Musica a Teatro: Bruno Petrosino “Devo tanto, tantissimo alla musica. Mi piace dire, scherzando, che il teatro per me è stato un “ripiego”!

Bruno Petrosino: recitare con la voce e con il corpo Fuori dal fango
Bruno Petrosino (Fuori dal Fango, con Gigi Vitale) Il personaggio di Giuliano ama la musica al di sopra di tutto, o quasi. Di certo al di sopra di qualsiasi ideologia politica

Nato a Nocera Inferiore, vive a Roma.

Ho avuto la fortuna di incontrarlo qualche anno fa e l’ho scelto come coprotagonista di quello che ho chiamato il mio “noir di guerra”, Fuori dal fango, ambientato in una casa cantoniera milanese il 25 aprile del 1945.

La sua interpretazione intensa, a volte delicata, spesso ambigua del personaggio di Giuliano è stata una delle carte di successo del lavoro.

Ha diverse esperienze cinematografiche (ma qui ricordo in particolare la sua parte in Histoire d’une Larme, docufilm visionario di Jo Coda, con Sergio Anro, che ha vinto numerosi premi e ancora sicuramente ne vincerà) ed è straordinario interprete di alcuni monologhi, tra cui ricordo Ilse Stuttgard, vedova Kaufmann e Cartoline da casa mia, di Antonio Mocciola, rappresentato con successo anche all’estero, in cui è un indimenticabile hikikomori.

Grandi riconoscimenti anche per gli spettacoli in collaborazione con Mauro Toscanelli, in particolare “Occhio al cuore” di Emiliano Metalli vincitore del concorso “Idee nello Spazio 2020” al Teatro Lo Spazio di Roma, prodotto da Ipazia.

Questa in breve la biografia. Ora scopriamo qualcosa di più….

Come ti è venuta la passione per il teatro? È iniziata da bambino?

Da bambino a malapena sapevo cos’era, il teatro. Ci avevano portati qualche volta alle elementari: più o meno ci pensavo, più o meno lo trovavo piacevole, ma non immaginavo nemmeno lontanamente che potesse diventare un mestiere.

Avevo 16 anni quando ebbi la possibilità di fare da assistente al bravissimo regista Giampiero Cicciò per il suo spettacolo “Perthus”, testo di Jean-Marie Besset, al suo debutto assoluto in Italia al Festival di Taormina Arte del 2009.

Lo spettacolo trattava, tra le altre cose, proprio di adolescenti, quindi mi ci ritrovai particolarmente coinvolto. Seguire le prove, conoscere gli attori e vederli a lavoro, assistere alla messa in scena di una storia che mi toccava così da vicino e respirare quell’atmosfera, quel “gioco” come all’epoca mi pareva, sempre più appassionante, fece scoccare in me la scintilla: volevo diventare attore, conoscere meglio il teatro.

Da lì cominciai a frequentare i primi corsi e ad andare a vedere più spettacoli, guidato da Giampiero ed altri nuovi amici di questo mondo, e dopo il liceo frequentai l’Accademia d’Arte Drammatica “Cassiopea”. Un triennio difficile, ma fondamentale della mia vita: sopra le cicatrici, ho imparato molto. Uscito da scuola, ho cercato di imparare ancora con workshop ed esperienze lavorative sempre il più possibile stimolanti e di qualità, di alimentare e stimolare quella scintilla. E ci provo ancora adesso.

Hai studiato musica o canto? Pensi sia importante?

La musica è stata in verità il mio primo amore. A 12 anni, ad una festa di famiglia, mi ritrovai a cantare ad un karaoke e fu una scoperta elettrizzante sentire quanto mi piaceva, quanto mi faceva stare bene. Mi dissero tutti che dovevo continuare. A 13 anni ero solista nel coro della scuola e a 14 iniziai a studiare ad una scuola di musica, oltre a frequentare, sotto consiglio del mio ex professore di musica alle medie, un coro gospel da lui diretto: ha contribuito molto nella pratica, oltre che nell’affinazione dell’orecchio e del lavoro d’insieme, ed ho conosciuto tante belle persone.

Bruno Petrosino: recitare con la voce e con il corpo
Bruno Petrosino – Mi piace pensare alla musica come una buona parte della mia forma intellettiva, una parte importante di quello che sono (Foto © Serafino Giacone)

Con il tempo la musica è diventata più un hobby che un vero percorso professionale, ma tra gli studi in Accademia e altre piccole esperienze corali ed individuali, praticamente non ho più smesso… Devo tanto, tantissimo alla musica. Mi piace dire, scherzando, che il teatro per me è stato un “ripiego”! Ma mi piace anche pensare alla musica come una forma intellettiva, una buona parte della mia forma intellettiva, una parte importante di quello che sono. È molto importante, a mio modo di vedere, per la mia idea di teatro.

Cosa ti piace ascoltare?

Da anni amo addormentarmi con la radio accesa. Non musica particolarmente ricercata, ma che mi dia brivido e tranquillità. Quasi sempre canzoni d’amore. Per il resto spazio abbastanza. Non ho un genere in particolare che adoro o conosco benissimo, ma cerco sempre di cogliere qualcosa, di vedere ciò che una determinata musica o suono ha da offrirmi e immagazzinare emozioni a seconda di quello che mi suscita. Mi piace farmi sorprendere ed emozionare da nuove scoperte, segnarmi nella memoria (cartacea, elettronica o emotiva) musiche o suoni che trovo anche per caso o in situazioni particolari e che mi lasciano una sensazione che devo fissare. O che avrò prima o poi bisogno, forse, di comunicare.

Utilizzi musica per il training?

Sempre! La stimolazione sonora è connessa in modo epidermico, carnale alla mia stimolazione emotiva. Probabilmente questo vale per tutti gli esseri umani, ma penso sia di vitale importanza per un attore esserne consapevole. La musica mi accende fisicamente e mi tiene su, che la stia ascoltando in cassa o che mi parta dal cervello.

In “Fuori dal fango” ti ho chiesto di suonare un pezzo con l’armonica. Mi racconti come è andata?

Il nostro amato “Fango” … Spero potremo replicarlo presto! Quello spettacolo è stato davvero fondamentale per la mia formazione, lo dico spesso.

Il personaggio di Giuliano ama la musica al di sopra di tutto, o quasi. Di certo al di sopra di qualsiasi ideologia politica. Riuscire a interpretare e far arrivare questo amore strimpellando quella melodia (Lili Marleen) con un’armonica sgangherata, senza averla mai saputa suonare, è stato un bell’obiettivo e ha richiesto moltissimo impegno…

Ma grazie ai rudimenti del passato e qualche settimana di pratica, ho potuto imparare ad orecchio quella melodia e renderla riconoscibile al pubblico, e mi ha dato una preziosa soddisfazione, personale e di resa: l’impegno e la dedizione mi sono sempre state riconosciute con calore, per chi mi ha voluto davvero ascoltare.

Bruno Petrosino: recitare con la voce e con il corpo Histoire d'une Larme
Bruno Petrosino (Un Frame di “Histoire d’une Larme”, con Sergio Anro) – Farmi attraversare fisicamente dalla musica è una delle operazioni di ricerca e di espressione che più di gratifica

Influenza della musica o dei suoni in tue performance? Ad esempio in qualche monologo?

Usare la musica, in qualunque modo, nel mio lavoro è sempre motivo per me di felicità e, in un certo senso, di familiarità. Che sia chiaro, intendo nella quantità limitata e nel modo assolutamente personale in cui la conosco. Per me è come chiacchierare con un caro amico: magari non lo conosco perfettamente o completamente, ma so cosa mi lega a lui, cosa di lui mi fa stare bene.

Usarla non solo con la voce, ma anche e moltissimo con il corpo. Farmi attraversare fisicamente dalla musica è una delle operazioni di ricerca e di espressione che più di gratifica. Nel monologo “Cartoline da casa mia” di Antonio Mocciola, le parole creano una partitura perfettamente amalgamata e in qualche modo indispensabile con il corpo.

Usarla non solo in modo “bello”, ma necessariamente unico e, ripeto, personale. Una delle scoperte più belle della mia vita è stata sapere di potere (e dovere) “suonarmi” alla mia maniera. Voglio quindi, per quanto concesso, essere accordato alla mia maniera e trovare quello che veramente mi risuona. Nello spettacolo “Occhio al cuore” di Emiliano Metalli (la mia prima co-regia con Mauro Toscanelli) l’Uomo canta in uno sgraziato, svociato romanesco, e solo così può farlo.

Nel film “La Storia di una lacrima”, almeno a giudicare dal trailer, pare che il mondo sonoro sia molto importante. È così?

“La storia di una lacrima”, la mia prima grande esperienza cinematografica con la regia di Jo Coda, che ha appena iniziato il suo fortunato percorso nell’ambito di festival di cinema indipendente, guadagnando già non pochi riconoscimenti internazionali, è stato definito da qualcuno anche “una sorta di folle musical”, proprio per il linguaggio strettamente collegato all’utilizzo interessante che si fa della musica, tra esibizioni strumentali, rievocazioni di armonie che spaziano nella storia e creazioni contemporanee, playback, drag queen… Ma raccontato da me è riduttivo, è un’esperienza da vivere! Spero possiate farlo presto, il film vuole girare il più possibile. Vediamo che succede!

Prossimamente?

Per l’appunto, la prossima tappa de “La storia di una lacrima” sarà proprio a Milano, con una proiezione presso “Il Cinemino” alla fine di febbraio.

Riguardo invece il teatro, ho come la sensazione di dover chiudere con questa stagione un importante ciclo. Sarà l’arrivo dei trent’anni…

Sempre a fine febbraio, il debutto del nuovo testo-regia di Danilo Caiano, “Frammenti Queer” con Gisella Cesari, al Centro Culturale “Artemia” di Roma.

Prime e spero non ultime date di tournée di “Occhio al cuore”.

Altre repliche di “Cartoline da casa mia”, di nuovo all’OFF/OFF Theatre di Roma, il 26 e 27 aprile.

E a fine maggio, al Teatro Lo Spazio di Roma, uno spettacolo per cui ho lottato e a cui tengo moltissimo, e che ho un’inspiegabile “urgenza” di raccontare: testo di Donatella Busini, il mio nuovo lavoro con Mauro Toscanelli, “Io ed Elena”.

Dove possiamo seguire la tua attività?

Su Facebook e Instagram, e qualunque fonte di informazione mi voglia citare e sostenere.

Lo so, al mondo non esisto solo io… Però esisto anch’io!

Grazie Bruno e…ci vediamo presto!

Gianpiero Cavalluzzi: “Per me lo spettacolo non deve solo divertire e intrattenere, ma anche formare e, talvolta, sconvolgere portando ad una riflessione”

Musica a Teatro: Gianpiero Cavalluzzi, l'ultimo Valentino
Musica a Teatro: Gianpiero Cavalluzzi. – Rudy. L’ultimo Valentino (Foto © Fabio Spagnoletto) – Per me lo spettacolo non deve solo intrattenere e divertire ma anche formare

È nato a Bari e vive a Roma. Laureato in scienza della comunicazione è cantante, blogger, giornalista e addetto stampa. La sua parola d’ordine è creatività, per cui in scena mette tutto sé stesso scrivendo il testo, recitandolo e dirigendolo. Cantando anche… l’ho conosciuto assistendo al suo spettacolo Rudy, l’ultimo Valentino. Impariamo insieme a conoscerlo meglio…

Parlami dei tuoi esordi, la prima volta che hai calcato un palco e hai deciso di fare l’attore?

A 14 anni, come cantante, durante il saggio della scuola di canto che frequentavo. Col tempo, però, ho capito che… “io non volevo solo eseguire – bene, ça va sans dire – tutte le note, ma volevo far vivere quelle storie”. Senza farle fallire nel loro intento, anzi! Volevo essere il protagonista delle vicende, non semplicemente colui che le raccontava in musica. Dopo tanto, ma tanto tempo (e due o tre vite di mezzo) ho iniziato a frequentare un piccolo “performance lab” teatrale a Roma per scoprire cosa significasse interpretare un personaggio a teatro. Ad insegnarmi tutto quello che so, però, a rendermi “un attore” è stata Pier Paola Bucchi, a cui devo tutto. È stata lei la prima a credere in me e a scritturami per un Feydeau diretto da lei, che ha rappresentato il mio vero debutto.

Progetto Lestoriedigianpiero… Di cosa si tratta

È un raccoglitore di idee, base di tutti i progetti “in solitaria” che ho creato tra il 2020 ed il 2021. È nato per darmi l’occasione di essere in video, soprattutto, ed è per questo che ho scritto persino un “Manifesto”, creato strizzando l’occhio a quello del Futurismo. Eccesso di megalomania, pardon, ma, in fin dei conti, era del mio futuro che mi volevo occupare attraverso Lestoriedigianpiero. Oggi si è “trasformato” in un riflettore di ciò che ho portato in scena a teatro. I “video” che avrei voluto realizzare hanno lasciato il posto alle cronistorie dei miei spettacoli. Solo immagini perché, secondo me, la magia del teatro deve restare a teatro. Nessun “video” potrà mai rendere giustizia all’intensità di uno spettacolo dal vivo.

Musica a Teatro: Gianpiero Cavalluzzi, l'ultimo Valentino Musica a Teatro: Gianpiero Cavalluzzi. (Foto © Fabio Spagnoletto)
Musica a Teatro: Gianpiero Cavalluzzi. – Rudy. L’ultimo Valentino (Foto © Fabio Spagnoletto) – Mi piace lavorare sui Miti

Cosa e chi ti piace ascoltare in ambito musicale?

Mi sento un’anima prepotentemente pop che vede in quel segmento musicale la sua espressione più piena. Se dovessi individuare un “idolo” direi, senz’ombra di dubbio, Lady Gaga: lei rappresenta la mia idea di arte pop. Sono anche un grandissimo appassionato di musica leggera italiana, che ascolto nella sua complessità senza limiti temporali: da Luigi Tenco a Raffaella Carrà passando per Loredana Bertè e Claudio Baglioni. Anche se c’è un’artista italiana che amo più di tutti… Laura Pausini. Beh, credo che sia chiara la mia passione per i miti, anche in musica, no?

In Rudy canti…. Come hai operato le tue scelte musicali in quel monologo?

Ecco il Mito a cui sono affezionato più di tutti: Rodolfo Valentino! Le due canzoni che ho cantato sono state: “Kashmiri Love Song” e “El Relicario” e si tratta, in realtà, delle uniche due testimonianze della voce del primo Divo del cinema muto. La scelta, dunque, è stata quasi obbligata anche se entrambe le canzoni vivono nello spettacolo godendo di una luce propria. Voglio anche segnalare che Paolo Orlandelli (che ha collaborato appassionatamente alla creazione di Rudy. L’ultimo Valentino) mi ha suggerito di inserire anche “There’s a new star in heaven tonight”, brano inciso nel 1926 in occasione della scomparsa di Rudy e quindi, di fatto, primo omaggio postumo.

Anche un altro tuo monologo ha a che fare con la musica, Tenco… Me ne parli? Canti anche lì?

Il progetto su Tenco è una ferita ancora aperta: avevo in mente un’idea molto più elaborata che per motivazioni indipendenti dalla mia volontà non ha potuto vedere la luce. Sono riuscito a presentarne un estratto a Roma, la scorsa estate, durante un concorso. In quell’occasione ho cantato “Lontano lontano” e “Mi sono innamorato di te” che, però, non hanno potuto esprimere i rimandi che avevo studiato per entrambi i brani nello spettacolo completo. Mi sono anche concesso la realizzazione di un self tape che ho girato lo scorso luglio nel Rione Borgo, a Roma, dove Tenco ha vissuto fino al giorno in cui non ha lasciato la Capitale per raggiungere Sanremo. Volevo, a tutti costi, cercare di vivere l’atmosfera del cantautore.

Musica a Teatro: Gianpiero Cavalluzzi, l'ultimo Valentino - Roma
Musica a Teatro: Gianpiero Cavalluzzi. – Rudy. L’ultimo Valentino (Foto © Fabio Spagnoletto) – Comunque mi sento un’anima prepotentemente pop

Ti piace affrontare anche temi difficili, ad esempio: La buona morte…

Sì, hai ragione, mi piace affrontare temi che possano considerarsi “difficili”: ho scritto a proposito di diverse malattie mentali, dell’Alzheimer, della dipendenza dall’alcol, di stregoneria, a proposito della morte stessa, anche in chiave di… buona morte. Ho creato una pièce intitolata, appunto, Buona Morte che tratta il tema dell’eutanasia dal punto di vista della dignità non riconosciuta al malato terminale. Sono fermamente convinto che lo “spettacolo” debba trattare temi di questa natura per fornire al pubblico una finestra su ciò che non conosce, ma che, troppo spesso, si permette di giudicare e stragiudicare senza alcun riguardo per i soggetti realmente coinvolti. Per me lo spettacolo non deve solo divertire e intrattenere, ma anche formare e, talvolta, sconvolgere portando ad una riflessione.

Cosa stai preparando e cosa farai prossimamente?

Sto lavorando, innanzitutto, ad una ripresa di Rudy. L’ultimo Valentino, il progetto a cui sono più legato e a cui devo tantissimo. Sempre a fianco della Fondazione Rodolfo Valentino stiamo preparando alcune “sorprese” che spero, di cuore, si concretizzino. Di base c’è comunque la volontà di presentare lo spettacolo in altre città, non solo italiane! Il calendario è in fase di definizione. Sono anche a lavoro su di un altro Mito, smaccatamente pop, che mi piacerebbe “riportare in vita”, ma sono ancora agli albori e poi… Ci sono alcuni progetti non creati da me, ma straordinariamente forti, anzi fortissimi direi, che, scaramanticamente, è meglio lasciare ancora nella sacralità del… “cece in bocca”!

Per seguire Gianpiero collegatevi al sito gianpierocavalluzzi.wixsite.com

Musica a Teatro: Stefano Arado da introverso ad … “AltroVerso”

Stefano Arado: danzatore contemporaneo e coreografo
Stefano Arado: la mia formazione contemporanea e il mio cuore mi portano ad avere come riferimento Pina Bausch e Wim Vandekeybus (Foto © Alan Sardella)

Stefano Arado inizia gli studi a Savona dove si avvicina sia alla danza Classica, Modern, Contemporanea, all’Hip Hop e al latino Americano. Nel 2013 accede al corso di Formazione Professionale Dipartimento Modern e Contemporaneo presso il Centro Coreografico Internazionale Opus Ballet di Firenze.

Dal 2015 al 2016 segue corsi Open presso il Centro Opus Ballet. Nel corso degli anni frequenta numerosi stage e worshop, partecipa in qualità di coreografo emergente a NU:DA “Nuova Danza” con la coreografia di: Un tempo per Ogni cosa e per Ogni cosa uno spazio”.

Entra a far parte in qualità di ballerino nel cast del Musical Cenerentola della “Compagnia delle Formiche”, con la quale effettua alcune date in Italia e in Svizzera.

Da settembre 2015 insegna danza contemporanea e modern in alcune scuole di Firenze. Nel 2016 fa parte di un video/progetto “Dance On Set 6” e partecipa alla “Rassegna On Stage, Voghera” con la sua coreografia di contemporaneo, supervisionata da Daniel Tinazzi, “Escape from Themselves” ottiene 5 borse di studio.

Lavora come Coreografo e Ballerino per “Samarcanda Intrattenimenti” e con la compagnia “Doppio Sogno” per gli spettacoli “Mi ha salvato la Discomusic”, di Marina Marini e  “Mata Hari: una donna tra le spie.

Ha altre esperienze di danza col “Balletto Nazionale Italiano”.  Insegna danza contemporanea nella scuola di danza “Colisseum” di Como e in varie scuole di Milano e Provincia sia in forma stabile che in formula stage.

È Direttore Artistico e insegnante, insieme ad Aurora Bonfante, della Scuola di Danza CUS INSUBRIA di Varese. A maggio 2018 fonda la “Compagnia Altroverso” della quale è direttore artistico.

A settembre 2018 mette in scena al Palainsubria di Varese, con la sua compagnia, l’estratto dello spettacolo “Ci sono giorni in cui”, di cui è ideatore, produttore e coreografo. Lo spettacolo va in scena nel 2019 a Varese in forma integrale al Teatro Santuccio, a Piacenza al Teatro Omi e a Cocquio Trevisago al Teatro Soms.

Alcuni estratti vengono presentati in occasioni delle partite di pallavolo serie A1 e B2 al Palainsubria di Varese e al Palayamamay di Busto Arsizio. Nel maggio 2019 danza con la Compagnia Abbondanza Bertoni durante il Bellanda Suite IV- Festival di Danza Experimental al Teatro Comunale di Cormons (GO).

Attualmente sta lavorando alla nuova produzione di “Cenerentola” della Compagnia Altroverso, spettacolo del quale è regista, coreografo e performer, ricoprendo il ruolo di “Principe”.

Com’eri da piccolo? Introverso? Estroverso? Con cosa ti piaceva giocare? A che età hai sentito attrazione per la danza?

Da piccolo ero un bambino molto introverso e timido, quando qualcuno mi parlava spesso arrossivo e avevo sempre timore di mettermi in gioco in prima persona, per lo meno con gli adulti.

I miei giochi preferiti sono sempre stati quelli di “personificazione” all’aperto… con gli amici bastava poco per rendere magica una giornata: due amici, un prato dietro casa e si giocava a battaglie epiche o a immedesimarsi nei personaggi di Harry Potter.

L’attrazione per la danza….eh bella domanda….direi innanzitutto un’attrazione per la musica in quanto da piccolo suonavo pianoforte e chitarra su stimolo di mio papà che suonava il sassofono e il clarinetto in diverse orchestre di liscio locali.

Tuttavia, da sempre, sin da bambino, ho amato ballare a casa ma ho iniziato a prendere lezioni di danza sul serio solo a 17 anni.

Stefano Arado: danzatore contemporaneo e coreografo 1
Stefano Arado: amo creare contaminazioni tra altre arti, come poesia, teatro, musica (Foto © Alan Sardella)

Il primo debutto in assoluto su un palco e il primo che hai sentito essere una vera svolta …

Il primo debutto su un palco è stato all’età di 6/7 anni nella recita scolastica alle scuole elementari, interpretavo un coniglio! Ahahah!

Poco dopo ho iniziato ad esibirmi nella piccola compagnia teatrale amatoriale del mio paese di origine, gli “çiòule” di Cantalupo a Varazze, diretta da mia madre con piccole coreografie da lei create; all’epoca non avevo mai preso lezioni di danza ma probabilmente qualcosa mi si stava smuovendo dentro.

È stato un primo debutto che mi ha portato anni e anni dopo alla prima vera e propria svolta, avvenuta quando sono stato ammesso al Centro coreografico internazionale Opus Ballet di Firenze.

Che tipo di musica ascolti? Cantanti, musicisti che ti piacciono particolarmente?

Adoro tutta la musica ma prediligo sicuramente quella contemporanea e le voci femminili di spessore. Tra i miei cantanti e musicisti preferiti posso annoverare: The Cranberries, Nina Simone, Other Lives Band, Hajnal, Jane Siberry, Michael Giacchino, Nick Drake, Anastacia, Alessandra Amoroso, Nina Zilli…

Ti ispiri a qualcuno per le tue coreografie? Quali sono quelle tue a cui sei più affezionato?

Sicuramente la mia formazione contemporanea e il mio cuore mi portano ad avere come riferimento Pina Bausch e Wim Vandekeybus.

Diverse sono le coreografie alle quali sono particolarmente legato, in primo luogo la mia coreografia “Un Tempo per Ogni Cosa e per Ogni Cosa uno Spazio”, supervisionata all’epoca dal direttore dell’Opus Ballet di Firenze, che mi ha permesso di vincere una borsa di studio e volare a studiare allo Studio Harmonic di Parigi per un mese.

Attualmente porto nel cuore tutte le coreografie dello spettacolo “Cenerentola” della Compagnia “AltroVerso” che ho fondato e dirigo, in quanto sono state create appositamente per le mie danzatrici in modo molto spontaneo.

Stefano Arado: danzatore contemporaneo e coreografo
Stefano Arado: danzatore contemporaneo e coreografo, da sempre ho amato ballare

Parlami della tua compagnia

Ho fondato la compagnia “AltroVerso” nel maggio 2018 grazie al supporto del Centro Universitario Sportivo Insubria di Varese che tra le altre cose ha anche al suo interno la Scuola di Danza Cus Insubria che dirigo insieme alla mia collega Aurora Bonfante.

Se oggi la Compagnia esiste ed è così affiatata lo devo sicuramente a tutti i membri della stessa che sono in primis amici, a tutto lo Staff del Cus Insubria e alla dott.ssa Paola Comolli, amica e cuore pulsante organizzativo della compagnia.

La compagnia si caratterizza per una forte ambivalenza in merito alla provenienza stilistica dei danzatori, dal contemporaneo/floor work, al modern, al classico e da una forte impronta teatrale; la finalità è infatti quella di creare una contaminazione con altre arti vicine, come la poesia, il teatro e la musica, dove tutto si evolve per rifare la realtà, attraverso forme, luci, improvvise corse e ricadute dei corpi in movimento.

Quello che cerco di fare, con la mia poca esperienza e sempre con grande umiltà, è un lavoro di ricerca sul corpo e sulla persona come essere “in azione”, come motore fisico delle emozioni e dei sentimenti.

Cosa avete in cartellone? E come possiamo seguire la tua attività prossimamente?

La Compagnia ha debuttato per la prima volta nel 2018 con lo spettacolo “Ci sono Giorni in Cui” che affronta tutte le fasi della vita in un mix di danza e lettura interpretata; è prevista una reprise per il 20 maggio ore 21,00 presso il Cinema Teatro Nuovo di Varese.

Il nostro spettacolo di punta è attualmente “Cenerentola“, una rivisitazione in chiave di danza contemporanea della fiaba dei fratelli Grimm e della pellicola disneiana, che ha debuttato a fine 2019 ma che non è stato possibile replicare a causa della Pandemia.

Attualmente abbiamo in programma due date che considero come un nuovo debutto: il 25 febbraio alle ore 21,00 presso il Cinema Teatro Nuovo di Varese e il 19 marzo ore 21,00 presso il Teatro Alfredo Chiesa di Milano.

Potete seguirci su Facebook: https://www.facebook.com/compagnialtroverso/

Instagram: https://www.instagram.com/compagnia_altroverso/

oppure sul nostro sito web https://compagnialtroverso.wordpress.com/

Grazie Stefano. Buon ballo!

Musica a Teatro: Marco Simeoli, attore ecclettico e di razza

Marco Simeoli: "La musica? Storia di famiglia" Gigi Proietti è stato per me più che un maestro
Marco Simeoli e Gigi Proietti – Gigi Proietti è stato per me più che un maestro

Marco Simeoli si è diplomato presso il Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Roma diretto da Gigi Proietti.

Attore eclettico e di razza, regista e insegnante, ha studiato, tra gli altri, con Orazio Costa, Ennio Coltorti, Alvaro Piccardi, Elisabetta Pozzi, ha seguito uno Stage internazionale di Commedia dell’Arte diretto da Antonio Fava e di teatro corporeo diretto da Yves Lebreton.

Ha approfondito la tecnica del Doppiaggio presso la Fonoroma, acrobatica con i fratelli Colombaioni, e ha studiato anche musica e canto.

Numerosi i premi vinti e le menzioni speciali: Finalista al X Concorso Nazionale di Recitazione Wanda Capodaglio, Menzione speciale Premio alla vocazione Montegrotto Europa ’93, 2° classificato al Comic Festival Teatro Tenda di Roma con ‘O Vico di Raffaele Viviani, 3° classificato alla XIX Rassegna Attori in cerca d’autore diretta da E. Coltorti con “Tempo” di S. Graziani, Finalista al Golden Graal 2008 come miglior regista dramma per “Il viaggio di Felicia”.

Finalista al Concorso Nazionale Ibiskos 2005 sez. poesia; poeta selezionato al Premio Città di Melegnano 2005 con l’opera “Non lo svegliate”.

Insegna recitazione e tiene seminari sul “Teatro di Eduardo”, su “La comicità in Shakespeare” e su “L’attor comico…che canta il musical”.

Nel 2006 per la Dino Audino editore è uscito un suo libro dal titolo Mettere in scena uno spettacolo.

Con la compagnia I Picari, fondata nel 1995, ha rappresentato spettacoli scritti e diretti, per la maggior parte, dagli stessi interpreti, di cui ricordo: Stasera con noi al varietà, Tempi duri e Zozzoni per la regia di Gigi Proietti, Siamo seri e Shakespeare per attori cani con la regia di Claudio Insegno.

Tantissimi gli spettacoli a cui ha partecipato con parti di rilievo, tra cui Aggiungi un posto a tavola.

Molte le partecipazioni a film e a produzioni televisive, in particolare nello show su Rai Uno Cavalli di battaglia al fianco di Gigi Proietti e nelle fiction Provaci ancora prof, Angeli, Don Matteo, I delitti del cuoco, Camera Cafè, Distretto di polizia.

Al cinema nei film “Notte prima degli esami oggi” e “EX” di Fausto Brizzi “Un’estate al mare” di Carlo Vanzina e “Gente di Roma” di Ettore Scola.

Dal 2008 è autore regista e interprete dello spettacolo Napoli è ‘na parola che propone in vari teatri e città.

Ultimamente propone il monologo Manca solo Mozart, che è centrato sulla casa editrice e negozio musicale di famiglia, sito a Napoli, uno dei più longevi e importanti riferimenti per cantanti e musicisti in Italia e non solo.

Ciao Marco, so che stai per partire in tournée. Qualche domanda al volo. Hai debuttato a dodici anni, vero? O mi sbaglio? Mi racconti quel debutto e le tue prime esperienze di palco?

Avevo 12/14 anni.  A Napoli entrai a far parte di una compagnia amatoriale del Vomero, dove abitavo, ed ebbi l’occasione di interpretare il primo cameriere in Filumena Marturano.

Ero felicissimo. Debuttare con Eduardo, poi…cominciavo a sentire di aver trovato una mia collocazione nel mondo, anche se ci sarebbero voluti molti anni prima di trasferirmi a Roma ed intraprendere la professione entrando alla scuola di Gigi.

I professionisti non vedono spesso di buon occhio gli “amatori”, anche se molti attori vengono da quel mondo. Tu che ne pensi a riguardo?

Io amo e rispetto il Teatro amatoriale che ho fatto anch’io per tanti anni. È un teatro di passione, sacrifici e amore.

Bisogna però, per rispetto a chi ne ha fatto una scelta di vita, rendersi conto che finiscono per essere due mondi con leggi e regole diverse.

Bisogna esserne consapevoli, di questo.

Marco Simeoli: "La musica? Storia di famiglia" - Ho debuttato a 12 anni in Filumena Marturano...ero felicissimo
Marco Simeoli – Ho debuttato a 12 anni in Filumena Marturano…ero felicissimo

Spettacoli con musica tuoi che ami ricordare particolarmente?

Beh sono tanti… Potrei citare in particolare Ti amo sei perfetto ora cambia, che è stato miglior musical off 2015, Canterville, Sweeney Todd, Francesco de Paula Opera, Tomorrow morning  I gemelli leggendari

Che tipo di musica ascolti in privato?

Ascolto molta radio con musica di qualsiasi genere. Mi piace la musica leggera italiana…la musica classica…la musica scritta per il Teatro… musica napoletana classica e non… davvero tutto, quindi!

Com’è nato lo spettacolo Manca solo Mozart? Me ne parli?

È nata da un’idea che avevo in mente da tanti anni grazie alle storie legate alla mia famiglia e al negozio storico Musica Simeoli di Napoli tramandate da mio nonno e mio padre, e da me accuratamente trascritte.

Ciò però si è realizzato grazie all’incontro con Antonio Grosso che ha fatto si che questa storia personale diventasse universale e potesse appartenere a tutti, curandone la regia: uno spaccato di cento anni di Napoli e del nostro bel Paese.

Quelli che racconto sono episodi legati a mio nonno ai miei zii e a mio padre. Io in negozio ci andavo solo per passare dei pomeriggi e mi divertivo a fare il commesso anche se non capivo nulla delle richieste dei clienti.

Di lì sono passati tutti a cercare spartiti e a curiosare: Stravinsky, di passaggio per Napoli, il maestro Muti che studiava al Conservatorio di fronte, Sergio Bruni, Carosone, Daniele Senese ecc. gli illustri dei primi anni…da E. A. Mario a Matilde Serao, da Bovio a Russo…

Il metodo per pianoforte edito da Simeoli, adottato dai pianisti in erba e non, è del prof. Rossomandi, dal quale mio nonno ereditò tutta la tradizione della musica e del negozio. Non avendo il professore figli, praticamente “adottò”, anche se non ufficialmente, mio nonno Salvatore…

Marco Simeoli: "La musica? Storia di famiglia"
Marco Simeoli – Ascolto molta radio con musica di qualsiasi genere (Foto © Manuela Giusto)

Tu suoni il piano o qualche strumento? Pensi sia importante per un attore conoscere la musica?

Io purtroppo non ho mai imparato a suonare alcuno strumento, ma per un attore ritengo fondamentale conoscere la musica: perché la recitazione è musica, ovvero note, tempi, accenti, cambi: un attore deve avere occhi e soprattutto orecchi…

Il ritmo, il senso del ritmo credo proprio sia indispensabile per noi attori… ha anche a che fare con i tempi, comici ma anche non comici…

Progetti presenti e futuri?

Il tour di Manca solo Mozart, che culminerà, speriamo, a New York a maggio al Festival del Teatro italiano. Poi la ripresa di Aggiungi un posto a tavola e la mia nuova regia: “Rosencrantz & Guildenstern sono morti”.

Come possiamo seguire la tua attività? Siti dedicati?

Il mio profilo è la mia pagina. Non ho un sito ma tra Facebook ed Instagram cerco di pubblicare sempre le cose che faccio.

Grazie Marco. Buon lavoro!

Comprendo ogni giorno la scelta che ho fatto senza dimenticarmi il detto “Prendi l’arte e mettila da parte”

Musica a Teatro: Sacha Trapletti
Musica a Teatro: Sacha Trapletti: Attore, Autore, Doppiatore, Giocoliere, Performer, Interprete, Animatore, Intrattenitore, Creativo …. (Foto © Sorelle Fontana, Mariana e Maluu)

“Abbi cura dei tuoi ricordi perché non puoi viverli di nuovo”. Commentami questa frase parlando delle tue origini.

La parola “ricordi” rimanda al passato e inizialmente ho visto il teatro come una valvola di sfogo. Facevo tanto sport, dal tennis al calcio, ma anche se ripenso a quelle esperienze con molta gioia e spensieratezza, sentivo inconsciamente che non ero chiamato in quei campi e cercavo delle alternative che non entravano in quelle logiche.

Così alle medie incontrai una scuola di teatro a Novara, laRibalta, che mi diede la possibilità di scoprire le possibilità alternative che il Teatro offre, come e più di qualsiasi altra disciplina artistica.

Così iniziai a calcare le assi di un parquet sognando di calcare un palco vero e proprio. Capitò: incontrai infatti il palco del Piccolo Teatro Grassi di Milano appena tredicenne e mai avrei pensato che un domani sarei entrato in quel mondo.

Avevo una parte in uno spettacolo “Ballo solo se c’è il terremoto” in cui si parlava di una compagnia di artisti che cercava di trovare la loro strada nel difficile percorso della vita affrontando la precarietà del mestiere dell’attore in una serie di scene comiche.

Nello spettacolo ero invaghito di un mio compagno che mi rifiutava e mi lasciava una sua scarpa con la quale io mi relazionavo come se fosse lui e….la gente rideva! Non importava cosa facessi o dicessi: rideva! E pensai “Mica male ‘sto Teatro…!”

Così più mi affascinavo più trovavo il mio posto. In seguito, frequentai l’indirizzo alberghiero che mi fece scoprire la mia passione per la cucina, in quanto cucinare è prendersi cura dal gusto delle persone cercando di sorprenderle nel piatto.

Sacha Trapletti: la forza dell’immaginazione

Notai che il Teatro lo faceva, seppur con modi diversi ma con la stessa cura ed attenzione. Crescendo, la vita poi ti porta a una scelta su che cosa vuoi farci della tua esistenza.

Tentai l’università, molti mi consigliarono di non fermarmi con lo studio e di approfondire ma non passavo un esame neanche a pagarlo…così, spaesato, decisi di voltarmi indietro e ricordare che avevo un’altra freccia nella mia faretra e decisi di scoccarla. Il Piccolo Teatro di Milano mi avrebbe preso nel 2014.

Dopo una lunga prova scenica e personale ci ero riuscito, tanto da convincere i miei genitori a supportare questa mia scelta di vita; mio padre recentemente, in questi periodi strani e dilatati, con mille incertezze, mi dice di ascoltare “L’istrione” di Charles Aznavour ma cantato da Massimo Ranieri. Mi ci rivedo, e comprendo ogni giorno la scelta che ho fatto senza dimenticarmi il detto “prendi l’arte e mettila da parte”. Quindi ricordo e i ricordi mi aiutano a capire chi fossi e chi voglio essere.

Questo è ancora il mestiere più bello del mondo?

Non so se bello è la parola giusta. Difficile di sicuro. Incerto? Forse, visto le poche certezze che si incontrano: ma si, è bello!

Nel senso che ti mette alla prova come qualsiasi altro mestiere, ma ti dà la possibilità di trovare te stesso e capirti molto meglio come persona, e come essere umano che si interfaccia con altri della stessa specie e in modo analogo anche come interprete, per arrivare e restituire l’essenza di ciò che viviamo ogni giorno, grazie sia ai testi più classici che a quelli più contemporanei, ma sempre cercando di colmare alcune mancanze, indagando cosa ci manca e sorprendendoci quando scopriamo delle cose che ci riguardano e al tempo stesso mi riguardano.

Musica a Teatro: Sacha Trapletti
Sacha Trapletti: molte volte è giusto sapere cogliere e prendere al volo le occasioni anche se sembra non abbiano nulla di artistico (Foto © sorelle Fontana Mariana e Maluu)

Che musica ami, quali autori in particolare?

Non c’è una musica che amo. La amo tutta. Dalle colonne sonore alla musica concreta, dal Pop al J-Rock, ma se dovessi scegliere direi la musica che ha temi epici come quella degli Audiomachine, ma siccome noi giorno dopo giorno cambiamo, semmai dovessi, per lavoro o svago, ascoltare qualcosa di qualunque genere che mi piace la riascolterei per 40-50 volte di seguito!

Mi lascio ispirare dai cantautori italiani come Fiorella Mannoia, Venditti e altri come Modugno, Jannacci, Gaber e se scopro una musica leggera, o del Jazz che da recente ho iniziato ad amare, l’ascolto con attenzione. Non mi limito, ho fame di continua scoperta.

Hai lavorato più volte sull’Opera da tre soldi, vero? Come mai e in che modo?

Brecht mi ha stregato a 16 anni, quando dovetti interpretare Peachum, mi avrebbe dato la possibilità di far porre delle domande a chi mi guardava e a spingerlo, uscito dal teatro, a chiedersi “ma quella cosa l’ho già vista…vissuta…mi ci rivedo e poi perché se è un testo così vecchio è così attuale?”

La forza dei Classici! Che ti prende e ti scompiglia facendoti capire che in fondo certe cose non cambiano ma danno la possibilità di cambiare solo se chi ha orecchie per intendere intenderà.

L’ho fatta spesso L’opera da Tre Soldi, altro segnale del fato che mi chiamava al Piccolo? Forse, perché dopo aver vinto un Festival di Teatro a Crema, il Franco Agostino Teatro Festival, andammo al Grassi a Milano, sul palco dove la prima Opera da Tre soldi di Strehler e Brecht e Kurt Weill aveva preso luce con Tino Carraro come Mackie Masser e Mario Carotenuto come Peachum!

Mi ha dato molto quel testo, come Risveglio di Primavera di Wedekind, antecedente a Brecht, che mi diede un monologo grazie al quale entrai al Piccolo.

Sacha Trapletti: la forza dell’immaginazione

Una volta l’abbiamo fatta insieme ai ragazzi della SFOM, Fondazione Maria Ida Viglino per la Cultura Musicale, dove cantavamo e ballavamo…insomma una compagnia era nata!

Fu trascritta sotto il nome di Delle Umane Ineguatezze da Angelo Colombo, al quale devo molto perché mi ha permesso di incuriosirmi su cosa c’è ancora? Quale è il prossimo Step? Senza averlo incontrato non penso che mi sarei buttato. Entrai al Piccolo a ventun anni.

Gli altri spettacoli tuoi con musica che ami ricordare e l’ultimo?

L’ultimo è La Vicenda dell’Airone e della Bicicletta che gli Insegnò a Volare, un omaggio a Fausto Coppi, il grande ciclista, con le musiche originali composte da Raffaello Basiglio che conobbi per caso e che mi avrebbe fatto conoscere un altro modo di lavorare con la musica Jazz, eseguita dal vivo da una Big Band composta da Claudio Wally Allifranchini e Daniele Moretto, quest’ultimo in scena recentemente con Massini al Piccolo, aridaje!

Il modo in cui noi abbiamo lavorato sull’opera è stato affrontare il testo con la sua analisi, interpretazione, approccio al personaggio, quindi come interpretarlo e come restituirlo ai giorni nostri e soprattutto scoprendo l’altro, ovvero il mio compagno di scena, dove rendendolo più importante di me lo spettacolo avrebbe giovato; un lavoro davvero approfondito, come dovrebbe essere sempre ma di solito non è.

Musica a Teatro: Sacha Trapletti
Sacha Trapletti: Il mio lavoro permette a tutti, grandi e piccini, di sognare, che è la caratteristica principale dell’infanzia, dove tutto sembra possibile, dove riusciamo a piegare la realtà a nostro piacimento utilizzando la forza più grande del bambino, che è anche quella dell’adulto e soprattutto dell’attore: l’immaginazione (Foto © sorelle Fontana Mariana e Maluu)

Un breve racconto/ esperienza come attore di strada e uno coi bambini

La mia prima esperienza come attore di strada è stata a Novara, la città dove sono cresciuto anche se sono nato a Milano. Fermavo le persone e le spolveravo con uno spolverino. Così riuscivo a creare subito un contatto e a formare attorno a me un cerchio dentro il quale iniziavo a giocare lanciando le palline.

Sono Giocoliere, non bravissimo ma me la so cavare, ed è interessante cercare di tenere viva l’attenzione in un luogo come la strada, rispetto alla sala, dove ci si va volontariamente ed è prevista una certa attenzione verso quello che tu stai facendo.

In strada è ancora più difficile in quanto devi sempre cercare di mantenere l’attenzione alta e restituire e far trascorrere una mezz’ora o un’ora di allegria a persone che possono decidere di fermarsi anche solo dieci secondi e poi riprendere la loro passeggiata.

Mentre con i bambini…Quando mi sono diplomato nel 2017 ho iniziato a rivisitare un testo di Jules Verne, Il giro del mondo in 80 giorni, in cui avrei interpretato tutti i personaggi e ho pensato di farlo per i bambini, cercando di far loro “vedere” questi viaggi straordinari, con un elefante, una mongolfiera e un treno che magicamente si materializzano in scena e sorprendono tanto i bambini quanto gli adulti per vivere un’ora insieme di magia, o quella che io vorrei rendere magia.

Ma la cosa più bella è che questo spettacolo è stato visto da Carmelo Rifici e mi è stato prodotto dal LAC, Lugano arte e cultura, nel 2019, dove per la prima volta mi sarei presentato fuori dall’Italia come regista, autore, attore, interprete.

Lo so, sono troppe cose insieme…spero di non peccare in egocentrismo ma è la pura verità. Mi chiedevi del lavoro dell’attore…

Il mio lavoro permette a tutti, grandi e piccini, di sognare, che è la caratteristica principale dell’infanzia, dove tutto sembra possibile, dove riusciamo a piegare la realtà a nostro piacimento utilizzando la forza più grande del bambino, che è anche quella dell’adulto e soprattutto dell’attore: l’immaginazione.

Prossimamente?

Prossimamente sto lavorando a un testo insieme all’amico e collega Andrea Salierno dal titolo “Part-Ahimè”, a delle letture su Fausto Coppi, Enrico Cecchetti, e Carlo Casanova nel piccolo paese di Quarna Sotto, sopra la città di Omegna ai piedi del lago d’Orta.

Mi è stato chiesto anche di partecipare a diversi cortometraggi che speriamo di poter realizzare nonostante le problematiche legate alla pandemia.

Mi sto orientando al doppiaggio facendo già qualche lavoro per musei e piccoli brusii, e sto scoprendo un altro mestiere bellissimo, molto difficile ma umano al 100%. Inoltre, continuo a scrivere, a formarmi frequentando seminari e workshop, ad essere pronto per propormi a qualsiasi tipo di progetto, iniziativa e follia che mi viene richiesta.

Perché molte volte è giusto sapere cogliere e prendere al volo le occasioni anche se sembra non abbiano nulla di artistico. Lì nascono le cose più belle e sorprendenti, spesso, come ho notato man mano che vengo chiamato per un caffè o bevuta. In molti ritrovano in me una figura di appoggio.

Ecco: voglio essere un appoggio, una mano tesa che dica: “Facciamolo e vediamo che succede!” Impegnandomi, con tutti i miei difetti e i miei limiti cercando sempre di migliorarmi, per creare qualcosa insieme ad altri, perché nessuno può farcela da solo. Bisogna mettersi in gioco ogni giorno e lavorare, tirando su le maniche e faticando sempre a testa bassa. Ma con lo sguardo rivolto sempre in alto

Comporre mi fa stare bene, iniziare a cercare prima una semplice melodia per poi sentire, qualche ora più tardi, un brano finito con diversi strumenti, effetti e dinamiche, è una delle sensazioni che preferisco

Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista
Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista – venendo dalla musica e passando al teatro ho sempre cercato di conciliare queste arti

Riccardo Bursi nato a Scandiano, ha studiato piano jazz, ma suona anche chitarra, batteria e percussioni, flauto e fisarmonica. Ha un diploma di doppiaggio e laurea al Dams e si è preparato alla Paolo Grassi e presso la Societas Cesena.

Insegna presso il Centro Teatrale Mamimò di Reggio Emilia. Ha lavorato in spettacoli tra cui La dodicesima notte di Shakespeare e The birthday party di Pinter.

Qualche esperienza al cinema e in spot. In questi giorni è in scena con Stelle nere, di cui è sound and music designer.

Impariamo a conoscerlo…

Raccontami la tua prima esperienza di palco come attore e la tua prima esperienza per te importante.

Pochi giorni dopo essermi diplomato alla scuola di teatro Paolo Grassi di Milano nel luglio 2019 ho preso parte a uno spettacolo riguardante le leggende del Monte Rosa: “Scende il diavolo dalla montagna”.

Uno spettacolo di narrazioni in cui suonavo e recitavo con due compagni di Scuola. Insieme al drammaturgo e al regista (anche loro compagni Paolo Grassi), abbiamo fatto una mini-tournée tra Piemonte e Valle d’Aosta ai piedi del Monte Rosa.

Ogni giorno una location diversa e un pubblico sconosciuto, a differenza di quel che accadeva a Scuola in cui a vederci erano sempre parenti e amici.

In un certo senso questa è stata la mia prima esperienza di palco come attore e anche la mia prima esperienza importante, quella in cui mi sono riconosciuto come attore e non più studente.

Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista

Guardando poco più avanti nell’estate 2020 ho partecipato alla mia prima residenza artistica al festival Contaminazioni Digitali in Friuli per lo spettacolo “All you can Hitler” scritto da Giorgio Franchi e diretto da Andrea Piazza.

È stata la mia prima esperienza “professionale”, la più importante finora a livello di visibilità e possibilità.

Devo anche dire che il nostro è un mestiere artigianale e la pratica fa esperienza in qualsiasi forma; quindi, mi sento di dire che ogni lavoro fatto in questi quasi tre anni dal diploma è stata una prima esperienza di palco e allo stesso tempo un’esperienza importante.

La tribute band in cui suonavi…cantavi anche?

Ho preso parte a tre progetti tribute band: il tributo ai Coldplay in cui suonavo la tastiera e facevo seconde voci; il tributo ai Muse in cui suonavo la batteria e il tributo ai Mumford&Sons in cui suonavo la tastiera ed ero la voce solista.

È stato il mio primo gruppo in cui ero anche il cantante solista e che sentivo più nelle mie corde. Avevo sempre uno strumento davanti, non mi è ancora capitato di fare il frontman a tutti gli effetti, ma mi sono divertito molto, sentivo molta più responsabilità ma soprattutto mi piaceva tantissimo.

I Mumford&Sons sono attualmente la mia band preferita, conosco a memoria quasi tutti i testi e spesso in macchina o a casa con la mia chitarra li rispolvero. Tra l’altro studiare i testi ascoltandoli molte volte mi ha regalato una pronuncia inglese di cui vado piuttosto fiero, un’ottima scuola!

Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista - il bello del Teatro è che ogni sera lo stesso spettacolo cambia
Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista – il bello del Teatro è che ogni sera lo stesso spettacolo cambia

Il tuo lavoro come insegnante

Mio padre è insegnante elementare e sono cresciuto con l’idea di fare il maestro, per cui sia in ambito musicale prima che teatrale poi ho sempre pensato che una parte di cui non sarei riuscito a fare a meno sarebbe stata proprio l’insegnamento.

Ho lavorato anche come educatore e animatore e ho sempre sentito i benefici del mestiere.

Quando mi hanno chiesto di insegnare teatro alla scuola del Centro Teatrale Mamimò di Reggio Emilia ero uscito da poco dalla mia condizione di allievo e pensavo fosse troppo presto, ma pensavo anche che prima o poi avrei voluto farlo quindi ho accettato.

Ero titubante ma fare teatro con ragazze e ragazzi mi ha aiutato a mettere in fila lezioni ricevute in accademia: dare indicazioni sulla recitazione ti mette in condizione di allenare sguardo e ascolto e presuppone un buon livello di consapevolezza su ciò che è per te la recitazione. In virtù di questo è anche un luogo di sperimentazione, in cui inventare giochi e strategie, in cui si può/deve sbagliare.

Come sei passato a scrivere musica per la scena? Prime esperienze.

Venendo dalla musica e passando poi al teatro ho sempre cercato un modo per conciliare queste due arti. La mia tesi di laurea al Dams riguardava l’analisi della colonna sonora di Morte a Venezia di Luchino Visconti e la mia tesi in Paolo Grassi è stata una sorta di confessione sui tre anni passati a Scuola in quanto musicista e attore appunto.

Il mio è un po’ un pallino fisso e l’idea di affiancare al mio lavoro di attore un lavoro come compositore mi ispira molto. La mia prima esperienza in questo senso è precedente all’accademia: mi era stato chiesto di comporre le musiche per uno spettacolo amatoriale.

Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista

Se le riascolto adesso inorridisco un po’ ma mi ero divertito a creare musiche a partire da un personaggio e non solo pescando dalla mia fantasia. Avevo creato melodie e suoni per ogni personaggio, come dei leitmotiv Wagneriani (sì, l’ho detto) che tornavano nella drammaturgia.

In più durante le prove e in alcune repliche ho suonato dal vivo durante lo spettacolo. Non mi ci sono mai dedicato in modo professionale perché non ho studiato composizione e penso sempre che ci siano tantissimi compositori molto più bravi, ma comporre mi fa stare bene, iniziare a cercare prima una semplice melodia per poi sentire, qualche ora più tardi, un brano finito con diversi strumenti, effetti e dinamiche, è una delle sensazioni che preferisco.

Sono arrivate alcune richieste che mi hanno messo alla prova e più mi capita di creare musiche per la scena più sento crescere il mio entusiasmo e la voglia di continuare anche su questa strada.

Il tuo ultimo lavoro per ‘Stelle Nere

Fabio Banfo, collega insegnante al Centro Teatrale MaMiMò di Reggio Emilia, mi ha chiesto di assisterlo durante la realizzazione dello spettacolo ‘Stelle Nere’. Inizialmente dovevo essere un orecchio per la questione musicale e un occhio esterno perché lui, drammaturgo e regista, sarebbe stato anche in scena come attore.

Successivamente ci siamo accorti che la musica avrebbe assunto un ruolo importante in questo spettacolo e che le musiche sarebbero dovute nascere proprio dal lavoro in scena, dalla pratica delle prove insomma.

Quindi mi è stata affidata la realizzazione di una colonna sonora originale per questo spettacolo. ‘Stelle Nere’ vede in scena due attori molto famosi del ventennio fascista, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, coppia sul set e nella vita.

Con il cinema fermo durante la guerra lui decide di interpretare il ruolo del patriota e si arruola nella Decima Mas per poi finire, con la compagna, a Villa Triste a Milano insieme alla banda Koch, famosa per le torture e le violenze impartite ai partigiani e ai fascisti che tradivano il regime.

La musica incarna questa ‘casa dei fantasmi’ che è sì Villa Triste, ma anche il teatro in cui va in scena lo spettacolo. Ho cercato quindi di lavorare sugli stessi suoni del teatro, attraverso delle registrazioni che ho poi modificato perché tutto sembri sempre altro da quello che effettivamente è. La parte melodica trae spunto da una nota canzone proprio di quegli anni, che però non posso svelare.

Ora i giochi sono fatti, ma resto in ascolto di come si può modificare lo spettacolo. Il bello del teatro è che ogni sera è lo stesso spettacolo ma cambia, e se cambia qualcosa nella direzione, nelle intenzioni, nei tempi, non vedo perché non dovrebbe cambiare anche la musica.

Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista - comporre mi fa stare bene
Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista – comporre mi fa stare bene

Un autore teatrale che ami particolarmente, un compositore classico o contemporaneo e un cantante o gruppo di musica “leggera” o jazz

Al terzo anno di Accademia ho lavorato sul “Compleanno” di Harold Pinter e da lì ho iniziato a leggere tutto ciò che aveva scritto. Mi piacciono molto la sua scrittura ritmica e le sue atmosfere thriller in cui nasconde le sue idee politiche.

Per quanto riguarda la musica classica mi affascinano molto i compositori virtuosistici come Liszt, ma il mio preferito è Chopin, adoro i suoi Studi e i Valzer.

Musica a Teatro: Riccardo Bursi, attore e musicista

Nel panorama contemporaneo seguo il lavoro di compositori che scrivono anche per il cinema come Hans Zimmer, Danny Elfman e soprattutto Ryuichi Sakamoto.

Nel mondo della musica leggera oltre ai già citati Mumford&Sons ho ascoltato e amato I Beatles e in Italia devo dire che lo scioglimento degli Elio e le storie tese è stato un duro colpo.

Prossimamente?

A febbraio inizierà una produzione Mamimò in cui sono coinvolto come attore e musicista, non voglio spoilerare ma non vedo l’ora. Per il resto ho all’attivo qualche spettacolo in cerca di repliche, ma sto pensando anche di scrivere qualcosa di mio, sono molto interessato alla narrazione, alle fiabe e alla musica in scena ovviamente, sto pensando a una sorta di format che coinvolga il pubblico in diretta, vedremo.

Per seguire la tua attività? Link a siti?

Mi dispiace deludere sotto questo punto di vista ma da qualche mese ho messo in pausa i miei social e non ho un sito. Mi trovate con il mio nome su Facebook e come Riccardo_Bursi su Instagram ma sono aggiornati a prima di quest’estate.

In quarantena mi sono dedicato a un format dal titolo “Fight Clap” su questi social, una battaglia tra band o cantanti rivali che mettevo insieme in cover della durata di un minuto, mi sono divertito molto ma finita l’esperienza ho sentito il bisogno di staccare dai Social, nulla di definitivo, ma per ora è così.

A presto! 

Il canto e la musica hanno in verità sempre toccato in me le corde più profonde. Sono il mezzo che mi fa sentire più a casa

Musica a Teatro: Francesca Caratozzolo
Musica a Teatro: Francesca Caratozzolo – Il canto e la musica hanno sempre toccato in me le corde più profonde. Sono il mezzo che mi fa sentire più a casa (Foto © Andrea Rainoldi)

Francesca Caratozzolo è nata a Milano. Ha una formazione in studi classici, pianoforte e danza.

Diplomata alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi lavora in teatro, con alcune incursioni in ambito cinematografico, e partecipa a festival nazionali ed internazionali.

Per il cinema è Ofelia in Le insondabili memorie di Nadia Baldi e Maria Callas in Visconti all’Opera di Stefano Masi.

Mima in vari allestimenti del Teatro alla Scala per la regia di Cobelli, Ronconi, Lievi, Lepage. Tra il 2005 e il 2009 collabora con la redazione del canale SKY Classica per la presentazione dei programmi di musica e opera lirica.

Appassionata di vocalità e canto spazia come interprete in diversi generi: melologo, canzone, cross over, jazz e sperimentazione vocale.

Nel 2005 forma il Francesca Caratozzolo Trio con Nino Frasio e Roberto Meroni, repertorio del jazz classico.

In occasione di un concerto a Bergamo presso Arthaus allestisce la sua prima personale d’arte figurativa, disegni e opere realizzate tra il 1997 e il 2015.

Avviando un percorso che indaga la molteplicità dei linguaggi e delle forme espressive, è autrice e interprete con Giancarlo Locatelli de L’otercanto per voce e clarinetto basso sul testo poetico di Franca Grisoni, in cui presenta in allestimento 70 disegni realizzati in connessione al progetto.

Firma la drammaturgia e compone le canzoni di Cantico al Cielo ispirato all’opera poetica Le Stelle nelle Tasche di Ornella Mereghetti Baccolo.

È interprete vocale e attrice in Bouillon pétillant avec Érik, concerto spettacolo dedicato a Érik Satie e in A journey through Jazz dialogue excursus sul repertorio jazzistico, entrambi al fianco di Pinuccia Giarmanà.

Dal 2012 collabora con l’associazione delleAli teatro come autrice ed interprete in spettacoli per adulti e di teatro per l’infanzia. Nel 2018 è attrice e co-autrice in Gaia Luce.

Dal 2019 inaugura i 5 studi sui Tolki, a partire dalla serie poetica di Ida Travi, con la realizzazione di una serie di film brevi di cui è autrice ed interprete.

Al percorso professionale artistico ha affiancato l’insegnamento della pratica vocale e musicale a partire dalla prima infanzia, secondo la Music Learning Theory di Edwin Gordon. Collabora come insegnante e formatrice per gli educatori presso asili nido e privatamente.

Pratica e insegna Yoga seguendo la linea di trasmissione di Patrick Tomatis e della scuola Satyananda.

Com’eri da piccola? I tuoi giochi “artistici”?

Ero una bambina piena di energia ed entusiasmo, molto socievole ma anche capace di isolarmi a lungo nei miei spazi e nella mia indipendenza. Direi che ero diligente, amavo studiare, affrontare sfide e fare del mio meglio. Imparavo in fretta. Sono caratteristiche che tutto sommato sono rimaste nel tempo, anche se smussate dall’esperienza. Da ragazza ero certamente molto più avventurosa, sportiva e spericolata.

Oggi sono più̀ cauta e meditativa.  In famiglia non c’erano artisti di professione e infatti le mie scelte non sono state proprio facili da accettare, però si è sempre respirato grande amore e considerazione per l’arte e la cultura. Sono stata una bambina fortunata, che ha potuto viaggiare, sperimentare e studiare discipline artistiche fin da piccola e ancora mi porto dentro l’atteggiamento entusiasta ed anarchico tipico del bambino attratto da molti oggetti che appaiono ai suoi occhi meravigliosi.

Mia madre era molto creativa nel quotidiano e ha seminato tanto in questo senso. Con lei si passavano i pomeriggi a costruire marionette, teatrini, disegnare, modellare, cucire. Devo a lei lo studio del pianoforte iniziato a sei anni, anche se la mia prima vera passione è stata la danza, che ho inseguito in modo discontinuo nel tempo, forse per una forma sottile di insicurezza.

Sentivo una grandissima libertà nel potermi muovere nello spazio. Andavo a lezione in un vecchio cinema del mio paese e ricordo ancora l’odore del legno di quel grande palco polveroso. Da ragazzina ho poi avuto un momento di innamoramento per i musical, visti in scena a Londra, con grande emozione.

Primi approcci al teatro “serio” e alla musica

Il teatro ha preso il sopravvento su gran parte della mia formazione, di fatto fin dai tempi del liceo. Avevamo fondato tra amici una compagnia molto attiva e ci siamo divertiti moltissimo, imparando direttamente sulla pelle tutti gli aspetti concreti, artigianali, emotivi del fare spettacolo. Al tempo avevo come modello il teatro di Giorgio Strehler, visto che ero un’assidua giovane spettatrice del Piccolo. Tutto questo è confluito nella formazione accademica alla Paolo Grassi, una formazione lunga e caratterizzata da una particolare attenzione alla fisicità dell’attore, e infine nella vita professionale vera e propria, che è stata ricca di incontri molto intensi.

Per me il teatro continua, come allora, ad essere il luogo più̀ bello e potente in cui stare insieme, oltre ad incarnare un significato fondamentale di sguardo civile e politico, connesso in ogni caso, dal mio punto di vista, alla bellezza di un atto estetico. Oltre che per Strehler, provo grandissima riconoscenza per l’arte di Leo de Berardinis, Danio Manfredini, Nekrosius, Dodin, Müller, Martahler. Alcuni loro spettacoli restano indelebili nella mia memoria.

Musica a Teatro: Francesca Caratozzolo
Musica a Teatro: Francesca Caratozzolo Non ho preferenze di ascolto, la musica mi piace tutta (Foto © Giudicianni&Biffi)

Il canto e la musica hanno in verità sempre toccato in me le corde più profonde. Sono il mezzo che mi fa sentire più a casa. Ho una formazione che si è modellata in modo non accademico. Certo c’è stato lo studio del piano, del solfeggio ed esperienze di canto corale, ho preso lezioni di canto e seguito vari maestri, tra cui la più significativa per me è stata Imke Mc Murtrie.  Curiosità̀ e desiderio mi hanno portata a sperimentarmi in tanti generi, preparandomi di volta in volta in base alle necessità contingenti al ruolo o ai progetti. In certi momenti l’ho definito un approccio da attrice che canta (del resto spesso ho partecipato a spettacoli in cui il canto era previsto) ma più che altro per sottolineare l’attenzione all’espressività più che al virtuosismo tecnico.

Di fatto ad un certo punto ha prevalso nel mio interesse l’attenzione al suono, al respiro, alla vocalità in tutte le sue possibili espressioni e valori comunicativi e questo ha segnato per alcuni anni il mio percorso, sia creativo che didattico. Inoltre, mi ha sempre affascinato la commistione dei linguaggi. Un ambito inevitabile adatto direi al mio spirito un po’ selvatico e poco incline all’essere inquadrata.

Adesso che mi fai tornare indietro nella memoria, ripesco un fatto che avevo del tutto scordato: ancor prima di iniziare l’accademia mi coinvolsero come cantante di un gruppo pop, rock o che so io. Sognavano tutti di andare a Londra. Provavamo in una cantina gelida … improvvisazioni assurde, non saprei definirle, che ridere!

Musica a Teatro: Francesca Caratozzolo

Hai messo in scena molti melologhi. Tre a cui sei più affezionata?

Sono molto affezionata a due progetti musicali di cui sono autrice delle canzoni, oltre che interprete, nati dall’incontro con due scritture poetiche: L’oter di Franca Grisoni, realizzato insieme a Giancarlo Locatelli e Le stelle nelle tasche di Ornella Mereghetti, insieme ad Alberto Zanini e Giacomo Papetti. Certo, se devo aderire alla definizione più pura di melologo, ricordo il mio battesimo con ‘La reticenza di Lady Anne’ di Saki, musicato da Carlo Galante e ‘Manuale di Istruzioni’ di Cortázar, musicato da Sebastiano Cognolato.

Ricordo con tenerezza la bellezza della musica di Poulenc nell’Histoire de Babar. Poi senz’altro gli Sports et Divertissments di Erik Satie, perché impegnativi negli appuntamenti musicali tra partitura e testo e perché inseriti in un concerto spettacolo tutto dedicato a Satie che è stato per me una bellissima avventura interpretativa, al fianco di Pinuccia Giarmanà. Anche se non si tratta di melologo, aggiungerei la recente esperienza al Conservatorio di Milano in cui ho fatto parte dell’ottetto corale diretto da Mirko Guadagnini in Laborintus II di Luciano Berio: una partitura davvero splendida e complessa.

Il musicista classico che ami di più, e quello contemporaneo

Non ho preferenze di ascolto, la musica mi piace tutta, sono sempre stata disponibile a farmi conquistare e accompagnare e a volte è questione di momenti della vita. Sono cresciuta ascoltando Chopin, per cui potrei dire lui. Ho una certa passione per la musica antica e barocca. Monteverdi. Ma anche Bach, Kapsberger, Scarlatti, Faurè, Debussy, Franck. Davvero difficile dirlo. Allora diciamo Chopin. Non posso dire di aver ascoltato tantissima musica contemporanea, pur conoscendone i maggiori esponenti. Diciamo Arvo Part.

Il tuo rapporto col jazz

Viscerale, quello con il blues. Luminoso quello con il jazz.

È un rapporto che ha le sue radici in un magma che non so definire, che mi tocca l’anima.

Senz’altro la meraviglia rispetto alle voci delle grandi cantanti del jazz ha fatto il resto nel farmi approcciare questo repertorio. Non si possono certo imitare! Cercando uno stile personale ho tentato di immergermi nella gioia di Ella Fitzgerald, nel fascino sofisticato di Sarah Vaughan, nel dolore di Billie Holiday, nello stile di Dinah Washington. Nina Simone è lì che mi aspetta, ma ammetto che la sua potenza incute un certo timore.

Musica a Teatro: Francesca Caratozzolo Jazz
Musica a Teatro: Francesca Caratozzolo – la meraviglia rispetto alle voci delle grandi cantanti del jazz mi ha fatto approcciare questo repertorio

Ascolti anche pop, rock? Chi in particolare

In questo sono forse stata ancora più onnivora. Tra i Beatles e i Rolling Stones, senz’altro scelgo i Beatles. Ho adorato Prince, in assoluto. Oggi riascolto sempre con gioia Caetano Veloso, Joni Mitchell, Annie Lennox, Meredith Monk. Per tornare in Italia, sarà poi scontato, ma per la mia generazione credo non si possa prescindere dalla canzone di Gaber, Jannacci, De Andrè.

Un‘eredità e un ponte che ancora non hanno finito di condurci. Certo Lucio Battisti ha un posto speciale nel mio cuore. Oggi un artista che seguo e ammiro è Caparezza, che faccio ascoltare a mio figlio con nostro gran divertimento. E recentemente ho scoperto la voce di Thony. Mi ha molto affascinata. L’ho ascoltata per un mese intero almeno.

Insegni anche yoga. Usi musica, presumo. Di che tipo?

Bella domanda! Ho alle spalle tanti anni di pratica e studio dello yoga e più di una decina di insegnamento e non ho mai utilizzato musica, a volte con una certa delusione e sconforto di alcuni allievi che avrebbero gradito. Provengo da una formazione che non la proponeva, ma non si tratta di una posizione dogmatica, che peraltro non mi appartiene. Certo, personalmente non ho gran sintonia con la musica new age che spesso vi viene associata e in generale mi sembra di poter dire che la musica muove energie ed emozioni.

Potrebbe essere utile per facilitare alcuni passaggi, ma fondamentalmente vivo il momento di una pratica yoga quale un processo per tentare di lasciar fare finalmente silenzio, nel corpo e nella mente. Un silenzio che sospende la necessità e la reattività di ogni azione nella piena presenza della coscienza.

È un processo arduo, per niente accondiscendente al concetto di benessere che purtroppo oggi lo yoga sembra promettere. Altro discorso riguarderebbe la pratica del Nada Yoga, lo Yoga del suono, tradizione complessa e raffinatissima che richiede studi specifici e non è facilmente proponibile in un insegnamento di base. Sarebbe un discorso lungo, questa non è la sede.

Posso dirti perciò che i linguaggi espressivi continuano ed essere per me tutti molto importanti e potenti, ci parlano della nostra umanità̀ complessa, fragile, contraddittoria e immensamente creativa. Ma mi piace pensare che il contrappeso necessario in ognuno di essi sia il silenzio. 

Prossimamente?

Voglio completare il mio ultimo lavoro nato dall’incontro con un’altra poetessa, Ida Travi e la sua serie poetica dedicata ai Tolki. Sto realizzando 5 film brevi grazie alla collaborazione con Elisa Baccolo che cura le riprese, 5 studi che alla fine mi piacerebbe raccogliere in un unico film. Si tratta per me di un primo esperimento col mezzo video e il montaggio, così delicato nell’equilibrio tra parola e immagine.

Poi vorrei tornare a cantare, magari ripescando alcuni progetti lasciati nel cassetto.

 Per saperne di più su Francesca:

website                      www.francescacaratozzolo.it

soundcloud                 https://soundcloud.com/user-827178553

canale youtube             https://www.youtube.com/channel/UCaW4vUL59HR8Frqt8JQoURg

 

Qualsiasi opera parte da un semplice segno scritto su una partitura, e noi come artisti abbiamo il compito di farlo rivivere e brillare di luce propria

Ecco la bella chiacchierata su musica, teatro e arte che ho avuto il piacere di fare con il maestro Michelangelo Rossi. Trovate altre note su di lui alla fine dell’intervista.

Musica a Teatro: Michelangelo Rossi
Musica a Teatro: Michelangelo Rossi – (Foto © Laura Magistrelli)

Prendo spunto per farti le domande da alcuni titoli famosi: comincio da Joyce. Ritratto dell’artista da giovane. Mi racconti di te, come è nata la passione per musica e arte e degli inizi?

Non sono figlio di musicisti, ma vengo da una famiglia dove l’arte e la cultura sono sempre stati in primo piano: entrambi i miei genitori sono grandi appassionati di letteratura, musica, cinema, teatro, vanno regolarmente a sentire concerti e a visitare mostre d’arte…da qualche parte in famiglia il guizzo artistico doveva pur esserci!

Quando avevo cinque anni decisero di farmi studiare uno strumento per creare una valvola di sfogo alla mia snervante iperattività e alla mia logorrea senza freni (mi viene da ridere a pensarci ora, visto che mi dipingono come una persona molto riservata!), e siccome mia madre conosceva una collega pianista molto brava nell’insegnamento la scelta ricadde sul pianoforte, strumento che già mia sorella suonava a casa.

Dopo qualche primo tentennamento iniziai a ingranare, e subito la maestra intuì il mio potenziale: a dieci anni entrai al conservatorio della mia città e a diciannove mi diplomai col massimo dei voti e la lode, con un programma mostruoso e da perfetto irresponsabile affrontato con la spensieratezza di chi è fresco di liceo, senza perdere una goccia di sudore.

Di mezzo c’è stato anche un-Erasmus al Mozarteum di Salisburgo, ma non vorrei dilungarmi in dettagli.

Ero un grande divoratore di musica, ascoltavo tutto, dalla classica al jazz al rock, senza pormi limiti di genere, ma solo per saziare la mia enorme curiosità, anche aiutato da strumenti come Youtube e Wikipedia che proprio in quegli anni stavano iniziando a diventare quello che sono oggi. Mi mettevo spesso al pianoforte a studiare da solo i brani che mi affascinavano al momento, soprattutto Beethoven, Liszt e Rachmaninov, anche se in molti casi erano palesemente fuori portata rispetto al mio allora livello tecnico…

Solo in seguito, diciamo dopo i venti anni, scoprii quasi per caso il meraviglioso mondo dell’opera, che fino a quel momento avevo abbastanza snobbato, e che invece ora adoro e prediligo. Un giorno un’amica mi chiese di accompagnarla, a prima vista, in un’aria che doveva preparare; data la mia totale inesperienza il risultato fu fin troppo prevedibile: un disastro totale. O almeno così mi parve.

Con la coda tra le gambe le scrissi un messaggio per scusami della magra figura ma, per tutta risposta, lei mi disse che pur comprendendo che fossi alle prime armi in realtà sentiva in me del talento, e mi consigliò di coltivarlo per farne una professione. Ci riflettei e mi diedi da fare: dopo le prime audizioni fui preso all’Accademia di Santa Cecilia, di lì a poco cominciai a lavorare in vari teatri d’opera e nel 2016 fui selezionato come pianista nell’Accademia del Mº Muti.

Si rivelò un saggio consiglio.

Musica a Teatro: Michelangelo Rossi

Il tormento e l’estasi. Nel tuo lavoro, per la messa in scena di opere liriche o con voci recitanti … In quali momenti ti sei sentito in difficoltà e quando invece ti sei divertito

Beh per fare questo mestiere bisogna innanzitutto divertirsi! I momenti di difficoltà ovviamente ci sono: dall’onnipresente imprevisto durante lo spettacolo alle incomprensioni con gli interpreti, fino alle prove che a volte possono essere molto stringate e quindi obbligano a dover lavorare in fretta e furia.

Senza tralasciare lo stress di produzioni che possono durare anche varie settimane. Però, come accennavo, il piacere in ciò che si fa deve essere predominante: senza di esso è impossibile creare qualcosa che il pubblico possa gradire e apprezzare.

In cosa sta il divertimento? Nel fatto che qualsiasi opera parte da un semplice segno scritto su una partitura, e noi come artisti abbiamo il compito di farlo rivivere e brillare di luce propria.

Certo, ci sono i cd, i dischi, Youtube, Spotify e altre piattaforme che, se usate in maniera critica, ci aiutano a valutare ed ascoltare numerosissime versioni sia storiche che attuali, ma sta di fatto che il lavoro vero viene svolto a tavolino usando la nostra immaginazione e creatività.

In fase di prova cerco sempre di ricreare quel grande arco narrativo, quell’incredibile e ininterrotto flusso temporale che dalla prima nota dell’ouverture arrivi fino all’ultimo sipario come in un unico, enorme affresco: quando assieme ai cantanti lavoriamo sui personaggi, sulle psicologie, sottolineiamo una frase, diamo una particolare sfumatura ad una parola, quando con l’orchestra plasmiamo la musica perché ricalchi esattamente la situazione scenica, quando in sostanza si crea il teatro, allora in quel momento avviene la magia dell’opera, in grado di rapire gli spettatori e portarli in meravigliosi viaggi.

Lì sta tutto il succo del divertimento… e quando ci si riesce la soddisfazione è impagabile. E poi ti confesso un peccato veniale: il teatro dietro le quinte è uno spasso!

Aneddoti, racconti incredibili (al limite del sovrannaturale), pettegolezzi, storie che “lo dico solo a te mi raccomando non dirlo a nessuno”, e ancora tresche, vendette private, litigate furibonde, rivalità, …Qualcuno scuoterà la testa e negherà con sussiego, ma chi non ha mai provato un pizzico di malsana curiosità per questo spaccato così pittoresco ma profondamente umano?

Già compositori come Marcello, Sarro, Cimarosa, Donizetti ci hanno dipinto questo mondo ai confini della realtà con le loro meravigliose satire, segno che ieri come oggi nel teatro le pennellate “folkloristiche” non sono mai mancate.

Musica a Teatro: Michelangelo Rossi 1_Photo by Laura Magistrelli
Musica a Teatro: Michelangelo Rossi (Foto© Laura Magistrelli)

Prova d’orchestra. Che tipo di approccio hai con gli orchestrali, i cantanti o gli attori. Differenze?

Direi un approccio da collega; ovviamente stiamo parlando di un primus inter pares, che si deve far carico di dare un taglio interpretativo ai brani che bisogna eseguire e deve assicurarsi che la propria idea venga realizzata, ma non sono un tipo a cui piace ergersi sul piedistallo e far discendere sul popolo le Tavole della Legge, anzi se mi trovo in un clima di serena collaborazione sono molto aperto alle idee che provengono dai cantanti o dai professori d’orchestra.

Quando lavoro con l’orchestra cerco sempre di stabilire un rapporto di serietà, per cui punto sempre ad arrivare alle prove con una preparazione ferrea e un’idea convincente da far passare.

Valorizzare tutte le sezioni, esaltare i soli, creare un amalgama convincente, cercare di coinvolgere ed entusiasmare anche i professori più reticenti sono alcuni dei miei punti fissi; in questo ho imparato tanto dal M° Fabio Luisi, con cui ho avuto il privilegio di studiare durante una masterclass.

Con i cantanti ho un rapporto più a tu per tu, cerco di immedesimarmi nel loro personaggio e nella loro psicologia: si discute, si analizza assieme, si confrontano idee diverse, si provano al pianoforte le varie frasi finché non assumono un significato compiuto all’interno del contesto.

Musica a Teatro: Michelangelo Rossi

I cantanti, nonostante siano fonte di numerose barzellette e luoghi comuni, sono in realtà artisti sensibilissimi che vivono sulla loro pelle (proprio letteralmente!) i ruoli che cantano: fino a quando non sento una piena identificazione tra me e loro non riesco ad accontentarmi.

Non ho avuto numerose occasioni di lavorare con attori a parte il recente Laborintus; ricordo però molto positivamente alcuni adattamenti di opere al pianoforte in cui le varie scene cantate venivano collegate tra loro da melologhi di un attore su sottofondo musicale.

Questa situazione del pianoforte che accompagna la voce recitante mi ha affascinato moltissimo soprattutto per la grande libertà richiesta ai due interpreti e per l’incredibile varietà di sfaccettature espressive di cui è dotata la recitazione pura, a differenza del canto lirico in cui comunque l’espressività è veicolata dal mezzo musicale.

Mi piacerebbe in futuro poter sviluppare meglio quest’idea e, perché no, magari costruire uno spettacolo che comprenda anche sezioni di questo tipo.

Laborintus di Berio che hai diretto… Mi racconti l’esperienza? Era la prima volta con Berio?

Sì, è stato un battesimo del fuoco. Dirò di più, è stata la prima volta che mi sono confrontato con una partitura contemporanea così complessa e sfaccettata!

È stata un’esperienza entusiasmante: superati i dubbi iniziali per la difficoltà dell’opera, già in fase di studio avevo capito di trovarmi davanti a un brano grandioso e visionario, composto con mano felicissima da un grande compositore.

Più lo studiavo e più nella testa mi frullavano idee che ero ansioso di realizzare assieme ai musicisti.

Laborintus II ha la particolarità di riunire in mezz’ora di esecuzione una grande varietà di stili e tecniche musicali: si passa da parti libere a parti rigorosamente scritte, da momenti di improvvisazione jazz a omaggi a Monteverdi.

Si spazia dalla recitazione dell’Inferno di Dante a lunghi elenchi di genealogie bibliche, passando per i meravigliosi e deliranti monologhi di Sanguineti.

La musica non è da meno: momenti di follia e concitazione si alternano ad atmosfere rarefatte ed attonite, senza tralasciare gli stranianti interventi dell’elettronica.

Il mio compito era quello di restituire al pubblico questo labirintico e poliedrico viaggio, e per farlo avevo bisogno del massimo impegno da parte di tutti gli artisti coinvolti nel progetto.

Già dalla prima prova mi sono reso conto che potevamo fare grandi cose: i giovanissimi strumentisti del Conservatorio di Milano si sono dimostrati fin da subito molto preparati (anche grazie all’aiuto del docente di trombone, il prof. Raffaele Marsicano), sempre attenti e disponibili a mettersi in gioco.

Abbiamo costruito poco alla volta questo grande affresco novecentesco, mattoncino dopo mattoncino, nota dopo nota: i ragazzi rispondevano sempre con grande entusiasmo alle mie richieste, spesso proponendo essi stessi soluzioni strumentali e aiutandosi a vicenda per risolvere i numerosi problemi musicali presenti nella partitura.

Un vero lavoro di squadra, insomma, tanto che dopo le prime due letture stavamo già scendendo ad un livello di dettaglio notevole.

All’arrivo delle cantanti, del coro e della voce recitante la faccenda si è ulteriormente complicata, ma d’altra parte non si può affrontare un brano come Laborintus II se non si è capaci di gustare il fascino della sfida: tutto il comparto vocale ha confermato la solidità e la competenza già dimostrate dagli strumentisti (le voci erano state preparate dalla prof.ssa Laura Catrani, docente di canto, e il coro dal maestro Mirko Guadagnini).

Con loro ci siamo divertiti a valorizzare tutti gli aspetti vocali presenti nel brano: abbiamo lavorato a lungo sul sussurro, sul grido, sulla declamazione, sul canto, sulle parti a bocca chiusa, cercando di creare e delineare al meglio le varie atmosfere. Non mi accontentavo mai abbastanza del risultato semplicemente perché sentivo che potevo chiedere sempre di più agli artisti, e che loro erano contenti di mettersi in gioco e restituirmi il medesimo entusiasmo.

Il prodotto finale è stato molto apprezzato anche da chi non frequenta abitualmente il linguaggio musicale del secondo Novecento, segno tangibile che bisogna sfatare il mito che la musica “contemporanea” è di difficile comprensione e non arriva alle orecchie del pubblico; è nostro compito cercare invece di valorizzare e dare spazio anche a questa musica che ancora vive e vuole parlarci del nostro tempo, per evitare che la le sale da concerto diventino un museo archeologico.

Musica a Teatro: Michelangelo Rossi Photo by Ente Musicale Luglio Trapanese
Musica a Teatro: Michelangelo Rossi (Foto © Ente Musicale Luglio Trapanese)

Una digressione: ascolti anche musica leggera? Ne hai diretta o la dirigeresti? …magari a Sanremo

Di musica leggera ne ascolto, anche se ovviamente il mio acquario è la musica classica sinfonica e d’opera. Ad esempio, ho da sempre ascoltato volentieri la canzone d’autore italiana: Paolo Conte, De André, De Gregori, tutti cantautori che hanno saputo coniugare affascinante lirismo poetico con soluzioni musicali originali e mai scontate. Sono anche un fan sfegatato di Elio e le Storie Tese per i loro testi incredibili uniti ad un virtuosismo tecnico ineguagliato.

Ma per carità! Ad ognuno il proprio mestiere: nel ramo della musica leggera ci sono grandi professionisti che conoscono profondamente il repertorio, le prassi, i metodi di lavoro, è un mondo che segue regole diverse e presenta problematiche differenti, io mi accontento di seguirlo come semplice fruitore.

Musica a Teatro: Michelangelo Rossi

 Di là dal fiume tra gli alberi. Cosa vedi nel tuo immediato futuro e dove ti piacerebbe arrivare?

Per quanto mi riguarda siamo ancora nel bel mezzo del fiume da guadare: la pandemia da Covid-19 sta lasciando tuttora un’ombra di incertezza per il futuro del mondo dello spettacolo, anche se la speranza è che con le vaccinazioni e le misure sanitarie si riescano a scongiurare le chiusure degli ultimi due anni.

Nell’immediato futuro spero in una ripresa della mia attività musicale, e un obiettivo (ci sto lavorando ma ancora i progetti sono a livello embrionale) sarebbe quello di creare una mia realtà musicale che possa offrire un’offerta di alto livello, fruibile anche dal grande pubblico.

Curiosità: uno dei pochi aspetti positivi di questa parentesi pandemica è che ho trovato il tempo di coltivare interessi anche apparentemente molto lontani dalla musica, ad esempio la mia passione per l’informatica, tanto che in un momento di lucida follia mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria Informatica a cui tengo molto e che cerco di seguire, compatibilmente con i miei impegni musicali.

Non escludo che anche questo possa tornare utile in un mondo dove siamo sempre più circondati dalla tecnologia e che, in un modo o in un altro, dobbiamo imparare ad usare in maniera virtuosa. Penso che possa essere un’enorme risorsa anche per il mondo della musica classica, che ancora guarda con diffidenza a questo settore e che sta rischiando sempre più di chiudersi nella propria torre d’avorio anziché aprirsi al nuovo.

Grazie, maestro….

Michelangelo Rossi è nato a Mantova, inizia lo studio del pianoforte a cinque anni e a diciannove si diploma nel conservatorio della sua città col massimo dei voti e la lode. Intraprende anche lo studio della Composizione e contemporaneamente si avvicina alla direzione d’orchestra con i M° Renato Rivolta e Daniele Agiman, laureandosi brillantemente alla Scuola Civica “C. Abbado” e al Conservatorio “G. Verdi” di Milano.

Durante il suo percorso di studi si perfeziona con Matteo Beltrami, Filippo Maria Bressan, Lior Shambadal, Isaac Karabtchevsky, Marco Guidarini e altri importanti nomi del panorama musicale. Nell’estate 2021 viene selezionato come uno dei quattro allievi effettivi per una esclusiva masterclass con il M° Fabio Luisi.

Nel 2016 viene ammesso come maestro collaboratore presso la Riccardo Muti Italian Opera Academy, dopo una selezione presieduta dal M° Muti; a seguito di questo importante riconoscimento inizia una proficua collaborazione come pianista con l’orchestra giovanile Luigi Cherubini.

Dal 2015 svolge un’intensa attività di maestro collaboratore presso numerosi teatri di tradizione italiani (Teatro Grande di Brescia, Teatro Regio di Parma, Teatro Coccia di Novara, Opera Giocosa di Savona, As.Li.Co. di Como e altri); come direttore è stato invitato a dirigere presso l’Ente Musicale Luglio Trapanese, il Teatro Coccia di Novara e il Conservatorio “G. Verdi” di Milano.

Vengo da una famiglia in cui si è sempre respirata la musica, era inevitabile per me seguire questa traccia

Musica a Teatro: Claudio Gay, la musica nel Dna
Claudio Gay – il teatro, come la musica, mi appartiene da sempre

Ho conosciuto Claudio Gay qualche anno fa, ma ho avuto l’occasione di lavorare con lui solo recentemente, in occasione del concerto Laborintus II di Luciano Berio, su testo di Sanguineti, messo in scena in Sala Verdi del Conservatorio di Milano in occasione di Book City, con la direzione del coro di Mirko Guadagnini e la direzione d’orchestra di Michelangelo Rossi. Non ho perso l’occasione per fargli qualche domanda sulla sua vita e la sua attività.

Claudio nasce a Milano nel 1988. Si diploma in pianoforte e composizione al Conservatorio G. Verdi di Milano, specializzandosi poi in composizione di musiche per film presso l’Accademia Chigiana di Siena, sotto la guida di Luis Bacalov. Parallelamente studia recitazione a Campo Teatrale a Milano, e successivamente presso il Laboratorio di Formazione Permanente di A.T.I.R. Teatro Ringhiera. Nel 2010 è “composer in residence” presso l’International Center for Composers di Gotland (Svezia). Nel 2014 la sua opera “Tre Cose (a Caso) sull’Amore” viene prodotta dalla Biennale Musica di Venezia. Dal 2018 al 2020 ricopre il ruolo di direttore artistico della stagione di musica da camera dello Spazio DiLa’ (Milano), dove attualmente è impegnato come regista, attore e insegnante dei corsi di recitazione. Nel 2021 la sua opera “Don Perlimplino”, di cui ha curato anche la regia, debutta al Circolo Filologico Milanese.

Vieni da una famiglia di musicisti, vero? Me ne parli?

A dire la verità vengo da una famiglia in cui si è sempre respirata la musica. Mio padre è stato un grande violinista e, soprattutto, un grande didatta, mentre mia madre viene dal mondo della danza. A casa dei miei nonni, da quando mi ricordo, ascoltavo le audiocassette di esibizioni di Callas, Tebaldi, Simionato… era inevitabile per me seguire questa traccia.

Quindi hai la musica nel DNA. Come è nata invece la tua passione per il Teatro?

Come per la musica, non saprei dirlo. È una cosa che mi appartiene da sempre, soprattutto grazie a mia madre, che metteva me e mia sorella e la baby-sitter (avevamo 5 o 6 anni all’epoca) dietro le quinte di ogni suo spettacolo. Poi mi sono appassionato a questo mondo e ho cominciato a studiare. Ma sempre con l’entusiasmo del bambino di sei anni dietro le quinte. Sono stato fortunato.

Musica a Teatro: Claudio Gay, la musica nel Dna amo recitare, suonare e comporre
Claudio Gay – Amo recitare, suonare e comporre: combinare insieme le tre cose al meglio

La prima opera che hai scritto in assoluto e la prima che è andata in scena?

La prima opera che ho scritto è un ricordo bellissimo, ed è anche la prima che è andata in scena. Un lavoro, un po’ acerbo ovviamente (avevo 20 anni), sulle Troiane di Euripide; autoprodotto, per non dire gratis, mettendo insieme tutti i compagni di studi che avevo a quell’epoca, molti dei quali ora stanno facendo una splendida carriera. Da quel momento ho capito sulla mia pelle quanto il mondo del teatro e il mondo della musica possano convivere e fare del bene l’uno all’altro.

Un autore contemporaneo che ti ispira maggiormente

Senza ombra di dubbio Philip Glass, soprattutto la sua produzione operistica, purtroppo abbastanza sconosciuta in Italia.

A proposito di musica leggera cosa ti piace?

Ho una passione segreta per i Franz Ferdinand e per i Red Hot Chili Peppers.

Come è nato Perlimplino?

Da quando ho “incontrato” Garcia Lorca, negli anni di studi teatrali, ho pensato di aver trovato un autore che più che un autore è un amico, come mi è successo con Schubert, parlando di musica…

Ci sono certi autori che ti entrano nell’anima. E Perlimplino parla di qualcosa che veramente appartiene a tutti: l’amore non corrisposto, che lacera talmente tanto l’anima da farti inventare un alter ego, un doppleganger che, grazie alla magia del teatro e della musica, può diventare “reale”.  La prima ha avuto come esecutori cantanti Lorenzo Bonomi, Silvia Gay, Eleonora Colaci, Delia Rimoldi. Al violino: Maria Teresa Amenduni, al clarinetto: Daniele Primucci e al pianoforte: Maddalena Miramonti.

Musica a Teatro: Claudio Gay, la musica nel Dna
Claudio Gay – Con Garcia Lorca più che un autore ho incontrato un amico, come mi è successo per Schubert

Preferisci recitare, suonare o comporre?

Amo fare tutte e tre le cose al meglio, e, quando possibile, combinarle insieme.

Nel prossimo futuro?

Nel prossimo futuro i progetti sono tanti, sia come attore, sia come pianista, sia come compositore! Ho in ballo una performance con testo ed elettronica live sulle Città Invisibili di Italo Calvino a cui tengo molto, e tanti progetti in cui sarò attore e altrettanti in cui sarò pianista.

Per seguire la tua attività?

Non sono molto “social”, purtroppo, ma propongo di seguire, sia su facebook che su instagram la pagina della Spazio DiLa’, o i miei contatti personali: Claudio Gaj su facebook (e’ una lunga storia) o oidualc19688 su instagram.

Grazie Claudio, a presto!

Grazie a te e a voi!

Le atmosfere musicali hanno iniziato ad accompagnarmi nei pomeriggi dopo scuola

Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore
Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore – Per ogni fase della mia crescita c’è stata una soundtrack (Foto © IIF – Istituto Italiano di Fotografia)

Inizia gli studi presso la Scuola Internazionale diretta da Ida Kuniaki con il metodo Jacques Lecoq, continuando con laboratori di formazione teatrale, combattimento scenico, teatro danza e una master class cinematografica della Scuola Civica di Cinema di Milano.

La ricerca di un teatro internazionale lo porta a lavorare in Italia e all’estero in oltre cinquanta produzioni tra prosa e opera lirica, esperienze nelle quali lavora come regista, aiuto regia e attore diretto da molti illustri maestri, tra i quali Semsudin Sem Gegic’, Francesco Frongia, Renzo Martinelli, Emma Dante, e Carlos Padrissa della compagnia catalana La Fura Dels Baus con l’opera di Richard Wagner L’oro del Reno.

Con la compagnia Eco di Fondo realizza otto produzioni come La Sirenetta di Christian Andersen, andato in scena al Piccolo Teatro di Milano, Dedalo e Icaro coprodotto con il Teatro Elfo Puccini, Antigone in cui è regista collaboratore e Altri Canti d’Amor, dall’VIII Libro dei Madrigali di Claudio Monteverdi realizzato per il Festival della Valle d’Itria.

Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore

È co-regista dell’opera lirica Il trionfo dell’onore di A. Scarlatti, realizzata in Italia e in Giappone per The Japan Opera Foundation di Tokyo e regista dello spettacolo di danza, parole e circo contemporaneo La Rana e le Nuvole su musiche di Nino Rota e Igor Stravinsky.

Per l’ultima edizione del Festival della Valle d’Itria ha curato regia e scene del ciclo di 24 lieder di Franz Schubert su testi di Wilhelm Müller, Winterreise in cui ha diretto il baritono Markus Werba.

Dal 2008 collabora con gli autori Roberto Malini e Dario Picciau, con cui realizza opere visive e centinaia versioni audio dei grandi classici della letteratura internazionale.

Con la Graphic Novel Helga Deen – The last night si classificano al primo posto della UCLA – Los Angeles.

Oltre ad essere regista collaboratore nell’allestimento del Teatro Verdi di Trieste, Madama Butterfly di Puccini, con il regista Alberto Triola porta in scena l’opera di Wolfgang Amadeus Mozart Don Giovanni al National Theatre di Belgrado, al Teatrul National di Timișoara e L’inganno felice di Gioachino Rossini, andato in scena al Teatro Olimpico di Vicenza.

Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore
Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore – Prove di di regia “La rana e le Nuvole” prod. Festival della Valle d’Itria (Foto © Roberta Ceppaglia)

Teatro e musica di Libero da piccolo. Come nasce la passione?
Per ogni fase della crescita c’è stata una soundtrack. Non ho scelto a caso di parlare di colonne sonore perché, grazie ai miei tre fratelli appassionati di cinema, ho iniziato ad amare la cura per le scelte musicali di ogni pellicola, le composizioni originali scritte e dirette proprio per quegli istanti.

Così, le atmosfere musicali hanno iniziato ad accompagnarmi nei pomeriggi dopo scuola, nel tempo dedicato ad una delle mie passioni, l’illustrazione.

La scatola magica, il teatro, è arrivato in età adolescenziale, grazie ai miei professori di lettere. Una scoperta sorprendente, ricordo ogni istante, i confronti, le canzoni, lo stare insieme e io che, davanti a così tanta vita, avevo paura di aprire bocca.

Quel percorso è stato decisivo, ha permesso di vincere le timidezze iniziali e sicuramente, arrivato alla maggiore età, ha positivamente condizionato il mio futuro.

A proposito di colonne sonore… quest’anno ho avuto la fortuna di entrare in uno dei luoghi dove tutto questo avviene ancora, gli storici studi di registrazione Forum Music Village di Roma, fondati alla fine degli anni Sessanta da Luis Bacalov, Ennio Morricone, Piero Piccioni e Armando Trovajoli, oggi sede dell’Orchestra Italiana del Cinema. Immagina l’emozione!

Cosa ascolti nel privato?
Oltre alle centinaia di playlist dei grandi film dal cinema neorealista ad oggi, amo molto seguire l’istinto, talvolta sorprendermi.
Prima di iniziare questo incontro stavo ascoltando Fjögur píanó dei Sigur Rós, un gruppo musicale post-rock islandese.

Tanti anni fa ho assistito ad uno dei loro concerti e me ne sono innamorato.

Un cantautore che ami particolarmente?
Davvero non ce n’è uno solo, oltre a Rino Gaetano e Lucio Dalla, in questi ultimi mesi, fra gli altri, sono concentrato maggiormente su Mannarino, Alessio Bondì e Rosa Balistreri.

Balistreri e Bondì sono cantautori siciliani di generazioni differenti, li ho riscoperti nella ricerca dell’ultima produzione di AudioCinema dedicata ad alcuni avvenimenti che hanno segnato la storia d’Italia.

Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore
Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore – Prove di di regia “Madama Butterfly” prod. Teatro Verdi di Trieste (Foto © Fabio Parenzan)

Primo spettacolo di teatro con musica?
In ogni spettacolo a cui abbia preso parte c’è sempre stata una cura ed una ricerca, spesso condivisa, delle scelte musicali.

La prima volta con la musica dal vivo invece, è stata nell’opera di Richard Wagner, l’Oro del Reno per la regia di Carlos Padrissa con la compagnia catalana La Fura del Baus. Uno spettacolo imponente andato in scena a La Spezia per circa 30.000 spettatori.

E la danza?

Tempo fa, durante un’audizione, mi son ritrovato l’unico attore fra dozzine di danzatori. La coreografa mi spiegò che non si trattava di un errore e sapendo della mia predisposizione al teatro fisico, mi invitò a mettermi in gioco seguendo le coreografie con gli altri candidati.

Si trattava di una particolare ricerca sul teatro danza e così è iniziato un percorso con Opificiotrame Physical Dance Theatre con cui ho realizzato 6 differenti produzioni.

Musica a Teatro: Libero Stelluti, attore

Credo che quella esperienza mi abbia aiutato, di recente, a scegliere di dirigere ed immaginare uno spettacolo di danza e circo contemporaneo con i rispettivi coreografi, Nick Simonetti e Filippo Malerba dell’associazione Quattrox4.

Un omaggio del Festival della Valle d’Itria dedicato alla figura di Paolo Grassi, co-fondatore del Piccolo Teatro di Milano.

Preferisci recitare ed essere diretto o organizzare lo spettacolo?
Amo infinitamente essere diretto, per me significa affidarmi a qualcuno che rispetto e credere nella visione artistica del o della regista, forse è questa stima, condivisione del percorso che mi ha portato naturalmente a ricoprire negli anni ruoli come assistente e collaboratore degli stessi spettacoli in cui recitavo, ottenendo successivamente proposte in qualità di regista.

Cosa stai facendo ora e cosa farai nel prossimo futuro?
Con il maestro Alberto Triola abbiamo appena concluso l’opera lirica Madama Butterfly di Giacomo Puccini, un grande allestimento del Teatro Verdi di Trieste.

I prossimi impegni sono legati alle produzioni nazionali ed internazionali di audiolibri e audiocinema con LibriVivi, Audible e poi teatro con gli spettacoli di prosa della compagnia Eco di fondo.

I primi mesi del nuovo anno mi vedranno nuovamente impegnato in qualità di regista per una mostra dedicata alla letteratura per ragazzi e successivamente l’uscita di un film.

Link per seguire la tua attività?
Utilizzo Instagram e FaceBook per raccontare le produzioni in atto e quando possibile, mostrare il backstage e tutto il lavoro che precede una messa in scena

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