevo miniature…avevo una spinta creativa che non sapevo molto incanalare.
Qualsiasi cosa doveva passare attraverso l’immagine, essendo leggermente dislessico e disgrafico. Diciamo che la prima cosa che mi emoziona molto ricordare sono le esperienze a scuola, in cui ebbi i primi approcci con i testi di Eduardo.
Mio zio era un attore amatoriale, e mi invitò a fare parte di quel mondo ma più volte gli dissi di no.
Poi mi capitò di fare l’animatore nei villaggi turistici e così ebbi occasione di fare testi di Fo, di Garinei e Giovannini, dai diciotto fino ai vent’anni.
Lì mi si accese una fiamma. Capii che volevo stare sul palco. All’inizio volevo fare il chimico e salvare il mondo dall’inquinamento…Ma a un certo punto seguii un laboratorio teatrale a Napoli…venni a sapere che si era aperto un teatrino nuovo e ci andai.
E Lucio Allocca, che vedeva lontano più di me, mi spinse subito a fare l’Accademia.
I tuoi rapporti con la musica?
Conosco la musica e la amo, anche se come ho detto non canto. Non c’è uno spettacolo mio in cui non ci sia musica scelta con cura. Ho sempre ascoltato musica, ma strumentale.
Senza le parole…Satie, Brian Eno o compositori classici, in genere, e Ligeti, che ho anche usato molto, poi ho scoperto i compositori nordeuropei, molto interessanti, che hanno un rapporto con la natura particolare.
Suono la chitarra, ho imparato a strimpellare anche per avere un rapporto con la musica fisico. Mi piacerebbe imparare a suonare il pianoforte.
Dimmi qualcosa su questi video di poesia che stai facendo
Durante gli anni di accademia ci spingevano a studiare i mezzi social, per capire se si volesse essere lì soltanto utenti o artisti attivi, insomma come si può oggi anche attraverso questi canali “influire” sul mondo.
Per anni ho insegnato. Solo che un po’ dal vivo mi scoccio. Ho scoperto che mi piace molto questa formula del video messaggio…Ho una moglie che è una scrittrice, poi ho conosciuto un bravissimo pittore e quindi ho pensato a un canale che si occupasse di poeti, scrittori, magari sconosciuti, che in questo modo avrebbero potuto avere una certa visibilità. Un canale democratico, insomma.
Mi è sempre piaciuta l’idea di unire varie arti. Quindi poesia, musica, pittura…E montaggio, che mi piace molto. Per cui ho creato questa pagina su youtube dove pubblico poesie con accompagnamento musicale e visivo grazie a quadri adeguati. Sul mio canale si possono fare richieste e dedicare le poesie a chi si voglia.
Ora ho partecipato alla creazione di un libro d’arte che si intitola Infinito, di poesie, e per ogni verso è stato fatto un quadro dal pittore Ciro Palumbo. All’interno si trova anche il video libro.
Tiratura limitatissima. Un supporto all’arte tutta davvero, credo, interessante. Altra cosa importante che farò sarà la pubblicazione di una serie di poesie, sempre con musica, piano e voce, per una Onlus che sta raccogliendo fondi per costruire ospedali in Madagascar.
Sentendo quello che racconti mi sembra che la tua idea di artista sia di influire sul fronte della positività
Direi di sì. Come volevo salvare il mondo con la chimica, agli inizi, ora mi piace l’idea di influire con l’idea di una ecologia della mente, se capisci cosa intendo. Seguo maestri di cura dell’anima. Buddisti.
Credo che gli artisti siano un po’ dei dottori, basta pensare alla cura della parola, del messaggio. Siamo dei portatori di bellezza, di saggezza.
In questo momento cos’hai di altro in progetto?
In questo momento la mia compagnia Piccola città teatro ha preso la direzione artistica del cartellone di innovazione-teatro Eduardo De Filippo di Arzano per residenze e spettacoli innovativi per compagnie prevalentemente under 35.
C’è poi un progetto per le zone di Castellammare e i prossimi lavori saranno su Aldo Moro e poi una collaborazione con Città Teatro. In questa si tratterà anche del rapporto tra cinema e teatro, nel tentativo nuovo, efficace, di ibridare i due mondi.
Musica a Teatro: Luca Federico D’Addino Puglisi: “amo molto quando il teatro si sposta dai suoi luoghi tradizionali, la strada è un palco affascinante, che ha le sue regole e i suoi codici”
Luca Federico D’Addino Puglisi si è diplomato «attore» alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano.
Laureatosi al DAMS di Imperia ha incrementato la sua formazione attoriale studiando con: Enrico Bonavera, Claudio Morganti, Vladimir Olshansky, Marise Flach, Milena Costanzo, Yasmina Reza, Carlo Boso.
Ha studiato inoltre canto con la M° Camilla Barbarito e danza con la M° Ariella Vidach.
È ballerino e insegnante di danze latino-americane.
È autore di testi teatrali e riduzioni sceniche. E presentatore, animatore e clown.
Durante la pandemia ha fatto parte del progetto “Assemblamenti – pratiche di buon vicinato” (iniziativa artistica e politica) andando a portare spettacoli nei cortili. Lavora con il Collettivo Clown .
Ha partecipato come mimo alle opere liriche: Capuleti e Montecchi, Manon Lescault e Kafka Fragmente di G. Kurtàg
Ultimi spettacoli: Fool Blues, Il Rito Sospeso – 98 giorni,Assemblamenti Generazione Disagio,
Il Castello dei destini incrociati, Il Do e l’Imperatore, Orlando Furioso Clown .
Dal 2012 ad oggi presta la sua opera di attore per l’ente Scuole Civiche di Milano per la realizzazione di spettacoli all’interno di musei, piazze e centri storici della città, per eventi come Identità Milano e Musei a Cielo Aperto.
Com’è nata la tua passione teatrale?
La mia passione teatrale nasce durante i miei studi al Dams. Un’amica mi spinse a fare un provino per un’opera che sarebbe andata in scena in ambito universitario. Ricordo ancora il giorno in cui aprii il testo da preparare per il provino.
Mentre imparavo a memoria le battute, mentre cercavo di recitarle nel salotto di casa mia, qualcosa dentro di me si accese, una cosa a metà tra il divertimento sfrenato e una chiamata mistica.
Superai il provino e andai in scena col Caligola di Camus. Reputo quello il mio piccolo debutto nel mondo del teatro
Hai studiato anche canto e danza. In quale spettacolo hai potuto mettere insieme queste tue abilità?
Si tratta di uno spettacolo andato in scena al Piccolo Teatro di Milano, Storia di Qu. Interpretavo il capo dei ribelli che, per aizzare il popolo contro il governatore della regione, si metteva a cantare e a ballare sfrenatamente al centro della piazza del villaggio.
Sei insegnante di latino-americano, anche… Che musica ascolti e ti piace?
Beh, sicuramente la musica latino-americana fa parte di me in quanto sono cresciuto con certe sonorità in corpo. E poi su tutti nominerei il cantautorato italiano, più quello vecchio che quello nuovo.
Hai fatto “mimo” in opere liriche. Cosa puoi raccontare in merito a questa esperienza?
Fare il mimo è un’esperienza che varia molto di volta in volta. Dipende dal regista che si incontra, da quanto intende lavorare per costruire azioni sceniche con i mimi.
Quando si è più fortunati si lavora ad elaborate creazioni sceniche che ti fanno sentire a tutti gli effetti parte di un’opera d’arte. Altre volte succede che i mimi vengono relegati quasi al ruolo di comparse, il che diventa meno divertente e gratificante.
Parlami del tuo ultimo spettacolo, che ho visto, della sua genesi e della scelta di usare un musicista come “basso continuo”
Fool Blues è uno spettacolo che nasce dalle ceneri di un altro spettacolo: Opinioni di un’ombra. Di quest’ultimo raccoglie alcuni brani poetici e il personaggio del clochard.
È poi un insieme di cose, nasce anche da un incontro fatto nella vita reale con un senzatetto di nome Mauro. E poi da tante piccole disavventure che mi sono capitate e che ho deciso di raccontare utilizzando la maschera del vagabondo, del fool.
L’incontro con Romeo Velluto, il chitarrista dello spettacolo, è nato dall’esigenza di musicare le parti poetiche del testo, avendo così la possibilità di farle emergere rispetto alle parti in prosa.
Leggo che hai interpretato testi di Fo in un particolare contesto. Vero? Ami il teatro di strada?
Grazie all’accademia Paolo Grassi ho avuto la possibilità di conoscere il Maestro durante la ripresa del suo Mistero Buffo e di un suo testo inedito “Storia di Qu“.
Recitare un determinato repertorio, così diretto, così sapientemente costruito sul pubblico, fa sì che il tuo spettacolo possa essere anche trasferito in contesti diversi da quelli del teatro tradizionale. E così si può ritornare alla strada, alla piazza, avendo un contatto con gli spettatori più immediato.
Personalmente amo molto quando il teatro si sposta dai suoi luoghi tradizionali, La strada è un palco affascinante, che ha le sue regole e i suoi codici. Riuscire a portare il teatro in strada è un’operazione difficile ma bellissima perché ti riavvicina ad un pubblico eterogeneo, che magari non andrebbe mai a teatro, e che tu devi catturare all’istante così da trasformare dei semplici passanti in spettatori affascinati.
Foma Fomic: un artista che è un vero personaggio
Musica a Teatro: Un artista che è un vero personaggio, geniale, originale, stralunato. Chi è, cos’è…e anche perché…. Ecco il nostro dialogo per conoscere meglio Foma Fomic!
Parlami dei tuoi inizi e delle tue difficoltà.
Iniziai a scrivere canzoni intorno agli 8 anni, e subito mi scontrai con la mia totale incapacità e pigrizia. Dimostrai sin dall’inizio di avere scarso orecchio musicale. Cantavo male. Eppure, io volevo solo scrivere canzoni e cantarle a tutti. Di più: volevo iscrivermi al conservatorio, come le mie compagne di classe. Ovviamente mi fu sconsigliato.
Troppa matematica nella musica, mi dicevano. E io con la matematica avevo dei seri problemi. A dieci anni scrissi una decina di canzoni in pochi giorni, nel tentativo di imitare i cantautori che ascoltavano i miei fratelli – tra cui Gaber, Bennato, Battiato, Alice, Baglioni e Barbarossa – e le registrai su una musicassetta accompagnandomi con una chitarra classica di non so chi, usando quasi solamente la mano destra perché non conoscevo nessun accordo tranne il Mi minore e pochi altri che mi ero inventato io.
Intitolai l’album “Sei un uovo“. Disegnai un uovo sulla copertina e lo feci subito ascoltare a mia sorella che si ribaltò dalle risate. Poi, tornato a Milano, lo feci ascoltare anche al mio amico e vicino di casa Filippo Solibello, il quale anni dopo divenne una star di Radio Popolare e poi di Radio2. All’epoca fu magnanimo nel non prendermi troppo in giro.
Ma la mia più grande ispirazione fu Marcello Pardieri (in arte Ugo Pard), grande amico e cantautore con cui tutt’ora ho il piacere di collaborare ed esibirmi dal vivo, autore anche di un brano (“E difficilmente poi“) che ho voluto inserire nel mio ultimo spettacolo “Foma Fomic nello Spazio“.
Ad ogni modo, convinsi i miei amici a formare una band, ma tutti rinunciarono quasi subito, visto che nessuno di noi sapeva suonare niente. All’epoca scrissi una canzone di cui mi vergogno ancora oggi, si chiamava “Pazzo ma no“.
I ragazzi più grandi del quartiere mi chiedevano di cantarla per il puro gusto di deridermi, perché l’interpretazione prevedeva una mimica facciale davvero folle. In quel periodo, intorno ai 13 anni, mi divertivo a cambiare i testi delle canzoni di Claudio Baglioni, convinto che queste mie trovate per me brillanti potessero in qualche modo convincere i miei amici a riprendere in mano mestoli, pentole rubate alle madri e mezze chitarre sgangherate per proseguire con il mio progetto della band.
Erano gli anni delle cassette pirata di Elio e le Storie Tese e degli Skiantos. Io sognavo di poter formare una band così: irriverente e divertente, senza compromessi. Con le parolacce. Poi, una sera, al termine dell’ennesima lezione inconcludente di pianoforte, decisi di imparare a suonare la chitarra elettrica.
Pensavo alla chitarra e alla musica giorno e notte in quel periodo. Avevo circa 15 anni ed ero talmente magro da sembrare malato. Negli anni successivi formai altre band e iniziai ad esibirmi con frequenza in tutte le feste scolastiche che mi capitavano a tiro. Non ero né un bravo chitarrista né un bravo cantante.
Allora, come puntualmente accade in questi casi, passai al basso e, finite le scuole superiori, mi trasferii a Londra dove suonai per anni in un promettente gruppo brit-pop che poi ovviamente non ebbe il minimo successo e si sciolse.
Questi i miei primi stentati passi nel mondo della musica e dello spettacolo. Poi tutto peggiorò ulteriormente.
Il ruolo di un artista oggi, secondo te?
Secondo me un artista oggi ha il difficile compito di rappresentare sul palcoscenico la vita senza i suoi “effetti collaterali”. È un ruolo difficile perché gli “effetti collaterali” della vita se li deve generosamente sobbarcare l’artista stesso, principalmente attraverso le difficoltà che incontra nel produrre arte.
La rappresentazione della vita senza i suoi “effetti collaterali” è il più grande dono che mi può capitare di ricevere da un artista quando vado a vedere uno spettacolo, così spero che chi viene a vedere i miei possa ricevere a ogni replica questo mio piccolo regalo. È una cosa faticosa e meravigliosa al tempo stesso e forse l’unica che sono in grado di donare a un altro essere umano.
Il tuo è cabaret? Teatro canzone?
Non è cabaret, anche se sicuramente ci sono delle influenze che provengono da quel mondo nei miei spettacoli. Probabilmente il genere che faccio si avvicina al Teatro Canzone, ma dipende molto dallo spettacolo: ad esempio mi capita spesso di fare concerti più tradizionali, con la band e con l’aiuto di tanti amici musicisti davvero eccezionali.
Lo spettacolo che sto portando in giro ora con Giacomo Fava e Rubynia Reubens – “Foma Fomic nello Spazio” – credo sia tecnicamente definibile come “commedia musicale”, a giudicare dalle pratiche SIAE che abbiamo compilato per il deposito dell’opera. Ossia uno spettacolo di teatro leggero che prevede l’utilizzo di canzoni cantate dal vivo a intervallare una drammaturgia che tratta temi inerenti alle canzoni stesse.
Si distacca, anche se non di molto, dal concetto del Teatro Canzone gaberiano, avvicinandosi in punta di piedi e in maniera molto molto minimale a ciò che viene definito “musical”. Tuttavia, confesso di non essere molto bravo con le definizioni dei generi. Ho sempre preferito i sottogeneri.
Passo il tempo a inventarmi nuovi sottogeneri con il solo vile scopo di propormi come artista di punta di un qualche sottogenere da me inventato, come ad esempio il nautico-romantico o il romantico-epistolare.
O il gastro-nautico-romantico, sottogenere che ho inventato per sbarcare il lunario durante EXPO 2015, senza peraltro riuscirci minimamente. È un mio vecchio tormentone, non riesco a fare a meno di parlarne ogni volta che mi si presenta l’occasione.
I tuoi riferimenti?
I miei riferimenti sono gli stessi di quando avevo 8 anni purtroppo. Forse è per questo che mi sento così spaventosamente fuori moda e fuori luogo. Gaber, Bennato, Battiato. Ma anche Elio, gli Skiantos, gli Squallor.
Oltre che il grande Marcello Pardieri di cui ho già accennato prima e il mio cantautore milanese in attività preferito che è Flavio Pirini, con cui ho avuto l’onore di dividere il palco in svariate occasioni.
In più credo di essere stato molto influenzato dagli ultimi album dei Beatles, anche se temo che non si percepisca affatto.
Che tipo di musica ascolti?
Recentemente ho venduto tutti i miei cd, salvandone un centinaio: sono rimasti i grandi classici del rock anglosassone, il glam rock e l’heavy metal americano anni 80 e 90, i cantautori italiani e qualche disco brit-pop anni 90.
In realtà amo e ascolto la radio per la maggior parte del tempo, quindi di fatto tutto e niente. Faccio un po’ fatica con i generi contemporanei e con la musica nera. Più in generale tollero quasi tutto tranne la tecno più estrema e il latino-americano.
Vado a periodi. Ho rivalutato molto gli Suede, i Blur e i Motley Crue. E anche Zucchero.
I tuoi ultimi spettacoli? Genesi e altri artisti coinvolti?
Come già accennato, l’ultimo spettacolo “Foma Fomic nello Spazio” è stato scritto con Giacomo Fava e portato in scena con Rubynia Reubens e ci sta dando molte soddisfazioni, tra cui un secondo posto al Nolo Fringe Festival lo scorso settembre.
Subito prima dell’impazzare della pandemia avevo scritto con Giulia Gennaro (che ha curato anche la regia) e portato in scena con Marina Ladduca (cantante strepitosa oltre che bravissima attrice) “Tanto poi si muore“, una commedia musicale sull’ipocondria e sulla paura della malattia e della morte.
Abbiamo fatto giusto in tempo a fare due repliche a fine gennaio del 2020. Addirittura, veniva nominato il termine “quarantena”, giusto per far capire quanto avessimo menato sfiga. Fu un successo.
Lo riproporremo presto. Fino al 2019 ho avuto anche il grande piacere di portare in scena sia a Milano che a Piacenza “Che poi ci si affanna” con la bravissima attrice e poetessa Liliana Palumbo, uno spettacolo che parla d’amore in maniera del tutto irriverente.
Prima ancora avevo scritto e portato sul palco diversi spettacoli accompagnato dalla band, cosa che faccio tutt’ora ogni volta che le condizioni lo permettono.
D’obbligo citare il mio storico batterista Stefano Tedesco, celebre nel nostro giro per la sua oggettiva bellezza oltre che bravura; colui che si è quasi sempre occupato degli arrangiamenti, delle registrazioni e delle produzioni degli album targati Foma Fomic: il grande maestro e bassista Stefano Mora; il chitarrista Grigo, che è anche un bravissimo cantautore e paroliere; la già citata Marina Ladduca, spesso in veste di corista, così come anche Letizia Martines e Monica Cadenini; Samuele Rampani, anch’egli bravissimo chitarrista e cantautore con il quale ho il piacere di collaborare da sempre; l’ultimo album, intitolato “Complichiamoci la vita“, registrato nel 2020 e attualmente scaricabile solo su Bandcamp, è stato curato dal grande chitarrista e produttore Luca Verde, con la preziosa collaborazione di Gabriele Bruno.
Insomma, queste innumerevoli collaborazioni hanno fatto sì che il progetto Foma Fomic divenisse con gli anni una specie di collettivo artistico e multidisciplinare di cui sono molto orgoglioso, soprattutto perché le persone con cui collaboro si divertono, si conoscono tra loro, hanno piacere a stare insieme, a passare del tempo con me per preparare gli show e poi salire su un palco, piccolo o grande che sia.
Ovviamente il Covid ha portato molte difficoltà e divisioni, ma personalmente preferisco sempre, nel limite del possibile, coinvolgere anche oggi altri artisti in ogni progetto che ho in mente e in ogni concerto che ho da allestire. Dispiace solo aver senz’altro dimenticato qualcuno nell’elenco qui sopra.
Cosa hai in programma per il futuro?
Mi sto dedicando a un nuovo spettacolo con Giacomo Fava e Rubynia Reubens. Come successe per “Foma nello spazio“, per la preparazione di questo spettacolo (che, molto probabilmente si chiamerà “Lo sbarco in Lombardia”) stiamo lavorando tra Milano e Genova, questa volta dando vita a una specie di parodia della Storia dal 1945 alla fine della Guerra Fredda (Guerra Tiepida, nel nostro caso). Penso che sarà molto surreale e divertente.
In più ho intenzione di continuare per tutta la stagione con il “Foma Furla Show” ogni giovedì sera presso il meraviglioso pub Maga Furla, in Bicocca: spettacoli informali in cui presento le mie canzoni, sperimento nuovi monologhi e, soprattutto, invito ospiti tra i più disparati. Anzi, se qualcuno volesse partecipare mi scriva in privato, ci sarà da divertirsi.
Tra le tante altre cose in cantiere, segnalo anche uno spettacolo che porterò in scena con tutti i miei amici pianisti e che ho intenzione di intitolare “Vacci Piano Foma Fomic“.
Più in generale, spero vivamente di tornare a performare quanto facevo fino all’inizio del 2020: questo è il mio vero obiettivo per il prossimo futuro. Una via di mezzo tra la sopravvivenza e la sopravvivenza, diciamo.
Come possiamo seguire la tua attività?
Foma Fomic: su tutti i social network. Oppure sull’incredibile fomico sito web: fomafomic.wordpress.com. Potete ovviamente vedere video ufficiali o chicche meno ufficiali sul canale Foma Fomic di YouTube.
In alternativa potete venire a trovarmi di persona il giovedì sera al Maga Furla. O, se proprio proprio, anche scovarmi su Tinder.
Perché questo tuo nome d’arte?
È il nome di un personaggio a dir poco grottesco di un romanzo incredibile di Dostoevskij, “Il villaggio di Stapancikovo e i suoi abitanti”.
Nel novembre del 2019, per Milano Music Week, ho portato in scena uno spettacolo intitolato “La vera storia di Foma Fomic“, in cui sono riuscito ad approfondire la questione dell’origine di questo nome d’arte, scomodando mostri sacri della letteratura come Leonardo Sciascia e andando a scovare – grazie alla preziosa segnalazione del mio amico Carlo Catturini – addirittura un’opera del pittore toscano Mino Maccari intitolata “Leonardo Sciascia presenta Foma Fomic a Voltaire & Voltaire presenta Leonardo Sciascia a Foma Fomic“.
Quello spettacolo fu impreziosito dalla presenza della consueta sezione ritmica composta dai maestri Mora e Tedesco e dalla magnetica performance di Elena C. Patacchini (scrittrice, drammaturga e co-autrice di ben tre testi di canzoni fomiche), che interpretò un monologo tratto da “Sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij, per l’appunto.
Nonostante la sonorità del nome Foma Fomic mi sembrò da subito molto accattivante, si rivelò ben presto una scelta non proprio azzeccata, perché nessuno se lo ricorda mai e soprattutto nessuno ha idea di come pronunciarlo correttamente. Ormai mi accontento di qualsiasi pronuncia. Foma Fomick è un lusso. Arrivo ad accettare anche Foma FoNick. Sentitevi liberi, insomma…
Paolo Barillari è attore e cantante, ma non solo
Musica a Teatro: Paolo Barillari, in scena ora con “Casanova Opera Pop”, scritto da Red Canzian e diretto da Emanuele Gamba nel ruolo di Frate Marino Balbi
Diplomato al liceo classico, è attore e cantante, ma non solo.
Ha studiato canto Lirico e canto Pop, ha seguito diversi corsi di teatro e numerosi stages sul metodo Strasberg.
Suona chitarra e tastiere. È anche compositore melodista e autore teatrale. Ma ha al suo attivo anche televisione, radio e tanto insegnamento. Moltissime le sue partecipazioni a Musicals, anche come co-autore, tra gli ultimi:
“La regina di Ghiaccio Turandot Il Musical”, diretto da Maurizio Colombi; “We Will Rock You “, diretto da Tim Luscombe e Michaela Berlini; “Aladin il Musical Geniale”, diretto da Maurizio Colombi; “Pinocchio Reloaded”, diretto da Maurizio Colombi. In scena ora con “Casanova Opera Pop”, scritto da Red Canzian e diretto da Emanuele Gamba nel ruolo di Frate Marino Balbi.
Ciao Paolo, partiamo da questa frase: “L’amicizia è un volo a tempo pieno, una perla nel sole. Che fa spavento alla paura e che non muore mai! C’è sempre acqua per le sue radici”…Tratta dal musical in cui stai lavorando. Che mi dici a proposito?
Ti rispondo con una frase di Aristotele: Prima di considerare vero un amico devi consumarci insieme un sacco di sale. Se pensi a quanto tempo ci vuole…devi pensarci per molto tempo e consumarci insieme molte esperienze! Nel nostro mondo, quello dello spettacolo, dove purtroppo anche nelle Accademie si insegna sempre più “sgomitologia” applicata…a farti “vedere” alla faccia di tutto e tutti, l’amicizia è un bene sempre più raro.
Quando invece poi ti capita, come sta capitando a me, di trovarti in un cast straordinario fatto di belle persone oltre che grandi artisti, allora ti ritrovi a riscoprire determinati valori. Qui la bravura di Red Canzian è stata non solo quella di scrivere bellissime musiche, ma di fare un gran lavoro dal punto di vista umano. Mi trovo molto bene, nessuno di loro ha studiato (o applica) “sgomitologia” e quindi davvero siamo insieme!
Insieme a portare avanti un progetto che piace a tutti allo stesso modo. Questa frase che hai citato fa parte di una canzone che canta il mio personaggio, un duetto, fra Casanova e il frate che interpreto.
Com’è andata? Come ti sei ritrovato nel cast?
Lavoro nel campo del musical da più di vent’anni, quindi direi che mi si conosce nell’ambiente. Anche se non si diventa famosi in questo campo, è molto difficile, soprattutto in Italia. Stavo facendo uno spettacolo su musiche dei Queen, che si è interrotto con la pandemia. Mentre aspettavo la ripresa, un discografico mio amico mi ha parlato di questo progetto e mi ha consigliato l’audizione. Ed eccomi qua.
Torniamo indietro, agli inizi. Sei stato incoraggiato o no?
All’inizio i miei mi incoraggiavano. Da bambino ricordo che facevo cose tipo…mi mettevo uno scialle in testa, prendevo un tubo di cartone che diventava un microfono e giravo per casa cantando e dicendo che ero la Vanoni…Finché si tratta di un gioco i genitori sono tutti contenti, ti fanno foto, filmini e se ne vantano.
Quando poi diventi grande subentra, come spesso, il classico discorso del genitore protezionista. Vita d’inferno…chi te lo fa fare…farai la fame…eccetera. Fanno tanta fatica a considerarlo un lavoro vero. Adesso l’hanno abbastanza digerita, anche se non del tutto. Anche se entrambi i miei han sempre fatto musica e teatro, ma da amatori. Sono andato a vivere da solo prestissimo, e riuscivo comunque già a campare facendo serate di musica.
Hai fatto il classico e hai studiato Strasberg e Stanislavskij, ma poi hai fatto soprattutto musicals…
Ho sempre prediletto testi in cui comunque si recita molto. Mi piacciono i ruoli molto caratterizzati perché ci posso lavorare tanto. Non mi piace il musical esclusivamente cantato, che ti toglie la possibilità di dimostrare che sai anche recitare. Sono contrario alla teoria secondo la quale il musical sia un genere inferiore alla prosa. Sono cose profondamente diverse, con formule di recitazione diverse.
A mio gusto non amo quelli in cui si è troppo sopra le righe. Mi è capitato di farne, ma ho sempre cercato di spostarli verso un minimo di verità interpretativa, e questa cosa mi viene mediamente riconosciuta. Quindi gli studi miei che citavi mi sono serviti per questo, anche nel mio lavoro di autore.
Quindi mai una Tragedia greca, o un Pirandello o uno Shakespeare?
Beh, ho fatto Oberon nel Sogno di una notte di mezza estate, secoli fa. Comunque mi piacerebbe tornare a fare prosa. Ho partecipato a una pièce per un progetto europeo, veramente difficile, scritta da due docenti universitari. Sugli scritti di Altiero Spinelli, la storia di un soggetto schizofrenico. Era davvero piuttosto complicato, ma una gran bella esperienza. Con cui ho fatto un anno di tour nazionale.
E adesso il Casanova Opera Pop
Certo. Vi aspetto!
Per saperne di più potete cercare la pagina facebook e quella instagram di Paolo e per il musical di Canzian Casanova Opera Pop Casanova Opera Pop | Facebook
Le canzoni, servono perché ci fanno sognare, distrarre, ballare, cantare, divertire, piangere, pensare, e scusate se è poco
Anche stavolta, come al solito, parlerò di Teatro e di Cultura. Per cui parlerò di Sanremo. Di Teatro perché l’Ariston è un teatro. Di cultura (all’inglese “culture”) perché come direbbe Eco non è il caso di fare discriminazione tra quella alta e quella di bassa: si metta pure insieme tutto il mondo dell’entertainment…musica, cinema, tv, fumetti e videogiochi e li si frulli.
Siamo quello che mangiamo, quello che lavoriamo, ma anche quello che ascoltiamo e che scegliamo per svagarci, bellezza! L’Ariston è un teatro, nemmeno grandissimo, inaugurato nel ’63, ed ospita anche lirica balletto, poesia, mostre e cabaret.
Su quel palco, in gara al Festival o in alternativa, non è passata solo l’intellighenzia della Nostra Musica, ma proprio l’Italia tutta, l’Italia com’è, con le sue contraddizioni, i suoi valori e i suoi tic, robina magari ancora apprezzata tanto all’estero.
Possiamo essere caciaroni, sconclusionati eccetera ma siamo indiscutibilmente, da sempre e per sempre, tanto tanto creativi. Così il Festival nostro è un concorso canoro ma non solo.
Una messa cantata, in attesa dell’estensione e processione del santo, un corteo carnevalesco, coloratissimo, di carri a tema, dove sfilano quello gay, quello lesbo, quello macho, quello supermen …col capocarro e i suoi adepti, i suoi fedeli, i suoi osannanti e denigranti.
Mi fa male ogni anno, soprattutto ultimamente coi problemi legati alla pandemia, leggere e sentire gente di spettacolo che inveisce contro il Festival, col tormentone “perché loro si è altri no?”, visto che soprattutto chi fa spettacolo dovrebbe invece essere contento che un Teatro faccia lavorare comunque attori, artisti, musicisti, direttori, tecnici, giornalisti di settore e compagnia cantante. Nonostante.
Musica a Teatro: Sanremare contro?
Il Festival è anche tanto lavoro che riempie mesi, prima durante e dopo. E muove tanti soldi, che è ricchezza per tutti. Sui social c’è chi si scatena anche a sproposito con le solite fregnacce tipo “coi soldi nostri”, mentre è il mondo degli sponsor che alimenta tutto e fa incassare anche tanto di più.
Coi soldi tuoi del canone qui non si paga manco una pizza. Mi fa male assistere a questo desiderio di sporcare e infierire, ma fa parte del gioco, anche chi si ostina a “sanremare” contro fa il gioco del Re e del suo successo.
La sommatoria dei “Che bello” “Che merda” “Che bravi” “Che schifo” è stato un picco in su di ascolti galattico. Molti dicono che in generale, di tutto, si torna indietro anziché progredire? Infatti: anche qui siamo tornati indietro ma in senso buono.
Certi ascolti si facevano trent’anni fa quando in tv non c’era altro. La kermesse ormai non è più una gara di canzoni, ma una grande vetrina luccicante. I cantanti sono lì per cantare ma anche per proporre: sé stessi, la propria immagine e/o poetica, il proprio approccio alla vita, la propria idea di interpretazione del contemporaneo.
Anche la propria fragilità e inadeguatezza. In cui magari tanti giovani si rispecchiano. E così grazie a loro sfilano Valentino, Versace, Gucci, Prada, ma anche Ferretti, Etro, Cavalli nonché Armani.
Il Made in Italy al completo. Anche chi non lo segue ne rimane influenzato. Molti lo guardano di nascosto e non lo ammettono. Resta il fatto che è relativamente importante chi vince o chi perde.
Vasco portò Vita spericolata e arrivò penultimo. Ho provato a intervistare due ragazzi, uno di quindici e uno di vent’anni a Festival non ancora concluso e ho trovato le risposte molto interessanti.
Il contorno c’è ma è per far rumore, per i boomer. I ragazzi vanno alla sostanza, cioè alla Musica. Entrambi si chiamano Matteo.
Hai quindici anni…Stai seguendo Sanremo? Quali canzoni piacciono a te e ai tuoi amici?
Non lo vedo, ma in classe ne abbiamo parlato. Mahmood non piace molto, come canta, ma Blanco lo adorano, soprattutto le ragazze. I Maneskin piacciono come band, meno come canzoni.
Cantanti che segui e ascolti?
Sempre gli stessi. 2Pac, Eminem e Biggie Smalls. Diversi miei amici preferiscono musica italiana e trap.
Dove ascolti musica? Compri cd o vinili?
La ascolto su spotify, ho preso un paio di cd anni fa, dei Remix e Rovazzi.
Matteo, tu hai vent’anni, stai vedendo Sanremo? Dove ascolti musica?
In realtà non l’ho mai guardato, ma non guardo tv in generale. Ascolto tutto su spotify ma intendo acquistare un bel giradischi e avvicinarmi al vinile. I cd li trovo obsoleti.
Perché ti piace un cantante? Fisico, voce, look?
Mi interessa la dimensione estetico- stilistica degli artisti, cosa che tengo separata del giudizio musicale.
Ti piace Achille Lauro, come personaggio “eversivo”? Trovi che si rifaccia a Bowie o Zero, o non ti interessa questo?
Ho sempre apprezzato Achille Lauro dal punto di vista musicale, più in passato che ora. Non conosco granché David Bowie né Renato Zero, ma da quel poco che so Bowie mi sembra un personaggio davvero inimitabile.
Cosa ascolti?
Davvero di tutto, anche roba nostalgica a cavallo tra i ’90 e i ‘2000, ma vado anche più indietro ai ’70.
Questi più vecchi li cerchi perché li hai sentiti in famiglia?
Solo in piccola parte, son cose che ascoltiamo tra amici o li scopro in autonomia, come la dance anni ’80, spesso quando sono in auto…
Grazie Matteo e grazie Matteo.
Insomma, questo Festival, come dicevo, magari molti non lo seguono ma ne sono influenzati, molte cose restano. Questo è stato vincente perché rassicurante, più che l’amore è venuta a galla l’amicizia (sessuata o no) e il divertimento.
La voglia di condividere e abbracciarsi. Le canzoni, del resto, servono perché ci fanno sognare, distrarre, ballare, cantare, divertire, piangere, pensare, e scusate se è poco.
Anche se cuore e amore fanno rima con difficoltà, e i testi interpretano speranze ma anche disagio. Meglio se comprendono parole sorprendenti che diventano nel tempo indimenticabili, come una bici di diamanti e un cielo di perle.
È stato vincente perché ha messo insieme molti mondi, da Morandi a Rkomi, molti sorrisi e leggerezze come quelli di Tananai, melodie e ritmi strani, tormentoni già estivi, e ha giocato bene con la nostalgia tra Carrà e Cover. Le polemiche, anche quelle tese, magari legate agli interventi degli ospiti, servono allo scopo. Nonostante.
La messa cantata è finita e tutti i salmi finiscono in gloria. Andate in pace. Ci si vede tra un anno.
Corrado Calda: attore, regista e autore di cinema e teatro
Musica a Teatro Corrado Calda: “la musica, come tutti le arti, è un oceano, se la vuoi conoscere devi essere in continuo ascolto del suo esprimersi e accettarne le profondità”
In concorso al David di Donatello nel 2008, ha vinto con la pièces teatrale “Wolfi, lo scemo del villaggio” il “Premio speciale della Giuria nel 2009, due sue sceneggiature sono state premiate per l’Interesse Culturale dal Dipartimento Cinema e il suo cortometraggio “Chanel” del 2010 ha vinto il Filmare Film Festival di Ostia, ha avuto una menzione speciale al quarto Video Festival di Udine e una menzione speciale al Cortoginosa sezione diritti umani del premio Amnesty International.
Laureato al D.A.M.S in drammaturgia si è diplomato in recitazione presso la “Bottega Teatrale di Vittorio Gassman” e ha perfezionato i suoi studi all’Atelier della Costa Ovest conseguendo altri due diplomi: “Artisti dello spettacolo”, “Artisti di scena”.
Ha lavorato in Teatro con registi come Claudio Longhi, Amedeo Amodio, Alfonso Santagata, Luca Ronconi, Enrique Vargas, Lorenzo Loris, Franco Brambilla, Laura Pasetti, Alessandro Bergonzoni, Carmelo Rifici, Robert Carsen.
In TV ha lavorato in “Doppio Segreto”, “Turbo”, “Uno Bianca”, “Part – time”, “La Notte di Pasquino”. Nel Cinema nel film “I Volontari”, “Io faccio Rock”, “A.A..A… Achille”, “Sweet Sweet Marja”.
In Teatro ha realizzato decine di regie. Ultimamente con la propria compagnia ha messo in scena “Gran Tour – la corsa alla bella Italia” di Giusy Cafari Panico in cui recita Morgan nel ruolo di Lord Byron. E sta replicando uno spettacolo con musiche su John Lennon.
Ho avuto il piacere di incontrarlo anni fa durante un intenso laboratorio al Franco Parenti e di recitare con lui in una rielaborazione teatrale di “Rashomon” curata da Riccardo Piricò Vaghi.
Hai studiato musica, canto? Pensi che sia importante per un attore?
Il mio esordio nel mondo dello spettacolo è stato a quattordici anni in una band giovanile, gli “Ska”, in cui suonavo la chitarra acustica ed elettrica, poi sono passato nei “Kronos”. Ci esibivamo a livello locale ed è stato un periodo molto divertente della mia adolescenza, la mia prima esperienza su un palco, che mi ha insegnato a coordinarmi con gli altri, e ad avere il senso del ritmo.
Qualche volta cantavo e partecipavo ai cori. Inconsciamente ho imparato così ad usare il diaframma, fondamentale per un attore. Ho poi tenuto in questi anni delle masterclass al Conservatorio Nicolini di Piacenza, e la mia conoscenza della musica si è approfondita.
La musica, come tutti le arti, è un oceano, se la vuoi conoscere devi essere in continuo ascolto del suo esprimersi e accettarne le profondità. Per tornare alla mia formazione ho studiato alla Bottega di Gassman, che ho frequentato alla fine degli anni Ottanta, e ho avuto insegnanti di musica e arti tersicoree.
Mi sono poi specializzato con diverse Masterclass europee dove ho avuto tra gli altri insegnati i Sosta Palmizi, i famosi ballerini che mi hanno trasmesso l’amore per il ritmo del corpo e il fantastico Bruno De Franceschi che ci ha insegnato canto e uso della voce partendo dal silenzio.
I tuoi primi approcci al palco?
È stata mia madre che mi portava a vedere la prosa. Ero molto giovane, un ragazzino. Ho sempre pensato che avvicinarsi alle arti sia qualcosa legato alla educazione che ricevi in famiglia. Se a un ragazzino metti in mano un videogame o un pallone non puoi prendere che poi si interessi alle arti.
Così accanto al divertimento come membro di una piccola rock band, ho iniziato a frequentare una filodrammatica locale, la Turris, si chiamava, più che altro per curiosità. Poi ho fatto la comparsa al Teatro Municipale di Piacenza. Ricordo un “Sansone e Dalila” dove mi buttavano “nel fuoco”.
In realtà sotto la bocca del mostro fiammeggiante dove ci lanciavano c’era un comodissimo materasso. Il fascino del palcoscenico, tuttavia, mi ha sempre più catalizzato, fino ad arrivare ad essere ammesso alla Bottega, e arrivare ad essere allievo di Gassman, come dicevo. Contemporaneamente mi laureavo al DAMS di Bologna, dove venni a contatto con l’arte scenica in tutte le sue forme, anche musicali.
Che tipo di musica ascolti di solito?
I miei gusti musicali sono cambiati nel tempo, come accade a molti. Da giovanissimo ero appassionato di musica underground italiana e di musica ska, poi ho scoperto il grande cantautorato italiano.
Ho sempre avuto una predilezione per Edoardo Bennato, ad esempio. Con il tempo mi sono avvicinato ad altri generi di musica, al pop rock classico dei Beatles, ad esempio, per rimanere nel campo della musica leggera.
Sono sempre stato attratto, tuttavia, dalla musica operistica, dalle romanze verdiane in particolare. Tra l’altro sono nato a Piacenza, città verdiana con una grande tradizione lirica. Mi hanno detto che ho una voce baritonale, peccato averlo scoperto troppo tardi.
Parlami dello spettacolo a cui ha partecipato Morgan
È un tipo di show composito, un docu-teatro di prosa e musica, che ripercorre il periodo d’oro dell’Italia come meta di uno straordinario turismo internazionale e culturale: il Grand Tour, diffuso tra il milleseicento e gli inizi del Novecento, quando le migliori menti europee affrontavano viaggi estenuanti e lunghissimi per visitare le nostre bellezze artistiche e culturali.
Sono arrivati qui Stendhal, Goethe e tanti scrittori e poeti, ma anche musicisti come Mozart, citandone uno per tutti. Morgan ha interpretato Lord Byron, uno dei più celebri visitatori dell’Italia di quegli anni, recitando e cantando canzoni del suo repertorio in linea con la personalità del grande poeta britannico, eccentrico ma capace di intuizioni geniali.
Un ruolo inedito per lui che gli ha procurato molti applausi, alcuni a scena aperta. Lo accompagnava al violoncello la sorella Roberta Castoldi che interpretava un’intensa Mary Shelley, grande amica di Byron e autrice di Frankenstein.
Presenti anche inserti musicali della “Bell’Italia” dell’epoca con cantanti lirici e maestri di pianoforte che hanno eseguito brani di Donizetti. Stiamo pensando di portarlo in tournée.
Ora di quello su Lennon
Avevamo in mente da tempo di realizzare uno spettacolo per i quarant’anni dall’assassinio di John Lennon, che per me è un grande riferimento dal punto di vista musicale, umano, e come maestro geniale di comunicazione. L’abbiamo rinviato di un anno a causa dei problemi dovuti alla pandemia.
L’intento era di dare una lettura nuova alla sua scomparsa proprio all’inizio degli anni Ottanta, quasi la sua morte chiudesse un’epoca storica molto precisa, quella degli anni Sessanta e Settanta, anni di grande fermento e protesta sociale.
La simbologia di questa frattura nella storia che è stata l’omicidio di Lennon, si ritrova nel testo che introduce un elemento dostoevskiano, quello del personaggio del Grande Inquisitore, che di fatto, in un dialogo metafisico realizzato con “ Guitar man” e “Glasses” (gli occhiali di Lennon) mette in scena una cesura del Tempo.
Guitar man, interpretato dal cantante americano David Stockdale, ha cantato e suonato alcune significative canzoni di Lennon, sia come solista che come membro dei Beatles. Notevole l’esecuzione di Help, in una versione drammatica e rallentata. Uno spettacolo che ho amato molto e che intendo replicare presto.
Altri spettacoli in cui hai utilizzato la musica che ami ricordare?
Ha lavorato molto con la musica ma odio fare gli elenchi. Mi piace ricordare il mio debutto con l’allora ATER Balletto (siamo agli inizi degli anni Novanta) in cui faceva il lettore nell’”Historie du Soldat”. Accanto ai ballerini guidati da Amedeo Amodio c’era l’Orchestra Arturo Toscanini e dovevo recitare spesso a ritmo di musica, una tournée straordinaria che mi ha lasciato una grande esperienza dentro.
Sono stato Njegus a fianco di Alessandro Safina e Giuseppe Picone nella “Vedova Allegra” di Lehar e infine ho fatto diverse regie liriche. Ogni spettacolo fatto con la musica, per la musica è un bellissimo ricordo.
Ma naturalmente è sempre l’ultimo figlio che si ama di più, soprattutto se è ancora in gestione.
Progetti presenti e futuri?
È una domanda che pone una profonda riflessione. La mia generazione è passata da un mondo diviso in due da un muro, con il blocco sovietico da una parte e quello filoamericano dall’altra, fino al crollo del medesimo muro e l’inizio della globalizzazione in cui l’assenza di frontiere fra gli Stati ha edulcorato ogni immagine di un nemico.
Poi è arrivato l’ISIS e gli attentati, infine la pandemia ha cambiato volto al mondo. Parlo di società, perché voglio sottolineare che già prima della pandemia era in atto un processo di dissoluzione morale, culturale e di disordine economico che influenzava ogni settore della vita: il teatro ne era profondamente coinvolto.
Questo processo con la pandemia non ha fatto altro che acutizzarsi: le star hanno in qualche modo continuato a lavorare, tutti gli altri hanno tirato a campare.
Si è creata, come nella società, una frattura anche economica profonda tra le classi sociali e nel futuro si vedono sorgere sempre di più egemonie teatrali che daranno sempre meno spazio a chi non è in un modo o nell’altro allineato.
In questo disordine e in questo cristallizzarsi degli aspetti peggiori del nostro mestiere saranno le piccole produzioni che, alla lunga, avranno proposto delle novità e avranno portato una ventata di nuovo a cui verrà riconosciuta storicamente la valenza, ma sarà molto più avanti.
Il futuro vuole per il mondo del Teatro regole precise, una legislazione dedicata, un modo nuovo di confrontarsi con i testi e con il mestiere. La mia Associazione Culturale Muselunghe APS ha uno slogan #rinascimentoculturale, probabilmente usato anche da altri, che significa una riscoperta dei nostri valori e l’inizio di una nuova epoca, un nuovo risveglio, una rinascita.
Con la scrittrice Giusy Cafari Panico stiamo realizzando un documentario (il quarto) su “I tre tenori che dal Po varcarono l’Oceano”. Lascio al lettore l’indagine di chi fossero dandogli una traccia; tutti e tre erano piacentini e tutti e tre hanno cantato al Colón di Buenos Aires e al Metropolitan di New York.
Questo documentario e altri spettacoli che faremo sono uno sguardo al passato, sguardo che serve per ritrovare una guida e il senso delle nostre radici di uomini prima di tutto immersi in una società. Vogliamo onorare questo mestiere nel significato più profondo del suo termine: rispetto e riconoscenza.
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