Musica a Teatro: Bruno Petrosino “Devo tanto, tantissimo alla musica. Mi piace dire, scherzando, che il teatro per me è stato un “ripiego”!
Nato a Nocera Inferiore, vive a Roma.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo qualche anno fa e l’ho scelto come coprotagonista di quello che ho chiamato il mio “noir di guerra”, Fuori dal fango, ambientato in una casa cantoniera milanese il 25 aprile del 1945.
La sua interpretazione intensa, a volte delicata, spesso ambigua del personaggio di Giuliano è stata una delle carte di successo del lavoro.
Ha diverse esperienze cinematografiche (ma qui ricordo in particolare la sua parte in Histoire d’une Larme, docufilm visionario di Jo Coda, con Sergio Anro, che ha vinto numerosi premi e ancora sicuramente ne vincerà) ed è straordinario interprete di alcuni monologhi, tra cui ricordo Ilse Stuttgard, vedova Kaufmann e Cartoline da casa mia, di Antonio Mocciola, rappresentato con successo anche all’estero, in cui è un indimenticabile hikikomori.
Grandi riconoscimenti anche per gli spettacoli in collaborazione con Mauro Toscanelli, in particolare “Occhio al cuore” di Emiliano Metalli vincitore del concorso “Idee nello Spazio 2020” al Teatro Lo Spazio di Roma, prodotto da Ipazia.
Questa in breve la biografia. Ora scopriamo qualcosa di più….
Come ti è venuta la passione per il teatro? È iniziata da bambino?
Da bambino a malapena sapevo cos’era, il teatro. Ci avevano portati qualche volta alle elementari: più o meno ci pensavo, più o meno lo trovavo piacevole, ma non immaginavo nemmeno lontanamente che potesse diventare un mestiere.
Avevo 16 anni quando ebbi la possibilità di fare da assistente al bravissimo regista Giampiero Cicciò per il suo spettacolo “Perthus”, testo di Jean-Marie Besset, al suo debutto assoluto in Italia al Festival di Taormina Arte del 2009.
Lo spettacolo trattava, tra le altre cose, proprio di adolescenti, quindi mi ci ritrovai particolarmente coinvolto. Seguire le prove, conoscere gli attori e vederli a lavoro, assistere alla messa in scena di una storia che mi toccava così da vicino e respirare quell’atmosfera, quel “gioco” come all’epoca mi pareva, sempre più appassionante, fece scoccare in me la scintilla: volevo diventare attore, conoscere meglio il teatro.
Da lì cominciai a frequentare i primi corsi e ad andare a vedere più spettacoli, guidato da Giampiero ed altri nuovi amici di questo mondo, e dopo il liceo frequentai l’Accademia d’Arte Drammatica “Cassiopea”. Un triennio difficile, ma fondamentale della mia vita: sopra le cicatrici, ho imparato molto. Uscito da scuola, ho cercato di imparare ancora con workshop ed esperienze lavorative sempre il più possibile stimolanti e di qualità, di alimentare e stimolare quella scintilla. E ci provo ancora adesso.
Hai studiato musica o canto? Pensi sia importante?
La musica è stata in verità il mio primo amore. A 12 anni, ad una festa di famiglia, mi ritrovai a cantare ad un karaoke e fu una scoperta elettrizzante sentire quanto mi piaceva, quanto mi faceva stare bene. Mi dissero tutti che dovevo continuare. A 13 anni ero solista nel coro della scuola e a 14 iniziai a studiare ad una scuola di musica, oltre a frequentare, sotto consiglio del mio ex professore di musica alle medie, un coro gospel da lui diretto: ha contribuito molto nella pratica, oltre che nell’affinazione dell’orecchio e del lavoro d’insieme, ed ho conosciuto tante belle persone.
Con il tempo la musica è diventata più un hobby che un vero percorso professionale, ma tra gli studi in Accademia e altre piccole esperienze corali ed individuali, praticamente non ho più smesso… Devo tanto, tantissimo alla musica. Mi piace dire, scherzando, che il teatro per me è stato un “ripiego”! Ma mi piace anche pensare alla musica come una forma intellettiva, una buona parte della mia forma intellettiva, una parte importante di quello che sono. È molto importante, a mio modo di vedere, per la mia idea di teatro.
Cosa ti piace ascoltare?
Da anni amo addormentarmi con la radio accesa. Non musica particolarmente ricercata, ma che mi dia brivido e tranquillità. Quasi sempre canzoni d’amore. Per il resto spazio abbastanza. Non ho un genere in particolare che adoro o conosco benissimo, ma cerco sempre di cogliere qualcosa, di vedere ciò che una determinata musica o suono ha da offrirmi e immagazzinare emozioni a seconda di quello che mi suscita. Mi piace farmi sorprendere ed emozionare da nuove scoperte, segnarmi nella memoria (cartacea, elettronica o emotiva) musiche o suoni che trovo anche per caso o in situazioni particolari e che mi lasciano una sensazione che devo fissare. O che avrò prima o poi bisogno, forse, di comunicare.
Utilizzi musica per il training?
Sempre! La stimolazione sonora è connessa in modo epidermico, carnale alla mia stimolazione emotiva. Probabilmente questo vale per tutti gli esseri umani, ma penso sia di vitale importanza per un attore esserne consapevole. La musica mi accende fisicamente e mi tiene su, che la stia ascoltando in cassa o che mi parta dal cervello.
In “Fuori dal fango” ti ho chiesto di suonare un pezzo con l’armonica. Mi racconti come è andata?
Il nostro amato “Fango” … Spero potremo replicarlo presto! Quello spettacolo è stato davvero fondamentale per la mia formazione, lo dico spesso.
Il personaggio di Giuliano ama la musica al di sopra di tutto, o quasi. Di certo al di sopra di qualsiasi ideologia politica. Riuscire a interpretare e far arrivare questo amore strimpellando quella melodia (Lili Marleen) con un’armonica sgangherata, senza averla mai saputa suonare, è stato un bell’obiettivo e ha richiesto moltissimo impegno…
Ma grazie ai rudimenti del passato e qualche settimana di pratica, ho potuto imparare ad orecchio quella melodia e renderla riconoscibile al pubblico, e mi ha dato una preziosa soddisfazione, personale e di resa: l’impegno e la dedizione mi sono sempre state riconosciute con calore, per chi mi ha voluto davvero ascoltare.
Influenza della musica o dei suoni in tue performance? Ad esempio in qualche monologo?
Usare la musica, in qualunque modo, nel mio lavoro è sempre motivo per me di felicità e, in un certo senso, di familiarità. Che sia chiaro, intendo nella quantità limitata e nel modo assolutamente personale in cui la conosco. Per me è come chiacchierare con un caro amico: magari non lo conosco perfettamente o completamente, ma so cosa mi lega a lui, cosa di lui mi fa stare bene.
Usarla non solo con la voce, ma anche e moltissimo con il corpo. Farmi attraversare fisicamente dalla musica è una delle operazioni di ricerca e di espressione che più di gratifica. Nel monologo “Cartoline da casa mia” di Antonio Mocciola, le parole creano una partitura perfettamente amalgamata e in qualche modo indispensabile con il corpo.
Usarla non solo in modo “bello”, ma necessariamente unico e, ripeto, personale. Una delle scoperte più belle della mia vita è stata sapere di potere (e dovere) “suonarmi” alla mia maniera. Voglio quindi, per quanto concesso, essere accordato alla mia maniera e trovare quello che veramente mi risuona. Nello spettacolo “Occhio al cuore” di Emiliano Metalli (la mia prima co-regia con Mauro Toscanelli) l’Uomo canta in uno sgraziato, svociato romanesco, e solo così può farlo.
Nel film “La Storia di una lacrima”, almeno a giudicare dal trailer, pare che il mondo sonoro sia molto importante. È così?
“La storia di una lacrima”, la mia prima grande esperienza cinematografica con la regia di Jo Coda, che ha appena iniziato il suo fortunato percorso nell’ambito di festival di cinema indipendente, guadagnando già non pochi riconoscimenti internazionali, è stato definito da qualcuno anche “una sorta di folle musical”, proprio per il linguaggio strettamente collegato all’utilizzo interessante che si fa della musica, tra esibizioni strumentali, rievocazioni di armonie che spaziano nella storia e creazioni contemporanee, playback, drag queen… Ma raccontato da me è riduttivo, è un’esperienza da vivere! Spero possiate farlo presto, il film vuole girare il più possibile. Vediamo che succede!
Prossimamente?
Per l’appunto, la prossima tappa de “La storia di una lacrima” sarà proprio a Milano, con una proiezione presso “Il Cinemino” alla fine di febbraio.
Riguardo invece il teatro, ho come la sensazione di dover chiudere con questa stagione un importante ciclo. Sarà l’arrivo dei trent’anni…
Sempre a fine febbraio, il debutto del nuovo testo-regia di Danilo Caiano, “Frammenti Queer” con Gisella Cesari, al Centro Culturale “Artemia” di Roma.
Prime e spero non ultime date di tournée di “Occhio al cuore”.
Altre repliche di “Cartoline da casa mia”, di nuovo all’OFF/OFF Theatre di Roma, il 26 e 27 aprile.
E a fine maggio, al Teatro Lo Spazio di Roma, uno spettacolo per cui ho lottato e a cui tengo moltissimo, e che ho un’inspiegabile “urgenza” di raccontare: testo di Donatella Busini, il mio nuovo lavoro con Mauro Toscanelli, “Io ed Elena”.
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Lo so, al mondo non esisto solo io… Però esisto anch’io!
Grazie Bruno e…ci vediamo presto!