Blonde Brothers: “Say Something”, brano riscritto in italiano mantenendo lo stesso sound, con un sapore nostalgico e ribattezzato con “Sei somma di mille attimi”

Blonde Brothers: "Sei somma di mille attimi"
“Sei somma di mille attimi” dei Blonde Brothers

I Blonde Brothers nascono artisticamente dalla fusione musicale di due fratelli Luca e Francesco Baù. Iniziano a scrivere canzoni in italiano e inglese sin dall’età di tredici anni, avvalendosi delle chitarre, il pianoforte e le loro voci, ingredienti da sempre necessari per esprimere le loro emozioni in modo armonico. Il loro nuovo singolo è una cover di una celebre canzone americana del duo “A Great Big World”, “Say Something”. Un brano riscritto in italiano mantenendo lo stesso sound, con un sapore nostalgico e ribattezzato con “Sei somma di mille attimi”.

Buongiorno Francesco e benvenuto nel nostro spazio! Come state vivendo questo momento della vostra carriera?

È un periodo in cui ci stiamo divertendo molto, stiamo componendo nuove canzoni e continuiamo la ricerca di persone che promuovano in modo soddisfacente la nostra musica. Cerchiamo un’etichetta importante che dia una visibilità maggiore di quella che abbiamo già avuto.

In età giovanile c’è stato un input o una scintilla che vi ha fatto capire che la musica fosse la vostra vocazione?

È stato un processo molto graduale. Man mano che scrivevamo le canzoni abbiamo notato che le persone erano prese dalla nostra musica, si emozionavano con le nostre storie. Abbiamo avuto anche varie occasioni, come al “Vociferando Festival”, al festival delle Arti, il festival delle generazioni Firenze, fino ad arrivare alla finalissima di Canale 5 con “The winner is”.

I vostri brani li collocate in un genere definito o vi sentite più liberi di spaziare?

Noi ascoltiamo di tutto e la nostra musica ha un’influenza generale. Chiaramente abbiamo un’attitudine sull’acustico, usiamo il banjo, l’armonica a bocca, andiamo verso un country moderno ed elettronico, mantenendo però una struttura pop rock radiofonica.

Riguardo le influenze, chi sono stati i vostri punti di riferimento? A chi vi siete ispirati di più?

Nostro padre ha lavorato negli Stati Uniti e involontariamente ci ha fatto ascoltare Simon & Garfunkel, Bruce Springsteen. Quando poi andavamo a comporre, inconsciamente eravamo influenzati da quel mondo.

Il vostro nome d’arte “Blonde Brothers” è dato esclusivamente dal vostro aspetto?

Entrambi abbiamo il ciuffo biondo ma anche perché siamo fan dei Blues Brothers, sono veramente iconici.

Blonde Brothers - Say Something - Copertina
Blonde Brothers – Say Something – Copertina

Nella vostra infanzia c’è stato un momento in particolare legato alla musica che ricordi in modo nitido?

Noi avevamo una vicina di casa di Padova che è venuta ad abitare accanto a casa nostra. Voleva portare suo figlio a scuola di chitarra ma non voleva mandarlo da solo e mio fratello Luca si è offerto di accompagnarlo. Dopo un anno di scuola, mio fratello aveva già iniziato a fare concerti in giro, avevamo notato questa sua vocazione; indirettamente lo vedevo suonare, mi insegnava i primi accordi così per gioco e da quel momento iniziai a perfezionarmi seguendo lezioni. Tra una cosa e l’altra, sul divano di casa, abbiamo capito che insieme funzionavamo e potevamo fare qualcosa di divertente e di interessante. Ad oggi, dove non arrivo io ci pensa lui, e viceversa. Ci completiamo a vicenda, è un connubio che cresce sempre di più.

Ora mi sposto sul vostro nuovo singolo, la cover di “Say something”. Come mai avete scelto proprio questa canzone?

Qualche anno fa, quando uscì, ascoltandola in radio, ci rendemmo conto che alcune parole suonassero bene anche in italiano. Con “Say something” abbiamo creato un’assonanza in italiano con “Sei somma di mille attimi”. Avevamo nell’orecchio il brano ed infatti ci è venuta abbastanza naturale; l’abbiamo riscritta in italiano sulla stessa melodia di quella originale in lingua madre.

Che emozioni vi ha dato realizzare e suonare questa cover?

È un brano molto introspettivo, è sicuramente molto emozionante. Abbiamo sentito pareri di nostri amici e fan, e le sensazioni che abbiamo provato sono le stesse che sono arrivate al pubblico.

C’è un messaggio che volete diffondere?

Un messaggio di speranza sicuramente. Quando un rapporto non va come deve andare, può nascere sempre una ricerca interiore su noi stessi e da lì trovare il vero amore con annesse vibrazioni.

Coltivate qualche hobby nel tempo libero? Cosa vi piace fare oltre alla musica?

Andiamo a correre, andiamo in bici, ci teniamo sempre in allenamento.

Blonde Brothers: "Sei somma di mille attimi" 2
Blonde Brothers

Finora qual è stato l’apice della vostra carriera?

“The winner is” è stato un momento importantissimo, abbiamo visto che tutta Italia ci ha riconosciuti, ci ha dato la possibilità di espanderci.

C’è un disco che vi ha un po’ cambiato la vita?

Ti direi il primo, quando capimmo che potevamo far musica immortalando in una registrazione qualcosa di nostro. Da quel momento in poi non ci siamo più fermati, eccoci arrivati al sesto album. Diventa una dipendenza tirar fuori qualcosa che hai dentro, sia se ti fa soffrire sia se vuoi semplicemente raccontarla; è un processo molto terapeutico.

Invece una canzone che avreste voluto scrivere voi qual è?

Ce ne sono tante in realtà, scelgo “Let her go” dei Passenger, di cui abbiamo fatto anche una cover in versione dance con i nostri amici DJ.

Che rapporto avete costruito con il pubblico?

C’è sempre una bella armonia, tante volte ci incontriamo dopo i concerti e ci prendiamo qualcosa al bar. Ci piace coltivare con loro un rapporto di amicizia; quando si suona c’è uno scambio di energia. Tu stai dando qualcosa a loro e viceversa. Loro sono il motivo per cui noi siamo lì e noi siamo lì grazie a loro, è un legame simbiotico.

Progetti futuri? A cosa lavorate adesso?

Stiamo facendo canzoni nuove e posso solo anticipare che stiamo lavorando sulla colonna sonora di un film.

Con chi vi piacerebbe fare un duetto?

Con i The Lumineers, li abbiamo anche conosciuti.

Un vostro grande sogno musicale che non avete ancora realizzato?

Andare al festival di Sanremo e fare un tour mondiale con le nostre canzoni. Per un sogno che realizzi, ce n’è sempre un altro pronto nel cassetto.

Ztrada: “Angelo custode” sceso sulla terra, una rinascita musicale in un mondo contaminato dal finto buonismo

Ztrada: “Angelo custode” il nuovo singolo
Ztrada

Alessandro Paganelli, in arte Ztrada, è un giovanissimo cantante nato a Cesena che sta facendo del rap la sua vera e propria strada, rappresentando la generazione Z che gli appartiene. È sempre stato affine al mondo della musica e delle sonorità, rivolgendo spesso un occhio verso il futuro e andando alla ricerca dell’inconsueto e del non canonico. Il suo nuovo singolo rappresenta una denuncia sociale verso la falsità della società in cui viviamo, divisa tra bene e male.

Buongiorno Alessandro, piacere di conoscerti! Come procede questa avventura nel mondo della musica?

Questo è un periodo in cui mi sto immergendo e sto emergendo, sto capendo che genere di musica voglio fare, anche se ho sempre avuto un piano ben definito in testa. Allo stesso tempo, è un bel periodo perché la musica mi dà un forte senso di appartenenza.

Che ricordi hai di questa tua passione? Come nasce dentro di te?

Da quando ho quattro anni ho iniziato a suonare il pianoforte, seguendo lezioni private. Mio padre mi faceva ascoltare i Queen, Lucio Dalla e tante altre voci storiche, imparando ad apprezzare ogni genere. Con le casse e con il 33 giri è stato facile influenzarmi.

Il pianoforte è lo strumento che senti più tuo?

Sì, assolutamente, sono convinto che sia lo strumento dell’anima, riesci a comunicare quello che vuoi, quanto forte schiacci i tasti, che scale fai. Le combinazioni sono davvero infinite. Mi rende molto creativo, sia come testi che come melodie.

Il tuo nome d’arte Ztrada da dove viene?

All’inizio non sapevo come chiamarmi e con un mio amico ho avuto un blocco su questa scelta. Volevo un nome originale e ho pensato alla strada, anche se nel rap è prevedibile. Allora ho voluto cambiarlo con la Z iniziale, in quanto rappresento la generazione Z e in un certo senso ho trovato la mia strada.

Ztrada - Angelo custode - Cover
Ztrada – Angelo custode – Cover

Che valori hanno il rap e la trap? Ti ci rivedi?

Personalmente mi rivedo più nel rap, perché penso che la trap sia un suo sottogenere. I miei testi specialmente hanno uno sfondo prettamente rap, suonano come denunce sociali molto forti.

Che cosa ti dona questo genere come artista e come persona?

Come persona mi dona un senso di appartenenza; il rap è il genere del senza filtri, dire le cose così come stanno, in modo diretto e schietto. Come artista mi porta su un altro mondo, non mi trovo a fare musica pop, il rap lo devi vivere ed avere dentro. La realtà viene descritta a metà tra il serio e il simpatico.

Sei nato a Cesena. Che rapporto hai con le tue origini e che clima musicale si respira lì?

Ho delle radici molto forti con il luogo in cui sono nato. Sono nato a Cesena ma oggi vivo più verso Rimini. Ho provato a fare il trasfertista e quindi a capire se questa zona mi appartiene o no. Pensavo che mi mancasse meno e invece non è stato così. Ho un legame profondo con questa terra. Però sento che il mio posto sia Milano e un giorno spero di viverci definitivamente. Il clima che si respira qui è di apparente coesione, ma alla fine strada facendo c’è sempre un po’ di rivalità, voglia di prevalere l’uno sull’altro, ma questo c’è sempre stato ovunque.

Come trovi l’ispirazione di solito?

Prendo il telefono, mi segno alcune parole chiavi che mi piacciono e che siano belle per comunicare qualcosa. Parto con un concetto, metto le parole in rima e poi inizio a scrivere. Sto notando che oggi nella musica si sta iniziando a notare una forma d’arte un po’ più di nicchia, con testi più ricercati.

Per capirlo meglio facciamo un focus sul tuo nuovo singolo, “Angelo custode”. Di cosa parla?

Voglio comunicare che attualmente c’è molto finto buonismo. Tutti cercano di sembrare buoni, spacciandosi per vittime e tante persone credono più alle parole di un tiktoker o di un influencer senza sapere cosa c’è dietro. Le notizie vengono insabbiate e la realtà viene spesso distorta.

Che significato hai dato a questa traccia?

La rinascita. Dopo i primi tre brani mi ero un po’ demoralizzato perché non vedevo luce.

Ztrada: “Angelo custode” il nuovo singolo 3
Ztrada

Quali parole ti sei segnato sul telefono prima di scriverla?

Buonismo, falsità e “The Voice”, una serie tv di antieroi che rende l’idea del falso buonismo. Fa capire che anche gli eroi non sono perfetti, sono una cosa dipinta e virtuosa.

Che cosa rappresenta l’angelo custode nel titolo?

È una figura di salvezza ma non solo perché nella copertina è rappresentato con un’arma in mano ed è nettamente un’immagine contrastante se non addirittura un opposto. Così com’è la realtà di oggi, molto discordante.

 Che emozioni provi quando sali sul palco?

Sono un ragazzo molto estroverso, mi piace coinvolgere il pubblico e interagire con loro. Mi invento spesso qualche sketch, ci divertiamo a vicenda. Sul palco mi piace proprio la vita dell’artista in tutte le sue sfaccettature. Voglio essere leggero ma anche invitare il pubblico a riflettere.

Programmi per il futuro?

Ho in mente un EP, credo che lo chiamerò “Psico-criminale”; voglio fare cinque brani in cui parlo anche un po’ della psicologia visto che mi piace molto e ho letto diversi libri. Sono del parere che un artista fa un album a seconda del mood che sta vivendo dettato dal tema che vuole affrontare.

Un sogno musicale che speri di realizzare?

Fare della musica il mio lavoro. La volta in cui varcherò la porta dello studio e vedo Drillionaire seduto che mi aspetta per la base, posso dire di avercela fatta.

Monterosso: le “Altalene” della vita, nel continuo sali e scendi di tutti i giorni, è opportuno rallentare e allacciare le cinture di sicurezza

Monterosso, il nuovo singolo “Altalene”
Monterosso

Pierpaolo e Chiara sono una coppia e soprattutto gli interpreti del duo indie pop siracusano denominato Monterosso. Lui tocca la sua prima chitarra all’età di cinque anni e resta affascinato dal mondo delle sei corde; lei inizia a fare dei musical già durante gli anni del liceo, periodo in cui si conoscono a vicenda. La musica è entrata nella loro vita solo nel 2019, con la pubblicazione di “Radici”, il brano d’esordio. Il loro nuovo singolo, “Altalene”, secondo estratto dall’EP “Casa”, parla degli sbalzi d’umore, i famosi alti e bassi che in una relazione oscillano come le altalene e ci accompagnano nel quotidiano. Quest’ultime ci distraggono dalla bellezza del momento per farci focalizzare su qualcosa che non è funzionale al gioco stesso.

Pierpaolo buongiorno e bentrovato tra noi! Come stai e come vedete la vostra musica oggi?

Questo è il periodo della raccolta, abbiamo lavorato tantissimo lo scorso anno per la pubblicazione di questo EP. Sono usciti solo due singoli finora, che io definisco ancora due capitoli di questa serie che stiamo raccontando, la storia è ancora molto lunga dato che mancano gli ultimi quattro episodi, dobbiamo ancora entrare nella fase clou del racconto. Oggi stiamo seminando e raccogliendo i primi frutti.

Com’è nato il vostro duo?

È nato in modo del tutto spontaneo nel senso che con Chiara ci siamo conosciuti nel quinto superiore. Tra noi è una storia d’amore, nel 2025 compiamo 18 anni insieme. Il progetto musicale è arrivato solo dopo 11-12 anni di relazione. Fino a quel momento non l’avevo mai sentita cantare o fare musica. Dal nulla si è presentata con un testo in inglese dicendomi che aveva scritto un brano e abbiamo cominciato questo percorso insieme. “Radici” è stata la prima traccia, titolo non casuale perché volevo segnare un inizio evidenziando questo legame simbolico tra noi.

Monterosso, il nuovo singolo “Altalene” 1
Pierpaolo e Chiara il duo Monterosso

Nasci come chitarrista. Questo è lo strumento che ti appartiene di più?

Amo il mondo delle sei corde, mi piace perfino l’ukulele.

Il nome d’uscita, “Monterosso”, da dove viene?

È il mio cognome. Può essere scambiata come una scelta patriarcale sotto un certo punto di vista, ma posso assicurare che non lo è. L’abbiamo pensato in base al concetto di casa e di famiglia.

Qual è il genere in cui vi rispecchiate?

La nostra è un’ironia e ci definiamo “indi(e)pendentemente liberi”, perché ci sentiamo così proprio nella pubblicazione della musica, sia nella scrittura che nelle melodie. Noi ci ispiriamo al mood indie, non al sound.

Appena ho letto la vostra storia mi sono venuti in mente i Coma Cose, ho intravisto delle affinità, sia stilistiche che personali. Vi ci rivedete un po’?

È vero ci sono molte somiglianze. Conosco bene Fausto, fin dai primi esordi. Percorso parallelo, destinazione diversa.

Sai già quando usciranno i prossimi singoli dell’EP?

L’etichetta ci ha proposto la formula del rilascio a cascata. Ogni 30-40 giorni viene rilasciato un singolo. Diciamo che entro fine febbraio inizio marzo l’EP sarà completamente fuori.

Monterosso, il nuovo singolo “Altalene” 2
Monterosso

Per scrivere seguite un processo creativo o no?

Personalmente mi appunto tutto sulle note dell’iPhone, è il mio taccuino, e idem Chiara. È un processo spontaneo ma anche di elaborazione.

Concentriamoci adesso sul vostro nuovo singolo, “Altalene”. Come nasce e che significato ha per voi?

“Altalene”, così come “Stupida”, il singolo precedente, sono gli unici due brani dell’EP scritti durante il periodo di convivenza. Raccontano la casa vissuta insieme e Altalene rappresenta gli sbalzi d’umore legati a concetti e preconcetti che la società stessa ti porta a pensare. Nella vita bisogna lottare con questi dogmi che ci autoimponiamo, ci scontriamo con le altalene della realtà attuale.

Per scriverlo avete preso spunto da qualche dinamica di coppia quotidiana?

Le altalene delle tasse è un fattore che invade la convivenza, l’affitto, le bollette, la macchina. Sono tutti aspetti di coppia che non appartengono solo alla sfera del sentimento ma anche della vita di tutti i giorni. “Altalene” parla della parte illuminata della luna e anche del lato oscuro. Entrambi conosciamo le proprie altalene a vicenda e questo fattore aiuta a superare quelle sociali.

Che ricordi hai della musica? C’è un episodio della tua infanzia che ti ha segnato particolarmente?

Avevo 5 anni e i miei genitori mi regalarono il computer Kid; c’era un gioco in cui dovevi comporre delle suonerie con la tastiera. Ero molto curioso di capire come funzionasse questo mondo e ho convinto mia madre ad andare a scuola di musica. È stato sicuramente un episodio di svolta, se mi ha imprigionato o liberato lo scopriremo nei prossimi anni.

Avete compreso che rapporto state costruendo con il vostro pubblico?

Una condivisione di valori, quello che arriva sono le nostre stesse sensazioni in sfumature diverse ovviamente.

Monterosso

Un vostro biglietto di visita che vi portate sempre dietro?

Penso ad alta voce e ti dico che per il pubblico femminile possono essere più attraenti dei brani come “Darcy e Bennet” o “Altalene”; i maschi invece possono buttarsi più su sonorità movimentate come “Stupida” o “Radici”. Poi ci sono le coppiette che stanno da poco insieme che possono identificarsi in “Sesso & Netflix”.

Progetti in cantiere ne avete?

Oltre a prepararsi per i live del 2025 dalla primavera in poi, stiamo pensando ad una “Casa pt. 2”, dove non ci saranno contenuti solo in lingua italiana ma anche in inglese e spagnolo. Io e Chiara ci siamo conosciuti musicalmente proprio grazie ad un suo testo scritto in inglese quindi ci sembra giusto dare un seguito.

Un sogno che avete nel cassetto che sperate di realizzare?

Sicuramente partecipare a Sanremo con la nostra musica, da cittadino italiano è qualcosa che si spera sempre.

Lorenzo Dipas: Cin cin all’Art Cafè, un brindisi alla vita, una musicalità da gridare col calice alzato e contorniati dalle persone amate

Lorenzo Dipas: "Art Cafè" il nuovo singolo
“Art Cafè” il nuovo singolo di Lorenzo Dipas

Lorenzo Dipas, al secolo Lorenzo Di Pasquale, è un artista teramano capace di mettere sottosopra i sentimenti con un approccio alla musica fuori dal comune. Sfrontato, genuino ma allo stesso tempo anche misterioso, nel 2024 annuncia un nuovo progetto da solista e sceglie un sound tendente ad annichilire i problemi esterni, trasformando i lati negativi in forza motrice. Il suo ultimo singolo è un inno all’unione che mette insieme ironia e dramma. Art Cafè è un manifesto della sua quotidianità, un omaggio al suo bar di fiducia, dove si riunisce la sera insieme ai suoi amici esorcizzando i demoni della vita.

Buongiorno Lorenzo e benvenuto nel nostro spazio! Come inquadri questo periodo della tua vita musicalmente parlando?

È sicuramente un periodo di rinascita perché vengo da quattro anni in cui sono stato fermo. Ho suonato poco dal vivo e dal covid in poi ho avuto parecchi problemi a riprendere in mano la questione musica.

Che ruolo occupa la musica nella tua vita?

Un ruolo particolare è centrale nel senso che è la mia passione più grande; ma è anche una spina nel fianco perché, farla con una certa qualità e professionalità che ho in testa, mi richiede parecchio sforzo e mi toglie molto tempo. È un po’ una croce e delizia. Non nego però che, quando si arriva a fare dei concerti e si suona dal vivo, è sempre una grande soddisfazione.

Chi sono stati i tuoi punti di riferimento in musica?

Ne ho avuti tanti, perlopiù i cantautori italiani del passato, come Lucio Dalla, Battisti, ma anche il primo Renato Zero, il primo Vasco Rossi. A livello internazionale sono sempre stato un patito dei Queen.

Sei nato in Abruzzo. Che rapporto hai costruito con la tua terra?

Un rapporto controverso. È una terra molto difficile dal punto di vista musicale, anche per un mero fatto numerico. È una situazione di provincia e imporsi con un progetto inedito è davvero complesso. Tante realtà sgomitano per farsi notare, alcuni riescono, altri meno. La scena musicale abruzzese è povera anche perché è poca sostenuta, non è considerata più di tanto. Se nasce un progetto a L’Aquila è difficile poi portarlo fuori o altrove. Solo i social ti possono fornire qualche occasione in più.

Segui un processo creativo per scrivere?

Ultimamente ho sviluppato un metodo che parte dalla spontaneità o da un concetto e poi da lì snocciolo a ritroso la canzone, la vado a cercare. A volte non ci penso e viene fuori, altre la devo costruire di mestiere cercando di arrivare a dire quello che vorrei nel modo giusto.

Spostiamo l’accento sul tuo nuovo singolo, “Art Cafè”. Ci racconti la storia di questo brano?

È un singolo nato spontaneamente. Ho un bar qui vicino casa che si chiama appunto “Art Cafè”, e tutte le sere mi incontro con la mia compagnia di amici. Siamo un gruppo particolare perché è formato da musicisti, attori, registi, tutti accomunati sia dalla stessa passione sia dalla rabbia contro il provincialismo, una specie di ribellione soppressa. Non manca comunque il clima goliardico, che ti fa tornare a casa e ti fa scrivere una canzone.

Lorenzo Dipas: "Art Cafè" il nuovo singolo 1
Lorenzo Dipas

Come ti sei sentito dopo averla realizzata?

Leggendo il testo, si evince questa duplice faccia, quella tragica e quella comica. Più che da un’esigenza, nasce da un ricordo. Il messaggio che ho trovato dentro questo brano è prendersela a bene perché la vita è breve.

Mi ha incuriosito quando definisci questo genere “Baroque pop”. Che significa?

Me lo sono inventato per definire un’idea del genere che vorrei fare. Nell’era del minimalismo, del “Less is more” a livello musicale, mi piaceva l’idea di portare un progetto più vivo e pieno di strumenti, con arrangiamenti sfarzosi.

Stavo osservando bene la copertina del singolo e trionfa questo momento di condivisione e convivialità. Che significato dai al brindisi?

Bella domanda! Il brindisi è il momento in cui a fine giornata spegni la luce, rilasci tutte le tensioni del giorno, funziona un po’ da interruttore; è un momento di leggerezza estrema, limitato nel tempo perché dura poco, però ti scrolli di dosso la pesantezza della giornata di lavoro o dei problemi che ti inseguono.

Coltivi qualche altra passione oltre alla musica?

Mi piace disegnare, sto lavorando molto sui fumetti. Sto cercando anche di unire le due strade, ossia usare il disegno per comunicare la musica. La copertina del nuovo singolo l’ho disegnata io; mi diverte molto, siamo io e i miei amici, un po’ caricaturati e ironici, che poi è il tono che ha la mia musica. Sto realizzando un cartone animato per il prossimo singolo.

Ti vedi cambiato rispetto ai tuoi esordi musicali?

In realtà, la spinta maggiore per questo nuovo progetto è stata proprio l’essermi riconnesso con il Lorenzo di tanti anni fa. Nel marasma di tutta la roba che circola sul web, ho voluto fidarmi di ciò che mi piaceva da piccolo, un ritorno alle origini; è stato un bisogno di spurgo da tutto ciò che ci inquina le orecchie. Mi vedo più maturo sia dal punto di vista artistico che tecnico; a livello personale, sento lo stesso fuoco dentro di quando feci il primo concerto a 16 anni con la mia band, mi segnò per sempre, alla palestra del mio paese.

Che ricordi hai della musica da piccolo?

La prima prova con la mia prima band. Suonavo la batteria e usavo delle stecchette di legno su un coperchio di una pentola. È uno dei ricordi più nitidi che ho.

Lorenzo Dipas - Art Cafè - cover
Lorenzo Dipas – Art Cafè – cover

C’è uno strumento che ti porti dietro da sempre e che ti piace suonare di più?

Mi sto specializzando sul pianoforte e da poco ho iniziato anche a leggere la musica. Mi piace comunque suonare la chitarra, il basso, mi aiuta molto negli arrangiamenti.

C’è qualcosa che ti rimproveri rispetto al tuo passato?

Quando avevo 18 anni ero troppo insicuro per non scegliere di fare musica nella vita. Mi sono fatto convincere dal sistema intorno a me, ovvero scegliere una strada più sicura e coltivare la musica come hobby. Più che un rimprovero, mi sarebbe piaciuto avere un po’ più di polso.

Quando uscirà il nuovo disco?

Inizio 2025. Nel mentre vorrei pubblicare un altro paio di singoli se riesco.

Altri progetti in cantiere?

Vorrei tornare a suonare in giro con la band. Fare dei bei spettacoli, far divertire le persone. Il nuovo disco l’ho scritto anche in quest’ottica, ha sia una parte riflessiva che un’altra che si presta bene ai live.

Un sogno musicale che hai nel cassetto?

Da ragazzo avevo due sogni: mio padre che mi vedesse laureato e l’ho realizzato, e il secondo che mio padre mi vedesse a Sanremo. Adesso ridimensiono il desiderio e ti direi che mi piacerebbe fare un minitour nei club in Italia.

MET,  “Metropolitana” il nuovo singolo, un viaggio con tante fermate che invitano ad abbandonare il senso d’insoddisfazione dell’essere umano

MET, "Metropolitana” il suo nuovo singolo
MET fuori il suo nuovo singolo “Metropolitana”

Mattia Pellicoro, in arte MET, è un cantautore e chitarrista pugliese appassionato di scrittura e di poesia. Si trasferisce a Milano per scoprire nuovi orizzonti professionali e dà vita ad un nuovo progetto artistico. Il suo nuovo singolo, “Metropolitana”, è una traccia immersiva che presenta come tema dominante una storia d’amore infinita, una dichiarazione universale. Il titolo rappresenta la metafora del caos di una grande città, che però fa chiarezza sulla nostra forma di libertà più grande: la possibilità di scegliere che indirizzo dare alla propria vita, attraverso luoghi, attimi e persone.

Buongiorno Mattia e benvenuto tra noi! Come ti senti in questo momento storico?

Sono molto preso dal nuovo singolo uscito e sull’inventare nuove idee per promuoverlo. In generale, è un periodo molto ricco a livello musicale, è da un po’ che avevo in mente questo progetto che sta iniziando a prendere forma. Sto lavorando su qualche nuovo singolo che uscirà nei prossimi messi. “Metropolitana” dà l’idea della nuova direzione musicale, per capirne l’orientamento siamo partiti da alcuni artisti internazionali come Milky Chance, Cosmo, Adam Port. Gli altri brani aiuteranno ancora di più a capire chi sono, forniranno altri dettagli.

Come mai hai deciso di cambiare progetto da Mattia a MET?

È nato due anni fa. Mi sono trasferito in Spagna vivendo la musica in una dimensione molto più energica e divertente. Poi sono tornato in Italia, a Milano, riscoprendo il cantautorato, molto intimo, che ha ispirato il mio ultimo disco, “Ko Lanta”. Dalla Spagna mi sono portato dietro questo respiro internazionale e da qui ho pensato di tornare a fare un genere di musica che divertisse sia la gente nei movimenti che anche me stesso sul palco; volevo creare musical da festival. La scelta da Mattia a MET è molto minimal, così come le tracce che ho pubblicato. Anche a livello grafico, la scritta di questo nome mi è piaciuta subito ed ho avallato questo cambio.

Saliamo sul vagone del nuovo singolo, “Metropolitana”. Ci racconti come nasce la sua storia e dove porta?

Nasce tutto da un messaggio inviato a una ragazza della quale ero molto innamorato. Una sera lei mi scrisse “potendo scegliere vorrei essere lì con te…” dato che eravamo distanti. Io risposi che “potendo scegliere avrei voluto svegliarmi ogni mattina con lei”. Da quel momento “potendo scegliere” è diventato l’inizio di questa canzone e suona come una rivincita nei confronti del tempo dal punto di vista narrativo. Questo concetto diventa focale all’interno del brano perché la possibilità di scegliere o no una persona, una vita, un lavoro, è la nostra libertà più grande, molto spesso sottovalutata. Oggi ce ne stiamo accorgendo molto perché purtroppo c’è tanta gente che non può scegliere di vivere in un posto anziché in un altro, non ha libertà. Quest’ultima, a volte, ci porta a cadere perché tu non sai cosa scegliere anche se puoi.

MET, "Metropolitana” il suo nuovo singolo 1
MET

Da dove viene la scelta del titolo? Ho visto che nel testo non ricorre la parola “Metropolitana”

È una storia molto divertente, non l’ho deciso io il titolo. Mi trovavo con Stefano, il produttore, stavamo facendo la prima session di registrazione del brano; mi ero assentato tre minuti dallo studio e in quel momento lui doveva chiudere la produzione per quel giorno. Doveva salvarla con un nome e il sound aveva un’impronta di città internazionale metropolitana che gli ricordava Los Angeles, Miami, un mood americano a livello ritmico e sonoro.

Questa storia si può traslare con quella che ispirato il brano. La texture è un vociferare di persone per strada che rappresentano la folla. Dà l’idea di trovarsi in mezzo alla gente, che tra l’altro è una mia necessità, poiché mi definisco un essere sociale. La metropolitana connette le persone e i posti, ma come idea non mi piace molto perché si sale, si scende in posti bui. Amo più lo spazio aperto, il vociferare divertente sui navigli o sulla darsena.

Che cosa vuoi comunicare con questo pezzo?

Siamo liberi di scegliere la nostra vita e le persone con le quali trascorrere del tempo; viviamola a nostro piacimento, senza farsi condizionare da costrutti sociali e quant’altro.

Che elementi in comune hanno i singoli pubblicati nel 2024?

La chitarra unisce sia il cantautorato con l’elettronica, si trova sicuramente in tutti i miei brani. Un altro elemento in comune è il mare, si trova in tante canzoni del nuovo disco. Per me il mare è libertà, quei posti mi trasmettono felicità.

Che rapporto hai con la Puglia? Ti senti legato alla tua terra?

Sono di Alberobello e sono molto legata alla Puglia per tanti motivi, la famiglia, gli amici, certi posti che mi hanno cullato fin da piccolo. Vivo in una costante relazione con la mia terra, non la perdo mai d’occhio.

MET, "Metropolitana” il suo nuovo singolo 2
MET

Di solito come riesci a trovare l’ispirazione?

Sono molto spontaneo, non seguo un processo specifico. Quasi sempre parto da una parola o da una frase che mi apre un mondo. Ho capito che la scrittura di una canzone sia anche frutto di un esercizio nella scrittura stessa. Più buttiamo giù idee e pensieri che abbiamo nella testa e più rimangono dentro di noi. Ad un certo punto tutti quei frammenti si uniscono, il cervello compone un puzzle e questa io la chiamo ispirazione. Altre volte invece, quest’ultima arriva attraverso la musica, quindi i suoni e le melodie che trasmettono delle sensazioni.

Anche il mare contribuisce a tutto questo?

Assolutamente sì, il ricordo del mare mi dà le emozioni giuste per poter scrivere. Mi fa bene e mi trasmette sempre la metafora giusta per quello che voglio comunicare. Tra l’altro, vivendo a Milano sui navigli, il pensiero mi ci va molto spesso.

La chitarra è il tuo strumento preferito?

Sì, ho iniziato con lei a fare musica. La suono da quando sono piccolo, dall’età di otto anni. È una passione ereditata da mio padre che è un cantautore di musica latino-americana. Un giorno avevo la febbre e la Play Station era rotta, non sapevo cosa fare e così ho preso una chitarra e ho scritto una canzone per noia. Ne scrissi due, mia madre le ascoltò e le piacquero tantissimo.

Dai tuoi primi esordi ad oggi in cosa ti vedi cambiato?

Sì, sono cambiato molto. Ho una maturità artistica diversa e il mio stile di scrittura si è evoluto, anche se continuo a lavorare sempre per immagini. Sento che però la mia penna si sia semplificata rispetto a prima ed è stato fatto volontariamente questo cambiamento. Questa semplicità mi porta ad essere molto diretto e a comunicare subito l’immagine che ho nella mente.

Hai anche altre passioni oltre alla musica? Come riempi il tuo tempo?

Come tanti artisti indipendenti, ci sbracciamo per tenerci a galla prettamente da un punto di vista economico. Ho studiato architettura e lavoro come architetto libero professionista. Gestisco autonomamente il mio tempo ed è una scelta consapevole soprattutto in relazione alla musica.

MET

Progetti in cantiere?

Ho in mente un format che si basa sulla mia musica che vorrei lanciare presto. Sarà una roba spaziale per come lo sto immaginando. Voglio organizzare anche un tour per l’anno prossimo. Inoltre, ho in cantiere un libro che ho finito di scrivere l’anno scorso ma lo devo revisionare.

Di cosa parla?

È un racconto che parla di un viaggio che ho fatto qualche anno fa. Parte da una pagina di diario molto bella che avevo scritto in Thailandia; allo stesso tempo si fa anche un viaggio parallelo in base a come sarebbe cambiata la mia vita se avessi preso altre strade durante il viaggio, visto che ho avuto davanti diversi bivi.

Un tuo sogno che speri di realizzare?

Poter fare dei concerti in posti grandi dove tanta gente è lì per la tua musica, non tanto per me. Uno stadio sarebbe il sogno della mia vita.

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